SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 285 DEL 28/08/17

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 285 DEL 28/08/17

INDICE

  • Misure di prevenzione e protezione per microclima caldo e esposizione a raggi solari
  • Infortunio sul lavoro: responsabile anche il collega caposquadra di fatto
  • Lavoro: microchip al posto del badge
  • Quando ci si infortuna nelle cucine
  • Prevenire le collisioni tra macchine e pedoni
  • Movimenti ripetitivi: esposizione, prevenzione e malattie professionali

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

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MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE PER MICROCLIMA CALDO E ESPOSIZIONE A RAGGI SOLARI

Durante la stagione estiva, molte categorie di lavoratori che operano all’aperto (in genere lavoratori edili, agricoli, della industria peschiera, ecc.), si trovano ad affrontare condizioni di alte temperatura e umidità ed esposizione diretta ai raggi del sole.

Al di là del semplice aspetto di disagio fisico (accompagnato dal fatto che spesso nel lavoro all’aperto si associa anche sforzo muscolare), occorre considerare che tali condizioni di lavoro possono portare a patologie professionali anche gravi e a infortuni derivanti dalle disagevoli condizioni psicofisiche.

Ricordo infatti, ad esempio, che condizioni di lavoro termiche estreme calde possono portare a collassi cardiocircolatori, mentre l’esposizione prolungata ai raggi solari (radiazioni ottiche naturali) può portare a carcinomi della pelle.

Tutti i rischi correlati al lavoro all’aperto nella stagione estiva devono essere debitamente considerati nel documento di valutazione dei rischi.

Infatti tale tipologia di fattori di rischio rientra tra gli agenti fisici pericolosi per la salute di cui al Titolo VIII del D.Lgs.81/08, che riguarda appunto gli agenti fisici, così come definiti dall’articolo 180, comma 1:

Ai fini del presente decreto legislativo per agenti fisici si intendono il rumore, gli ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni meccaniche, i campi elettromagnetici, le radiazioni ottiche, di origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori”.

Per tutti tali agenti il datore di lavoro ha l’obbligo di eseguire una specifica valutazione del rischio, all’interno della quale definire le misure di prevenzione e protezione per la protezione della salute dei lavoratori. Tale obbligo è sancito dall’articolo 181 del Decreto:

1. Nell’ambito della valutazione di cui all’articolo 28, il datore di lavoro valuta tutti i rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici in modo da identificare e adottare le opportune misure di prevenzione e protezione con particolare riferimento alle norme di buona tecnica ed alle buone prassi.

  1. La valutazione dei rischi derivanti da esposizioni ad agenti fisici é programmata ed effettuata, con cadenza almeno quadriennale, da personale qualificato nell’ambito del servizio di prevenzione e protezione in possesso di specifiche conoscenze in materia. La valutazione dei rischi é aggiornata ogni qual volta si verifichino mutamenti che potrebbero renderla obsoleta, ovvero, quando i risultati della sorveglianza sanitaria rendano necessaria la sua revisione. I dati ottenuti dalla valutazione, misurazione e calcolo dei livelli di esposizione costituiscono parte integrante del documento di valutazione del rischio.
  2. Il datore di lavoro nella valutazione dei rischi precisa quali misure di prevenzione e protezione devono essere adottate. La valutazione dei rischi é riportata sul documento di valutazione di cui all’articolo 28, essa può includere una giustificazione del datore di lavoro secondo cui la natura e l’entità dei rischi non rendono necessaria una valutazione dei rischi più dettagliata”.

In generale la violazione, da parte del datore di lavoro, dell’articolo 181 del Decreto, configurandosi come violazione dell’articolo 29, comma 1, relativo all’obbligo della redazione della valutazione del rischio è punita, dall’articolo 55, comma 1, lettera a), con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.

Nello specifico poi la violazione, da parte del datore di lavoro, dell’articolo 181, comma 2 del decreto è punita, dall’articolo 219, comma 1, lettera a), con l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.

