SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 280 DEL 16/05/17

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 280 DEL 16/05/17

INDICE

– L’aumento dell’orario di lavoro e il lavoro notturno

– A un anno dalla scomparsa, in ricordo di Luigi Mara

– La sicurezza e i requisiti delle macchine utensili

– La prevenzione e riduzione del rischio elettrico nei luoghi di lavoro

– Le proposte in materia di sicurezza: introdurre il reato di mobbing

– Campi elettromagnetici: i rischi delle antenne per telecomunicazioni

– Imparare dagli errori: rischio elettrico e manutenzione

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

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L’AUMENTO DELL’ORARIO DI LAVORO E IL LAVORO NOTTURNO

LE CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.80

Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne fanno richiesta, su tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di richieste e devo dire che per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire con le mie risposte a fare chiarezza sui diritti dei lavoratori.

Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che hanno la pazienza di leggere le mie newsletters, queste consulenze.

Esse trattano di argomenti vari sulla materia e possono costituire un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a che fare con casi simili o analoghi.

Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza ometterò il nome delle persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende coinvolte.

Marco Spezia

QUESITO

Ciao Marco,

sono RLS in una residenza sanitaria assistenziale per anziani.

Siamo turnisti e da tre mesi ci hanno allungato l’orario del turno di notte a 9 nove ore.

Io ho letto il DVR e c’é scritto che siccome il lavoro notturno é causa di stress da lavoro correlato la direzione non aumenterà l’orario oltre le 7 ore e 30.

E invece lo hanno fatto.

Dammi un consiglio.

Grazie di esistere.

RISPOSTA

Ciao.

La normativa che in Italia regola l’orario di lavoro in generale e quello notturno in particolare, è il D.Lgs. 66/03 (Attuazione delle Direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro) e successive modifiche e integrazioni.

In particolare tutto il Capo IV di tale Decreto regolamenta il lavoro notturno.

In merito alla durata massima del lavoro notturno, il D.Lgs. 66/03 è molto chiaro e impone all’articolo 13, comma 1 che:

L’orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore in media nelle ventiquattro ore, salva l’individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite”.

Tale obbligo a carico del datore di lavoro è sanzionato penalmente dall’articolo 18-bis del D.Lgs. 66/03.

Pertanto, al di là di qualunque altra considerazione in merito, la proposta fatta dalla tua azienda di portare il lavoro notturno a nove ore, è contraria all’obbligo disposto dal D.Lgs. 66/03 e quindi non attuabile.

In ogni caso, se la tua azienda dovesse stabilire un aumento dell’orario di lavoro notturno, rimanendo comunque al di sotto delle otto ore sancite dal D.Lgs. 66/03, essa dovrebbe attuare degli specifici obblighi relativi alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, così come definiti dal D.Lgs. 81/08 (Testo Unico sulla Sicurezza), come nel seguito riportati.

Tali obblighi, nel caso da te citato, sono sostanzialmente:

impossibilità di aumentare i fattori di rischio per i lavoratori;

obbligo di definire a seguito della valutazione del rischio interventi di miglioramento per la salute e la sicurezza;

aggiornamento del documento di valutazione dei rischi che tenga conto della modifica organizzativa legata all’aumento dell’orario di lavoro notturno;

consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza in merito alle modifiche che l’azienda intende intraprendere.

Nel dettaglio ti riporto a seguire le fonti normative di tali obblighi.

Il D.Lgs. 81/08 prevede tra i principi generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori la costante riduzione dei fattori di rischio fino alla loro eventuale e se possibile eliminazione.

Infatti tra le “Misure generali di tutela” elencate all’articolo 15, comma 1 del D.Lgs. 81/08 sono riportate, rispettivamente alle lettere c) e t):

“[…];

  1. c) l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;

[…];

  1. t) la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, anche attraverso l’adozione di codici di condotta e di buone prassi;

[…]”.

Tali principi generali non costituiscono però obblighi legislativi, in quanto il loro mancato adempimento da parte del datore di lavoro di una azienda non è sanzionato.

Tali principi diventano però obblighi ai sensi della definizione e delle modalità di esecuzione della valutazione dei rischio (obbligo non delegabile da parte del datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 81/08), processo che deve portare alla formalizzazione di un Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) le cui modalità di esecuzione e i cui contenuti sono definiti in maniera chiara dal D.Lgs. 81/08.

Innanzitutto l’articolo 28, comma 1 del D.Lgs. 81/08 impone che:

La valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o delle miscele chimiche impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori […], tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato […] e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza […], nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro […]”.

Quindi nel DVR (con particolare riferimento al caso da te segnalato) devono essere analizzati e valutati “tutti” i rischi per la salute e la sicurezza, compreso quelli correlati allo stress lavoro correlato, e quelli correlati alla tipologia contrattuale con cui viene resa la prestazione di lavoro e quindi anche all’orario di lavoro.

Il D.Lgs. 81/08 stabilisce poi in maniera esplicita che il DVR deve contenere anche un programma di interventi finalizzato alla riduzione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, così come emergono dal DVR stesso.

Infatti l’articolo 28, comma 2, comma c) del D.Lgs. 81/08 impone che:

Il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), redatto a conclusione della valutazione […] deve […] contenere:

[…]

  1. c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;

[…]”.

Pertanto a seguito di quanto sopra, il datore di lavoro è obbligato, a seguito della valutazione dei rischi eseguita, a definire misure concrete di miglioramento continuo dei livelli di salute e sicurezza.

Il DVR non può poi essere un documento statico, definito una volta per tutte e non più modificabile, ma deve essere uno strumento dinamico che si adegui (oltre alle innovazioni nella tecnica della prevenzione) alle mutazioni tecniche e organizzative dell’azienda a cui è riferito.

Infatti l’articolo 29, comma 3 del D.Lgs. 81/08 impone che:

La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata […] in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori […]. A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione debbono essere aggiornate […]”.

Pertanto, nel caso di modifiche significative, come quelle da te segnalate (aumento delle ore lavorate durante la notte), il datore di lavoro è tenuto a rielaborare il DVR in relazione ai rischi correlati alle modifiche all’organizzazione e se, (come in questo caso) i rischi aumentano (l’aumento dell’orario di lavoro notturno comporta un maggiore affaticamento psico-fisico del lavoratore coinvolto e un maggiore stress lavoro-correlato), il datore di lavoro deve adottare specifiche e ulteriori misure di prevenzione e protezione per riportare i rischi ai livelli precedenti alle mutazioni organizzative o, eventualmente a livelli inferiori.

Di tutto questo processo (redazione del DVR e sua modifica a seguito di variazioni organizzative, deve essere consultato il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), eletto o designato dai lavoratori, come imposto dall’articolo 29, comma 2 del D.Lgs. 81/08:

Le attività di cui al comma 1 [valutazione dei rischi ed elaborazione del DVR] sono realizzate previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza”.

