Medicina Democratica
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IV. Produzione di energia ed impatti ambientali



Pubblicato il 23 ottobre 2005
di: Redazione (Autore/i o Autrice/i in calce all’articolo)




Le note che seguono affrontano le problematiche degli impatti ambientali considerando lo scenario relativo alia produzione di energia elettrica previ-sta dal governo fondato su un crescente, inarrestabile, fabbisogno di energia elettrica da soddisfare mediante la realizzazione di nuove centrali di grandi dimensioni a ciclo combinato a gas naturale e a carbone. Il primo tema riguarda le emissioni dei "gas serra" [1].

PRODUZIONE DI ENERGIA ED EMISSIONI DI GAS AD "EFFETTO SERRA"

Nella Figura 1 che segue si presentano, per i paesi europei, le differenze tra il 1990 e il 2002 dei valori delle emissioni di Anidride carbonica equivalente (CO2) per il comparto di produzione dell’energia. In particolare, nella Figura 2 si mostrano le variazioni percentuali delle emissioni di CO2 nei principali macrosettori energetici italiani nel periodo 1990-2002, mentre nella Tabella 1 si presentano le emissioni dei gas serra (espressi in milioni di tonnellate di CO2 equivalenti/anno) rispettivamente nel 1990 e nel 2000 (si ricorda che l’Italia si è impegnata a ridurre del 6,5 % le proprie emissioni rispetto a quelle del 1990) a confronto con l’obiettivo fissato per il 2010 dal Protocollo di Kyoto e con quanto pre-visto per lo stesso anno dalla delibera n. 123 del 19.12.2002 del CIPE. Come si rileva dalla Figura 1 gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra fissati dal Protocollo di Kyoto (rispetto a quelli dell’anno 1990) sono di là da venire, anzi le emissioni sono aumentate rispetto al momento della sottoscrizione del protocollo da parte dell’Italia. Si ricorda che, a differenza dell’Italia, alcuni paesi (Germania, Francia, Gran Bretagna), malauguratamente, fanno ancora ricorso alle centrali nucleari. Si sottolinea che l’energia nucleare non è stata riconosciuta dalla Unione Europea come una tecnologia pulita da contabilizzare in tema di emissioni; ci mancherebbe altro! (Purtroppo, in modo aberrante, secondo il protocollo di Kyoto la produzione dell’energia elettronucleare viene considerata una "forma neutra", questo costituisce per i paesi nucleari un - nefasto - incentivo a mantenere tale produzione, anche da parte di paesi come la Germania che hanno deciso, seppur gradualmente, di abbandonarla). Se venisse riconosciuto strumentalmente all’Italia un premio (una forma di riequilibrio contabile delle emissioni) per il mancato utilizzo di tale tecnologia (per esempio, considerando la media mondiale 2001 del ricorso al nucleare, pari al 17%) il nostro paese -limitatamente alla produzione di energia elettrica - potrebbe contabilizzare una riduzione di emissioni pari a 21 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti l’anno; contabilizzazione che, per fortuna, non è consentita. Come è facilmente comprensibile si tratta di artifizi contabili che sfuocano l’obiettivo e lo spirito originario dell’accordo di Kyoto : ridurre drasticamente le emissioni di gas serra nell’ambiente e, più in generale, aggiungiamo noi, ogni forma di inquinamento e, in primis, quello di origine nucleare. Non va infatti taciuto che nel nostro paese, in molti, troppi, a partire dal capo del governo, stanno tentando di riproporre la costruzione di centrali elettronucleari attraverso una campagna strumentale tendente ad accreditare presso la pubblica opinione che l’energia elettrica in Italia ha un costo superiore del 20 % rispetto ad altri paesi europei ove sono installate centrali nucleari. Fermo che le cittadine e i cittadini italiani hanno sancito, attraverso referendum, la fuoriuscita dell’Italia dal nucleare, va detto a chiare lettere che NON e vero che il kWh nucleare ha costi inferiori, anzi. In proposito, diviene indispensabile promuovere una campagna di controinformazione contro il nucleare e le fandonie dei suoi sacerdoti.

