SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.180 DEL 14/10/14

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.180 DEL 14/10/14

 

INDICE

  • Danni da fumo passivo: condannato il Comune al risarcimento del danno a una dipendente
  • Per impugnare il licenziamento dovuto a mobbing va provato il rapporto di causa-effetto tra le condotte del datore e il licenziamento
  • Un questionario per verificare la sicurezza del cantiere
  • La prevenzione dei rischi per i lavoratori del settore ospedaliero
  • Profili di rischio nell’industria meccanica: addetto alla tornitura
  • I controlli sugli apparecchi di sollevamento materiali

 

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

 

Marco Spezia

SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS!

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DANNI DA FUMO PASSIVO: CONDANNATO IL COMUNE AL RISARCIMENTO DEL DANNO A UNA DIPENDENTE

 

Da: Persona e Danno

http://www.personaedanno.it

 

02/10/14

di Ricciuti Daniela

 

Danni da fumo passivo: condannato il comune di Milano al risarcimento del danno a una dipendente.

“Danno esistenziale da fumo passivo”: Sentenza del Tribunale di Milano n.2536/2014.

 

Il Tribunale di Milano (Giudice del Lavoro, dottor Riccardo Atanasio), con sentenza n.2536 del 4 agosto 2014, ha condannato il Comune di Milano a risarcire a una dipendente la somma di 10.000 euro “a titolo di danno esistenziale per esposizione a fumo passivo”.

 

La ricorrente, agente di Polizia Municipale, aveva adito il giudice del lavoro al fine di denunciare un comportamento mobbizzante, tenuto nei suoi confronti da parte del Comune, che l’avrebbe esposta ad una condotta vessatoria e persecutoria per un periodo lungo quasi venti anni.

 

Il Giudicante non ha ravvisato gli estremi del mobbing nella pluralità dei comportamenti specificamente allegati dalla ricorrente (trasferimenti, demansionamenti, accuse ingiuste e quant’altro): ciò in quanto quest’ultima “nella prospettata ricostruzione storica del rapporto di lavoro” – si legge in sentenza – “ha dedotto una quantità innumerevole di fatti e situazioni irrilevanti o infondate ai fini della costruzione del comportamento mobbizzante; fatti e situazioni che non hanno alcun rilievo giuridico dal punto di vista del comportamento dedotto come persecutorio”.

 

Sulla base di tali argomentazioni il Giudice meneghino ha ritenuto non fondate le doglianze attoree relative al danno da mobbing, e ha quindi respinto la richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali consequenziali.

 

Un differente aspetto, peraltro, è stato preso in considerazione, ed è stato riconosciuto che “altre situazioni, pure dedotte dalla ricorrente, seppure non possono essere considerate di per sé sole come espressione di comportamenti mobbizzanti, causa delle patologie dedotte dalla ricorrente, pur tuttavia possono pur sempre avere un certo rilievo sotto l’aspetto risarcitorio”.

Il riferimento è all’esposizione della ricorrente a fumo passivo.

 

A causa della postazione assegnatale (“sita in uno spazio ricavato dal corridoio che veniva utilizzato per uscire all’esterno ed era pertanto possibile che qualcuno passasse con la sigaretta accesa mentre si apprestava ad uscire e che si fermasse a fumare proprio in prossimità dell’ingresso”), la dipendente aveva dovuto subire il fumo dei colleghi di ufficio (il che le aveva creato vari problemi di salute), senza che l’Ente assumesse i necessari provvedimenti di divieto, pur essendone stato espressamente richiesto l’intervento.

 

E difatti, benché in numerose occasioni la ricorrente avesse sollevato il problema del fumo nei locali ai quali era addetta, nulla aveva fatto il Comune per garantire che il relativo divieto venisse rispettato da parte dei colleghi di lavoro.

 

Tale comportamento omissivo, consistito nel mancato intervento da parte del datore di lavoro a protezione della salute e del benessere dei dipendenti, nonostante le ripetute lamentele, è stato riconosciuto come “certamente determinante per il danno non patrimoniale subito dalla ricorrente”.

 

Statuisce il Giudice in sentenza: “Dalla ripetuta esposizione della ricorrente al fumo passivo è conseguita una situazione di disagio (per cefalea, difficoltà respiratorie e bruciore agli occhi). Tale permanente situazione di disagio a causa di un comportamento vietato da specifiche disposizioni di legge (articolo 51 della Legge n.3 del 16 gennaio 2003), causa di possibili gravi danni alla salute nel lungo periodo e comunque di manifestazioni di importante disagio nell’immediato, certamente si deve ritenere che abbiano inciso negativamente sull’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti quale è il diritto al lavoro (articolo 4) che consente la libera espressione della propria personalità nelle formazioni sociali (articolo 2)”. Di qui la condanna al risarcimento del danno esistenziale per esposizione a fumo passivo.

 

Particolarmente degno di nota (dal nostro punto di vista) l’esplicito richiamo in dispositivo alla voce di danno che il giudice intende “expressis verbis” risarcire: e cioè il danno esistenziale.

 

Danno esistenziale sotto la duplice veste:

  • biologica, nella sua componente dinamica, venendo in rilievo la lesione della salute, come medicalmente accertata, della ricorrente;
  • non biologica, per il collegamento all’aggressione di posizioni d’altro genere (lavoro, attività realizzatrici della persona).

Distinzione che, peraltro, secondo la migliore impostazione, alla cui stregua “il danno biologico altro non è se non un danno esistenziale”, non assume alcun rilievo ontologico, posto che si tratta comunque di ripercussioni negative sulla qualità della vita.

 

La pronuncia in commento si pone nella scia di quell’orientamento, sempre più prevalente in giurisprudenza, di legittimità come di merito (“ex multis” le sentenze più significative: Sentenza n.20292 del 20/11/12 della Cassazione Civile, Sentenza n.17161 del 09/10/12 della Cassazione Civile, Sentenza n.22585 del 03/10/13 della Cassazione Civile, Sentenza n.1361 del 23/01/14 della Cassazione Civile), che propugna l’affermazione del danno esistenziale come posta risarcitoria autonoma rispetto alle altre voci del danno non patrimoniale, talora in aperto contrasto con le sentenze di San Martino del 2008, che, attribuendovi natura meramente descrittiva, avevano inteso negarne autonomia nell’ambito della unitaria categoria del danno non patrimoniale; talaltra pur aderendovi (soltanto) formalmente.

 

Il trend giurisprudenziale è nel senso della “personalizzazione” della responsabilità civile e della “integralità” del risarcimento del danno, in un’ottica di contemperamento degli opposti interessi tra la necessità di evitare inopportune duplicazioni risarcitorie, da un lato, e, dall’altro, l’esigenza di scongiurare altrettanto negativi vuoti di tutela.

 

Al di là di questioni che in fondo sono più terminologiche che sostanziali, nuovi danni avanzano nei più diversi aspetti della vita quotidiana e nei diversi ambiti e settori dove si manifestano le “attività realizzatrici” della persona (“id est” famiglia, abitazione, animali d’affezione, diritti della personalità, riservatezza, privacy, responsabilità medica, lavoro, infortuni e mancata adozione di misure di sicurezza e prevenzione, ingiusto licenziamento o demansionamento, mobbing, discriminazione, straining, vacanza rovinata, servizi telefonici, ecc): è il definitivo rilancio del danno esistenziale!