Inoltre, al termine di redazione del DVR, esso deve essere consegnato al RLS per sua consultazione e sue osservazioni, come imposto dall’articolo 18, comma 1, lettera o)

Il datore di lavoro […] e i dirigenti […] devono:

[…]

  1. o) consegnare tempestivamente al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, su richiesta di questi e per l’espletamento della sua funzione, copia del documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) [DVR]; […] il documento è consultato esclusivamente in azienda;

[…]”

A sua volta il RLS ha diritto di segnalare i rischi che egli ritiene derivino dalle variazioni organizzative, richiedere specifici interventi di miglioramento e, in caso di mancata risposta in merito da parte dell’azienda, segnalare le difformità alla normativa agli Organi di vigilanza (ASL Servizio Prevenzione Salute e Sicurezza sul Lavoro); ciò è sancito dalle seguenti lettere dell’articolo 50, comma 1:

Fatto salvo quanto stabilito in sede di contrattazione collettiva, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza:

[…];

  1. h) promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori;

[…];

  1. m) fa proposte in merito alla attività di prevenzione;
  2. n) avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività;
  3. o) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro”.

Tutti gli obblighi a carico del datore di lavoro contenuti nel D.Lgs. 81/08 e sopra citati sono sanzionati penalmente dall’articolo 55 del D.Lgs. 81/08 stesso.

Il mancato adempimento di tali obblighi, se accertato (anche su richiesta di intervento da parte del RLS), da parte della ASL, costituisce pertanto reato penale, che prevede sanzione penale (pecuniaria) e prescrizione per il loro adempimento.

Riassumo quindi quanto sopra esposto:

non è possibile estendere l’orario di lavoro notturno oltre le otto ore giornaliere;

in ogni caso a ogni variazione organizzativa che ha ricadute sulla salute e/o sulla sicurezza dei lavoratori, il DVR deve essere aggiornato, con preventiva consultazione dei RLS;

la politica aziendale della sicurezza deve mirare al costante miglioramento delle condizioni di lavoro per i lavoratori in termini di salute e sicurezza;

per tutti i rischi presenti (compresi quello da orario di lavoro notturno e da stress lavoro correlato) deve essere definito all’interno del DVR un piano di miglioramento;

non è possibile, a seguito di variazioni organizzative, peggiorare i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori;

a fronte della variazione organizzativa, il RLS hai il diritto di segnalare alla azienda ( e se necessario agli Organi di vigilanza) i rischi che tale variazione comporta.

Sulla base di quanto sopra ti consiglio di:

segnalare al datore di lavoro l’obbligo di limitare a otto ore l’orario di lavoro notturno;

in ogni caso richiedere al datore di lavoro l’aggiornamento del DVR;

segnalare al datore di lavoro l’aumento dei rischi da aumento del lavoro notturno e da aumento dello stress lavoro correlato per i lavoratori;

richiedere al datore di lavoro quali misure di prevenzione e protezione intende adottare per fare fronte all’aumento di rischi derivante dall’incremento della durata del lavoro notturno.

A disposizione per ulteriori chiarimenti.

Marco

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A UN ANNO DALLA SCOMPARSA, IN RICORDO DI LUIGI MARA

Da: Medicina Democratica

http://www.medicinademocratica.org

12 maggio 2017

Pubblichiamo la nota del Centro per la Salute Giulio Maccacaro a un anno dalla scomparsa di Luigi Mara.

E’ un anno dalla morte di Luigi Mara, un compagno che vogliamo tornare a ricordare per lo straordinario contributo che ha dato alla lotta per la salute in fabbrica. Un tema che sentiva profondamente: suo padre era morto per un incidente sul lavoro alla Montecatini di Castellanza, lo stesso stabilimento dove lui stesso era entrato quattordicenne e dove, per un nuovo incidente, aveva perso le braccia.

Nei primi anni ‘60, da iscritto alla CGIL, ha iniziato a occuparsi della salute e della prevenzione sui luoghi di lavoro. Forza gli spazi della contrattazione sindacale ed elabora, in linea con le avanguardie CGIL, una pratica di tutela della salute sui luoghi di lavoro che individua nel gruppo omogeneo di lavorazione, ovvero nell’insieme di lavoratori sottoposti alla medesima nocività ambientale e agli stessi rischi, il motore del cambiamento delle condizioni di lavoro.

Nel 1968 colse l’occasione della rivolta studentesca per costruire un’alleanza con i tecnici della salute presenti nelle università e nelle istituzioni sanitarie (soprattutto medici, paramedici, ingegneri) più sensibili ai destini della classe operaia.

Nei primi anni ‘70 ha dato vita al Gruppo di Prevenzione ed Igiene Ambientale del Consiglio di Fabbrica.

Nel 1976 è stato uno dei fondatori, assieme al compagno e amico fraterno Giulio Maccacaro, di Medicina Democratica Movimento di lotta per la Salute, a cui si dedicherà fino alla fine. Subito dopo interverrà a Seveso con una rigorosa indagine pubblicata sulla rivista Sapere che smaschera le responsabilità della Hoffman-La Roche nella catastrofe ambientale causata dalla fuoriuscita di diossina.

E’ grazie alle sue straordinarie capacità organizzative che vengono realizzati all’interno dello stabilimento di Castellanza memorabili eventi che hanno riscontro in tutto il territorio nazionale. Fra gli altri l’assemblea aperta del 1975 su Fascismo nazionale e internazionale e lotte dei popoli per la libertà, con Lelio Basso e il comandante partigiano Cino Moscatelli, quella del 1978 con Pietro Ingrao, allora Presidente della Camera, su Lotte della classe operaia per lo sviluppo della democrazia.

Nel 1981, Luigi Mara paga con il licenziamento, assieme ad altre centinaia di lavoratori della Montedison di Castellanza, l’opposizione ai processi di ristrutturazione dell’azienda. La Magistratura sanerà questa vulnus, non prima di avere sconfitto chi al suo interno era disponibile ad applicare il cosiddetto diritto dell’emergenza, vale a dire la sospensione delle tutele che garantivano i lavoratori da comportamenti padronali discriminatori.

Qui il ricordo non può non andare all’avvocato Leopoldo Leon, intelligenza eccezionale e stella polare del diritto del lavoro in Italia, il quale, collegandosi alle lotte dei lavoratori (e tra essi i compagni di Castellanza) ha saputo utilizzare in modo magistrale e innovativo l’arma del diritto per porre un argine alla repressione padronale che colpiva le avanguardie politiche e sindacali di fabbrica.

Assieme a molti altri compagni di lavoro, e in polemica con i settori burocratici della CGIL (che arriva persino ad espellerlo) dà vita al Coordinamento lavoratrici e lavoratori della Montedison di Castellanza, che ha mantenuto viva per decenni all’interno dello stabilimento una pratica sindacale senza compromissioni con l’azienda.

