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Intervento per Gruppo di Lavoro Salute mentale

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Medicina Democratica
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Intervento per Gruppo di Lavoro Salute mentale

Messaggio da Medicina Democratica » 11/01/2017, 21:44

La Salute mentale: una rilettura storico-critica, spunti di riflessione psico-socio-politica

di Emanuela Bavazzano e Riccardo Ierna

“Rimane a lungo sul ballatoio più alto a osservare la città buia e le bianche luci solitarie della notte. Poi si toglie la giacca, il maglione, il cappello nero dell’ospedale e gli occhiali, e appoggia tutto in una pila ordinata accanto a sé. Il mondo si estende sotto di lui, un manto di case e strade e persone che respirano all’unisono come un unico polmone umano sano e puro, ma qui non c’è futuro per lui, non c’è mai stato, ha sempre vagato da solo con il segno della malattia come un marchio sotto la pelle, visibile a tutti tranne che a lui stesso (…)” (S. Stridsberg, 2016)

I “marchi”, i “segni”, gli stigmi: quanto ancora oggi la nostra società lavora affinché esistano gli emarginati sociali, coloro che, perché non “adeguati”, non abbastanza “conformi” ad una normalità definita da un Quoziente intellettivo, un Codice diagnostico, finiscono dentro traiettorie che conducono verso quell’etichettamento che finirà un domani (ormai prossimo) per ricreare classi differenziali, strutture residenziali, situazioni che, proteggendo (se mai i luoghi debbano isolare per poter guarire), segneranno le persone fino al punto da condurle a vivere dentro una a-temporalità dove nessun vissuto possa essere legittimato, solo re-indirizzato, attraverso metodi e tecniche prive di valore umano, finché un giorno le persone si troveranno ad affacciarsi a quel ballatoio del non-senso perché nessuno le avrà aiutate a chiedersi quale sia stato il significato del loro esistere e del loro relazionarsi con il mondo, oltre la malattia, dentro la crisi.
In ogni congiuntura storica, l’interrogarsi rispetto a quel che si intenda per Salute mentale ha sempre rappresentato un elemento di verifica pratica dello stato di avanzamento (oppure di regressione) di un determinato processo sociale. L'indebolimento dei servizi e di una riforma strutturale, come la Legge 180, frutto delle lotte storiche degli anni '60 e '70, ad opera delle politiche sociosanitarie e dei governi degli ultimi trent’anni, il graduale smantellamento dello stato sociale e di ogni forma di gestione partecipata e collettiva della Salute (in particolare della salute mentale), l’aziendalizzazione e la progressiva privatizzazione della Sanità (che peraltro non risponde totalmente ai bisogni di Salute, anzi li orienta verso una risposta medicalizzante), riportano oggi la questione della sofferenza mentale ad un livello di tipo riduzionistico, specialistico, psichiatrico, e farmaco(terapico), attraverso il ritorno ad una ideologia organicista (Collettivo Antipsichiatrico A. Artaud, 2014). Si tratta di una fase critica della storia del nostro Paese, su cui riflettere insieme.
Come Gruppo, che si interroga criticamente su che cosa significhi oggi la Salute mentale e come si voglia orientare i processi partecipativi di prevenzione e cura della stessa, dentro uno scenario in cui è la psichiatria attualmente a tracciare quella linea di confine che definisce la “normalità” e, di conseguenza, la patologia, intesa come non-normalità, laddove la comprensione sociale della mente umana finisce per essere appiattita attraverso un manuale di sintomi, perché viene proposta una centralità di valutazione dell’essere umano in relazione solo agli “squilibri chimici” presenti nel suo stesso cervello (R. Whitaker, 2013), intendiamo portare una serie di osservazioni che possano costituire un punto di partenza orientato alla messa in campo di proposte operative da condividere dentro Medicina Democratica, proposte e non risposte preformate o soluzioni ideologiche a problemi assai complessi e che richiedono ben altro processo sociale che non quello di un semplice Gruppo che, come ed insieme ad altri, si occupa di questi temi, provando quindi ad essere da stimolo sia per MD sia per tutti coloro che sono coinvolti nello stato delle cose presenti, per capire come provare insieme a cambiarlo o almeno trasformarlo.