 

La Sentenza n.2536 del 4 agosto 2014 del Tribunale di Milano è scaricabile all’indirizzo:

http://www.personaedanno.it/attachments/article/46199/Trib.%20Milano%20n.%202536-2014.pdf

 

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PER IMPUGNARE IL LICENZIAMENTO DOVUTO A MOBBING VA PROVATO IL RAPPORTO DI CAUSA-EFFETTO TRA LE CONDOTTE DEL DATORE E IL LICENZIAMENTO

 

Da Studio Cataldi – Quotidiano giuridico

http://www.studiocataldi.it

 

Cassazione: per impugnare il licenziamento dovuto a mobbing, va provato il rapporto di causa-effetto tra le condotte del datore e il licenziamento.

 

Con Sentenza n.20230 del 15 settembre 2014, la Corte di Cassazione cerca di tracciare in maniera più nitida i confini della nebulosa figura giuridica del mobbing per poi ricordare quali sono gli oneri probatori di chi intende impugnare un licenziamento che si assume essere stato conseguenza del mobbing.

Il mobbing, spiega la Corte, va considerato come una fattispecie a formazione progressiva che sotto una denominazione anglosassone (che potremmo tradurre con: accerchiare, attaccare in massa), racchiude un insieme di condotte atte a vessare, screditare, sminuire, deprimere e in definitiva perseguitare il lavoratore fino a ridurlo a uno stato di annichilimento ed emarginazione.

 

E’ perciò possibile qualificare come mobbing quell’insieme di comportamenti ostili persecutori che il lavoratore subisce a opera di colleghi, dei suoi superiori o del datore di lavoro, con l’obiettivo di escluderlo dall’ambiente lavorativo.

 

Come si può immaginare, la prova del mobbing è oltremodo complessa, per via e della pluralità delle situazioni che lo generano (non sempre documentabili) e della difficoltà a dimostrare il rapporto consequenziale fra queste e il danno alla salute psico-fisica e alla capacità lavorativa sofferto dal ricorrente.

Non sottendendo, poi, il mobbing una condotta tipica penalmente rilevante (presi singolarmente, gli atti vessatori possono essere tanto illeciti quanto leciti), esso si atteggia in maniera variabile e variegata di caso in caso, rischiando di rimanere un concetto astratto nelle aule di giustizia.

E tuttavia (purtroppo), il mobbing è tutt’altro che astratto per il lavoratore che lo subisce!

 

Nella vicenda presa in esame dai Giudici della Corte di Cassazione, un lavoratore sosteneva che il licenziamento subito dovesse considerarsi nullo perché l’effetto finale di una serie di azioni vessatorie qualificabili come mobbing lavorativo.

 

A questo proposito, la Cassazione ricorda che per potersi configurare un’ipotesi di mobbing, è necessaria la presenza di una serie di requisiti ossia:

  • una serie di comportamenti di carattere persecutorio (illeciti o anche leciti se considerati singolarmente) che, con intento vessatorio, siano stati posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
  • l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
  • il nesso eziologico tra la descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico­fisica e/o nella propria dignità;
  • il suindicato elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.

 

Per quanto riguarda la prova, la Corte Suprema spiega che è sempre necessario provare le circostanze e gli elementi costitutivi del mobbing, così come va dimostrato il nesso di causalità tra le azioni vessatorie e la lesione alla salute o alla dignità personale (in questo caso, il licenziamento).

 

Ecco perché è importante che la presunta vittima alleghi al ricorso tutta la documentazione utile a provare i fatti e le circostanze che possano qualificare i comportamenti “incriminati” come mobbing.

 

Nel caso deciso dalla Sentenza 20230/14, ad esempio, gli Ermellini hanno confermato la sentenza d’appello che rigettava il ricorso del “mobbizzato” proprio perché l’atto introduttivo del giudizio mancava di allegazione specifica che provasse la relazione causale fra licenziamento e condotte vessatorie.

 

La Sentenza n.20230 del 15 settembre 2014, della Corte di Cassazione è scaricabile all’indirizzo:

http://www.teleconsul.it/leggiArticolo.aspx?id=297352&tip=ul

 

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UN QUESTIONARIO PER VERIFICARE LA SICUREZZA DEL CANTIERE

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

 

19 settembre 2014

di Tiziano Menduto

 

Un Vademecum dell’INAIL per controllare se il cantiere e a norma e risponde ai requisiti di eticità necessari a tutelare la salute e sicurezza dei lavoratori. Il questionario, le indicazioni relative agli scavi e alla sicurezza dei ponteggi.

 

Le attività edili incidono ancora in maniera rilevante nel panorama complessivo delle denunce di infortunio, in relazione all’elevata frequenza infortunistica e all’ancor più elevata gravità delle lesioni.

Dei circa 656.000 infortuni sul lavoro denunciati all’INAIL nel 2012, 177.652 sono relativi al settore industria e circa un terzo di essi sono da ricondurre al comparto delle costruzioni. Come anticipato, il dato più allarmante è tuttavia relativo alla gravità delle lesioni e agli infortuni mortali.

Su un totale di 824 casi denunciati all’INAIL nel 2012, 327 sono relativi all’industria e ben 137 sono quelli occorsi nel mondo delle costruzioni.

Per migliorare la sicurezza nei cantieri edili e la prevenzione degli infortuni è arrivato alla seconda edizione un documento dell’INAIL dal titolo “Vademecum per un cantiere etico”.

Il Vademecum è frutto del Protocollo d’Intesa (siglato nel 2004) tra la Direzione Regionale INAIL Campania e il Coordinamento regionale dei Comitati Paritetici Territoriali, avente a oggetto la promozione e il coordinamento di azioni comuni in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro attraverso efficaci e coerenti forme di informazione, assistenza e consulenza nei confronti delle imprese del comparto Costruzioni di tutta la regione.

La nuova edizione del Vademecum, pubblicata nel mese di giugno 2014, è una guida pratica per tutti coloro che sono coinvolti nelle problematiche relative alla sicurezza nei cantieri edili offrendo agli operatori del settore (imprenditori, responsabili del servizio di prevenzione e rappresentanti dei lavoratori) uno strumento utile, semplice e immediato per verificare se gli adempimenti previsti siano stati eseguiti.

 

Per questo fine è stato predisposto un semplice questionario a risposta immediata nel quale sono state individuate le diverse situazioni di lavoro: l’utente può agevolmente controllare, durante le varie fasi lavorative, se ha attuato le indicazioni che provengono dalla vigente normativa e dalle regole di buona tecnica. Senza la pretesa di essere esaustivo, il Vademecum costituisce indubbiamente la condizione basilare perché un cantiere possa rispondere ai requisiti di eticità necessari a tutelare la salute e, spesso in edilizia, la vita stessa dei lavoratori.

 

A livello esemplificativo riportiamo alcuni elementi da controllare in relazione al rischio scavi.

Tra le indicazioni generali si chiede ad esempio se:

  • esiste una relazione geologica che identifichi la natura del terreno;
  • è stata verificata l’eventuale presenza di sottoservizi.