Con il suo contributo ha segnato le riviste Sapere, Scienza e Esperienza, Epidemiologia e Prevenzione, dei cui comitati di redazione ha fatto parte. Fino a diventare direttore della rivista Medicina Democratica. Nel 1986 è socio fondatore, assieme ad altri componenti del Gruppo di Prevenzione e Igiene Ambientale, del Centro per la Salute Giulio Maccacaro di Castellanza, struttura che diventa riferimento per i gruppi di lavoratori e di popolazione a rischio del territorio. E’ del 1988 il convegno da lui promosso sulla ricerca per La costruzione della scienza del lavoro, della salute e dell’ambiente, cui fra gli altri partecipano Rossana Rossanda, Lorenzo Tomatis e Marcello Cini. E trova persino il tempo di laurearsi con lode in biologia.

Dalla metà degli anni ‘90 è stato promotore, nell’ambito di Medicina Democratica, delle più grandi vertenze legali a tutela del diritto alla salute dei lavoratori e delle popolazioni a rischio: il processo contro Montedison/ENI per i lavoratori di Porto Marghera morti da cancro per esposizione a CVM; contro l’Eternit di Casale Monferrato per i lavoratori e i cittadini morti a causa di esposizione ad amianto; contro la Thissen-Krupp di Torino per l’atroce morte di sette lavoratori; ancora contro Montedison a Manfredonia e Mantova, e molte altre vertenze in diverse realtà.

I compagni del Centro per la Salute Giulio Maccacaro di Castellanza

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LA SICUREZZA E I REQUISITI DELLE MACCHINE UTENSILI

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

02 maggio 2017

di Tiziano Menduto

Un intervento sulla sicurezza delle macchine utensili si sofferma sulla normativa, sui requisiti essenziali di sicurezza, sui dispositivi di protezione, sull’uso scorretto ragionevolmente prevedibile e sul processo di valutazione dei rischi.

I dati mostrano che una buona percentuale degli infortuni che avvengono nel mondo del lavoro sono correlati all’utilizzo di utensili e attrezzature di lavoro.

Ed è dunque importante che un giornale come PuntoSicuro si soffermi spesso su questa tipologia di rischi, cercando di offrire spunti per la prevenzione e presentando gli interventi più significativi in materia presentati nei tanti convegni sulla sicurezza delle macchine e la Sorveglianza del Mercato (l’insieme delle attività e dei provvedimenti adottati dalle autorità pubbliche per garantire la conformità e la sicurezza delle macchine) che si tengono nel nostro paese.

Ci soffermiamo oggi sulla sicurezza delle macchine utensili usate in ambienti lavorativi con riferimento ad un intervento che si è tenuto al convegno dal titolo “L’Ottavo Rapporto INAIL sulla Sorveglianza del mercato per la Direttiva Macchine” organizzato nel mese di dicembre 2015 da INAIL e Assolombarda.

L’intervento “La sicurezza delle macchine utensili”, a cura di Nicola Delussu (Coordinamento Tecnico Regioni Gruppo “Macchine e impianti”), si sofferma innanzitutto sulla normativa, a partire da quanto contenuto nel Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/08).

Ad esempio nell’articolo 70 “Requisiti di sicurezza delle attrezzature” è specificato che:

“1. Salvo quanto previsto al comma 2, le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle Direttive comunitarie di prodotto.

  1. Le attrezzature di lavoro costruite in assenza di disposizioni legislative e regolamentari di cui al comma 1, e quelle messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente all’emanazione di norme legislative e regolamentari di recepimento delle Direttive comunitarie di prodotto, devono essere conformi ai requisiti generali di sicurezza di cui all’Allegato V”.

Ricordiamo che l’Allegato V è relativo ai “Requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro costruite in assenza di disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, o messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente alla data della loro emanazione”.

E l’articolo 71 “Obblighi del datore di lavoro”, sempre del D.Lgs. 81/08, indica che il datore di lavoro, “al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all’uso delle attrezzature di lavoro e per impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte, adotta adeguate misure tecniche ed organizzative, tra le quali quelle dell’Allegato VI [Disposizioni concernenti l’uso delle attrezzature di lavoro]”.

L’intervento riporta poi indicazioni relative anche ad altre normative, ad esempio il D.Lgs. 17/10 “Attuazione della Direttiva 2006/42/CE, relativa alle macchine”, con riferimento all’Allegato I sui Requisiti Essenziali di Sicurezza (RES) e di tutela della salute.

Ad esempio riguardo ai requisiti generali (Punto 1.4.1 dell’Allegato I) si indica che nelle macchine i ripari e i dispositivi di protezione:

devono essere di costruzione robusta;

devono essere fissati solidamente;

non devono provocare pericoli supplementari;

non devono essere facilmente elusi o resi inefficaci;

devono essere situati ad una distanza sufficiente dalla zona pericolosa;

non devono limitare più del necessario l’osservazione del ciclo di lavoro;

devono permettere gli interventi indispensabili per l’installazione e/o la sostituzione degli utensili e per i lavori di manutenzione, limitando però l’accesso soltanto al settore in cui deve essere effettuato il lavoro e, se possibile, senza smontare il riparo o senza disattivare il dispositivo di protezione.

Inoltre, se possibile, i ripari devono proteggere dalla caduta e dalla proiezione di materiali od oggetti e dalle emissioni provocate dalla macchina.

Ricordiamo che Nicola Delussu si è soffermato più volte in passato in particolare sul tema dell’elusione e della manipolazione dei sistemi di sicurezza.

Il D.lgs. 17/10 ricorda (Allegato I, Punto 1.7.4) anche che ogni macchina deve essere accompagnata da istruzioni per l’uso nella o nelle lingue comunitarie ufficiali dello Stato membro in cui la macchina è immessa sul mercato e/o messa in servizio.

Il contenuto delle istruzioni non deve riguardare soltanto l’uso previsto della macchina, ma deve tener conto anche dell’uso scorretto ragionevolmente prevedibile.

Ed infatti la relazione indica che il primo passo nel processo di valutazione dei rischi impone al fabbricante di considerare anche l’uso scorretto ragionevolmente prevedibile della macchina. Non è previsto che il fabbricante della macchina tenga conto di tutti i possibili usi scorretti della macchina. Tuttavia, taluni tipi di uso scorretto, che sia intenzionale o involontario, sono prevedibili sulla base dell’esperienza dell’uso passato dello stesso tipo di macchina o di macchine analoghe, delle inchieste su infortuni e delle conoscenze sul comportamento umano.

L’Allegato I del D.Lgs. 17/10 precisa che le istruzioni sono uno dei mezzi di prevenzione dell’uso scorretto della macchina. Ciò significa che in fase di redazione delle istruzioni su ciascuno degli aspetti elencati al Punto 1.7.4.2, il fabbricante dovrà tener conto di quanto è noto in merito ai possibili usi scorretti della macchina. Più il fabbricante fornisce informazioni sull’uso scorretto prevedibile all’utilizzatore, più quest’ultimo sarà responsabile delle scelte che effettuerà nella sua valutazione del rischio per prevenire i rischi associati.