LE DELIBERE CIPE

Va segnalato che la delibera CIPE n.123/2002 modifica in peggio le precedenti delibere dello stesso Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, quel-la del 25.02.1994 e la n. 137 del 19.11.1998 (modificando anche il sistema di programmazione; infatti, la delibera del 1998 fissava degli obiettivi quantitativi di riduzione delle emissioni per i diversi comparti entrando poi nella individuazione delle misure attuative, mentre la delibera del 2002 determina uno scenario di "emissioni autorizzate" sul quale poi vengono presentati gli interventi necessari per far quadrare il valore di queste ultime sul target di riduzione previsto dal Protocollo di Kyoto). In particolare, le ultime due delibere hanno una differente impostazione e differenti obiettivi, dovuti anche alle modifiche degli accordi internazionali sottoscritti a completamento del Protocollo di Kyoto ( e recepiti dall’ltalia con la Legge n. 120/2002), per il raggiungimento dei valori prefissati di riduzione dei gas serra nei paesi industrializzati. In particolare, sono stati previsti:
-  progetti e azioni di Joint Implementation (accordi tra singoli paesi per progetti specifici);
-  progetti e azioni di Clean Development Mechanism (finanziamenti a paesi terzi per progetti di riduzione dei "gas serra");
-  meccanismi di mercato delle Emission Trading (attraverso una vera e propria borsa delle emissioni, "del-l’aria calda"), ove le imprese più "virtuose" che hanno attuato interventi di riduzione dei gas in "eccesso" rispetto agli obiettivi prefissati, mettono sul "mercato" tale riduzione quantitativa affinché essa possa venire acquistata alla "Borsa" delle emissioni inquinanti dalle imprese che non intendono investire nel risanamento dei propri impianti [2]. In altri termini, la scelta del Governo italiano è quella di ricorrere ai "meccanismi" sopraddetti per almeno il 50% dell’obiettivo prefissato di riduzione (66,3 Mt CO2 sul totale di 132,7 Mt di CO2). E’ una scelta governativa certamente coerente con lo stesso titolo della delibera ("Piano nazionale per la riduzione dei livelli di emissione dei gas serra e 1’aumento del loro assorbimento, al fine di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni al minor costo"), ove il "minor costo" assume priorità a scapito della salubrità ambientale nel nostro paese. Si tratta di una scelta che sconta il fallimento (l’abbandono) delle politiche di riduzione delle emissioni definite nella precedente delibera, che cerca di indorare la pillola di un programma che invece di ridurre le emissioni in realtà le aumenta; il CIPE mostra la differenza tra uno scenario tendenziale (senza alcuna politica di riduzione, nonostante gli impegni internazionali sottoscritti) e quello di riferimento, cercando così di contrabbandare un inesistente programma virtuoso. Ricordiamo che il contributo del settore energetico italiano alle emissioni europee dei gas con effetto serra è stato, fra il 1990 e il 2000, del 13,5% (sti-ma 2001) rispetto al 12,7 % del 1990. L’ltalia è al terzo posto fra gli inqui-natori, dopo la Germania e la Gran Bretagna. Assieme a Spagna, Francia e Grecia, l’ltalia presenta i maggiori aumenti delle emissioni dei gas serra in termini assoluti. Ciò fa conclude-re che "La Spagna e l’ltalia, che nel complesso contribuiscono per quasi il 24 % al totale europeo, sono i Paesi più critici per il raggiungimento degli obiettivi europei. In questi due Paesi e più urgente attuare politiche capaci di diminuire la crescita delle emissioni dal settore energetico" (Enea, Rapporto Energia Ambiente 2004, p. 241). La necessità di una inversione di tendenza nel settore della produzione energetica - e nel settore dei trasporti - è ancora più evidente valutando gli aumenti delle emissioni di CO2 dei principali settori energetici avvenuti e programmati dal 1990 (v. Tabella 2). La riduzione delle emissioni dal settore energetico come può essere raggiunta a fronte dell’incremento massiccio del ricorso a centrali termoelettriche (a gas naturale, ma anche a carbone) ? Ferma la necessità di valutare le situazioni caso per caso, anche in relazione alle caratteristiche ambientali e territoriali, la riduzione delle emissioni puo essere ottenuta attraverso molteplici interventi: l’innovazione tecno-logica, l’aumento dei rendimenti di conversione combustibile combusto/ energia elettrica prodotta; l’installazione di efficaci sistemi di abbattimento, recupero e riutilizzo della CO2, nonchè con l’abbattimento e la trasformazione chimica degli inquinanti e con l’installazione di bruciatori di nuova generazione a ridotte emissioni. Interventi da realizzare attraverso la riconversione delle centrali esistenti (da olio combustibile, gasolio, altri combustibili fossili, a gas naturale), da realizzare in sostituzione di quelle obsolete e inquinanti da smantellare in sicurezza. Inoltre, non sarà mai sottolineato a sufficienza che una riduzione strategica delle emissioni inquinanti (e dei costi energetici) passa attraverso un programma di rilevante sviluppo di tutte le fonti energetiche rinnovabili e, in primis, di quella solare. Purtroppo, oggi il dibattito su questo tema langue, ma da qui bisogna parti-re per costruire alternative energetiche credibili. Infatti, questi autori, così come Medicina Democratica, chiedono da sempre massicci investimenti nella ricerca e per l’applicazione industria-le delle fonti energetiche rinnovabili, in primis l’energia solare, eolica e geo-termica; nonchè investimenti adeguati per garantire la sicurezza degli invasi idrici esistenti, l’ammodernamento dei relativi impianti idroelettrici finalizzato ad ottimizzare l’uso plurimo delle acque, riducendo gli sprechi, aumentando la resa produttiva dei singoli impianti e quella più generale del comparto idroelettrico, tutto questo nel rigoroso rispetto delle necessità alimentari, della pesca e dell’agricoltura di un dato territorio (uso plurimo corretto delle acque). Il Ministro dell’Ambiente pensa di poter quadrare il cerchio, così come il CIPE, con il Piano per la"riduzione delle emissioni al minor costo" cui si e accennato ove si ipotizzano emissioni di CO2 dalle centrali termoelettriche di 124 milioni di tonnellate/anno, ovvero lo stesso livello del 1990 (cfr. Tabella 1); si tratta di una riduzione pari a 16 milioni di tonnellate/ anno rispetto alla stima del 2000. In altri termini, il governo tace colpevolmente sull’aumento delle emissioni conseguente agli elevati incrementi della produzione di energia elettrica da combustibili fossili e afferma: "Stimando l’entrata in servizio entro il 2006 di circa 14.000 MW da cicli combinati a gas, tra nuovi impianti e trasformazioni (...), il minor contributo alle emissioni rispetto ad impianti a combustibili fossili liquidi e solidi e: => 20 milioni di ton/anno di CO2; => 20.000 ton/anno di NOx; => 46.000 ton/anno di SO2; => 5.500 ton/anno dipolveri totali." [3]. Vediamo se queste stime sono fondate (si ricorda che esse sono riferite a una parte del "pacchetto" nuove centrali nonché ad interventi sulle centrali esistenti). Partendo dalle emissioni di Anidride carbonica (v. Tabella 1 - "usi energetici"), la delibera CIPE si basa su una stima (al 1990) di emissioni pari a 424,9 Mt con uno scenario tendenziale al 2010 [4] di 484,1 Mt, ovvero un’emissione maggiore di ben 86,8 Mt rispetto all’obiettivo del protocollo di Kyoto. Analogamente, lo scenario di riferimento [5] per il settore energetico al 2008-2012, prevede emissioni pari a 444,5 Mt di CO2, e cioè una quantità maggiore di 47,2 Mt di CO2 rispetto all’obiettivo del protocollo di Kyoto. La delibera del CIPE n. 123/2002 per il settore energetico, indica - per lo scenario di riferimento - misure dirette per i diversi usi energetici tese a ridurre tra i 32,5 e i 47,8 Mt di CO2 all’anno entro il 2012, anno di riferimento del protocollo di Kyoto. La Tabella 2 mostra le differenze fra gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 rispettivamente previsti dalla delibera CIPE n°137/1998 e n°123/2002. Come si può rilevare da questa tabella la riduzione delle emissioni di CO2 prevista nella delibera del 1998 era di circa il doppio rispetto a quanto previsto dallo stesso CIPE nel 2002. Nel mentre, non va taciuto che le emissioni globali di CO2 in Italia sono aumentate. Alla faccia del protocollo di Kyoto. Limitandoci ancora alle emissioni di Anidride carbonica, le stime più recenti (ENEA, Rapporto Energia e Ambiente, 2004) evidenziano una revisione in peggio (a meno di due anni dalla delibera CIPE n. 123/2002) delle previsioni per il comparto energetico :

-  una revisione al rialzo dei consumi di energia elettrica rispetto a quanto era previsto nella suddetta delibera CIPE del 2002, con un incremento del trend del 3% annuo anziche il 2% [6];

-  una revisione al ribasso dei valori di riferimento (di partenza) al 1990, per effetto di un "ricalcolo" delle emissioni dei gas serra;
-  un "aumento della domanda (a cui) dovrà corrispondere necessariamen-te un aumento della produzione di energia elettrica" (cfr. Enea, Rapporto Energia e Ambiente 2004, p. 249);

-  un incremento delle emissioni del comparto energetico (al netto della voce "altro", riportata come valore aggregato "Raffinazione e altro" nella Tabella 1.) rispetto a quanto era stato previsto sia nello scenario tendenziale (506,8 Mt di CO2 contro 476,1 Mt CO2) che in quello di riferimento (469,2 Mt di CO2 contro 436,3 Mt di CO2), elevando cosi il valore da col-mare per ridurre le emissioni secondo il Protocollo di Kyoto (per lo scenario tendenziale si passa da 86,8 Mt a 130,3 Mt di CO2, mentre per lo scenario di riferimento, da 47,2 a 92,7 Mt CO2) questo, ovviamente, richiede ulteriori interventi per la riduzione dei gas serra. Infatti, le misure di riduzione già ipotizzate per il comparto energetico colmerebbero solo parzial-mente tale incremento delle emissioni (tra 22,5 e 38,1 Mt); purtroppo, "l’au-mento del gap potra essere colmato prevalentemente mediante il ricorso ai meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto" [7].