E, riguardo agli scavi in pozzi, trincee e cunicoli, se:

  • il lavoratore è tutelato dal rischio di caduta mediante protezione dello scavo (o di eventuali fosse o pozzi presenti) con parapetti a norma;
  • il lavoratore è tutelato dal rischio di seppellimento mediante un adeguato puntellamento o rivestimento delle pareti di scavo se la consistenza del terreno non da sufficiente garanzia di stabilità o lo scavo è profondo più di 1,5 m (articolo 119, comma 1, D.Lgs.81/08);
  • nel caso di presenza di gas o vapori tossici é stata realizzata un’adeguata ventilazione e i lavoratori sono stati muniti di D.P.I. (articolo 121, comma 3, D.Lgs.81/08);
  • in presenza di gas infiammabili o esplosivi, dopo la bonifica dell’ambiente lavorativo, è stato vietato l’uso di apparecchi suscettibili di provocare fiamme o surriscaldamento di cui si possono temere ulteriori emanazioni di gas pericolosi (articolo 121, comma 4, D.Lgs.81/08).

Infine riguardo agli scavi con mezzo meccanico:

  • durante l’esecuzione dello scavo nessuno operaio è presente all’interno dell’area di scavo, ovvero posizionato sul ciglio dello scavo, ovvero situato nel raggio di azione del macchinario (articolo 118, comma 3, D.Lgs.81/08);
  • le rampe di accesso al fondo dello scavo hanno una carreggiata solida, costituita da materiale arido e ben costipato, con pendenza adeguata e sono munite in quota sui lati prospicienti lo scavo di parapetti a norma (allegato XVIII, paragrafo 1.1, D.Lgs.81/08).

Il capitolo dedicato alla sicurezza dei ponteggi è a sua volta diviso in più parti:

  • basette (allegato XVIII, paragrafo 2.2.1.2, D.Lgs.81/08): elementi in acciaio per ripartire sugli appoggi il carico trasmesso dai montanti: sono costituite da un piatto e da uno spezzone di tubo uniti mediante saldatura;
  • montanti: tubi disposti verticalmente sui quali le azioni gravanti sui piani di lavoro del ponteggio vengono riportate a terra; si individuano due allineamenti paralleli al fronte del fabbricato servito dal ponteggio e in genere si denomina montante interno il tubo più vicino al fabbricato e montante esterno quello più lontano;
  • correnti (allegato XVIII, paragrafo 2.1.2, D.Lgs.81/08): tubi disposti orizzontalmente in direzione longitudinale: assolvono la funzione di collegamento tra le stilate ed, in alcuni casi, anche di parapetto dei piani di lavoro; si definiscono correnti interni od esterni a seconda che i tubi colleghino i montanti interni od esterni;
  • traversi (allegato XVIII, paragrafo 2.1.3, D.Lgs.81/08): tubi disposti orizzontalmente in direzione trasversale e colleganti due montanti della stessa stilata: tali tubi sorreggono direttamente i piani di lavoro e a loro volta trasmettono le azioni ai due montanti;
  • intavolati (allegato XVIII, paragrafo 2.1.4, D.Lgs.81/08): tavole di andito atte a permettere il lavoro sopra i ponteggi;
  • parapetti (articolo 126 e allegato XVIII, paragrafo 2.1.5, D.Lgs.81/08);
  • ancoraggi (articolo 125 comma 6 , D.Lgs.81/08);
  • andatoie e passerelle (articolo 130, D.Lgs.81/08);
  • sottoponti (articolo 128, D.Lgs.81/08);
  • autorizzazione alla costruzione e all’impiego;
  • marchio del fabbricante (articolo 135, D.Lgs.81/08);
  • montaggio e smontaggio (articolo 136, D.Lgs.81/08);
  • manutenzione e revisione (articolo 137, D.Lgs.81/08).

Nella parte dedicata ai ponteggi sono riportate domande e indicazioni relative ai ponti su ruote o trabattelli (l’opera provvisionale costituita da elementi componibili realizzanti una struttura a torre fornita di ruote: il ponte può essere traslato mediante il movimento delle ruote una volta terminata la lavorazione nel punto originario e portato in una nuova posizione) con riferimento a:

  • stabilità (articolo 140, D.Lgs.81/08);
  • piani di lavoro (Allegato XVIII paragrafo 2.1.4, D.Lgs.81/08);
  • ancoraggio (articolo 140, comma 4, D.Lgs.81/08);
  • sistemi di accesso (articolo 140, D.Lgs.81/08);
  • montaggio e smontaggio.

Altre domande sono riservate ai:

  • ponteggi a sbalzo: il ponte a sbalzo è l’opera provvisionale sostitutiva di ponti normali, nel caso in cui particolari esigenze non ne permettano l’uso, è costituita da traversi, eventuali saettoni ed impalcati provvisti di parapetto pieno collegati tra loro;
  • ponteggi autosollevanti: il ponteggio metallico a piano di lavoro autosollevante è il ponteggio metallico costituito da un piano di lavoro collegato solidamente a strutture verticali colonnari ancorate all’opera, aventi funzioni di sostegno e di guida, nei movimenti di salita e discesa e durante la sosta;
  • ponti sospesi motorizzati: si definiscono ponti sospesi motorizzati le opere provvisionali mobili ancorate alla costruzione e costituite da piattaforme o navicelle di qualsiasi forma geometrica, sollevate da argani a motore e destinate al sollevamento di persone e materiali inerenti al lavoro da eseguire.

Concludiamo questa breve presentazione riportando le domande contenute nel Vademecum relative ai ponti a sbalzo in legno (articolo 127 e allegato XVIII, paragrafo 2.1.6, D.Lgs.81/08):

  • la larghezza dell’intavolato è non superiore a 1,2 m;
  • i traversi del ponte sono ancorati all’interno dell’edificio a parti stabili, mediante eventualmente l’impiego di saettoni;
  • i traversi poggiano su strutture o materiali resistenti;

e ai ponti a sbalzo in metallo (allegato XVIII, paragrafo 2.1.7, D.Lgs.81/08):

  • gli elementi fissi portanti sono applicati alla costruzione con bulloni passanti, dadi e controdadi su idonea piastra.

Il documento è così strutturato:

  • Capitolo 1: Igiene del Lavoro
  • Capitolo 2: Scavi
  • Capitolo 3: Ponteggi
  • Capitolo 4: Macchine
  • Capitolo 5: Impianti Elettrici
  • Capitolo 6: Riferimenti normativi e legislativi sugli impianti elettrici

Il documento “Vademecum per un cantiere etico”, seconda edizione giugno 2014 della Direzione Regionale INAIL Campania in collaborazione con il Coordinamento regionale dei Comitati Paritetici Territoriali è scaricabile all’indirizzo:

http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_142904.pdf

 

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LA PREVENZIONE DEI RISCHI PER I LAVORATORI DEL SETTORE OSPEDALIERO

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

 

19 settembre 2014

 

Le misure di prevenzione e protezione per i lavoratori del settore sanitario e ospedaliero: indicazioni per la valutazione del rischio, misure preventive specifiche, formazione, sorveglianza sanitaria e vaccinazioni.

 

In ambito sanitario gli infortuni a rischio biologico sono la prima causa di infortunio, seguiti da cadute, distorsioni, urti.

Secondo le stime, in Europa si verificano ogni anno 1 milione di ferite da puntura di ago; lo Studio Italiano Rischio Occupazionale da HIV (SIROH) e da altri patogeni a trasmissione ematica ha raccolto una grande quantità di dati epidemiologici che possono offrire un significativo apporto in termini di prevenzione e che hanno rilevato che le modalità di esposizione prevalenti sono due:

  • muco cutanea (25% delle esposizioni totali): quando il materiale biologico potenzialmente infetto entra accidentalmente in contatto con le mucose degli occhi e/o della bocca e con la cute (integra o lesa) dell’operatore esposto;
  • percutanea (75% delle esposizioni totali): quando l’operatore si ferisce accidentalmente con un tagliente contaminato, per esempio con un ago, una punta, una lama, un frammento di vetro; di queste esposizioni il 63% è riconducibile a punture con ago cavo, il 33% con pungenti o taglienti diversi quali ad esempio aghi di sutura e lancette, il 4% ad altri dispositivi; è questa la modalità di esposizione con la maggior probabilità che gli agenti patogeni potenzialmente presenti nei materiali biologici (e soprattutto nel sangue) infettino l’operatore esposto (siero conversione).