Ad esempio nel Punto 1.7.4.2, riguardo al contenuto delle istruzioni, si parla, tra le altre cose, di “una descrizione dell’uso previsto della macchina” e delle “avvertenze concernenti i modi nei quali la macchina non deve essere usata e che potrebbero, in base all’esperienza, presentarsi”.

L’intervento riporta poi alcuni esempi dei tipi di uso scorretto o di comportamento umano facilmente prevedibile da prendere eventualmente in considerazione contenuti nella norma EN ISO 12100-1:2010 (Sicurezza del macchinario – Concetti fondamentali, principi generali di progettazione):

perdita di controllo della macchina da parte dell’operatore;

reazione istintiva di una persona in caso di malfunzionamento, incidente o guasto durante l’uso della macchina;

comportamento derivante da mancanza di concentrazione o noncuranza;

scelta comportamento derivante dall’adozione della “linea di minor resistenza” nell’esecuzione di un compito;

comportamento risultante da pressioni per tenere la macchina in esercizio in tutte le circostanze;

di comportamento di alcune persone (bambini, persone disabili).

Sono riportati anche esempi di uso scorretto (Commissione Europea Imprese e Industria):

l’utilizzo di una gru o di una piattaforma di lavoro mobile elevabile senza impiegare gli stabilizzatori;

lasciare aperta la portiera di un mezzo di movimentazione terra, neutralizzando gli effetti prodotti dai dispositivi per il filtraggio dell’aria e l’insonorizzazione della cabina;

due operatori al lavoro con una pressa progettata per essere utilizzata da una sola persona.

E un’attenzione particolare andrà prestata a fattori che possono portare alla rimozione, smantellamento o neutralizzazione di ripari e dispositivi di protezione.

L’intervento, che si sofferma poi sulla norma UNI EN 14121-1:2007, sulla norma UNI EN ISO 14119:2013, sui dati dei contatti con organi lavoratori in movimento, riporta, in conclusione, una serie di esempi di manipolazione di dispositivi di protezione sulle macchine: cesoia a ghigliottina, macchina per la stampa di CD, pressa per carta da macero, trapano fresa, macchina per la lavorazione del marmo, ecc..

L’intervento “La sicurezza delle macchine utensili”, a cura di Nicola Delussu (Coordinamento Tecnico Regioni Gruppo “Macchine e impianti”), intervento al convegno “L’Ottavo Rapporto INAIL sulla Sorveglianza del mercato per la Direttiva Macchine” è scaricabile all’indirizzo:

https://www.puntosicuro.it/_resources/151202_Delussu_macchine%20utensili.pdf

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LA PREVENZIONE E RIDUZIONE DEL RISCHIO ELETTRICO NEI LUOGHI DI LAVORO

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

03 maggio 2017

Un volume dedicato alle Piccole e Medie Imprese (PMI) e al mondo dell’artigianato riepiloga la normativa in materia di salute e sicurezza. Focus sul rischio elettrico: la normativa, la dichiarazione di conformità, le verifiche, i rischi per la salute e la prevenzione.

Uno dei rischi lavorativi trasversali e diffusi in quasi tutti i comparti lavorativi è quello relativo al rischio elettrico. Un rischio che, come abbiamo già visto in relazione ai casi di infortunio presentati nella rubrica “Imparare dagli errori”, può riguardare gli infortuni per contatto elettrico diretto (quando si ha il contatto con una parte attiva dell’impianto elettrico) o indiretto (se un individuo viene in contatto con parti metalliche che si trovano in tensione elettrica accidentale). E può avvenire durante l’attività lavorativa ordinaria o durante l’attività di manutenzione ed installazione di impianti elettrici.

Per tornare a parlare dei rischi elettrici con specifica attenzione, in questo caso, al mondo dell’artigianato e delle PMI, possiamo fare riferimento al volume “Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare”, realizzato dall’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia (OPRA Lombardia) e dai vari Organismi Paritetici Territoriali Artigiani (OPTA), una pubblicazione che nasce come strumento di consultazione per favorire una corretta applicazione delle vigenti disposizioni di legge.

Innanzitutto il documento si sofferma sui riferimenti normativi e ricorda che le norme per la sicurezza degli impianti elettrici sono dettate fondamentalmente dal Decreto Ministeriale 22 gennaio 2008, n. 37.

E’ in queste norme che, tra le altre cose, viene richiesto il rilascio della “Dichiarazione di Conformità dell’impianto alla regola dell’arte” al termine dei lavori di installazione, trasformazione o ampliamento dell’impianto elettrico. Si considerano conformi alla Regola dell’arte gli impianti realizzati conformemente alle norme dell’UNI, del CEI o di altri Enti di normalizzazione appartenenti agli Stati membri dell’Unione Europea.

E si segnala che a questa “Dichiarazione di Conformità” deve essere inoltre allegato il progetto dell’impianto, obbligatorio nei casi previsti all’articolo 5, comma 2, del D.M. 37/08, tra i quali quelli relativi a impianti a servizio degli immobili adibiti ad attività produttive, al commercio, al terziario e ad altri usi, quando le utenze sono alimentate a tensione superiore a 1.000 V, inclusa la parte in bassa tensione, o quando le utenze sono alimentate in bassa tensione aventi potenza impegnata superiore a 6 kW o qualora la superficie superi i 200 m2.

Il documento si sofferma poi sull’impianto di messa a terra e sulle verifiche periodiche.

Riguardo alle verifiche si indica che occorre provvedere a controllare periodicamente (con cadenze diverse a seconda del tipo di attività, ma comunque almeno ogni cinque anni) l’impianto di messa a terra, effettuando contestualmente le verifiche di interruzione automatica dell’alimentazione e della corrente differenziale e le verifiche di funzionamento delle lampade di illuminazione di emergenza (questo intervento è opportuno con cadenza mensile).

Quali sono i rischi per la salute del lavoratore?

Il documento indica che il rischio maggiore è quello di elettrocuzione. Tuttavia non occorre trascurare il fatto che un impianto non realizzato in maniera adeguata ai carichi di corrente che deve sopportare o non mantenuto in condizioni controllate può diventare fonte di corto circuito e quindi potenzialmente anche di incendio. E l’assenza o il non funzionamento di lampade di emergenza possono causare rischio di inciampi o infortunio in situazioni di assenza dell’energia elettrica.

Come sempre il documento, come per gli altri rischi descritti, si sofferma sulla cartellonistica, indicando che è necessario identificare i pozzetti ispezionabili dell’impianto di messa a terra, ed in alcuni casi i quadri elettrici sotto tensione.

Riguardo ai dispositivi di protezione individuale si ricorda che il personale non specializzato non è tenuto a effettuare interventi di manutenzione all’impianto elettrico. Interventi di manutenzione semplice, ad esempio la sostituzione di una lampadina, possono essere compiuti in assoluta sicurezza semplicemente togliendo tensione alla parte di impianto interessata.