Oltre agli obblighi generali di prevenzione e protezione dagli agenti fisici legati al microclima e alle radiazioni solari, il datore di lavoro e i dirigenti sono obbligati a fornire ai lavoratori e ai RLS adeguata e specifica informazione e formazione, come stabilito dall’articolo 184 del Decreto:

Nell’ambito degli obblighi di cui agli articoli 36 e 37, il datore di lavoro provvede affinché i lavoratori esposti a rischi derivanti da agenti fisici sul luogo di lavoro e i loro rappresentanti vengano informati e formati in relazione al risultato della valutazione dei rischi con particolare riguardo:

  1. a) alle misure adottate in applicazione del presente titolo;
  2. b) all’entità e al significato dei valori limite di esposizione e dei valori di azione definiti nei Capi II, III, IV e V, nonché ai potenziali rischi associati;
  3. c) ai risultati della valutazione, misurazione o calcolo dei livelli di esposizione ai singoli agenti fisici;
  4. d) alle modalità per individuare e segnalare gli effetti negativi dell’esposizione per la salute;
  5. e) alle circostanze nelle quali i lavoratori hanno diritto a una sorveglianza sanitaria e agli obiettivi della stessa;
  6. f) alle procedure di lavoro sicure per ridurre al minimo i rischi derivanti dall’esposizione;
  7. g) all’uso corretto di adeguati dispositivi di protezione individuale e alle relative indicazioni e controindicazioni sanitarie all’uso”.

La violazione, da parte del datore di lavoro o dei dirigenti, dell’articolo 184 del Decreto è punita dall’articolo 219, comma 2, lettera b) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 750 a 4.000 euro.

Infine i lavoratori esposti in maniera significativa a microclima caldo e a radiazioni solari devono essere sottoposti a specifica sorveglianza sanitaria, secondo quanto disposto dall’articolo 185 del Decreto:

1. La sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti agli agenti fisici viene svolta secondo i principi generali di cui all’articolo 41, ed é effettuata dal medico competente nelle modalità e nei casi previsti ai rispettivi capi del presente titolo sulla base dei risultati della valutazione del rischio che gli sono trasmessi dal datore di lavoro per il tramite del servizio di prevenzione e protezione.

  1. Nel caso in cui la sorveglianza sanitaria riveli in un lavoratore un’alterazione apprezzabile dello stato di salute correlata ai rischi lavorativi il medico competente ne informa il lavoratore e, nel rispetto del segreto professionale, il datore di lavoro, che provvede a:
  2. a) sottoporre a revisione la valutazione dei rischi;
  3. b) sottoporre a revisione le misure predisposte per eliminare o ridurre i rischi;
  4. c) tenere conto del parere del medico competente nell’attuazione delle misure necessarie per eliminare o ridurre il rischio”.

La violazione da parte del medico competente dell’articolo 185 del decreto è punita, dall’articolo 220, con l’arresto fino tre mesi o con l’ammenda da 400 a 1.600 euro.

Tenendo conto che su questi argomenti (come d’altro canto su molti altri relativi alla tutela della salute e della sicurezza) le aziende fanno poco o niente, nel seguito riporto due schede (estratte dal Piano Operativo di Sicurezza di un’azienda edile) da me redatte relativamente ai possibili rischi derivanti dal microclima caldo e/o dalle radiazioni ottiche solari, alle misure di prevenzione e protezione, alle procedure da adottare per eliminare o ridurre i rischi e infine alla sorveglianza sanitaria a cui sottoporre i lavoratori esposti.

Ricordo che tutte le misure indicate nelle schede sono a totale onere e responsabilità del datore di lavoro e/o dei dirigenti e del medico competente.

Marco Spezia

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MICROCLIMA CALDO

POSSIBILI RISCHI

Tenendo conto del periodo temporale in cui verranno eseguiti i lavori e che parte di essi verranno eseguiti all’aperto e in zone non ombreggiate, potranno essere presenti nei luoghi di lavoro temperature superiore ai 30 °C, accompagnate da tassi di umidità elevati (> 80%) tali da creare condizioni microclimatiche di discomfort termico (ambienti moderati caldi) o addirittura di stress termico (ambienti estremi caldi).

In tali condizioni i rischi per la salute dei lavoratori sono, in ordine di gravità:

  • disturbi dermatologici sotto forma di eruzioni cutanee e vescicole;
  • sudorazione eccessiva con perdita di sali e conseguente spossatezza, vertigini, nausea, cefalea;
  • sbalzi termici (soprattutto nel caso di utilizzo di mezzi di sollevamento e trasporto condizionati o accesso alle baracche di cantiere se condizionate) con conseguenti disturbi muscolari o del sistema respiratorio;
  • congestioni da ingestione di bevande molto fredde;
  • modificazioni delle attività psicosensoriali e psicomotorie, quali affaticamento e abbassamento del livello di attenzione;
  • crampi muscolari da calore;
  • instabilità del sistema cardiocircolatorio;
  • sincope da calore con possibile ipossia cerebrale e perdita di coscienza;
  • colpo di calore con possibile perdita di coscienza, coma.

Tali rischi per la salute, associati ai rischi specifici di cantiere, possono poi essere fonte di infortuni anche gravi.

A tali rischi si sommano quelli derivanti da esposizione a radiazioni ottiche naturali (vedi scheda specifica).

MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

Per limitare l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per limitarne o ridurne gli effetti, il datore di lavoro e i dirigenti provvedono a:

  • definire turni di lavoro solo nel periodo mattutino (dalle 6 alle 12) o serale (dalle 18 alle 24);
  • programmare le lavorazioni più impegnative fisicamente nelle prime ore della mattina o nelle ultime ore della sera;
  • prevedere adeguati periodi di riposo per le lavorazioni più impegnative fisicamente;
  • evitare lavorazioni in aree con scarso ricambio di aria;
  • predisporre ripari dal sole (teloni, ombrelloni);
  • se possibile prevedere l’umidificazione periodica delle pareti e dei pavimenti in prossimità dei luoghi di lavoro;
  • mettere a disposizione adeguati quantitativi di acqua minerale naturale da bere e di acqua corrente per inumidirsi;
  • fornire ai lavoratori indumenti di lavoro in tessuto naturale e non sintetico;
  • fornire ai lavoratori adeguati copricapi (berretti in cotone con visiera o cappelli a larga falda in paglia);
  • eseguire manutenzione preventiva dei sistemi di climatizzazione dei mezzi di sollevamento e trasporto e delle baracche di cantiere, con verifica dell’efficienza e pulizia dei filtri.

PROCEDURE DI LAVORO

Per limitare l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per limitarne o ridurne gli effetti, i lavoratori interessati sono tenuti a:

  • evitare l’esposizione prolungata ai raggi solare, alternando lavori al sole con lavori in zone d’ombra;
  • se molto sudati, evitare l’esposizione a zone fortemente ventilate;
  • bere regolarmente acqua minerale naturale non fredda;
  • asciugarsi regolarmente il sudore;
  • inumidirsi regolarmente il capo;
  • se non obbligatorio indossare il casco antinfortunistico, indossare berretti in cotone con visiera o cappelli a larga falda in paglia;
  • in caso di utilizzo di mezzi di sollevamento e trasporto condizionati, mantenere una temperatura non eccessivamente bassa e prevedere un periodo di acclimatazione con riduzione graduale della temperatura impostata;
  • mantenere all’interno delle baracche, se dotate di condizionatore, temperature non inferiori di 5 °C rispetto alla temperatura esterna;
  • durante il pasto evitare l’assunzione di alimenti ricchi di grassi, mentre è consigliabile l’assunzione di frutta e verdura;
  • in caso di percezione di sintomi quali giramenti di testa, spossatezza, difficoltà di concentrazione, interrompere le attività e portarsi in zona all’ombra e moderatamente ventilata.

SORVEGLIANZA SANITARIA

Per i lavoratori esposti in maniera significativa a condizioni microclimatiche estreme calde, il medico competente, sentito il Servizio di Prevenzione e Protezione ha previsto la seguente sorveglianza sanitaria:

  • visita medica obiettiva cardiologica con cadenza annuale;
  • elettrocardiogramma con cadenza biennale.

Su giudizio del medico competente sono poi possibili come esami di secondo livello:

  • elettrocardiogramma sotto sforzo;

ESPOSIZIONE A RADIAZIONI OTTICHE NATURALI (RAGGI SOLARI)

POSSIBILI RISCHI

Tenendo conto del periodo temporale in cui verranno eseguiti i lavori e che parte di essi verranno eseguiti all’aperto e in zone non ombreggiate, i lavoratori che non operano all’interno di mezzi di sollevamento e trasporto potranno essere sottoposti a rischio da esposizione a radiazioni naturali (raggi solari).

In tali condizioni i rischi per la salute dei lavoratori per la pelle sono, in ordine di gravità:

  • eritema (scottatura);
  • reazione di fotosensibilità;
  • processo accelerato di invecchiamento;
  • tumori cutanei;

In tali condizioni i rischi per la salute dei lavoratori per gli occhi sono, in ordine di gravità:

  • fotocheratite;

MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

Per limitare l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per limitarne o ridurne gli effetti, il datore di lavoro e i dirigenti provvedono a:

  • definire turni di lavoro solo nel periodo mattutino (dalle 6 alle 12) o serale (dalle 18 alle 24);
  • predisporre ripari dal sole (teloni, ombrelloni);
  • fornire ai lavoratori indumenti da lavoro a trama fitta in tessuto naturale e non sintetico;
  • fornire ai lavoratori adeguati copricapi (berretti in cotone con visiera o cappelli a larga falda in paglia);
  • fornire ai lavoratori creme per la pelle con Fattore di Protezione Solare (FPS) per i raggi UVB pari almeno a 30 e fattore Persistent Pigment Darkening (PPD) per i raggi UVA pari almeno a 10;
  • in caso di lavorazioni con possibilità di riflesso dalla pavimentazione fornire ai lavoratori occhiali con numero di gradazione per la protezione dalla luce solare pari almeno a 6-2 secondo UNI EN 172:2003.