Partiamo da una semplice constatazione di base, ma che ha effetti immediati e devastanti sull'intera questione psichiatrica: il lavoro sulla “sofferenza mentale” non è più a livello di comprensione di cosa significhi e quindi di prevenzione primaria, ma si fonda quasi esclusivamente sulla gestione e il contenimento degli effetti di questo “disagio” sull'organizzazione sociale e del lavoro (sicurezza sociale e produttività/improduttività). Cioè la Salute mentale è diventata un costo (costo sociale, costo finanziario), probabilmente anche partendo dal fatto che la presunta “cura” passa attraverso strumenti che hanno un costo (ricerca sul farmaco, lobbies del farmaco) e questo costo spesso prescinde dall’azione umana che diversamente potrebbe agire, attraverso prassi condivise e partecipate a sicuramente più basso costo e più alto valore umano. Il contenimento di questo costo presupporrebbe dunque, noi riteniamo, una riflessione in merito alle prassi di “costruzione della salute”, prassi che si attuano attraverso un lavoro dentro i contesti e nelle situazioni dove questo disagio si forma e spesso si annida, incistandosi e talora nascondendosi, fino ad emergere in situazioni di emergenza; presupporrebbe quindi anche una lettura critica attenta del viraggio attuale verso quella forma di contenimento, che è strettamente legata alla gestione della “crisi”, letta come scompenso, atto finale di una mancata socializzazione e problematizzazione del disagio stesso, e tale contenimento oggi si esprime non molto diversamente da come si esprimeva quarant’anni fa, e cioè attraverso strumenti farmacologici e meccanici, e soltanto in alcuni casi sono proposti interventi psicoterapici, anzi quando ciò accade si suppone che questi ultimi debbano perdere la loro naturale inclinazione verso la trasformazione e divenire mero “supporto” rispetto al lavoro del “farmaco” (e di coloro che lo dispensano), senza problematizzare nulla sul piano sociale, ponendosi come stampelle assistenziali a corollario della clinica medica psichiatrica, oppure come forma di “intrattenimento riabilitativo” che non sposta nulla sul piano esistenziale in termini di diritti e ruolo sociale.
E nelle aree in cui si riesce maggiormente a focalizzare l’attenzione sull’utenza che soffre un disagio complesso (perché la sofferenza mentale non è, noi riteniamo, un costellarsi di sintomi dentro contenitori vuoti), fornendo la capacità di riflettere sul proprio stesso soffrire, provando a dare strumenti di supporto e, quando possibile, trasformazione anche attraverso la coscientizzazione e la problematizzazione dei vissuti, spostando l’asse delle “cure” dalla clinica individuale alle diverse forme di terapia anche di carattere sociale, vediamo spesso il riemergere di dinamiche di potere della vecchia gestione manicomiale. Ovvero di fronte, spesso, ad uno sbandierato “protagonismo” degli utenti noi ci accorgiamo che la tutela e la delega ai tecnici rimangono invariate spesso dentro i processi decisionali, nel tirare le fila di questo protagonismo, nel gestire gli eventuali momenti di crisi (fisiologiche) e di impasse che possono accadere in queste persone, in tutte le persone. Sono dinamiche interessanti, che andrebbero a nostro avviso maggiormente approfondite sul piano della riflessione critica, della ricerca azione e del lavoro sul campo, perché è necessario valorizzare quello che di buono è accaduto in questi ultimi anni, quando, davanti alla crisi dei servizi e all’impoverimento sociale, economico ed esistenziale, sono nate esperienze di solidarietà dal basso, che stanno oggi favorendo un processo collettivo di riappropriazione sociale della questione del disagio, se solo riusciamo ad avere l’intenzionalità e la forza di ricollocare questi movimenti (spesso dispersi e disgregati) dentro un piano politico organizzato di lotta per la Salute e la Salute mentale.
Di contro, abbiamo assistito al graduale disfacimento dell’organizzazione accademica che è ancora alla base dell’apprendimento dei futuri operatori della Salute mentale: un’organizzazione già obsoleta nei contenuti di questo apprendimento ed ora ulteriormente falcidiata dalla frammentazione sistematica dei saperi ad opera delle riforme istituzionali degli ultimi anni in tema di istruzione, un’organizzazione spesso funzionale rispetto al potere attuale di un riduzionismo di lontana memoria, dove lo specialismo spesso soppianta la complessità delle cure (ed ancor più della prevenzione), nonostante venga declamato il principio del dover essere ciascuno esperto rispetto al proprio percorso di gestione della Salute (forse meglio della Sanità), mentre nessuno o pochi insegnano come fare a rendere questa espertise effettiva e propulsiva di cambiamenti richiesti dall’utenza e non somministrati dalla classe edotta e formata (formattata) nell’accademia. Riteniamo necessario riflettere su tutti questi temi e provare a comprendere in che modo portare un contributo sul piano operativo e politico, non solo all’interno del dibattito di MD, ma soprattutto nel rapporto, oltre che con l’utenza (che è tra tutti noi, spesso siamo noi), con gli studenti, gli operatori della Salute (sia in ambito sanitario che in quello sociale), quindi gli amministratori e la società civile tutta.
