Medicina Democratica
Ambienti

Gli interventi della “parte pubblica” per la riduzione dell’impatto ambientale dalle attività produttive



Pubblicato il 28 aprile 2009
di: Redazione (Autore/i o Autrice/i in calce all’articolo)




di Giuseppe D’Agostino e Michele Diciolla tecnici del Servizio Qualità dell’Aria della Provincia di Torino

Chissà a quanti tornano alla mente le ciminiere in mattoni e i densi pennacchi di fumo nero che da lì si innalzavano in cielo, quasi a ricordare anche ai più lontani che in quel luogo una fabbrica stava lavorando?

Fabbriche come centri focali per lo sviluppo urbanistico di Torino: interi quartieri come Borgo San Paolo, San Donato, Mirafiori e Lingotto cresciuti attorno ai capannoni produttivi da cui uscivano, oltre ai densi fumi, anche le prime utilitarie che hanno messo in moto l’Italia del Dopoguerra.

Immagini che al tempo stesso rappresentavano la forza di un’industria e di un intero paese (quando fumo e rumore comportavano tanto lavoro) e che a volerle rielaborare in chiave moderna risulterebbero tanto anacronistiche quanto indicative del ricatto sociale a cui erano costretti, durante il boom industriale, coloro che nella fabbrica lavoravano, e che a pochi metri dalla stessa vivevano con la propria famiglia, sottoposti sia dentro che fuori alle ricadute ambientali e sanitarie del proprio lavoro.

Oggi, crisi dopo crisi, ristrutturazione dopo ristrutturazione, la convivenza con la fabbrica è divenuta meno problematica grazie anche alla concomitante sinergia di più fattori, fra cui:

la maggiore sensibilità che i cittadini hanno nei confronti delle tematiche ambientali siano esse legate ai cambiamenti climatici o legate al progressivo depauperarsi delle risorse naturali (aria, acqua, suolo); la spinta generata dall’adozione di sistemi di gestione ambientali che può fungere da elemento incentivante al continuo controllo e miglioramento dei processi; il crescente coinvolgimento delle Istituzioni territorialmente preposte (Province, Comuni, ASL, ARPA) derivante dal sempre più articolato assetto normativo che, a cascata, partendo dal Legislatore europeo arriva in modo indiretto alle amministrazioni locali più “vicine al problema”; non da ultimo le Disposizioni Comunitarie che vincolano sempre più le industrie ad adeguare le tecnologie e gli impianti a requisiti di prevenzione dell’inquinamento comuni e condivisi da tutti e 27 gli Stati membri.

Ma quali possono essere le pressioni ambientali dell’industria, come queste possono essere mitigate e qual’è l’articolazione degli strumenti che gli Enti territoriali mettono in campo per attuare le disposizioni legislative in materia di ambiente e di salute pubblica?

Il caso studio di seguito proposto, che porta in sé problematiche di varia natura (dalle condizioni dell’ambiente di lavoro alle ripercussioni sull’ambiente esterno) è quello delle attività di fusione di metalli che sono state oggetto di Istruttoria Integrata Ambientale da parte della Provincia di Torino.

Le fonderie

Nell’ambito delle procedure per l’Autorizzazione Integrata Ambientale (si veda l’approfondimento a lato) la Provincia di Torino ha rilasciato l’autorizzazione a tutti gli stabilimenti che superavano le soglie di produzione individuate dal D.Lgs 59/05 (impianti metallurgici, galvanici, grandi attività di verniciatura, di stampa, allevamenti di bestiame, industrie alimentari, fornaci per la produzione di laterizi, ecc...).

Fra le attività esaminate, l’istruttoria integrata ambientale ha, tra l’altro, coinvolto dieci impianti di fusione di metalli (ferrosi e non ferrosi), operanti sul territorio della provincia torinese, con produzioni destinate per lo più al settore automobilistico (grandi stampi per lo stampaggio lamiere, basamenti motore di auto e camion), al settore avio, a quello dei trasporti su rotaia (grandi traverse ferroviarie), a quello medicale (protesi ossee), al recupero dei metalli mediante rifusione (lingotti).