L’adesione dell’ENEA ad una tale prospettiva è sconcertante, essa si basa sul ricorso ad aberranti meccanismi da utilizzarsi per i "Paesi in via di sviluppo" come una presunta e pelosa "occasione di rilancio dell’industria italiana"; questo non può nasconde-re che " non sono affrontate le cause dell’alto livello di emissioni nazionali di CO2, in particolare nel settore tra-sporti e in quello della produzione elettrica. In quest’ultimo comparto non si va molto oltre la previsione di cicli combinati a gas, un moderato sviluppo delle fonti rinnovabili ed una riproposizione del carbone tecno-logicamente non ben definita ai fini di una sufficiente accettabilità ambientale. Anche l’impegno per politiche di risparmio di energia risulta limitato e tutto affidato al meccanismo dei certificati di efficienza energetica, che per il momento risultano in ritardo", con il risultato complessivo che "il settore degli usi energetici e, nello specifico, la produzione elettrica, presentano emissioni di CO 2 al 2010-2012 poco promettenti, in relazione ai contributi che dovrebbero fornire per il raggiungimento dell’obiettivo complessivo nazionale di abbattimento delle emissioni di CO2 ".(Enea, Rapporto Energia e Ambiente 2004, pp. 251-252). La Tabella 3 illustra le emissioni di CO2 derivanti rispettivamente dagli usi energetici e dal settore termoelettrico; le stime e le revisioni riferite al livello delle emissioni del 1990 e all’obiettivo al 2010 risultante dall’applicazione del Protocollo di Kyoto; nonché le previsioni della delibera CIPE 123/2002 e la revisione delle stesse con le relative differenze (gap) rispetto agli obiettivi di Kyoto. Lo scenario prossimo a quello peggiore (quello di riferimento è simile a quello tendenziale al 2010, senza importanti interventi normativi/tecnologici), come previsione (non certo ineluttabile) delle scelte governative trova conferma nelle indicazioni del "Piano Nazionale di allocazione dei crediti di emissione". Si tratta di un programma derivante dalla direttiva UE 87/2003 che introduce in alcuni settori industriali [8], tramite piani nazionali, un meccanismo di assegnazione di permessi di emissione per il singolo impianto. Inizialmente vengono assegnati delle quantità annue di emissioni consentite (sulla base di valutazioni e calcoli basati sui fattori di emissione del singolo settore, del livello tecnologico attuale e "dei progressi gia realizzati o da realizzare per rispettare i contributi degli Stati membri agli impegni assunti dalla Comunità ai sensi della decisione 93/389/Cee") da cui, per gli anni successivi, e possibile determinare gli scostamenti (incrementi e riduzioni) e le relative possibilità di vendita delle quote delle emissioni (sempre che le riduzioni siano maggiori di quelle dovute) o l’obbligo di acquistarne quote (se non si è voluto investire sul proprio impianto per ridurre le emissioni). Questo Piano nazionale (respinto dalla Commissione UE, ora in fase di rielaborazione) ha posto come obiettivo per il settore della produzione di energia elettrica (quindi assegnando quote corrispondenti per i singoli impianti) una emissione di 150,1 Mt di CO2 al 2010, a fronte di una emissione, secondo il Protocollo di Kyoto, per gli impianti termoelettrici italiani, di 116,8 Mt di CO2 e in presenza attualmente (2002) di un valore di emissione pari a 135,1 Mt di CO2 (cfr. Tabella 1). La differenza tra la previsione al 2010 del Piano nazionale e l’obiettivo risultante dal Protocollo di Kyoto nel settore di produzione di energia termoelettrica (come pure per gli altri settori interessati dalla direttiva sulla assegnazione delle quote di emissione) costituirà il debito da colmare con l’utilizzo dei diversi meccanismi flessibili e di mercato fuori dall’Italia, al di la degli scambi tra impianti nazionali. Questo scenario comporta un inevitabile incremento delle emissioni di gas ad effetto serra sia rispetto all’obiettivo di riduzione sottoscritto dall’Italia che in termini assoluti rispetto alla situazione attuale. Limitandoci sempre al settore della produzione di energia elettrica, anche ove venisse rispettato contabilmente l’obiettivo di Kyoto mediante gli anzi-detti aberranti meccanismi flessibili (leggi vendita e acquisto di quote alla "Borsa dell’inquinamento"), questo porterà in Italia a un incremento delle emissioni di gas serra e di altri conta-minanti (questi ultimi, senza una proporzionalità diretta), in particolare dei composti tossici che si liberano dai processi di combustione dei combustibili fossili (compresi quelli derivanti dall’incenerimento dei rifiuti e delle biomasse, anche se la CO2 emessa da queste ultime fonti non viene artificiosamente conteggiata, un tema sul quale ritorneremo sulla Rivista). Si tratta di un incremento dell’inquinamento non facilmente valutabile in quanto le variabili sono molte e dipendono, in particolare, dal rapporto tra le diverse fonti primarie utilizzate (gas, prodotti petroliferi, carbone, etc) nella produzione di energia termoelettrica nonché dalle tecnologie applicate (tipi di impianti, rendimenti di trasformazione, sistemi di abbatti-mento delle emissioni etc.); inoltre, dallo sviluppo tangibile delle fonti rinnovabili, e per limitarci all’impatto sull’atmosfera e sulla qualità dell’aria, dalle restrizioni normative stabilite per i singoli inquinanti. Vediamo nel dettaglio questi ultimi aspetti.

LA PRODUZIONE ITALIANA DI ENERGIA ELETTRICA E LE RELATIVE EMISSIONI DI INQUINANTI

La produzione di energia elettrica (in particolare da combustibili fossili) determina l’emissione di Anidride carbonica e altri inquinanti con analoghe caratteristiche, contaminanti "globali" ad effetto serra correlato, nonché inquinanti con impatti ambientali locali e/o transfrontalieri [9]. Per questo motivo sono diverse le direttive europee finalizzate al controllo delle emissioni dagli impianti industriali alle centrali termoelettriche, e per la riduzione delle emissioni complessive nei singoli stati europei [10]. Nella Tabella 4 che segue si presentano le stime dei valori delle emissione per gli anni 1980, 1990 e 2002 nonché gli obiettivi fissati dalla direttiva comunitaria 2001/81 entro il 2010, ove si evidenzia l’apporto delle emissioni inquinanti nell’atmosfera derivanti dalla produzione di energia. Sulla base degli scenari utilizzati per la formulazione del "Programma nazionale per la progressiva riduzione delle emissioni annue di biossido di zolfo, ossidi di azoto, composti organici volatili ed ammoniaca" (2003), è stata stimata l’emissione di ognuno di questi inquinanti con le proiezioni al 2010, per ogni settore in relazione alia strategia di controllo (normativa e tecnologica) [11]. In sintesi, si prevedono per il 2010, i seguenti risultati (cfr. Tabella 4): Biossido di zolfo: rispetto dell’obietti-vo della direttiva 81/2001, derivante dalla riduzione del contenuto di Zolfo nei combustibili e dal loro minor uso nelle centrali termoelettriche e, di converso, un maggiore consumo di gas naturale; Ossidi di azoto: una riduzione delle emissioni insufficiente per il rispetto della direttiva 81/2001 (si prevede di raggiungere tale obiettivo nel 2015) a causa, principalmente, dell’elevato apporto (circa il 50 % del totale delle emissioni) del settore trasporti. Nel campo della produzione dell’energia elettrica gli effetti combinati delle normative più restrittive e della estensione dell’utilizzo di gas naturale (anche con cicli combinati a maggiore rendimento) sono alla base della riduzione delle emissioni realizzate negli ultimi anni (condizione che peggiorerà a fronte della prevista costruzione di un gran numero di centrali termoelettriche ancorché alimentate a gas naturale). Composti organici volatili (non metanici): il rispetto della direttiva 81/2001 deriva principalmente dalle nuove normative per il settore dei trasporti e per l’uso dei solventi; Ammoniaca : non si prevede di garantire il rispetto della suddetta direttiva; si ricorda che questa emissione viene attribuita soprattutto alle attività agricole (allevamento e utilizzo di fertilizzanti chimici). Peraltro una riduzione del 50% dell’uso dell’Urea e di altri fertilizzanti azotati (a favore di pratiche agronomiche meno intensive) garantirebbe il raggiungimento del-l’obiettivo. Inoltre, appare sottostimato il contributo delle emissioni fuggitive di Ammoniaca e/o suoi composti derivante dalle attività energetiche; infatti, tale contributo è rilevante e deriva dal forte incremento registrato negli ultimi anni nell’utilizzo di Urea/Ammoniaca nei sistemi "DeNox" per l’abbattimento non catalitico degli Ossidi di azoto nelle centrali termoelettriche e negli inceneritori per rifiuti. Di seguito si affronta il tema dei contaminanti non oggetto di direttive o di accordi internazionali specificata-mente finalizzati alla riduzione delle emissioni complessive [12], con particolare riferimento alle emissioni, dirette e indirette, derivanti dalla produzione di energia elettrica (tenendo anche conto dell’esperienza maturata da questi autori nella valutazione degli studi di impatto ambientale relativi alle nuove centrali termoelettriche nonché a quelle di grosse dimensioni a ciclo combinato a gas naturale).