A parità di altre condizioni, la profondità della ferita e il volume di sangue trasferito/inoculato sono variabili in grado di influenzare significativamente la probabilità di infezione.

Per quanto riguarda il paziente fonte, le 70.810 esposizioni percutanee, documentate dal SIROH tra il 1994 ed il 2011, hanno evidenziato fonte negativa per HIV, HCV, HBV nel 47% dei casi, fonte non testata nel 18%, fonte non identificabile nel 15%, in particolare nei laboratori e nella fase di smaltimento, fonte positiva per almeno uno dei tre patogeni testati (HIV, HCV, HBV) nel 20%.

 

L’infortunio da puntura di ago e/o tagliente rappresenta, con un’incidenza del 41%, l’infortunio occupazionale più frequentemente segnalato tra gli operatori sanitari.

Oltre a ciò, vanno considerate anche le possibili conseguenze connesse al pericolo di contagio di infezioni e di altre patologie gravi, configurando l’esistenza di un vero e proprio “rischio professionale”, non solo per i medici e gli infermieri, ma anche per il personale addetto ai servizi assistenziali e di supporto.

 

In tale contesto, va anche valutato l’impatto economico, considerando che il costo medio ad evento è di circa 850 euro, per un totale di 72 milioni di euro.

Peraltro, gli incidenti segnalati dagli operatori rappresentano notoriamente solo una parte di quelli effettivamente verificatisi, e quindi questa stima va ulteriormente corretta tenendo conto del problema della “mancata notifica” (underreporting) con un tasso che ammonta al 50% circa.

 

Per quanto riguarda la frequenza delle esposizioni percutanee, tra il 1994 e il 2013 tra le varie categorie gli infermieri sono la categoria maggiormente coinvolta (54%), seguita dal personale in formazione e dai chirurghi (10% per entrambe le categorie), successivamente da medici, laboratoristi, ostetriche, addetti pulizie.

L’area maggiormente interessata è quella chirurgica (41% di frequenza di esposizioni professionali), seguita da quella medica (26%), terapia intensiva (6%), servizi (6%), Pronto Soccorso 5%, successivamente dall’area laboratoristica e dalle infettivologie.

 

Anche la Regione Piemonte partecipa dal 1999 al sistema di sorveglianza nazionale con il SIOP (Sorveglianza Incidenti Occupazionali Piemonte) evidenziando circa 1.500 incidenti percutanei e 500 esposizioni mucocutanee ogni anno, con una frequenza (nel periodo 1999-2009) di circa 3-4 incidenti percutanei ogni 100 operatori sanitari e 1,5 esposizioni mucocutanee ogni 100 operatori sanitari, dati pressoché confermati nel 2011.

E’ stato ribadito in un recente Interpello della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri che il ruolo del medico competente nella valutazione del rischio deve essere attivo con una fattiva collaborazione con il datore di lavoro; premesso questo, è fondamentale non considerare mai come inesistente un rischio (articolo 286 quater, comma 1, lettera d) D.lgs.81/08), applicando la legge anche in settori a volte “dimenticati” e su soggetti che operano nella sanità non prettamente inquadrati come operatori sanitari (per esempio personale ausiliario come addetti alle pulizie e alla lavanderia), che sottostanno a un rischio altrettanto importante.

L’adozione di adeguate misure di protezione deve essere particolarmente mirata ai lavoratori a rischio quali:

  • lavoratori disabili,
  • lavoratori immigrati,
  • lavoratori giovani e anziani,
  • donne incinte e madri in allattamento (che devono essere allontanate dall’esposizione al rischio biologico),
  • personale inesperto,
  • addetti alla manutenzione,
  • lavoratori con sistema immunitario compromesso.

Occorre inoltre valutare tutti i rischi aggiuntivi (articolo 286 quater, comma 1, lettera b) D.lgs.81/08) quali ad esempio l’eventuale stress o disagio derivante da eccessivo carico di lavoro o attribuzione di mansioni improprie, da verificare in sede di stesura e aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi e nell’espletamento della sorveglianza sanitaria.

Peraltro è importante anche la valutazione del rischio per terzi che può derivare da una alterazione dello stato di salute psicofisica di un lavoratore e investe numerosi ambiti.

Nell’ambito delle modalità di esposizione inoltre, non bisogna trascurare il rischio da punture ipodermiche o da aghi di sutura, con un rischio di infezione più basso rispetto ad altri incidenti controbilanciato da un maggior numero di occasioni di utilizzo nell’ambito di tali contesti (casi di infezioni da HIV o HCV, sono stati ben documentati e descritti in letteratura).

In questo quadro è di interesse la crescita relativa delle esposizioni in sala operatoria a testimonianza della difficoltà dell’attuazione degli interventi preventivi in quel contesto.

Dopo aver identificato i rischi occorre mettere in atto le misure di protezione e di prevenzione (articolo 286 sexties D.lgs.81/08) attraverso un piano di definizione delle priorità (probabilmente non tutti i problemi possono essere risolti immediatamente), e individuare le persone responsabili di mettere in atto determinate misure e il relativo calendario di intervento, nonché i mezzi assegnati per attuare tali misure.

Le punture accidentali sono in larghissima parte prevenibili attraverso il rispetto delle Precauzioni Standard, l’adozione di dispositivi di sicurezza NDP (Needlestick Prevention Devices) e un adeguato programma di sensibilizzazione, informazione e formazione.

Tutto ciò è possibile implementando varie misure preventive e di protezione quali:

  • soppressione dell’uso non necessario di oggetti taglienti o acuminati;
  • fornitura di dispositivi di recente introduzione che sono in grado, teoricamente, di rimuovere il rischio da patogeni a trasmissione ematica dal luogo di lavoro eliminando la possibilità di ferita con aghi e oggetti taglienti.

In Italia, l’introduzione di questi dispositivi, secondo i dati raccolti dal SIROH, ha dimostrato la possibilità di ridurre del 75% i tassi di esposizione specifici.

Anche in Piemonte, in questi primi anni di parziale e disomogeneo utilizzo, si è evidenziata una riduzione degli incidenti con aghi a farfalla del 40% e con agocannula dell’80%.

E’ importante sottolineare, inoltre che, a differenza dei dispositivi di protezione individuale, un NPD è assimilabile ad una “misura di protezione collettiva” in quanto i benefici ottenuti dall’utilizzo di tali dispositivi sono goduti da tutti gli operatori che potenzialmente potrebbero venire a contatto con il dispositivo utilizzato.