Oltre che ad una discreta varietà di leghe prodotte, le aziende esaminate realizzano cicli basati su diverse tecnologie di produzione (colata in conchiglia, in motta, in campo, in atmosfera protetta nel caso del magnesio, ecc...) nell’ambito di quelle che rimangono essere le consuete fasi dell’attività di fonderia, ovvero: stoccaggio dei materiali metallici, dei rottami e delle cariche, la fusione ed il mantenimento in temperatura del metallo liquido, l’allestimento delle forme (che possono essere permanenti come le conchiglie o a perdere come le motte), la colata, la sformatura del getto e le eventuali lavorazioni meccaniche sul getto grezzo.

Il nuovo approccio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale

Come con una macchina fotografica, in cui all’aumentare dello zoom si riescono a focalizzare i particolari più “nascosti”, così l’attività istruttoria sugli impianti in Procedura AIA ha permesso di mettere a fuoco aspetti diversi rispetto alle altre Procedure autorizzative, ovvero aspetti legati al processo ed alle tecnologie adottate per produrre quel determinato oggetto, piuttosto che al solo contenimento degli inquinanti venutisi a formare di conseguenza. Usando un detto tipico dell’ambito sanitario, anche per il Procedimento AIA si può dire “prevenire prima che curare”. Se con gli approcci autorizzativi settoriali si guardava solo al di fuori del confine fisico dello stabilimento, normando gli scarichi nelle varie matrici ambientali solo dal punto in cui fuoriuscivano dallo stabilimento, ora con l’approccio integrato si guarda dentro la “scatola-stabilimento” e si analizzano le fasi del processo, le macchine, le azioni gestionali, le modalità di stoccaggio e via dicendo. Lo strumento in più in mano all’Autorità competente sono i Documenti di riferimento comunitari che individuano lo stato dell’arte sui processi produttivi, a cui le tecniche (intendendo con tale termine sia le tecnologie che le modalità di gestione dei processi) devono essere adeguate.

Mitigare gli impatti ambientali guardando anche all’ambiente di lavoro

Il lavoro in fonderia comporta un elevato livello di rischio per i propri addetti. Sono infatti molti e diversificati i rischi alla quale gli operatori possono essere esposti in una situazione carente di precauzioni. Si va dall’esposizione al rumore, alle polveri silicotigene, ai fumi metallici, ai gas e vapori (idrocarburi alifatici ed aromatici leggeri, ammoniaca, gas cianidrici, formaldeide, alcool furfurilico), sino alla proiezione di lapilli, di schegge, di radiazioni luminose ed infrarosse e più in generale ad un rischio traumatico più elevato che in altre tipologie di attività industriale.

Un aspetto rilevato in quasi tutti gli impianti visitati è il rilascio di emissioni diffuse in ambiente di lavoro (ad esempio fumi di fusione e di colata) dovuto alle carenze dei sistemi di aspirazione (scorretto dimensionamento, inadeguatezza delle soluzioni o addirittura totale assenza di captazione).

Solo con il D.Lgs 59/05 (quello relativo alla Autorizzazione Integrata Ambientale) queste problematiche hanno conosciuto un reale intervento anche da parte delle autorità competenti per il controllo ambientale, che in precedenza non potevano di fatto agire autonomamente in quanto in tale fattispecie il rilascio dei fumi avveniva nell’ambiente di lavoro e non in quello esterno. Il confine “fisico” dei muri dello stabilimento era anche un “confine di competenze”: laddove finivano quelle sull’ambiente di lavoro di ASL e SPreSAL (i Servizi di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro facenti capo alle ASL) iniziavano quelle sull’ambiente esterno di Provincia (autorità competente in materia di emissioni in atmosfera) e ARPA (Agenzia Regionale Protezione Ambientale, deputata al controllo).

Con le disposizioni del D.Lgs 59/05 è stato invece possibile “seguire” i fumi dalla loro generazione/captazione sino al trattamento ed al rilascio controllato in atmosfera, prescrivendo, anche grazie all’ausilio dei Documenti di Riferimento comunitari che approfondivano le diverse tecnologie impiegabili, l’obbligo di convogliamento o di potenziamento delle captazioni all’interno di un provvedimento autorizzativo di natura prettamente ambientale (come è quello dell’AIA) anche quando l’emissione stessa aveva la caratteristica di essere “diffusa” in ambiente di lavoro e perciò di competenza dell’Autorità Sanitaria.