LE POLVERI EMESSE DALLE CENTRALI TERMOELETTRICHE E DA ALTRE FONTI

Uno dei più insidiosi contaminanti emessi è rappresentato dalle "polveri" (Particolato Totale Sospeso, PM10, PM2.5 o di dimensioni inferiori) che causano elevati impatti sanitari. In riferimento alia produzione di energia elettrica, recentemente si e discusso ampiamente di un tema poco considerato, quello delle emissioni delle polveri indirette o secondarie; infatti, la normativa definisce i limiti delle emissioni al camino (la concentrazione degli inquinanti originati dalla combustione di una fonte fossile), mentre non vengono considerati o lo sono in modo inidoneo, la formazione delle particelle (polveri) secondarie derivanti da altri inquinanti emessi, cosi come gli effetti di risospensione delle polveri fini connessi con le caratteristiche orografiche e meteo-climatiche di un dato territorio ove e ubicato l’impianto. In termini di emissioni primarie delle polveri (PM10), le stime finora svol-te (e quelle in fase di elaborazione per determinarne l’evoluzione futura) [13] evidenziano il ruolo principale derivante dai trasporti (28,7%), seguito dalle attività industriali (25,3%) e da quelle domestiche (riscaldamento; 15,4%), mentre il settore elettrico sarebbe ritenuto responsabile "solo" di un contributo del 4% (cfr. Tabella 5). Le emissioni primarie, come anzi-detto sono misurate nel punto di emissione (camino o tubo di scappamento che sia), e i valori delle concentrazioni delle polveri nell’aria così come le relative distribuzioni dimensionali delle loro particelle non tengono conto della formazione delle polveri fini secondarie. La composizione chimica del particolato varia molto a seconda della sorgente di produzione. In generale si può dire che esso contiene una parte organica (per esempio idrocarburi di varia origine) ed una parte inorganica (per esempio nitrati e solfati di metalli leggeri e pesanti). Al riguardo, si sottolinea che la combustione del gas naturale comporta - seppur in quantità minori rispetto a quel-la del carbone e dell’olio combustibile - l’emissione in atmosfera di metalli pesanti (principalmente Zinco, Bario, Vanadio, Nichel, Cadmio, Piombo, Mercurio). (Cfr. note [14] e [15]). A seconda della sua origine il particolato si puo suddividere in tre categorie: a) particolato primario filtrabile, che viene emesso in fase solida diretta-mente dalla sorgente;

b) particolato primario condensabile, che viene emesso in fase gassosa ad alta temperatura che condensa a seguito del raffredamento entro pochi secondi dall’emissione dalla sorgente [16];

c) particolato secondario, che si forma in atmosfera attraverso reazioni e processi complessi, principalmente di natura fotochimica, a partire dalle emissioni gassose di Biossido di zolfo (SO2), Ossidi di azoto (NOX). Ammoniaca (NH3), composti organici [17].

Dal punto di vista chimico, i principali componenti del particolato sono nitrati, solfati e Cloruri di ammonio e sodio, Carbonio organico, polveri minerali e biogeniche di varia composizione, acqua. Nell’atmosfera il particolato viene rimosso per sedimentazione o precipitazione. II tempo medio di permanenza in atmosfera varia a seconda delle dimensioni: si va da alcune ore per il particolato ultra grossolano fino a giorni o setti-mane o ancor piu per il particolato fine ed ultrafine. Quest’ultima forma di particolato può essere trasportata per migliaia di chilometri e la sua pre-senza viene rilevata come fondo anche in stazioni di misura collocate in aree remote. Infatti, la natura transfrontaliera dell’inquinamento da polveri fini è ormai nota. Dal punto di vista dimensionale, generalmente la definizione di particolato contempla quattro categorie a seconda dell’intervallo del diametro aerodinamico delle particelle (da), e precisamente: ultrafine (da < 0,1 urn); fine (0,1 (microm < da ^ 2,5 microm); grossolano (2,5 \microm < da <10,0 \microm); ultragrossolano (>10,0 (microm).

L’INQUINAMENTO DA OZONO

L’Ozono troposferico è il più tipico contaminante indiretto, che si forma a seguito di intensa radiazione solare associata all’emissione degli Ossidi di azoto e di composti organici volatili derivanti dai processi di combustione, soprattutto nella produzione di energia termoelettrica. L’inquinamento da Ozono che, nei mesi estivi, rappresenta frequentemente un rischio per la salute, generalmente si manifesta a distanza, anche elevata, rispetto alle fonti che danno luogo alle emissioni dei suoi precursori (es. in Lombardia le zone maggiormente colpite sono le valli alpine anziché le zone industria-li e urbanizzate della pianura); questo contaminante causa anche forti impatti negativi sulle produzioni agricole e forestali. Purtroppo, in molti studi relativi all’impatto ambientale di centrali termoelettriche questa problematica non viene considerata (con la motivazione strumentale che non si tratta di un inquinante primario emesso dal camino) o messa cinicamente a margine: l’impatto maggiore non colpisce chi risiede nelle vicinanze della fonte di emissione dei precursori dell’Ozono, ma popolazioni ignare che risiedono in zone remote. Secondo gli scenari ipotizzati per i quattro gruppi di inquinanti (cfr. Tabella 4.) considerati nella direttiva europea 2001/81, va detto che i dati di letteratura non sempre sono coerenti. Sul punto, si segnala che gli scenari proposti derivano dal lavoro di diversi centri studi europei che si cimentano in questa difficile arte. Si ricorda che tra i centri che effettuano in modo costante un monitoraggio delle emissioni nei diversi settori e delle scelte dei singoli stati europei, vi é l’lnternational Institute for Applied System Analysis (IIASA, http://www.iiasa.ac.at ), che utilizza come input i dati elaborati dai sistemi del censimento ufficiale delle emissioni europee (Registro Europeo delle Emissioni Inquinanti, EPER, www. eper.cec.eu.int nell’ambito del pro-getto COoRdination Information AIR, entrambi della Angenzia Europea del-l’Ambiente). Il Programma nazionale per la progressiva riduzione delle emissioni nazionali annue di Biossido di zolfo, Ossidi di azoto, composti organici volatili ed Ammoniaca è stato elaborato sulla base del modello Regional Air Pollution Information and Simulation (RAINS) da parte del Centro studi IIASA e ufficialmente utilizzato dalla Commissione dell’Unione Europea per elaborare scenari relativi alle emissioni, determinando i diversi livelli di adozione delle molteplici tecnologie e i relativi costi. Il modello RAINS considera anche l’impatto ambientale delle polveri (distinte in particolato totale, PM10 e PM 2,5) che, peraltro, non rientra nel programma nazionale di riduzione delle emissioni, con tutto quello che ne consegue in termini di gravi danni per la salute pubblica. Per questo, una prima valutazione può essere fatta confrontando i diversi scenari energetici utilizzati per il programma nazionale con le sue proiezioni al 2010 e al 2020, con le politiche di controllo delle emissioni, nonché lo scenario individuato dal Centro studi IIASA attraverso una strategia finalizzata alla massima riduzione delle emissioni adottando le tecnologie appropriate (v. Tabella 6).

FONTI DI PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA

Di seguito si focalizzano le implicazioni dei diversi scenari in relazione all’impiego delle diverse fonti primarie per la produzione di energia ter-moelettrica. Nella Tabella 7 si presentano le fonti primarie rinnovabili (solare, idroelet-trico, geotermoelettrico ed eolico) e quelle non rinnovabili (carbone, bio-masse e rifiuti, gas naturale, olii com-bustibili e altri prodotti petroliferi, orimulsion), evidenziando per queste ultime il loro elevato impatto in termini di inquinamento atmosferico, nonche la loro resa come conversione in energia elettrica (cfr. colonna 6 del-la Tabella 7.).

PROIEZIONI AL 2020 DEGLI SCENA-RI RELATIVI ALLE RIDUZIONI DEI GAS SERRA, RISPETTANDO LA LEGISLAZIONE VIGENTE NEL 2004 E ADOTTANDO LA TECNOLOGIA DISPONIBILE ALLA STESSA DATA Sulla base delle fonti primarie impiegate nel tempo per produrre energia elettrica secondo le diverse previsioni del modello RAINS, nella Tabella 8 si presentano, al 2020, gli scenari ipotizzati delle riduzioni delle emissioni di gas serra secondo la legislazione vigente nel 2004 e l’adozione delle tecnologie disponibili nello stesso anno. In sintesi, lo scenario della massima riduzione tecnicamente ottenibile include delle opzioni finalizzate principalmente (in tutti i settori) alla riduzione dei consumi energetici e, in seconda battuta, ad una revisione delle fonti primarie utilizzate nella produzione di energia elettrica, sostituendo quelle a maggiore impatto (carbone, prodotti petroliferi) con il gas naturale, nonché aumentando i rendimenti degli impianti di produzione di energia termoelettrica (quest’ultimo obiettivo è presente in entrambi gli scenari considerati nella Tabella 8). Va sottolineato che anche l’anzidetto scenario alternativo non prevede alcun incremento dell’impiego delle fonti rinnovabili anzi ne prevede la sua riduzione (cfr. Tabella 8). Per quanto concerne le fonti rinnovabili, la pubblicistica governativa ipotizza in modo strumentale un loro maggiore ricorso; quello che essa non dice è che tale maggiore ricorso sarebbe determinato dall’aumento dell’impiego di biomasse e rifiuti nella produzione di energia termoelettrica, con i relativi nefasti impatti ambientale e sanitario.