Numerose agenzie internazionali hanno fissato alcuni importanti criteri guida per la corretta definizione e valutazione di un dispositivo per la prevenzione delle punture accidentali:

  • il meccanismo di protezione deve essere preferibilmente attivabile in modo automatico (innesco attivo o passivo) e, comunque, con una sola mano;
  • le mani dell’operatore devono sempre trovarsi dietro la parte acuminata del dispositivo;
  • l’attivazione del meccanismo di protezione deve essere la più precoce possibile;
  • il dispositivo deve essere affidabile, di facile ed intuitivo uso;
  • il meccanismo di protezione deve creare una barriera efficace, permanente e irreversibile tra la parte acuminata del dispositivo e l’operatore;
  • il meccanismo di protezione non può essere disattivato e deve assicurare la sua funzione protettiva anche durante e dopo lo smaltimento;
  • il dispositivo deve essere dotato di un segnale (udibile e/o visibile) che consenta di verificare l’avvenuta attivazione del meccanismo di protezione;
  • il meccanismo di protezione deve essere una parte integrante del dispositivo e non un accessorio;
  • l’utilizzo del dispositivo non deve generare rischi addizionali per la sicurezza (ad esempio rischio di esposizione mucocutanea);
  • il dispositivo non deve in alcun modo compromettere la qualità dell’intervento e la sicurezza per il paziente.

Sussiste la problematica relativa al maggior costo, destinato comunque a diminuire nel tempo, che quasi tutti i NPD hanno rispetto al dispositivo convenzionale; sicuramente sono utili le gare regionali, per evitare la diversità di costi per vari presidi; comunque numerose esperienze dimostrano che la prevenzione delle punture accidentali è economicamente praticabile e vantaggiosa (il saldo tra costo della prevenzione e costo della gestione delle esposizioni percutanee è attivo); infatti, ogni infortunio ha sia costi diretti, quali prelievi, visite, profilassi, sia indiretti, come le ore di lavoro impiegate per la notifica e i controlli, il costo del personale coinvolto, ecc.

Oltre al problema dei costi, sussistono problemi nella scelta del dispositivo adatto e della strategia migliore da adottare per la sua implementazione.

Il principale ostacolo a un corretto utilizzo e conseguentemente a una piena efficacia dei NPD sembra infatti risiedere nell’addestramento insufficiente degli operatori; a questo proposito European Biosafety Network ha realizzato un sito dedicato al problema:

www.europeanbiosafetynetwork.eu/resources

Tra le misure di prevenzione risultano fondamentali inoltre: l’applicazione di sistemi di lavoro sicuri, l’attuazione di procedure di utilizzo e di eliminazione sicure di dispositivi medici taglienti, il divieto della pratica di reincappucciamento degli aghi, l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale, ormai ben accettato dagli operatori.

I datori di lavoro e i rappresentanti dei lavoratori devono consultarsi in merito ai programmi di formazione e addestramento, alla modifica di pratiche operative e alla scelta dei dispositivi di sicurezza.

Le componenti fondamentali di un buon programma di prevenzione e protezione sono la valutazione dei rischi nell’ambito specifico, la sensibilizzazione, informazione e formazione degli operatori sanitari sui rischi associati che accrescano in essi la percezione del rischio nel lavoro quotidiano, sull’importanza di attenersi alle procedure di sicurezza, sull’uso efficace degli strumenti di protezione, sulla necessità di segnalare ogni evento; necessari l’addestramento, l’applicazione delle Precauzioni Standard e delle “pratiche di iniezione sicure” (safe injection practices), l’adozione e l’utilizzo di aghi e dispositivi incorporanti una protezione messi a disposizione dall’evoluzione tecnologica; inoltre deve essere dato molto spazio all’obbligo della notifica di infortunio per permettere un’analisi epidemiologica attendibile e a fini medico legali.

Devono essere diffuse le procedure post infortunio, comprese le tempistiche per la profilassi anti HIV, che devono essere avviate entro quattro ore dall’esposizione; la formazione deve essere implementata con refresh delle procedure a tutti i lavoratori, specialmente a quelli “ itineranti” come gli studenti in tirocinio, che svolgono la loro attività in ambiti ospedalieri differenti.

E’ importante avviare processi formativi differenziati per dirigenti, preposti, lavoratori e non trascurare di inviare sistematicamente le procedure ai coordinatori e direttori, diffondendo materiale informativo su intranet, dotando il personale di materiale informativo.

E’ inoltre infine indispensabile informare sulla possibilità di vaccinazione per l’epatite B per i pochi non vaccinati e sull’opportunità di richiamo per i soggetti non responder.

E’ assodata l’importanza dell’esecuzione dei controlli sierologici sull’operatore infortunato, variabili per tipo e periodismo in base allo stato sierologico del sangue del paziente fonte di infortunio; in caso di fonte sconosciuta , i controlli devono essere eseguiti come se il paziente fosse positivo sia per HCV che HBV e HIV; invece, per quanto riguarda la sorveglianza sanitaria periodica, indicazioni regionali e la letteratura nazionale e internazionale ritengono non giustificata l’esecuzione routinaria dei marcatori virali di infezioni ematogene occupazionali in assenza di eventi infortunistici, nell’ottica di una sorveglianza mirata esclusivamente al lavoratore; ma poiché le procedure invasive condizionano un rischio di trasmissione di virus anche da operatore a paziente, pare opportuna una sorveglianza in tal senso.

La revisione dei casi di trasmissione di HIV, HBV e HCV da operatore sanitario a paziente, segnalati in letteratura, evidenzia che, dal 1972, sono stati riportati 50 casi di Operatori Sanitari infetti (la maggior parte chirurghi), che hanno trasmesso l’infezione a circa 500 pazienti.

Inoltre, sono stati segnalati tre casi di lavoratori che hanno trasmesso l’HIV (8 pazienti infettati) e otto casi di HCV (18 pazienti infettati).

Inoltre, è auspicabile una sorveglianza periodica finalizzata anche alla ricerca di situazioni di forte suscettibilità individuale alle infezioni (per esempio condizioni di immunodepressione) che conduca a sconsigliare l’adibizione a mansioni a rischio.

La normativa attuale, relativamente alla sorveglianza sanitaria concede poco spazio di intervento in quanto rivolge l’attenzione del medico competente esclusivamente alla tutela dal lavoratore e non alla tutela della salute di terzi, eccetto che per controlli mirati all’alcol-dipendenza e al consumo di sostanze stupefacenti; ma il medico competente deve necessariamente occuparsi anche della tutela della salute e della sicurezza delle collettività, sia nell’esercizio delle sue funzioni, sia in considerazione del suo ruolo di promotore della salute, prescritto dal D.lgs.81/08 e di consulente globale, auspicato dalle associazioni di settore.

Il fatto che la tutela dei lavoratori rischiosi per altri coinvolga inevitabilmente interessi legittimi e contrapposti fa sorgere dilemmi etici che comunque non possono, alla fine, che privilegiare la salute del singolo e della collettività rispetto ad altre problematiche; il giudizio di idoneità dovrà comunque sempre tener conto anche del diritto al lavoro e alla salvaguardia della professionalità.

Il programma SIROH ha sviluppato raccomandazioni nazionali ed europee per la gestione delle esposizioni ad HIV, HBV e HCV (trasmissione paziente-operatore e operatore-paziente), inclusa la profilassi con antiretrovirali in caso di esposizione a rischio con HIV positivi o soggetti sierologicamente non noti ma fortemente a rischio.

Le procedure di monitoraggio richieste sono molto analitiche e non si limitano quindi alla semplice compilazione, ricalcando sostanzialmente il modello SIOP SIROH.

In una strategia di riduzione del rischio di trasmissione ematica un ruolo centrale assume la vaccinazione anti HBV che dovrebbe essere eseguita, se non effettuata in precedenza (per le nuove generazioni è obbligatoria nel primo anno di vita), all’inizio del percorso formativo o all’atto dell’assunzione; è importante la valutazione dell’avvenuta immunizzazione attraverso il controllo post vaccinazione (da eseguirsi a cura del medico competente), il monitoraggio degli eventuali non responders e di coloro che rifiutano la vaccinazione, con particolare attenzione per questi soggetti della formulazione del giudizio di idoneità specifico alla mansione.