E’ inoltre necessario chiarire al personale quali interventi possono essere eseguiti e quali sono tassativamente vietati.

E per migliorare le condizioni di sicurezza, conclude il documento, si ricorda che l’impianto elettrico deve essere realizzato alla regola d’arte e sottoposto a verifiche periodiche.

Inoltre devono essere acquistate solo attrezzature elettriche a norma e accompagnate da “Dichiarazione di Conformità” (secondo “Direttiva Macchine” e “Direttiva Bassa Tensione”) rilasciata dal costruttore.

Il documento dell’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia, “Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare” è scaricabile all’indirizzo:

http://olympus.uniurb.it/images/stories/docsind.isti/2014/opral2014.pdf

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LE PROPOSTE IN MATERIA DI SICUREZZA: INTRODURRE IL REATO DI MOBBING

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

05 maggio 2017

di Tiziano Menduto

Un Disegno di Legge propone di introdurre il reato di atto persecutorio sul luogo di lavoro con riferimento al riconoscimento del mobbing nei luoghi di lavoro. Ne parliamo con l’avvocato Alessandro Rombolà.

Riprendiamo a parlare dei numerosi disegni e proposte di legge che sono depositati o sono in via di deposito alla Camera e al Senato e che riguardano possibili innovazioni nella tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro o eventuali modifiche alla normativa vigente, con particolare riferimento al D.Lgs. 81/08.

Proposte che prendono a volte direzioni molto diversificate nell’affrontare il delicato tema della sicurezza sul lavoro, come abbiamo visto con l’intervista al senatore Giovanni Barozzino sul Disegno di Legge per l’introduzione nel codice penale del reato di omicidio sul lavoro e con l’intervista al senatore Maurizio Sacconi sul Disegno di Legge tendente al riordino e alla semplificazione del D.Lgs. 81/08.

Ci soffermiamo invece oggi su un Disegno di Legge che riguarda l’introduzione del reato di vessazione, di atto persecutorio sul luogo di lavoro, con particolare riferimento al fenomeno del mobbing. Un Disegno di Legge a cui abbiamo fatto cenno in un recente articolo del nostro giornale e che parte dalla constatazione, come ricordato in un intervento a un Convegno del 2016 dell’avvocato Alessandro Rombolà (Medicina Democratica Sezione “Pietro Mirabelli” Firenze e Associazione Italiana Benessere e Lavoro), che è necessario un intervento legislativo che dia disciplina unitaria e rigorosa completa a tale problema: sino ad oggi l’impressione degli addetti ai lavori è che il mobbing sia un concetto elaborato dalla giurisprudenza ma, colpevolmente, poco considerato dal legislatore. Manca infatti una precisa definizione da parte del legislatore il quale prende in considerazione e stigmatizza le condotte relative al mobbing ma poi non ne trae le dovute conseguenze sanzionatorie.

Per poter conoscere meglio questo Disegno di Legge abbiamo realizzato una breve intervista proprio all’avvocato Alessandro Rombolà cercando di avere dettagli sul Disegno di Legge, sui suoi obiettivi e sulla situazione in Italia relativamente al riconoscimento nei tribunali degli atti vessatori che avvengono luoghi di lavoro.

Riportiamo innanzitutto un breve stralcio del Disegno di Legge che, composto di otto articoli, fa riferimento a:

Articolo 1: Definizione e campo di applicazione;

Articolo 2: Caratteristiche del reato;

Articolo 3: Condotte dei colleghi di lavoro;

Articolo 4: Misure di prevenzione ed informazione;

Articolo 5: Obblighi del datore di lavoro;

Articolo 6: Azioni di tutela giudiziaria;

Articolo 7: Inversione dell’onere della prova e tutela della fonte testimoniale;

Articolo 8: Responsabilità penale.

Ad esempio queste le definizioni e le caratteristiche del reato contenute nei primi due articoli.

Articolo 1: Definizione e campo di applicazione

“S’intende per atto persecutorio sul luogo di lavoro, ogni condotta commissiva od omissiva che sia posta in essere in ambito lavorativo, pubblico o privato, a danno del lavoratore, intendendo con tale termine anche i collaboratori, indipendentemente dalla qualifica, grado e mansione.

Per atti persecutori vanno intese tutte le condotte, doloso o colpose, sistematiche e reiterate nel tempo, che comportino molestie fisiche o morali e comunque siano pregiudizievoli per la salute fisica o psichica del lavoratore o che comunque ledano la sua dignità personale”.

Articolo 2: Caratteristiche del reato

“Per avere il carattere di atto persecutorio, le condotte devono provocare l’effetto di emarginare, discriminare, screditare o comunque arrecare danno alla carriera, all’autorevolezza, al ruolo o al rapporto con gli altri del lavoratore.

A solo titolo esemplificativo, le molestie possono avvenire anche attraverso:

  1. a) ingiustificata rimozione da incarichi lavorativi;
  2. b) svalutazione sistematica del ruolo e dell’attività professionale del lavoratore;
  3. c) sovraccarico o sottocarico del lavoro o l’attribuzione di compiti impossibili o inutili;
  4. d) l’attribuzione di compiti inadeguati rispetto alla qualifica e preparazione professionale o alle condizioni fisiche o psichiche del lavoratore;
  5. e) il compimento da parte del datore di lavoro o dei suoi incaricati e preposti di azioni discriminatorie o sanzionatorie quali visite di idoneità o fiscali inutilmente reiterate o ravvicinate, contestazioni illegittime, trasferimenti inutili o ingiustificati della sede lavorativa, ingiustificato o immotivato rifiuto di ferie o permessi;
  6. f) molestie sessuali;
  7. g) offese alla dignità personale del lavoratore poste in essere dal datore di lavoro, dal superiore gerarchico o da suoi collaboratori”.

Rimandando alla lettura integrale del Disegno di Legge, concludiamo riportando la breve intervista all’avvocato Rombolà di Medicina Democratica.

Punto Sicuro

Cerchiamo di comprendere come si è arrivati al Disegno di Legge relativo all’introduzione del reato di atto persecutorio sul luogo di lavoro e quale sia il collegamento con il tema del mobbing…

Alessandro Rombolà

Secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione per atto persecutorio, riferito all’illecito di mobbing, si intende una condotta ripetuta nel tempo (almeno sei mesi) finalizzata dolosamente all’emarginazione della vittima. La condotta si deve comporre di una serie di atti separati, ma, al contempo, legati tra loro e finalizzati ad arrecare danno al lavoratore. E’ necessario il dolo quale elemento soggettivo del reato.

Punto Sicuro

A suo giudizio nell’attuale ordinamento giuridico italiano la normativa atta a contrastare il mobbing è da ritenersi sufficiente ed efficace? Si riesce a riconoscere nei tribunali l’atto vessatorio e a condannarne i responsabili? Cosa cambierà con l’eventuale introduzione di uno specifico reato su questi temi?