L’IMPIEGO ATTUALE E FUTURO (STIME AL 2010 E AL 2020) DEL GAS NATURALE (METANO) PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA

Nella Tabella 9 si illustra l’andamento della produzione di energia elettrica e termica attraverso l’utilizzo del gas come combustibile. la Tabella 9 evidenzia un altro fatto, la differenza tra la tendenza in atto (scenario riferito alla legislazione vigente nel 2004) e quello relativo al massimo impiego della tecnologia disponi-bile sempre nel 2004, in particolare: a) un maggiore ricorso agli impianti di cogenerazione (produzione combinata di energia elettrica e termica) con una effettiva utilizzabilità dell’energia termica, contrariamente a quanto avviene attualmente per molti progetti relativi a queste centrali termolettriche, dove per le elevate capacita produttive la quasi totalità dell’energia termica derivante dalla produzione di elettricità va dispersa, dato che trasportare calore oltre una certa distanza (10-20 km) diventa non praticabile. Inoltre, un impianto di cogenerazione di elevate capacità produttive, stante gli attuali assetti urbani, industriali, agricoli e del territorio, difficilmente riesce a collocare quote significative della sua produzione di energia termica nel territorio ove esso e ubicato. Infatti, al di là della nota eccezione della città di Brescia, tali progetti di cogenerazione non contemplano mai progetti credibili per la realizzazione di reti di teleriscaldamento con usi finali diversificati (domestici, industriali, agricoli, commerciali). Come è noto, per realizzare tutto questo sono necessari ingenti investimenti che sia il proponente che gli enti locali non sono in grado o non vogliono mettere in campo;

b) l’utilizzo di gas naturale per la produzione di energia (elettrica e termica) secondo lo scenario alternati-vo (ovvero l’impiego della tecnologia disponibile nel 2004) arriva dopo 10 anni al medesimo livello di emissioni dei "gas serra" rispetto a quello riferito allo scenario, "a legislazione vigente" (2004). Questa apparente contraddizione è spiegabile con il fatto che nel primo caso il gas naturale è quasi completamente impiegato come sostituto di altre fonti fossili (olio combustibile e carbone) di maggiore impatto ambientale, mentre nel secondo caso (come risulta dalla pioggia di centrali previste e indicate in un’altra parte di questo dossier) è quasi esclusivamente aggiuntivo all’utilizzo delle altre fonti fossili. Sempre in questo scenario che rappresenta l’indirizzo attuale, una parziale sostituzione dell’impiego dei combustibili derivanti dal petrolio attuata attraverso (un ritorno) l’impiego del carbone nella produzione di energia elettrica. Fatte queste precisazioni sulla composizione e sulla quantificazione degli impieghi dei diversi combustibili secondo gli scenari energetici descritti, nelle Tabelle 10 e 11 si presentano rispettivamente le principali emissioni relative agli anni 2002, 2010 e 2020 per i due scenari anzidetti ovvero le emissioni da tutti i settori di attività economica e da quello della produzione di energia elettrica da fonti non rinnovabili. Per i contaminanti considerati e limitandoci alle emissioni dirette (al camino), lo scenario vigente (cfr. Tabella 10) dovrebbe rispettare gli obiettivi fissati dall’Unione Europea; si precisa che questo scenario e fondato principalmente su interventi di carattere "end of pipe" ovvero sulla cattura degli inquinanti prima della loro emissione e, solo in parte, [18] su iniziative preventive (ad esempio la riduzione dello Zolfo nei combustibili). Viceversa lo scenario che prevede il massimo utilizzo delle tecnologie disponibili, con l’obiettivo della massima riduzione delle emissioni dei gas serra, dovrebbe comportare lo spostamento degli interventi a livello preventivo sulle emissioni e solo a completamento il ricorso alla tecnologia per l’abbattimento degli inquinanti. Al riguardo, va segnalato che la maggiore quota di emissioni di Ammoniaca è correlabile con la maggiore adozione dei sistemi di abbattimento degli Ossidi di azoto dai grandi impianti termoelettrici; questo incremento "viene compensato" dalla riduzione delle polveri pericolose (PM10 e PM2.5) rispetto al precedente scenario ipotizzato, sempre che si rispetti la legislazione vigente (2004).

ALCUNI ASPETTI RELATIVI ALL’IMPATTO AMBIENTALE DELLE NUOVE CENTRALI A CICLO COMBINATO A GAS NATURALE E A CARBONE

Gli impatti ambientali derivanti dalle diverse scelte politiche e tecnologiche per la produzione di energia elettri-ca sono sinteticamente illustrate di seguito. L’utilizzo del gas naturale nelle centrali a ciclo combinato rappresenta una scelta a minore impatto ambientale per le caratteristiche del gas naturale (bassa presenza di Zolfo e di particolato) e per i maggiori rendimenti realizzabili con tali centrali rispetto a quelle tradizionali: la produzione di un kWh elettrico con gas naturale in una nuova centrale a ciclo combinato comporta una emissione inferiore rispetto alla stessa energia prodotta da una vecchia centrale a olio combustibile o a carbone. Questo fatto non contestabile non può essere usato strumentalmente per giustificare l’accettazione di una "pioggia" di nuove centrali di dimensioni elevate (400 MWe e multipli). A tacere del fatto che per questi impianti mancano studi corretti di impatto ambientale. Inoltre, la dimensione e il surplus produttivo delle centrali costituisce certamente un fattore di grave alterazione del mercato che distorce e vanifica una corretta politica dei consumi energetici; come è noto i fautori di tale mercato drogato dell’energia hanno interesse al continuo aumento dei consumi e questo, ovviamente, impedisce di realizzare una rigorosa politica incentrata sulla riduzione e il risparmio energetico. Il caso della Francia caratterizzato dal surplus produttivo derivante dalla scelta nucleare e dagli usi impropri dell’energia elettrica (es. utilizzata ampiamente per il riscaldamento degli ambienti) sta lì a mostrarci le conseguenze [19]. Nella Tabella 12 si richiama sintetica-mente quanto proposto attraverso la pubblicistica governativa e i relativi riflessi in termini di impatto ambientale. Va sottolineato che la discussione sulla entità e le caratteristiche delle emissioni (dirette e indirette) non è accademica, essa emerge, oltre che dall’entità degli impatti ambientali e sanitari relativi a un singolo progetto, anche dalla preoccupazione manifestata dal Ministro delle Attività Produttive. Il Ministro Marzano, con una nota del 18 novembre 2003 inviata ai Ministri dell’Istruzione, dell’Ambiente e della Salute, accusa chi denuncia la sotto-valutazione degli impatti ambientali di queste centrali, come degli untori che diffondono un allarme ingiustificato che "rischia di determinare ulteriori difficoltà nell’attuazione della legge n. 55/02 (la cosiddetta "sblocca-centrali", ndr) e nella realizzazione di nuovi impianti, in quanto sta determinando mobilitazioni a livello locale che rallenteranno e condizioneranno inevitabilmente le determinazioni delle Amministrazioni territoriali; inoltre, la presunta ’carenza’ delle valutazioni di impatto ambientale sul tema delle polveri sottili (non solo su questo ! ndr) può costituire possibile motivo di ricorso anche nei confronti delle autorizzazioni già rilasciate". Questa nota si conclude invitando gli altri ministri a prendere posizione "con azioni di informazione sul piano scientifico che servano a fare chiarezza sulla reale portata del fenomeno e sulle tecnologie per contrastarlo (affinché) possa servire a prevenire un clima di agitazione diffusa". Paradossalmente tali accuse andrebbero rivolte anche a organismi come l’ANPA (ora APAT) che, ben prima dei contestati articoli dei ricercatori Armaroli e Po, pubblicati su La Chimica e l’lndustria, evidenziava quanto riportato nella Tabella 13.