La disponibilità di un vaccino efficace sia come prevenzione che nella gestione post-esposizione ha profondamente modificato la situazione epidemiologica; l’Italia è oggi un paese a bassa endemia (la prevalenza stimata di soggetti HBsAg positivi è al di sotto dell’1%) e pur persistendo un pericolo di esposizione a fonte HBV positiva (soggetti portatori) l’infezione occupazionale è divenuta un evento raro.

Anche il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2012-2014 ne promuove l’esecuzione su tutti gli operatori suscettibili possibilmente prima dell’inizio dell’attività a rischio; in caso di esposizione a rischio già avvenuta è possibile una vaccinazione rapida a 4 dosi; in caso di soggetti non responders (4-5% dei vaccinati) possono essere ripetuti richiami fino al numero totale di sette dosi; nel protocollo di sorveglianza è utile inserire un controllo che attesti l’avvenuta sieroconversione per avere la certezza dell’instaurazione della memoria immunologica, che permetterà di non eseguire più ulteriori richiami.

E’ quindi necessario un intervento corale e multidisciplinare per la prevenzione delle punture da ago e dalle lesioni da taglienti, ponendo l’attenzione su problematiche spesso sottovalutate o valutate superficialmente, tendendo alla omogeneizzazione sul territorio nazionale e europeo con un target in ascesa, aumentando l’attenzione verso la sorveglianza sanitaria a rischio biologico emotrasmesso e soprattutto sulle misure di prevenzione, responsabilizzando datori di lavoro e dirigenti, sanzionati in caso di mancata ottemperanza della legge.

Infatti il mancato impiego delle risorse e delle tecnologie disponibili per la riduzione delle esposizioni occupazionali individua gravi profili di responsabilità civile e penale, sia a carico dei diversi preposti e responsabili sia a carico dell’organizzazione nel suo insieme.

Per questo è indispensabile la corretta e puntuale notifica e un successivo monitoraggio per l’individuazione di adeguate misure di prevenzione; la registrazione e l’analisi delle cause di ogni infortunio dovrà infatti essere utilizzata per rivalutare ogni procedura per permettere di risolvere ogni possibile criticità.

Roberto Arione, Fabrizio Meliga, Antonella Spigo (Città della salute)

Carla Maria Zotti (Università di Torino)

Pier Angelo Argentero (Ospedali Riuniti Rivoli)

 

Fonte “Io scelgo la sicurezza”

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/140902_Reg_Piemonte_io_scelgo_la_sicurezza_2.pdf

 

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PROFILI DI RISCHIO NELL’INDUSTRIA MECCANICA: ADDETTO ALLA TORNITURA

 

Da: PuntoSicuro

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22 settembre 2014

 

La tutela della salute e sicurezza dell’addetto alla tornitura nell’industria meccanica. I principali fattori di rischio, le macchine utilizzate, le misure di prevenzione, i rischi infortunistici e la dotazione richiesta per la sicurezza delle macchine.

 

Nell’industria meccanica l’addetto alla tornitura è il lavoratore specializzato nell’utilizzo del tornio, una macchina per la lavorazione di pezzi meccanici con asportazione di truciolo, caratterizzata dal moto rotatorio impresso al pezzo in lavorazione e dal moto traslatorio impresso all’utensile. Un’attività che, come vedremo, è soggetta a vari rischi, non solo quelli correlati all’utilizzo del tornio.

Per poter dare informazioni sulla tutela della sicurezza e salute dell’addetto alla tornitura, presentiamo una scheda correlata alla ricerca INAIL “Profili di rischio nei comparti produttivi dell’artigianato, delle piccole e medie imprese e pubblici esercizi: Industrie Meccaniche”.

 

Nella scheda SPR 16 “Addetto alla tornitura”, si indica che le attività principali di tale addetto sono in realtà differenti in base al tipo di tornio utilizzato:

  • macchine semiautomatiche: esaminare i disegni che specificano le dimensioni del pezzo da realizzare; selezionare velocità e tipo di utensile, fissare il pezzo da lavorare sul mandrino, avviare la macchina; lavorare il pezzo in movimento producendo le forme e le superfici desiderate; effettuare la manutenzione dei macchinari;
  • macchine a controllo numerico: esaminare i disegni che specificano le dimensioni del pezzo da realizzare; programmare la macchina, fissare il pezzo da lavorare sul mandrino, avviare la macchina e controllare la lavorazione; effettuare la manutenzione dei macchinari.

Si segnala che qualora in azienda sia presente un addetto con mansione specifica di programmatore di centri di lavoro a controllo numerico (utilizzo di programmi CAD) si dovrà tener conto dell’esposizione a videoterminale solo se questa supera le 20 ore settimanali.

Questi i fattori di rischio connessi alla professione di addetto alla tornitura:

  • traumi, lacerazioni, contusioni, ferite, schiacciamenti provocati dal contatto con organi in movimento delle macchine, impigliamenti e trascinamenti con gli organi di lavoro, cadute e scivolamenti;
  • lesioni agli occhi e al corpo causate dalla proiezione di frammenti e dalla caduta durante l’attrezzaggio e la lavorazione;
  • elettrocuzione o ustioni causate dal contatto con parti in tensione delle macchine;
  • lesioni a carico dell’apparato uditivo (ipoacusia, perdita dell’udito) causate dall’elevato rumore;
  • patologie dovute alle vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio;
  • lombalgie e traumi al rachide dovuti alle vibrazioni trasmesse al corpo intero (vibrazioni trasmesse dalle macchine/impianti a terra);
  • intossicazione, malattie respiratorie, dermatologiche dovute rispettivamente a inalazione e contatto di prodotti chimici;
  • lesioni a carico dell’apparato muscolo-scheletrico causate da lavoro ripetitivo e dalla movimentazione manuale dei carichi.

 

Senza dimenticare che tra le macchine/impianti utilizzati nel processo di lavoro spesso non c’è solo il tornio, ma anche apparecchi di sollevamento (smontaggio/montaggio utensili e pezzo da lavorare di dimensioni e peso elevati), elettroutensili (trapani, avvitatori, smerigliatrici per attrezzaggio e manutenzione ordinaria), utensili manuali e saldatrice.

Dopo aver descritto le principali materie/sostanze utilizzate o sviluppate nel processo di lavoro (polveri e trucioli di metallo, fluidi lubro-refrigeranti, oli esausti raccolti, grasso, prodotti disincrostanti, ecc.), la scheda presenta i vari rischi di infortunio, rischi fisici (rumore, vibrazioni, ecc.), rischi chimici e biologici e i fattori ergonomici, psicosociali e organizzativi.