Alessandro Rombolà

Allo stato attuale è estremamente difficile che la vittima del mobbing ottenga soddisfazione presso gli uffici giudiziari. Ciò vale sia per le cause civili-giuslavoristiche che penali. Tale situazione dipende da diversi fattori. La sottovalutazione del problema da parte di molti giudici, la difficoltà di provare l’atto vessatorio. Infatti, secondo la Cassazione, l’onere della prova ricade per intero sul lavoratore vessato.

Tale difficoltà sul piano processuale scoraggia molte vittime a presentare denuncia, ma ciò non vuol dire che il fenomeno sia in una fase di regressione; anzi, secondo la nostra esperienza, il mobbing è sempre più presente sui luoghi di lavoro sia pubblici che privati. L’introduzione del reato di mobbing consentirebbe, oltre all’evidente impatto di prevenzione, di combattere meglio il fenomeno dato che le Procure della Repubblica hanno poteri inquisitori che non sono concessi al lavoratore.

Punto Sicuro

Lei partecipa a uno sportello che raccoglie il disagio lavorativo di molti lavoratori. Quali sono i racconti che vi arrivano? Riescono ad avere un percorso processuale in sede penale o giuslavorativa?

Alessandro Rombolà

Da anni partecipo attivamente a Sportelli salute. Innumerevoli sono i casi che trattiamo. Il mobbing colpisce indistintamente lavoratori di genere maschile o femminile (ma negli ultimi tempi le donne vittime stanno aumentando), è presente sia nel pubblico impiego che in quello privato. Quasi sempre il lavoratore si sente isolato e spesso ritiene insufficiente la tutela dei sindacati e dei patronati. Quindi senso di frustrazione e abbandono. Come detto in precedenza, le cause civili e penali sono estremamente complesse e difficili anche se abbiamo ottenuto, soprattutto negli ultimi anni, successi importanti. Forse qualcosa sta cambiando.

Punto Sicuro

Ci racconti quali ritiene siano i punti determinanti della vostra proposta.

Alessandro Rombolà

I punti salienti del Disegno di Legge sono: definizione del mobbing quale illecito penale; dovere del datore di lavoro di prevenire il fenomeno; poteri di intervento della magistratura, protezione dei testimoni (reperire testimonianze rappresenta uno dei maggiori ostacoli nella lotta al mobbing).

Punto Sicuro

Quali sono nel Disegno di Legge le responsabilità di coloro, datori o colleghi di lavoro, che mettono in atto azioni persecutorie?

Alessandro Rombolà

Responsabilità penale sia in caso di condotte commissive che omissive. Questo vale sia per il datore di lavoro (mobbing verticale), sia per i colleghi di lavoro (mobbing orizzontale). Il mancato intervento per stroncare il fenomeno equivale a compierlo sotto il profilo penale.

Punto Sicuro

Secondo il Disegno di Legge il datore deve valutare preventivamente il rischio di vessazioni o deve solo attivarsi laddove riceva segnalazioni?

Alessandro Rombolà

Il datore di lavoro deve adottare tutte le misure per prevenire il fenomeno o per farlo cessare.

Punto Sicuro

A chi tocca l’onore della prova delle vessazioni nel luogo di lavoro?

Alessandro Rombolà

Attualmente, anche secondo recenti sentenza della Corte di Cassazione, l’onere della prova è a carico del lavoratore vittima dell’illecito. Nel Disegno di Legge si prevede l’inversione dell’onere della prova, sulla falsariga della legge francese, che, attualmente in Europa, mi pare quella più efficace.

Punto Sicuro

Il 25 gennaio 2016 le principali parti sociali italiane hanno controfirmato all’Accordo quadro sulle molestie e sulla violenza sul luogo di lavoro firmato il 26 aprile 2007 dalle parti sociali europee. Cosa ne pensa di questo accordo e del ritardo per ratificarlo?

Alessandro Rombolà

Ho il fondato timore che le leggi attuative saranno molto blande e tardive. Occorre considerare che quasi tutte le forze politiche hanno sempre colposamente avversato misure serie per combattere il mobbing. Ovviamente tengono conto dell’assoluta contrarietà delle rappresentanze datoriali.

Punto Sicuro

Non pensa che sia improbabile, se ci sono voluti nove anni per ratificare l’Accordo europeo, che oggi ci sia la volontà politica di arrivare a questa nuova tipologia di reato?

Alessandro Rombolà

Mi riporto a quanto detto prima. Non mi pare vi sia allo stato la volontà politica di affrontare seriamente e con misure efficaci il problema. D’altronde quasi tutta la magistratura non ritiene opportuno introdurre nel nostro ordinamento il reato di mobbing ritenendo (a torto a mio parere) che la normativa civilistica sia sufficiente.

Punto Sicuro

Diamo, infine, qualche informazione sull’iter del Disegno di Legge. Il Disegno di Legge è già stato depositato?

Alessandro Rombolà

Il Disegno di Legge non è ancora stato depositato ma lo stiamo proponendo alle varie forze politiche e sindacali.

Il Disegno di Legge sui reati relativi agli atti persecutori nei luoghi di lavoro è scaricabile all’indirizzo: https://www.puntosicuro.it/_resources/170503_DISEGNO%20DI%20LEGGE_mobbing.pdf

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CAMPI ELETTROMAGNETICI: I RISCHI DELLE ANTENNE PER TELECOMUNICAZIONI

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

10 maggio 2017

di Tiziano Menduto

Una guida riporta diversi casi riguardanti l’applicazione della Direttiva 2013/35/UE sui campi elettromagnetici. Focus sulla valutazione dei rischi svolta in relazione alla presenza di antenne per telecomunicazioni sul tetto di un edificio.

Per parlare di questa tipologia di rischi, facciamo riferimento al contenuto di una delle guide sui campi elettromagnetici elaborate dalla Commissione Europea, la “Guida non vincolante di buone prassi per l’attuazione della Direttiva 2013/35/UE relativa ai campi elettromagnetici. Volume 2: Studi di casi” che presenta diversi studi di casi che riguardano settori professionali diversi e che si basano su valutazioni realmente effettuate di situazioni reali.

Riguardo ai rischi correlati alle “antenne da tetto” nel documento si indica che sono diversi i lavoratori che accedono al tetto per svolgere varie ispezioni dell’edificio e mansioni di pulizia e manutenzione: addetti alla pulizia dei vetri, carpentieri specializzati nei lavori sul tetto, tecnici del condizionamento dell’aria, ispettori assicurativi, tecnici di antenne, ecc..

I tecnici di antenne potrebbero aver ricevuto una formazione specializzata in materia di sicurezza per la radiazione da radiofrequenza ed essere dotati di segnali di allarme per il monitoraggio dell’esposizione personale, mentre molti altri lavoratori probabilmente non hanno ricevuto alcuna formazione e di conseguenza hanno scarsa preparazione in merito a questi problemi.