L’IMPATTO AMBIENTALE DELLE CENTRALI TERMOELETTRICHE A CARBONE

Come è ben focalizzato dai fattori di emissione degli inquinanti riportati nella Tabella 13 non vanno assoluta-mente sottovalutati gli impatti ambientale e sanitario insiti nella produzione di energia elettrica da impianti a gas naturale a ciclo combinato. Non va poi taciuto che l’attuale politica governativa, generalmente, auto-rizza la costruzione di centrali termoelettriche a gas naturale non in sostituzione ma in aggiunta a quelle esistenti ad olio combustibile e a carbone. In altri termini, siamo in presenza di una politica governativa incapace di realizzare la riduzione dei consumi energetici, in primis attraverso l’eliminazione degli sprechi e la valorizzazione dei risparmi energetici. Che dire poi dell’iniziativa dell’ENEL chiamata "carbone pulito’? Essa rappresenta un insulto all’intelligenza collettiva e la lotta della popolazione di Civitavecchia che si batte contro tale trasformazione dell’attuale centrale che funziona a olio combustibile sta lì a ricordarcelo (il progetto prevede il passaggio da una centrale - Torrevaldiga Nord - da 2.640 MWe alimentata ad olio combustibile a una centrale alimentata a carbone da 1.980 MWe, spacciando questa iniziativa come finalizzata a ridurre l’attuale impatto ambientale) [20]. A titolo di esempio, per non appesantire oltre il testo, nella Tabella 14 si presentano i fattori di emissione di centrali termoelettriche, rispettivamente a carbone, a olio combustibile e a gas. Le centrali a carbone sono caratterizzate, oltre che da elevate emissioni dirette all’atmosfera (per limitarci a queste), anche da elevati fabbisogni di materiali e di acqua di raffreddamento come si mostra nella Tabella 15. Inoltre, nella Tabella 16 si riportano le stime relative alla esternalizzazione dei costi derivanti dalle emissioni. In altri termini, l’esternalizzazione altro non rappresenta che lo scarico sulla collettività dei costi socio-sanitari e ambientali. Alla faccia del principio, chi inquina paga! Da ultimo, non si può sottovalutare il fatto che una centrale termoelettrica a carbone emette sostanze pericolose in termini quantitativi più elevati rispetto alle centrali a olio combustibile. Nella Tabella 17 si elencano i principali inquinanti emessi da una centrale termoelettrica a carbone con le relative quantità per kWh prodotto.

GLOSSARIO DEL DOSSIER

I multipli delle unità di misura: k (kilo) = mille (10^3) M (Mega) = milione (10^6) G (Giga) = miliardo (10^9) T (Tera) = mille miliardi (10^12) P (Pera) = milione di miliardi (10^15)

Le principali unità di misura :

-  caloria (cal) : è la quantità di calore necessaria per innalzare di un gra-do centigrado (da 14,5 a 15,5 °C) la temperatura di un grammo di acqua alla pressione atmosferica al livello del mare;

-  1 caloria = 4,187 Joule (J);

-  1 Joule = 0,000278 watt

-  watt (W) = 1 J /s

-  1 kW = 1.000 Watt

-  1 kWh = 1 Kilowattora

-  1 kWh = 3,6 * 106 J

-  MWh = Megawattora = 0,860 Gcal

-  MW = Megawatt = 1.000 kW

-  1 tep (tonnellata di petrolio equiva-lente)=10 Gcal (Gigacalorie)= 41,868 GJ (Gigajoule) = 11.628 kWh = 11,628 Mwh

-  1 GJ = 0,239 Gcal = 0,278 Mwh

-  1 Gcal = 4,187 GJ = 1,163 Mwh

-  1 MWh = 3,600 GJ = 0,860 Gcal

-  1 tec (tonnellata equivalente di car-bone) = 29,307 GJ = 7,000 Gcal = 8,141 Mwh

-  1 migliaio di metri cubi equivalenti di gas naturale = 34,541 GJ = 8,250 Gcal = 9,595 Mwh

-  1 tep = 1,429 tec = 1,212 (migliaia di metri cubi equivalenti di gas)

-  1 tec = 0,700 tep = 0,840 (migliaia di metri cubi equivalenti di gas)

-  1 migliaio di metri cubi equivalenti di gas naturale = 0,825 tep = 1,190 tec

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

Questo dossier offre uno spaccato dei problemi energetici che gravano sul paese in relazione agli impegni assunti dall’Italia in tema di riduzione delle emissioni dei "gas serra" con la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto. Come è stato illustrato su queste pagine, vi sono diversi scenari energetici possibili con le relative emissioni inquinanti nell’ambiente. In particolare, si sono esaminate le caotiche e inaccettabili - per la salute e l’ambiente - scelte governative che fanno strame degli impegni assunti dall’Italia con la firma del Protocollo di Kyoto. Infatti, la politica energetica italiana si caratterizza da molti anni per l’assenza di una rigorosa programmazione che abbia al suo centro:

-  l’eliminazione degli sprechi;

-  la riduzione dei consumi attraverso la promozione di incisive azioni di risparmio energetico in tutti i settori (dall’industria ai trasporti, dal commercio alle molteplici attività del terziario, dall’architettura degli edifici pubblici e privati, alle abitazioni civili);

-  adeguati investimenti a sostegno della ricerca e dei progetti a ciò finalizzati, nonché per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, con specifiche politiche di sostegno per la loro applicazione indu-striale e civile attraverso la realizzazione di impianti dedicati a energia solare, eolica, geotermica, idroelettrica, il tutto nel rigoroso rispetto dell’ambiente, del paesaggio e dei diritti delle popolazioni locali.