In particolare sono stati oggetto di adeguamento (a seguito delle prescrizioni della Provincia) alcuni impianti di colata con aspirazioni sottodimensionate, con tunnel chiusi ma danneggiati, forni fusori privi di adeguata aspirazione durante la fase di spillata del metallo liquido, postazioni di degasaggio dell’alluminio fuso e postazioni di riscaldo delle conchiglie prive di aspirazione, intere isole per la colata in conchiglia da cui i fumi fuoriscivano laterlamente dalle cappe, ecc...

Il rilascio incontrollato di questi fumi presenti in ambiente di lavoro verso l’ambiente esterno (ad esempio attraverso le finestrature di un capannone) è alla base dei fenomeni più evidenti di disagio olfattivo percepito fra gli abitanti che risiedono attorno agli stabilimenti (talvolta sono stati segnalati odori anche entro due chilometri di distanza). Infatti l’assenza di un sistema di depurazione e di un vero e proprio camino da cui possano essere espulsi i fumi ad alta velocità non garantisce la dispersione ottimale degli inquinanti con conseguente peggioramento della situazione ambientale.

Gli interventi possono essere sinergici grazie alla concertazione fra i vari livelli di competenza (ARPA, SPreSAL, ASL, Sindaco, Provincia)

Il seguente caso può rendere meglio l’idea di quali siano le modalità pratiche con cui possono essere esaminate le problematiche in modo sinergico fra i vari Enti. Si tratta di uno stabilimento che si occupa tuttora della produzione di stampi in ghisa di grandi dimensioni per il settore dell’automobile.

Durante il sopralluogo condotto (nell’ambito dell’AIA) dai tecnici della Provincia di Torino è stata rilevata una serie di elementi di non conformità e di criticità, sia in materia di tutela ambientale che di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Rifiuti stoccati in aree non cordolate e non coperte, assenza di precauzioni contro il trascinamento di polveri per effetto del dilavamento dei piazzali, sistemi per il trattamento delle emissioni vetusti con evidente rilascio di polveri in atmosfera, camini non dotati di regolamentare presa di campionamento: sono alcune delle situazioni verificate durante il primo sopralluogo condotto che avrebbero potuto generare rischio per l’ambiente esterno.

Ciò che ha destato maggior preoccupazione sono state inoltre le criticità rilevate nell’ambiente di lavoro, che rappresentavano un rischio tangibile ed immediato per la salute e la sicurezza degli operatori che vi lavoravano: assenza totale di sistemi di aspirazione dove veniva effettuata la colata assenza di aspirazioni sulle siviere dove veniva effettuato il trattamento di sferoidizzazione, fumi di combustione del polistirolo che si accumulavano nel capannone, operai addetti alla costipazione manuale (o meglio coi piedi) della miscela sabbia - resina (contenente formaldeide) senza l’uso di cappe aspiranti e di idonee maschere, ecc...

Si trattava di situazioni consolidatesi nel tempo: in questo tipo di fabbriche prevale ancora quel modo di lavorare che si potrebbe quasi definire “alchimia su scala industriale”: i procedimenti produttivi (ma anche la “sensibilità” nei confronti di ambiente e sicurezza) sono regolati sull’esperienza di chi da anni li governa, accettando il rischio. Perché d’altronde è una fonderia e in fondo così “si è sempre fatto” e “non ci ha mai detto niente nessuno”.

È stato quindi convocato un incontro nel quale sono stati coinvolti tutti gli Enti competenti (SPreSAL, Ufficio Ambiente del Comune ed ARPA) da cui è scaturita una strategia di intervento comune che prevedeva, come primo step, l’impegno dello SPreSAL nell’impartire prescrizioni e relative tempistiche di attuazione (nonché sanzioni) in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Come secondo step si è previsto l’inserimento di talune delle prescrizioni dello SPreSAL all’interno dell’atto di AIA nella quale sarebbero stati inseriti ulteriori termini di adeguamento (per quanto attiene alla parte di protezione ambientale).

Ora il gestore dell’impresa ha provveduto ad effettuare gli interventi richiesti. La Provincia di Torino ha rilasciato l’AIA con un cronoprogramma di adeguamenti che comporteranno un investimento di circa due milioni di euro. Il Comune ha concesso la possibilità di costruire un nuovo capannone dove spostare le motte in fase di raffreddamento (per consentire l’effettuazione della colata in un’area più ristretta, confinata ed aspirata).