Si indica poi che sarebbe opportuno che gli operatori adottassero una “posizione sicura” al momento di installare le antenne. Ciò significa che le antenne devono essere collocate in modo tale che i lavoratori, stando in piedi sul tetto in una posizione normale, non possano entrare inavvertitamente in una zona di esclusione dell’antenna. La zona di esclusione dell’antenna è l’area vicino all’antenna in cui l’esposizione potrebbe superare i livelli di riferimento forniti nella Raccomandazione 1999/519/CE del Consiglio. La zona di esclusione dell’antenna dovrebbe essere accessibile soltanto ai lavoratori con dispositivi di salita, come scale o impalcature. Se i lavoratori devono accedere a una zona di esclusione, potrebbe essere necessario spengere l’antenna. Se la zona di esclusione dell’antenna deve sovrapporsi all’area del tetto in cui è possibile rimanere normalmente in piedi, allora l’area del tetto deve essere delimitata.

Lo studio presentato riguarda in particolare la valutazione svolta da un proprietario di un edificio per conoscere e prevenire i rischi cui sono esposti i lavoratori sul tetto.

In questo caso le antenne installate sul tetto erano quelle solitamente associate ai sistemi di telecomunicazione mobile, comprese le stazioni base di telefonia mobile e un sistema di cercapersone. Oltre alle antenne settoriali, la stazione base di telefonia mobile includeva anche un collegamento di dati punto a punto. Il proprietario non ignorava che diversi tipi di antenne presentano diversi tipi di pericoli e, in termini generali, che:

le antenne settoriali della telefonia mobile (800 – 2.600 MHz) possono presentare un pericolo nel caso di movimento in avanti di qualche metro e, in misura minore, sui lati e all’indietro;

le antenne paraboliche a microonde (10-30 GHz) associate alle stazioni base di telefonia mobile tendenzialmente non presentano un pericolo significativo;

le antenne dipolo e le antenne collineari (a stilo) (80-400 MHz) possono presentare un pericolo un metro o due intorno all’antenna.

Rimandando alla lettura integrale del documento che riporta diversi tabelle e disegni relativi a valori e tassi di assorbimento di energia, veniamo ad alcune indicazioni sull’approccio alla valutazione.

In particolare il proprietario ha svolto un’ispezione visiva di base del tetto per individuare le antenne e i relativi operatori e le ha segnate sulla pianta del tetto. Successivamente ha contattato gli operatori e ha chiesto loro di visitare il sito per identificare le proprie antenne e fornire le relative informazioni di sicurezza. Il proprietario ha poi esaminato il registro di controllo per vedere chi avesse avuto accesso al tetto e ha cercato di determinare la natura del lavoro svolto. Sulla base di queste informazioni, sono stati individuati i punti in cui i lavoratori possono accedere a regioni di campo pericolose o zone di esclusione.

Si sottolinea che è buona prassi per i lavoratori non avvicinarsi alle antenne irradianti e non esporsi a potenziali livelli di azione (LA) in eccesso; e soprattutto non devono rischiare di toccare antenne irradianti.

E in seguito all’ispezione visiva e ai contatti con gli operatori il proprietario ha raccolto in un fascicolo le informazioni rilevanti sulla sicurezza, successivamente messe a disposizione dei lavoratori che operano sul tetto. Questo comprendeva un inventario dettagliato delle seguenti informazioni relative alle antenne: tipo di antenna (per esempio antenna settoriale, parabola a microonde, dipolo ripiegato), operatore, ubicazione (posizione, altezza, orientamento), parametri operativi, estensione di eventuali zone di esclusione, data di installazione.

Riguardo alla valutazione dei rischi si indica che il proprietario era a conoscenza dell’obbligo di valutare tutti i rischi cui erano esposti i lavoratori che accedevano al tetto. Ad esempio il rischio generico di scivolare, inciampare e cadere; quello derivante dal fumo proveniente da camini, fumaioli e sfiatatoi; e infine quello presentato dai campi elettromagnetici.

E per strutturare il processo valutativo è stata usata la metodologia proposta da OiRA (la piattaforma interattiva online dell’EU-OSHA per la valutazione del rischio).

Veniamo alle precauzioni che erano già in vigore.

L’ispezione visiva del tetto compiuta dal proprietario ha rivelato quanto segue:

la porta di accesso al tetto era chiusa a chiave e la chiave era custodita dal responsabile per la sicurezza dell’edificio;

un segnale di avvertimento relativo alla presenza di antenne a radiofrequenza era affisso sul lato interno della porta;

le antenne settoriali della telefonia mobile erano installate nella parte superiore del vano ascensore, e le relative zone di esclusione erano inaccessibili;

segnali di avvertimento sono stati affissi sulle aste di supporto e sugli alloggiamenti delle antenne;

la scala di accesso al tetto del vano ascensore si trovava al di là di una porta chiusa a chiave ed era stato predisposto un segnale di avvertimento;

le antenne paraboliche a microonde sono state installate in alto su delle aste; i loro raggi erano inaccessibili (in ogni caso l’operatore ha dichiarato per iscritto al proprietario che non esistono zone di esclusione).

Queste, infine, le precauzioni supplementari adottate successivamente.

Il proprietario infatti non era soddisfatto di alcuni aspetti delle modalità di gestione delle installazioni sul tetto, e ha deciso di applicare alcune misure precauzionali supplementari, tra cui:

l’invito all’operatore del sistema di cercapersone di allontanare la relativa antenna (dipolo ripiegato) dal passaggio e di affiggere un segnale di avvertimento;

l’installazione di un fermo meccanico in modo che la piattaforma di pulizia delle finestre non possa essere sollevata di fronte alle antenne settoriali;

l’elaborazione di una procedura scritta di sicurezza che tutti i lavoratori dovranno leggere (e firmare) prima di poter accedere al tetto: essa comprende piani di emergenza per gli incidenti ragionevolmente prevedibili.

Il documento della Commissione europea “Guida non vincolante di buone prassi per l’attuazione della Direttiva 2013/35/UE relativa ai campi elettromagnetici. Volume 2: Studi di casi”, versione in italiano è scaricabile all’indirizzo:

https://www.puntosicuro.it/_resources/141101_ElectromagneticFields_ita_3_quarto.pdf

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IMPARARE DAGLI ERRORI: RISCHIO ELETTRICO E MANUTENZIONE

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

11 maggio 2017

di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni degli operatori impegnati in attività di manutenzione elettrica. La manutenzione di una macchina a taglio laser per la lavorazione di lamiere, la riparazione di un guasto elettrico ad un tornio e la manutenzione di cabine elettriche.

A volte i tecnici che si occupano del montaggio, della manutenzione e della riparazione di impianti elettrici, tendono a sottovalutare il principale, benché non unico, rischio del loro mestiere. Un rischio, quello elettrico, che è invisibile, inodore e (come ricordava un documento prodotto in Svizzera dall’Istituto SUVA) “inavvertibile ai sensi, se non quando è troppo tardi”.