Il comportamento dei pubblici poteri non è solo negativo per l’assenza di tale programmazione, ma, se possibile, è aggravato dal fatto che l’attuale politica energetica italiana si caratterizza per il triplice incremento : dei consumi energetici, delle relative emissioni inquinanti e, segnatamente, quelle dei "gas serra", dei costi dell’energia elettrica (e non solo di essa !). In altri termini, tale sciagurata politica energetica è il frutto delle spinte belluine del Mercato alle quali il governo ciecamente si e affidato nella vana speranza di dare soluzione ai problemi e ai bisogni energetici del paese. In questo desolante panorama, il capo del governo e i suoi sodali, come se nulla fosse, cercano di riproporre la scelta elettronucleare, infischiandosene della volontà di milioni di cittadine e cittadini che nel 1987 hanno respinto nettamente tale scelta attraverso un apposito referendum. Anche attraverso queste pagine, pur nella modestia delle nostre forze, lanciamo un allarme affinché la nefasta e, per fortuna, solo ipotizzata scelta elettronucleare venga definitivamente cas-sata dall’agenda dei lavori del paese. Per questo, confidiamo che la nostra preoccupazione venga fatta propria dai Movimenti e dalle Associazioni ambientaliste, dal Movimento pacifista, dai Social Forum e dalle forze culturali, sociali e politiche democratiche e che la stessa si traduca in concrete iniziative di controinformazione e di mobilitazione per sconfiggere tale ipotesi sciagurata che il governo sta perseguendo subdolamente nel silenzio assordante di molti, troppi (il recente acquisto da parte dell’ENEL di una centrale elettronucleare in Slovacchia sta lì a ricordarcelo). A chi si ostina a negare o a ignorare i gravi e planetari fenomeni causati dalle emissioni inquinanti dei "gas serra" (e più in generale di ogni forma di inquinamento ambientale) ricordiamo brevemente alcuni fatti. Le variazioni climatiche non costituiscono un evento come i tanti del degrado, dato che l’atmosfera della Terra sta cambiando e la questione è cruciale perché l’equilibrio climatico è tanto fragile quanto unico. Infatti, sono in discussione, assieme al nostro futuro, le nozioni di progresso e sviluppo. La principale potenza militare ed economica del pianeta, gli USA, guida la schiera (non folta ma potente) dei negazionisti del riscaldamento del Pianeta causato dalle emissioni dei "gas serra"; infatti, l’amministrazione Bush oltre a non aver ratificato il Protocollo di Kyoto ha pure tacitato i suoi scienziati. Per esempio, l’Epa (l’Agenzia di Protezione dell’Ambiente) statunitense ha rimosso la sezione "Variazioni climatiche" dai propri rapporti annuali e discute se valga la pena di occuparsi degli inquinanti ambientali a effetto serra, in assenza della volontà politica a considerare e ad affrontare con rigore la problematica. Eppure, la visione scientifica sul cli-ma non è contraddittoria, i dubbi persistono solo sulle possibili conseguenze del riscaldamento sull’ambiente e sulla società, non sulla sua origine - la combustione dei carburanti fossili - né sulla sua portata. Se le cose appaiono diversamente è perchè alcuni approfittano della complessità del fenomeno per negarlo, denunciando incongruenze nelle previsioni del passato e nei modelli finora elaborati per rappresentare le trasformazioni in atto. Questo, però, è un atteggiamento artificioso : gli effetti delle variazioni climatiche non si manifestano in modo uniforme e continuo. Non va poi taciuto che i meccanismi dell’effetto serra legati ad alcuni gas atmosferici naturali (Anidride carbonica, Metano, Protossido di azoto) si iniziò a comprenderli fin dal XIX secolo. Infatti, Pascal Ascot in Storia del clima [21], riporta le parole del chimico svedese Svante August Arrhenius (1858-1927): "Ho potuto calcolare che se l’Acido carbonico (si legga CO2 , ndr) scomparisse completamente nel-la nostra atmosfera, della quale occupa solo i tre decimillesimi in volume, la temperatura del suolo diminuirebbe di 21 gradi". I primi segnali di allarme rispetto al riscaldamento della Terra risalgono invece a metà del secolo scorso, nel 1957 due ricercatori americani scrissero: "Gli umani stanno portando avanti un esperimento di geofisica su larga scala (...) restituendo all’atmosfera e agli oceani il carbonio organico che era stato concentrato e conservato nelle rocce sedimentarie per periodi di centinaia di milioni di anni" [22]. Comunque sia, come è noto, i fatti sono più duri delle parole, infatti il ghiaccio del-l’Artico si sta sciogliendo assieme ai non più perenni nevai alpini, men-tre sul Kilimanjaro quasi non c’é piu neve; gli uragani sono sempre più frequenti e violenti, come le inondazioni; sul fiume Colorado, razionato dagli sbarramenti, si estinguono le specie fluviali; le rondini ora svernano in Europa e tutti gli esseri viventi, ani-mali e vegetali, vedono i loro habitat spostarsi verso i poli di sei chilometri ogni dieci anni. Non vedere i segni di questa deriva può essere facile per chi, in assenza di acqua, può procurarsi champagne,o Coca Cola; oppure per chi usa il climatizzatore in auto, mentre d’inverno va ai tropici e d’estate sulla neve. Queste persone hanno molteplici e contestuali possibilità: stare più al caldo o al freddo che continuano ad essere, almeno per ora, soprattutto una questione di scelte. Viceversa, per quanti vedono inondarsi i campi e le case in Sud America o nel Sud-est asiatico - fuori stagione s’intende, perchè alle piene ci sono "abituati" -, per quelli che debbono fare i conti con la malaria in Africa dove non c’era prima e per quelli senza condizionatore, magari anziani e soli durante l’estate a Madrid, Parigi, Roma e Atene, chiude-re gli occhi è più difficile e potrebbe rivelarsi non un semplice eufemismo. Si deve anche sottolineare che il tema del riscaldamento della Terra, originato dall’effetto serra, ha assunto una rilevanza internazionale pari solo a quella raggiunta (nel passato) dalle questione "nucleare". Infatti, alcune stime europee parlano di 30.000 persone morte in più per la calura ano-mala manifestatasi nell’estate 2003 e di 250.000 morti l’anno in Europa (5% del totale) per le patologie causate dal-l’inquinamento atmosferico. Ciononostante, come nulla fosse, la stragrande maggioranza della popolazione, pericolosamente assuefatta, sembra non accorgersene, non reagisce e non se ne preoccupa. Per esempio, nelle metropoli proliferano i fuoristrada, veri monumenti allo spreco, usati quasi sempre per spostare una sola persona; a fronte di questo dissennato aumento dei consumi energetici i governanti (verrebbe da dire sgovernanti) non trovano di meglio che proporre la costruzione di altre centrali termoelettriche, paventando anche il ricorso alle centrali elettronucleari. Per questo non è più rinviabile l’apertura di un rigoroso dibattito sulle problematiche oggetto di questo dossier (e non solo di esse). Si tratta di una necessaria premessa per contribuire a dar vita a un vasto e articolato movimento che sappia al contempo elaborare proposte e conseguire obiettivi (per la riduzione dei consumi energetici e quindi dell’inquinamento attraverso l’eliminazione degli sprechi, il risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili) nel più rigoroso rispetto dell’ambiente, della salute pubblica e dei diritti umani. II dibattito è (ri)aperto.

Marco Caldiroli e Luigi Mara


Articolo pubblicato sul volume 154- 156 della rivista Medicina Democratica
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[1] Ovvero le sei sostanze emesse considerate come le maggiori responsabili dei cambiamenti climatici dalla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite del 1992 e dai seguenti atti e impegni internazionali tra cui quello più conosciuto è il "Protocollo di Kyoto" del 1997, che entra in vigore il 16 febbraio 2005. Le sostanze considerate sono : l’Anidride carbonica (CO2), il Metano (CH4), il Protossido di azoto (N2O), gli Idrofluorocarburi (HFC), i Perfluorocarburi (PFC) e l’Esafluoruro di zolfo (SF6). Per il testo del Protocollo di Kyoto e degli impegni dei singoli stati europei si rimanda alla Decisione del Consiglio del 25.04.2002 (n. 2002/358) riguardante 1’approvazione, a nome del-la Comunità europea, del protocollo di Kyoto allegato alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e l’adempimento congiunto dei relativi impegni.

[2] Si tratta di un meccanismo con effetti perversi, attivato negli USA negli anni ’80 che, ora, è migrato a livello planetario, con i conseguenti impatti ambientali, sanitari, sociali ed umani. La globalizzazione del "mercato" degli inquinanti! In altri termini, come nulla fosse, una società con installati i suoi impianti in una data località può continuare ad inquinare con le proprie emissioni, purché acquisti in "Borsa" una pari quota di riduzione delle emissioni da un’altra società. Alla faccia del diritto inalienabile alla salute e all’ambiente salubre di ogni persona e di ogni Comunità locale. Inoltre l’ltalia è in forte ritardo rispetto ai tempi previ-sti dalla direttiva che istituisce il sistema dello "scambio di quote di emissioni dei gas ad effetto serra nella comunità" (direttiva 2003/87) in quanto solo con la Legge n. 316 del 30.12.2004 sono stati approvati i primi adempimenti richiesti dalla Unione Europea. Si tratta delle norme per autorizzare (assegnare) quote di emissione ai singoli impianti sulla base dei diversi processi e delle tecnologie adottati, per definire i successivi obblighi in termini di riduzione delle emissioni, il tutto sulla base del "piano nazionale di assegnazione delle quote di emissione" inviato dall’Italia alla Commissione Europea nel luglio 2004 e immediatamente contestato da quest’ultima.

[3] Vedi Relazione Tecnica consegnata dal Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio nell’ambito della indagine conoscitiva sull’impatto ambientale delle raffinerie e delle centrali elettriche, in Atti della 13° Commissione Ambiente, Territorio, Beni Ambientali del Senato della Repubblica, 17.03.2004, p. 130.

[4] Per scenario tendenziale il CIPE intende una stima basata sulle politiche e le misure attualmente in vigore e del trend delle emissioni sulla base dei dati storici dal 1990 al 2000, con una crescita del PIL del 2 % l’anno fino al 2010.

[5] Per scenario di riferimento il CIPE intende una stima basata sulle politiche e le misure attualmente in vigore nonché degli effetti attesi da misure già individuate ma non ancora attuate, con una analoga pre-visione di crescita del PIL del 2 % l’anno fino al 2010.

[6] Va segnalato che, secondo i dati provvisori 2004 forniti dal GRTN, la crescita complessiva dei consumi di energia elettrica e stata pari allo 0,4 % rispetto al 2003, "principalmente dovuta alla decelerazione dei consumi nel terziario e nell’industria e in parte alle minori temperature estive rispetto al 2003" (GRTN, Dati provvisori di esercizio del sistema elettrico 2004", p. 3); inoltre, sempre nel 2004, si è ridotto del 10,4 % il fabbisogno di import di energia elettrica rispetto al 2003.