Se l’effetto a lungo termine sarà quello di avere un malato in meno o un ambiente più pulito non lo potremo forse mai sapere, ma l’impegno su entrambi i fronti è quello che ha caratterizzato tutte le fasi della nostra azione. E che caratterizzerà nei prossimi anni il controllo del rispetto delle prescrizioni imposte con l’atto di AIA.

APPROFONDIMENTO

Nell’ultimo decennio la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi dall’inquinamento di origine industriale ha incontrato un radicale mutamento nel meccanismo di azione da parte delle Pubbliche Amministrazioni.

Potendo individuare nella Legge n. 319 del 1976 (cd. Legge Merli) l’origine della struttura legislativa italiana in campo ambientale, per tutto il ventennio successivo la regolamentazione degli effetti dell’attività industriale sui diversi comparti ambientali è stata improntata sulla base del principio del ‘command and control’. In questo termine inglese sono conglobate le due diverse fasi che caratterizzano il modus operandi dell’Ente Pubblico nei confronti dell’Impresa, ovvero la fase autorizzativa e la fase del controllo.

La fase autorizzativa consiste nella disamina preventiva, a livello progettuale, delle caratteristiche dei processi, degli impianti e dei relativi scarichi sull’ambiente, e si conclude con il rilascio di un’autorizzazione che fissa i limiti di accettabilità dei diversi inquinanti scaricati nelle matrici ambientali e le condizioni operative e gestionali che devono essere osservate al fine di garantire il corretto funzionamento dei sistemi di abbattimento delle emissioni.

La fase del controllo, espletata principalmente dalle Agenzie Regionali di Protezione Ambientale (A.R.P.A.), consiste nella verifica in situ dello stato degli impianti, della rispondenza degli stessi al progetto esaminato dall’Ente Pubblico e nella verifica del rispetto delle condizioni autorizzative, ivi compresi i limiti alle emissioni definiti nel provvedimento. A fronte del riscontro di anomalie rispetto al disposto autorizzativo, la norma prevede meccanismi sanzionatori di carattere amministrativo o penale a seconda della gravità delle difformità riscontrate.

Con il recepimento nella Legislazione Ambientale italiana (D.Lgs. 59/05) della Direttiva 96/61/EC (Integrated Pollution Prevention and Control - IPPC), che disciplina "la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento" si è assistito al nascere di un nuovo approccio al controllo e alla prevenzione dell’inquinamento generato dai grandi impianti industriali. Infatti, la Direttiva si pone come obiettivo "l’adozione di misure intese ad evitare oppure, qualora non sia possibile, ridurre le emissioni nell’aria, nell’acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti e conseguire un elevato livello di protezione nell’ambiente nel suo complesso".

Per approccio integrato s’intende un metodo di prevenzione dell’inquinamento e degli impatti ambientali che consenta di evitare il trasferimento di questi da un elemento naturale all’altro; si abbandona così una visione settoriale dei provvedimenti autorizzativi che operavano per singola matrice ambientale. La Direttiva 96/61/CE è uno strumento fondamentale per promuovere nell’Unione Europea modelli di produzione sostenibili: lo strumento in possesso degli Enti Pubblici italiani per perseguire tali obiettivi è l’Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.), la cui competenza è ex lege in capo alle Regioni; su gran parte del territorio nazionale le Regioni hanno poi individuato quali Autorità competenti in materia di A.I.A. le Province, sulla base del cd. Principio di Sussidiarietà.

L’A.I.A. pone l’accento su 2 diversi aspetti: l’utilizzo delle migliori tecniche disponibili (ovvero le Best Available Techniques, nell’acronimo inglese: B.A.T.) e la compatibilità ambientale del processo. È necessario quindi studiare sia i processi nelle loro singole fasi, per comprendere quali possano essere le B.A.T. applicabili, che studiare l’impatto ambientale dello stabilimento nel suo complesso. È da sottolinearsi il fatto che, nonostante l’implementazione delle B.A.T. richieda in alcuni casi importanti investimenti, notevoli sono i benefici ambientali ed economici che conseguono dalla loro applicazione: si riducono i consumi di materie prime, energia e servizi ausiliari, si abbattono i costi legati al trattamento finale degli inquinanti e soprattutto si evita una migrazione di questi ultimi da una matrice ambientale all’altra.

I benefici di tale approccio integrato hanno permesso inoltre di interfacciare l’azione di controllo ambientale con quella di tutela dell’ambiente di lavoro.




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