Ci soffermiamo sui rischi infortunistici e sulle misure di prevenzione correlate:

  • mantenere i pavimenti dei luoghi di lavoro fissi, stabili e antisdrucciolevoli, nonché esenti da cavità o piani inclinati pericolosi;
  • mantenere l’area di lavoro in ordine ed evitare l’accumulo di materiale che possa intralciare i movimenti dell’operatore;
  • dotare gli ambienti di lavoro di sufficiente illuminazione naturale e/o artificiale;
  • definire gli spazi per lo stoccaggio dei pezzi (da magazzino) strettamente necessari alla lavorazione e dei contenitori per la raccolta del prodotto lavorato (in seguito trasportato in magazzino o in altro reparto)
  • collocare le macchine utensili progettando gli spazi di movimento;
  • prevedere idonee procedure e istruzioni operative per l’approvvigionamento del materiale dal magazzino ai reparti di produzione al fine di evitare un’interferenza con le attività di reparto e ribaltamenti;
  • prevedere idonee procedure e istruzioni operative per l’attrezzaggio di impianti e macchine e per tutte le operazioni di manutenzione (apparecchi ausiliari di sollevamento per facilitare montaggio e smontaggio di pezzi pesanti);
  • prevedere idonee procedure e istruzioni operative per il corretto posizionamento del pezzo oggetto della lavorazione all’utensile;
  • verificare che le macchine marcate CE siano dotate dei requisiti essenziali di sicurezza di cui alla Direttiva Macchine (D.Lgs.17/10);
  • verificare che le macchine non marcate CE siano adeguate a quanto indicato nell’allegato V del D.Lgs 81/08;
  • in qualsiasi situazione e in particolare in caso di inceppamento della macchina, vietare la rimozione delle protezioni, prima di aver messo la macchina fuori servizio e prima di averla isolata dalla rete elettrica;
  • fare indossare tute aderenti con bottoni e zip al collo, senza tasche sul petto e con maniche abbottonate ai polsi;
  • fare legare i capelli;
  • evitare che gli operatori indossino anelli, bracciali, collane;
  • verificare la sicurezza di apparecchiature elettriche prima del loro utilizzo;
  • sottoporre attrezzature elettriche difettose o che presentano anomalie sospette a ispezione ed eventuale riparazione da parte di un tecnico elettricista qualificato;
  • mantenere i cavi elettrici in ordine;
  • dotare l’ambiente di lavoro di idonea segnaletica di sicurezza;
  • vietare l’accesso alle persone non autorizzate;
  • progettare in modo adeguato le vie di circolazione per veicoli e pedoni al fine di evitare investimenti, incidenti tra mezzi e ribaltamenti.

Come sopra detto, occorre verificare che le attrezzature siano dotate dei requisiti essenziali di sicurezza di cui alla Direttiva Macchine o di cui all’allegato V del D.Lgs.81/08.

Le attrezzature devono essere così dotate:

  • protezione degli organi di trascinamento del pezzo: deve essere costituita da un riparo contornante il mandrino, dotato di interblocco; tale interblocco potrà anche essere escludibile mediante selettore a chiave estraibile, da custodirsi a cura del preposto;
  • protezione della zona di lavoro dell’utensile: deve essere costituita da uno schermo in grado di riparare dalla proiezione di trucioli e liquidi e di proteggere dal contatto con parti salienti del pezzo in rotazione;
  • protezione della barra orizzontale di avanzamento rapido: nei casi in cui detto organo risulti facilmente accessibile dovrà essere realizzata una adeguata protezione (ad esempio a cannocchiale o a soffietto);
  • protezione della zona posteriore del tornio: deve essere costituita da un riparo fisso, necessario quando la macchina risulta dislocata in vicinanza di un’altra postazione fissa di lavoro, o di zone destinate al transito di personale in genere;
  • protezione degli organi di comando dagli azionamenti accidentali: deve essere costituita da leve a doppio innesto, o da dispositivi di pari efficacia;
  • organi di arresto d’emergenza: sono costituiti dal pulsante “a fungo” di colore rosso, o da una barra cosiddetta “di arresto”, che devono essere posti a facile portata, e che devono porre la macchina in condizione di arresto nel più breve tempo possibile, tramite dispositivi in grado di esaurire immediatamente l’inerzia residua;
  • protezione contro il riavviamento automatico: deve essere realizzata da un dispositivo di “minima tensione”, atto a impedire l’automatico riavviamento della macchina, a seguito del ripristino della corrente elettrica, una volta determinatasi l’interruzione della stessa;
  • volantini di manovra: devono essere svincolabili dal sistema di trasmissione, oppure lisci, ad anima piena e con impugnatura ripiegabile;
  • protezione dell’accesso alla zona trasmissione moto rotazione: lo sportello d’accesso dovrà essere o di tipo apribile solo con l’uso di chiave oppure amovibile dotato di interblocco;
  • illuminazione della zona di lavoro: deve essere orientabile, e avere idonea protezione contro l’eventuale proiezione di schegge dell’elemento illuminante; per quanto riguarda l’intensità della luminosità devono essere assicurati valori adeguati a salvaguardare la sicurezza ed il benessere dei lavoratori;
  • fine corsa per contropunta: deve essere presente un fermo meccanico di fine corsa che impedisca la fuoriuscita della contropunta dalle guide;
  • caduta di oggetti eventualmente presenti sulla “testa” del tornio: occorre predisporre un sistema di trattenuta degli oggetti appoggiati sulla “testa” del tornio (ad esempio bordino rialzato perimetrale alla zona di appoggio);
  • sistema di raccolta e contenimento: la macchina deve essere dotata di un idoneo sistema di raccolta e contenimento dei trucioli e del liquido refrigerante, atto a evitare il più possibile lo spandimento all’esterno.

Il documento “Profili di rischio nei comparti produttivi – SPR16 Addetto alla tornitura” dell’INAIL è scaricabile all’indirizzo:

http://www.ispesl.it/profili_di_rischio/Industrie_meccaniche/ALLEGATI%20CAP.%205/3_RACCOLTA%20SCHEDE%20MANSIONE/SCHEDA%2016_ADDETTO%20ALLA%20TORNITURA.pdf

 

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I CONTROLLI SUGLI APPARECCHI DI SOLLEVAMENTO MATERIALI

 

Da: PuntoSicuro

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23 settembre 2014

 

Gli obblighi del datore di lavoro in relazione ai controlli sugli apparecchi di sollevamento materiali in fase d’installazione e durante il loro utilizzo. Il panorama normativo e gli interventi di controllo periodici e straordinari.

 

Un alto grado di rischio nei cantieri edili è correlato all’utilizzo delle attrezzature di lavoro, ad esempio degli apparecchi di sollevamento, apparecchi a funzionamento discontinuo destinati a sollevare e movimentare nello spazio carichi sospesi mediante gancio o altri organi di presa.

E sappiamo come la sicurezza di queste macchine e delle attività di lavoro correlate dipenda non solo dal loro uso corretto, ma anche da un’idonea manutenzione, controllo e verifica. Il datore di lavoro deve non solo mettere a disposizione dei suoi lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza, ma deve anche assicurarne il mantenimento nel tempo del buono stato di conservazione e dell’efficienza.

Per affrontare il tema della gestione degli apparecchi di sollevamento riprendiamo la presentazione del convegno INAIL “Macchine e attrezzature di lavoro: i controlli del datore di lavoro sugli apparecchi di sollevamento materiali” (17 ottobre 2013, Bologna) soffermandoci brevemente sull’intervento “Il panorama normativo: gli obblighi del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 71, comma 8” a cura dell’ingegner Luigi Monica (INAIL).

 

Riguardo ai controlli del datore di lavoro sugli apparecchi di sollevamento materiali l’intervento ricorda che l’articolo 71, comma 8 del D.Lgs.81/08 stabilisce che il datore di lavoro, fermo restando quanto disposto al comma 4, deve provvedere “ad assicurare i controlli necessari al mantenimento nel tempo del buono stato di conservazione e dell’efficienza delle attrezzature di lavoro, attenendosi alle indicazioni fornite dai fabbricanti o, in assenza di queste, alle pertinenti norme tecniche o dalle buone prassi o da linee guida”.