[7] Anche sotto il profilo economico que-sta scelta è aberrante, per la sua indeterminatezza insita nel cosiddetto "mercato delle emissioni" ; inoltre, essa appare miope anche sotto il profilo economico. Non sarà mai sottolineato a sufficienza che ridurre gli impatti ambientali ovvero l’inquinamento significa, oltre che dare una risposta positiva in termini di salute pubblica, dare un tangibile contributo alla qualificazione delle attività produttive con la relativa riduzione globale dei consumi e dei costi energetici per unità di prodotto. A tacere del fatto che oggi (2004) il valore di acquisto di una quota di emissione pari a una tonnellata di CO2 è di 9 euro, ma dal 2008-2012 si arriverà a 30-35 euro. Superfluo dire che il valore delle quote di emissione mediante meccanismi flessibili tra stati industrializzati e paesi in via di industrializzazione (Joint Implementation e Clean Development Mechanism) si aggirerà intorno ai 5 euro a tonnellata di CO2. In altri termini, attraverso questo perverso meccanismo i paesi industrializzati continueranno irresponsabilmente ad inquinare e a riscaldare il Pianeta con i conseguenti impatti ambientali e sanitari e non solo.

[8] I settori interessati sono: le attività energetiche (oltre la potenza di 20 MW, esclusi gli inceneritori per rifiuti), le raffinerie, i forni a coke, la produzione e trasformazione dei metalli ferrosi, quella di prodotti a partire da minerali (cemento, vetro, ceramica), l’industria cartaria. Le emissioni di questi settori industriali in Europa forniscono un contributo pari al 40% delle emissioni di gas con effetto serra. Oltre alla citata direttiva 87/2003 del 13.10.2003 che "istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61 /CE del Consiglio" sono state emanate delle linee guida applicative nonché (Decisione del-la Commissione UE del 29.01.2004) le modalità di monitoraggio delle azioni dei singoli stati.

[9] Stime dell’EMEP (organismo del-l’Unione Europea che censisce le emissioni dei singoli stati) indicano, al 2000, che il 53 % degli Ossidi di zolfo, il 55 % degli Ossidi di azoto e il 17 % dell’Ammoniaca emessi in Italia ricadono oltre i nostri confini; viceversa, il 72 % dello Zolfo, il 79 % degli Ossidi di azoto e il 59 % dell’Ammoniaca che ricadono sul nostro territorio proviene da altri paesi.

[10] La direttiva 2001/81/CE obbliga gli stati membri a definire dei programmi nazionali di riduzione delle emissioni di Biossido di zolfo, Ossidi di azoto, Composti Organici Volatili (COV), ed Ammoniaca in relazione al raggiungi-mento e mantenimento di livelli di emissione inferiori ai tetti fissati nella direttiva. Analoghi obiettivi quantitativi, per l’ltalia, sono previsti dal "Protocollo di Goteborg" sottoscritto nel 1999 nell’ambito della Convenzione UNECE sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero. La direttiva 2001/81 e stata recepita in Italia con il Dlgs n. 171 del 21.05.2004.

[11] Gli scenari delle emissioni sono elaborati secondo le previsioni di evoluzione (delibera CIPE 123/2002) dei diversi set-tori economici nonché dell’impiego delle diverse fonti di energia primaria e secondaria, ottenuti con il modello RAINS che, a partire dai dati macroeconomici, tiene conto di un fattore di emissione (in Italia sulla base del censimento delle emissioni CORINAIR) che viene associato ad ogni settore per unità di attività e, a sua volta, corretto da fattori relativi all’efficienza di rimozione ottenibile attraverso l’applicazione della tecnologia disponibile e alla sua effettiva applicazione per settore economico. Tra questi scenari viene utilizzato quello energetico denominato MARKAL (v. ENEA, "Scenari energeticiper l’ltalia da un modello di equilibrio generale (MARKAL-MACRO)", 2003).

[12] La emanazione di norme inerenti sulla qualità dell’aria (cfr., da ultimo, la direttiva 30/1999 e 2000/69, recepite con il DM 60/2002), di quelle dirette alla introduzione di tecnologie a minore emissione (Direttiva sulla riduzione e prevenzione integrata dell’inquinamento, n. 61/1996 recepita solo parzialmente con il DLgs 372/1999), così come delle norme sul-le caratteristiche dei combustibili e le loro modalità di uso (la norma vigente è il DPCM 8.03.2002) costituiscono - o dovrebbero costituire - norme idonee a ridurre le emissioni ancorché senza specifici "target" in funzione delle diverse fonti emissive. Si rammenta che, allo stato, la normativa italiana sulla qualità dell’aria riguarda i seguenti inquinanti: il Biossido di zolfo, il Biossido di azoto, gli Ossidi di azoto, le polveri fini (come particolato totale, PM10, PM2.5), il Piombo, il Benzene, il Monossido di carbonio. Una recente direttiva (107/2004) ha final-mente posto l’attenzione anche sull’Arsenico, il Cadmio, il Mercurio, il Nickel e gli Idrocarburi Policiclici Aromatici nell’aria ambiente.

[13] Ovviamente la questione è assai più complessa, per esempio anche l’attuale status fiscale del gasolio per autotrazione ha favorito lo spostamento su gomma delle merci, con i relativi impatti ambientali derivanti dalle emissioni dei mezzi pesanti.E’ pacifico che risultati importanti in tema di miglioramento della qualità dell’aria sono stati raggiunti quando sono state introdotte limitazioni drastiche nella composizione dei combustibili (es. Zolfo) o divieti totali (es. Piombo, anche se in questo caso il passaggio alla cosiddetta Benzina verde ha aumentato le emissioni di Benzene).

[14] Draft Reference Document on Best Available Techniques for Large Combustion Plants, Integrated Pollution Prevention and Control (IPPC), The European Commision, marzo 2001, p. 299.

[15] W.R. Stockwell et al. Atmos. Environ., 2000, 34, 4711.

[16] L. A. Corio, J. Sherwell, J. Air Waste Manage. 2000, 50, 207.

[17] M.E. Jenkin, K. C. Klemitshaw. Atmos Environ., 2000, 34, 2499.

[18] Si vedano gli articoli di N. Armaroli, C. Po "Emissioni da centrali termoelettriche a gas naturale. La letteratura cor-rente e l’esperienza statunitense", La Chimica e l’Industria, maggio 2003 e il successivo articolo del novembre 2003: "Centrali termoelettriche a gas naturale. Produzione di particolato primario e secondario". Inoltre, si vedano sulla stessa rivista le "risposte" di D. Fraternali, O. Olivetti Selmi: "Le emissioni di polveri e altri inquinanti da centrali turbogas a ciclo combinato alimentate a gas naturale. Analisi comparata con le emissioni di impianti termoelettrici a olio combustibile di piccola taglia", La Chimica e l’Industria, novembre 2003, e, S. Zanelli "Impatto ambientale di centrali termoelettriche. Risposta a una proposta fuorviante", La Chimica e l’Industria, dicembre 2003.

[19] Ricordiamo che i picchi di consumo di energia elettrica, di cui si è parlato nel presente dossier, si sono verificati in corrispondenza di eventi meteoclimatici estremi (caldo-freddo) connessi con la necessità di condizionare ambienti chiu-si. Questo evidenzia una politica edilizia inadeguata in tema di coibentazione e risparmio energetico nella realizzazione degli edifici.Si tratta della mancata attuazione di una importante norma, il titolo secondo della Legge 10/1991, che prevede(va), tra l’altro, la certificazione energetica degli edifici previo "Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge ... "la emanazione di "norme per la certificazione energetica degli edifici"; norme che non sono state ancora emanate e di cui portano la responsabilità tutti i governi che si sono succeduti fino ad oggi (se ne è ricominciato a discutere solo recentemente). Il tema, peraltro, è stato riproposto, a livello europeo, dalla Direttiva 2002/91 del 16.12.2002 "sul rendimento energetico in edilizia".

[20] Peraltro l’ENEL è in buona compagnia visto l’appoggio (in nome di uno strumentale quanto infondato terzomondismo) che tale scelta ha avuto negli Amici della Terra in Italia; cfr. Rapporto degli Amici della Terra. La transizione energetica : il ruolo del carbone, 2002.

[21] Pascali Ascot, Storia del clima, dal Big Bang alle catastrofi climatiche, Editore Donzelli, 2004.

[22] R. Revelle, H.E.Suess, Carbon Dioxide Exchange between the Atmosphere and Ocean an the Question of an Increase in Atmospheric CO2 during the Past Decades, "Tellus", n. 9, 1957.


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