Il Gruppo potrebbe quindi avviare una serie di collegamenti con le istituzioni, le reti associative, le agenzie sociali e territoriali, in modo da recuperare un livello di sensibilizzazione sui temi della Salute mentale che sembra essere stato abbandonato, tenendo aperte quelle contraddizioni che da sempre hanno contribuito a stimolare processi di trasformazione istituzionale e di partecipazione più ampia ai problemi della vita sociale, organizzando eventi e dibattiti pubblici, favorendo un collegamento con le organizzazioni dei lavoratori che operano, anche indirettamente, in questo ambito, con gli studenti che stanno preparandosi a un mestiere di cura nella complessità, spesso senza che siano formati a riflettere in senso umano ed etico rispetto al loro futuro operare, e con tutta quella parte di società civile che si muove territorialmente attraverso l’azione collettiva e organizzata, ponendo l’attenzione su aspetti concernenti l’attuale legislazione psichiatrica, sulla sua reale attuazione e verifica pratica, sugli abusi e le inadempienze e sollecitando gli organi competenti ad agire tempestivamente nelle situazioni più arretrate e drammatiche del Paese, anche, laddove possibile, riportando l’attenzione verso un livello di inchiesta dentro i servizi sulle pratiche realmente messe in atto in questi contesti, favorendo processi partecipativi degli operatori qui presenti, piuttosto che lasciarli inghiottire dalla routinarietà e dai ritmi del loro lavoro quotidiano, in un appiattimento all’azione che spesso finisce per contenere più che trasformare, legittimando pertanto tutta quella psichiatria che etichetta invece che curare, paralizza invece che prevenire.
Contribuendo ad utilizzare le diverse professionalità che compongono oggi il Gruppo, desideriamo provare ad agire in senso critico, dialogato e socio-politico dentro i contesti dove ciascuno di noi quotidianamente oggi opera, portando le proprie esperienze come valore aggiunto della progettualità del gruppo stesso, non creando nuovi specialismi, ma utilizzando il sapere come risorsa in grado di tornare a far pensare ed agire diversamente: questa è la nostra piccola ambizione, speriamo di poterla realizzare insieme a tutti voi, per una medicina che continui a lottare per il lavoro contro il capitale e una salute mentale come progetto politico collettivo di cambiamento sociale reale.
Riteniamo che sia importante essere persone capaci di pensiero complesso, sicuramente non riduzionista, persone capaci di leggere le diversità di vissuto dell’altro e le sempre mutevoli espressioni di sé nel mondo, riconoscendo il diritto a pensare diversamente e dissentire; il nostro “mestiere” di esseri umani non consiste nel dirigersi e dirigere verso l’omologazione, quanto nel favorire “un sistema politico di consenso arricchito e alimentato dal dissenso” (M. Aime, 2014), dove tutti debbano potersi sentire corresponsabili, tutti, soprattutto coloro che attraversino fasi di sofferenza, passaggi di crisi e trasformazione, sofferenza individuale e sofferenza espressione di malessere sociale, che oggi sempre più frequentemente viene condotto verso (e quindi ridotto dentro) una soluzione psichiatrica (Collettivo Antipsichiatrico A. Artaud, 2014), piuttosto che essere affrontato, come noi riteniamo corretto ed etico promuovere, nei termini di coinvolgimento delle persone nell’esserci partecipato e condiviso nel Mondo.
“La salute mentale è connessa alla possibilità di dominare conoscitivamente e operativamente la propria condizione esistenziale e i processi che la determinano. La salute mentale non si identifica quindi con un codice di norme di comportamento né con la pura e semplice assenza di malattia. Si tutela, non espandendo strutture e servizi psichiatrici, ma trasformando profondamente le condizioni e i significati della vita associata in modo da realizzare rapporti umani e modelli socio-culturali che pongano il benessere dell’uomo quale valore primo e fondamentale. Si costruisce anche nell’ambito della lotta collettiva e individuale contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e contro tutti quegli ostacoli, materiali e culturali, che impediscono il pieno e critico dispiegarsi della personalità umana” (dal Regolamento dei CIM di Perugia, anni ’70).

Aime M. (2014). Etnografia del quotidiano. Elèuthera.
Collettivo Antipsichiatrico A. Artaud (2014). Elettroshock. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute. Sensibili alle foglie.
Stridsberg S. (2016). La gravità dell’amore. Mondadori.
Whitaker R. (2014). Indagine su un’epidemia. Lo straordinario aumento delle disabilità psichiatriche nell’epoca degli psicofarmaci. Roma: Fioriti.

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