Proprio per questo motivo in queste settimane abbiamo intrapreso un breve viaggio attraverso la rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni, sugli incidenti, spesso gravi e mortali, che avvengono in attività di manutenzione elettrica dovuti al contatto con parti in tensione. Attività che, come vedremo nel primo caso di infortunio presentato, in molti casi vengono svolte, con maggiori rischi di infortunio, non da manutentori elettrici.

I casi presentati sono tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Nel primo caso si parla di un infortunio nella manutenzione di una macchina a taglio laser per la lavorazione di lamiere.

Un addetto lavora su una macchina a taglio laser che (sulla base dei riscontri effettuati, non essendoci testimoni diretti dell’infortunio) va presumibilmente “in blocco”.

Come sempre in questi casi, l’addetto avvia la procedura per la verifica dell’integrità del fusibile di sicurezza alloggiato nel quadro elettrico di comando. Tutti gli interruttori elettrici della macchina (quello nel quadro elettrico di comando “laser”, quello generale della macchina posto nell’armadio adiacente e quello di collegamento all’impianto elettrico generale della ditta) sono stati rinvenuti sulla posizione “ON”.

L’addetto apre il quadro elettrico di comando “laser”, tramite la chiave a sezione quadrata che è a disposizione, e inizia lo smontaggio dei pannelli di protezione all’interno del quadro, non si sa se scaricando la tensione residua del condensatore tramite apposita asta, collegata a terra, in dotazione alla macchina e collocata all’interno del quadro. Di fatto la procedura si interrompe nel momento in cui è stata tolta la vite superiore destra del secondo pannello, in plexiglass, rimasto in loco, dietro al quale si trova il fusibile. L’addetto, entrato presumibilmente in contatto con le dita di una mano con parti in tensione durante le operazioni compiute, viene trovato successivamente dietro al quadro elettrico di comando “laser” aperto, in stato di incoscienza, inginocchiato nello spazio angusto tra il quadro e la macchina, dal capofficina andato a cercarlo quando è entrato in servizio.

La procedura avviata dall’addetto era di prassi applicata anche da altri addetti alla macchina senza avvalersi di un elettricista professionista o di un manutentore elettrico o quantomeno sotto la direzione e sorveglianza di queste figure. Il lavoratore non indossava DPI isolanti. Non esistevano procedure di intervento corretto sulla macchina, e in particolare sulle parti elettriche, predisposte e formalizzate dal datore di lavoro.

Questi i fattori causali individuati:

il lavoratore non ha spento la macchina e scollegato il quadro comandi laser;

il lavoratore apriva il quadro elettrico di comando laser con parti elettriche in tensione e smontava i pannelli di protezione del fusibile;

DPI non isolanti;

procedure di intervento corretto sulla macchina non presenti e formalizzate;

chiave del quadro elettrico a disposizione di tutti gli addetti.

Nel secondo caso l’incidente avviene in relazione ad un guasto elettrico ad un tornio presso una torneria metalli.

Per riparare il guasto interviene un artigiano elettricista. In seguito alla sostituzione di un relè, causa del guasto, il capo reparto, al fine di verificare la funzionalità dell’impianto, chiede all’elettricista di controllare l’interruttore posto sul quadro comandi della macchina, in quel momento in tensione. L’elettricista con la mano destra agisce sull’interruttore e con la mano sinistra cerca di sistemare il “blocchetto” posto dietro l’interruttore stesso, all’interno del quadro, provocando un arco elettrico. La scarica elettrica subita è sufficiente per determinare il decesso qualche minuto dopo, a causa di lesione da elettricità al cuore.

Questi i fattori causali individuati:

controllo quadro elettrico;

quadro comandi della macchina in tensione.

Nel terzo caso l’infortunato è un caposquadra di elettricisti che stanno eseguendo lavori di manutenzione e pulizia delle cabine elettriche durante la chiusura per ferie di una ditta.

Mentre esegue la pulizia di una cabina (di ricezione e distribuzione di media tensione) entra in contatto con conduttori elettrici in tensione a 15.000 V e rimane folgorato (lesioni al cuore e organi mediastinici).

E’ emerso che la procedura svolta dall’infortunato prevedeva l’ausilio di un altro operatore. Inoltre, la cabina elettrica aveva il dispositivo di interblocco a chiave non funzionante.

Questi i fattori causali individuati:

lavori di manutenzione e pulizia di cabina elettrica a media tensione con elementi in tensione;

cabina elettrica con dispositivo di interblocco a chiave non funzionante.

Riguardo alla prevenzione e senza dimenticare le differenze nella normativa e nella distribuzione di energia tra Svizzera e Italia, riprendiamo una regola dal documento elvetico “5 + 5 regole vitali per chi lavora con l’elettricità. Per gli elettricisti. Vademecum”.

Nel documento si ricorda che i lavori sugli impianti elettrici sono impegnativi e richiedono la massima concentrazione. Per questo motivo i lavoratori devono avere, per ogni incarico, la formazione necessaria e soddisfare determinati requisiti fisici e mentali.

Inoltre le zone elettriche (locali di lavoro, locale con quadro di distribuzione generale, cabina, trasformatori, ecc.) devono essere protette da un sistema di chiusura: devono avere accesso a queste zone solo persone esperte o addestrate, citate nel piano di sicurezza.

Per i lavori su impianti elettrici sono riportate alcune regole.

Ne riprendiamo alcune:

per la sorveglianza impiegare persone esperte;

per lo svolgimento dei compiti impiegare persone addestrate;

per svolgere le mansioni i lavoratori devono soddisfare determinati requisiti fisici e mentali

i pericoli elettrici e le misure di protezione da adottare devono essere noti;

le persone non autorizzate vanno allontanate dalla zona di lavoro;

i lavoratori hanno il diritto di dire STOP e di non eseguire un incarico se non si sentono in grado o hanno dubbi sulla sicurezza: bisogna accettare eventuali esitazioni.

Concludiamo ricordando che in un precedente articolo di “Imparare dagli errori” sulla manutenzione elettrica ci siamo soffermati sul contenuto dell’articolo 82 del D.Lgs. 81/08 relativo ai lavori sotto tensione e alle eventuali abilitazioni necessarie e abbiamo anche segnalato che dal mese di febbraio 2014 è in vigore la quarta edizione della Norma CEI 11-27 “Lavori su impianti elettrici”, una norma che contiene le prescrizioni minime per la sicurezza di attività di lavoro sugli impianti elettrici e che costituisce corretta attuazione degli obblighi di legge, come ricordato dall’ Interpello n. 3/2012 del 22 novembre 2012.

Il documento dell’Istituto elvetico SUVA “5 + 5 regole vitali per chi lavora con l’elettricità. Per gli elettricisti. Vademecum” è scaricabile all’indirizzo:

https://www.suva.ch/-/media/produkte/dokumente/2/a/e/20643-1–88814_i_original_20643–d–pdf.pdf?lang=it-CH

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 399A, 305A e 633A è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

 

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