Vediamo cosa riportano precisamente i due commi citati dell’articolo 71.

Articolo 71 – Obblighi del datore di lavoro

[…]

“4. Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché:

  1. a) le attrezzature di lavoro siano:

1) installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso;

2) oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza di cui all’articolo 70 e siano corredate, ove necessario, da apposite istruzioni d’uso e libretto di manutenzione;

3) assoggettate alle misure di aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza stabilite con specifico provvedimento regolamentare adottato in relazione alle prescrizioni di cui all’articolo 18, comma1, lettera z);

  1. b) siano curati la tenuta e l’aggiornamento del registro di controllo delle attrezzature di lavoro per cui lo stesso è previsto”.

[…]

“8. Fermo restando quanto disposto al comma 4, il datore di lavoro, secondo le indicazioni fornite dai fabbricanti ovvero, in assenza di queste, dalle pertinenti norme tecniche o dalle buone prassi o da linee guida, provvede affinché:

  1. a) le attrezzature di lavoro la cui sicurezza dipende dalle condizioni di installazione siano sottoposte a un controllo iniziale (dopo l’installazione e prima della messa in esercizio) e ad un controllo dopo ogni montaggio in un nuovo cantiere o in una nuova località di impianto, al fine di assicurarne l’installazione corretta e il buon funzionamento;
  2. b) le attrezzature soggette a influssi che possono provocare deterioramenti suscettibili di dare origine a situazioni pericolose siano sottoposte:

1) ad interventi di controllo periodici, secondo frequenze stabilite in base alle indicazioni fornite dai fabbricanti, ovvero dalle norme di buona tecnica, o in assenza di queste ultime, desumibili dai codici di buona prassi;

2) ad interventi di controllo straordinari al fine di garantire il mantenimento di buone condizioni di sicurezza, ogni volta che intervengano eventi eccezionali che possano avere conseguenze pregiudizievoli per la sicurezza delle attrezzature di lavoro, quali riparazioni trasformazioni, incidenti, fenomeni naturali o periodi prolungati di inattività.

  1. c) Gli interventi di controllo di cui ai lettere a) e b) sono volti ad assicurare il buono stato di conservazione e l’efficienza a fini di sicurezza delle attrezzature di lavoro e devono essere effettuati da persona competente”.

Al di là del Testo Unico il relatore si sofferma anche su altri elementi del panorama legislativo di riferimento:

  • la Direttiva 2009/104/CE relativa ai requisiti minimi di sicurezza e di salute per l’uso delle attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori durante il lavoro (seconda Direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 89/391/CEE): l’articolo 5 è dedicato alla verifica delle attrezzature di lavoro;
  • il D.Lgs.17/10 (Recepimento della Direttiva Macchine 2006/42/CE): ad esempio con riferimento all’articolo 3 (Immissione sul mercato e messa in servizio) e all’Allegato I (Requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute relativi alla progettazione e alla costruzione delle macchine).

Riguardo poi ai controlli in fase d’installazione sugli apparecchi di sollevamento materiali ricorda che (come richiesto dall’articolo 71) le attrezzature di lavoro la cui sicurezza dipende dalle condizioni di installazione devono essere sottoposte a un controllo iniziale (dopo l’installazione e prima della messa in esercizio) e a un controllo dopo ogni montaggio in un nuovo cantiere o in una nuova località di impianto, al fine di assicurarne l’installazione corretta e il buon funzionamento.

Inoltre:

  • per gli apparecchi di sollevamento di tipo fisso i controlli in fase di installazione devono ritenersi comunque già soddisfatti trattandosi di macchine già in servizio;
  • per gli apparecchi di sollevamento di tipo mobile i controlli in fase di installazione si ritengono non pertinenti, dal momento che per tale tipologia non è prevista una fase di installazione.

E sempre con riferimento al comma 8 dell’articolo 71 e ai controlli sugli apparecchi di sollevamento materiali durante il loro utilizzo, si segnala che gli apparecchi di sollevamento materiali sono attrezzature di lavoro soggette a influssi che possono provocare deterioramenti suscettibili di dare origine a situazioni pericolose è devono quindi essere sottoposti a due tipologie di controllo.

Le attrezzature, sempre con riferimento agli apparecchi di sollevamento, devono essere sottoposte a interventi di controllo periodici, con frequenze stabilite in base alle indicazioni fornite dai fabbricanti, norme di buona tecnica, codici di buona prassi.

Ad esempio l’intervento riprende quanto riportato in alcune norme tecniche (ISO 9927 e ISO 12482-1) in merito alla tipologia di controllo:

  • Ispezione Giornaliera: ispezione condotta giornalmente dal conduttore di gru o dall’imbracatore prima di iniziare le operazioni di sollevamento; consiste in un’ispezione visiva o in test funzionali;
  • Ispezione Frequente: ispezione condotta sulla base della frequenza e della severità di utilizzo dell’attrezzatura e dell’ambiente di lavoro, entro intervalli di tempo non superiori a tre mesi (a meno di periodi di inattività);
  • Ispezione Periodica: ispezione condotta sulla base dell’ambiente di lavoro, della frequenza e della severità di utilizzo dell’attrezzatura, entro intervalli di tempo non superiori a 12 mesi (a meno di periodi di inattività).

Gli apparecchi di sollevamento devono poi essere soggetti ad interventi di controllo straordinari:

  • Ispezione Eccezionale: ispezione condotta a seguito di eventi eccezionali (condizioni ambientali estreme, terremoti, utilizzo in condizioni di sovraccarico, collisione con altre strutture), che risulta abbiano provocato danni alla gru, riparazioni a seguito di danneggiamenti o modifiche (della portata, della struttura portante o dei suoi componenti, del sistema di comando, ecc.); tale ispezione è volta a garantire che non si verifichino scostamenti dalle condizioni di sicurezza della gru. Tale controllo dovrebbe essere condotto da un ispettore di gru;
  • Verifica Speciale: indagine approfondita volta a valutare la vita residua dell’attrezzatura, condotta da persona competente/ingegnere esperto: almeno dopo 10 anni dalla data di fabbricazione per gru a torre, gru mobili e gru caricatrici, oppure almeno dopo 20 anni dalla data di fabbricazione per le altre tipologie di apparecchi di sollevamento, oppure nei casi in cui si riveli un aumento della frequenza di malfunzionamenti della gru e dall’ispezione periodica risulti un significativo deterioramento della macchina, oppure nel caso in cui il datore di lavoro acquisti una gru usata per la quale non risulta possibile stabilire il precedente regime di utilizzo (in tal caso tale controllo dovrà essere condotto al massimo entro 12 mesi dalla messa in servizio).

L’intervento si conclude segnalando che l’INAIL, con il supporto di associazioni di categoria e altre istituzioni, sta predisponendo una guida all’applicazione delle norme tecniche pertinenti e/o di buone prassi che definisce gli interventi da intraprendere sugli apparecchi di sollevamento.

Il documento “Il panorama normativo: gli obblighi del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 71, comma 8” a cura dell’ingegner Luigi Monica (INAIL), intervento al convegno “Macchine e attrezzature di lavoro: i controlli del datore di lavoro sugli apparecchi di sollevamento materiali” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/140919_INAIL_obblighi_DDL_apparecchi_sollevamento.pdf

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