PROCEDURE DI LAVORO

Per limitare l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per limitarne o ridurne gli effetti, i lavoratori interessati sono tenuti a:

  • evitare l’esposizione prolungata ai raggi solare, alternando lavori al sole con lavori in zone d’ombra;
  • indossare sempre gli indumenti da lavoro;
  • se non obbligatorio indossare il casco antinfortunistico, indossare berretti in cotone con visiera o cappelli a larga falda in paglia;
  • applicare a inizio lavorazioni la crema di protezione solare, ripetendo l’applicazione almeno ogni 3 ore;
  • in caso di lavorazioni con possibilità di riflesso dalla pavimentazione indossare occhiali con protezione UV;
  • in caso di percezione di sintomi quali bruciori della pelle o degli occhi, interrompere le attività e portarsi in zona all’ombra.

SORVEGLIANZA SANITARIA

Per i lavoratori esposti in maniera significativa a radiazioni ottiche naturali (raggi solari), il medico competente, sentito il Servizio di Prevenzione e Protezione ha previsto la seguente sorveglianza sanitaria:

  • visita medica obiettiva dermatologica con cadenza annuale.

Su giudizio del medico competente sono poi possibili come esami di secondo livello:

  • visita medica specialistica dermatologica.

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INFORTUNIO SUL LAVORO: RESPONSABILE ANCHE IL COLLEGA CAPOSQUADRA DI FATTO

Da Studio Cataldi

http://www.studiocataldi.it

07/08/17

di Francesco Pandolci

Per la Cassazione chi concorre a determinare un infortunio sul lavoro ne risponde solidarmente a prescindere dalla specifica veste professionale.

Chi concorre a determinare un infortunio sul lavoro ne risponde; non importa che abbia o meno una specifica veste professionale nell’ambito del rapporto di lavoro instaurato.

Ciò che conta è che abbia in qualche modo, con azioni, omissioni o inadempimenti, partecipato direttamente o indirettamente alla serie causale dannosa.

Questo è il principio affermato dalla Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro nella sentenza n. 19435/17

Un ragazzo, giovane apprendista, muore folgorato.

Il drammatico evento si verifica mentre sta effettuando un allacciamento di un impianto telefonico, appoggiandosi al palo della luce con una scala in alluminio.

Vicino a lui si trova un operaio esperto: non è il caposquadra e neppure il preposto alla sicurezza, eppure secondo la Corte risponde in concorso del danno mortale a carico dell’apprendista.

Risponde per un residuo concorso di colpa in quanto egli, trovandosi nei pressi di una potente linea elettrica e visto l’avvicinarsi della pioggia, non mette in atto alcuna manovra di cautela o prudenza per evitare danni al ragazzo neppure diciottenne, senza dire dell’utilizzo di una scala metallica.

Il succo della decisione sta nella circostanza che il collega della vittima dell’infortunio ha agito come una sorta di caposquadra e ne ha assunto di fatto le funzioni.

In pratica l’operaio è, in quella situazione specifica, un caposquadra di fatto: questo equivale a dire che anche se non è giuridicamente collocabile all’interno dello schema del caposquadra, egli ha in concreto svolto quella funzione, ragion per cui è chiamato a rispondere in concorso di colpa del danno inferto al giovane apprendista.

Come anticipato, si tratta di un residuo concorso di colpa, che non esclude la colpa prevalente e accertata di altre figure.

La funzione di guida, sorveglianza e formazione di un giovane apprendista esigono che anche chi coopera con il ragazzo nel lavoro, pur senza possedere una determinata qualifica tecnica, è chiamato a tenere una condotta di spiccata prudenza rispetto a qualsiasi atteggiamento sulla postazione di lavoro tenuto dal giovane.

In ambito lavorativo occorre quindi adottare ogni comportamento utile a prevenire i sinistri gravi: tutti i componenti del team si devono adoperare, ciascuno in relazione alla propria attitudine e all’attività tecnica svolta in concreto, per tutelare la vita umana.

Soprattutto quando si tratta di un ragazzo.

La Sentenza n. 19435/17 della Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro è scaricabile all’indirizzo:

https://www.lavoroediritti.com/wp-content/files/sentenza-cassazione-19435-2017.pdf

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LAVORO: MICROCHIP AL POSTO DEL BADGE

Da Studio Cataldi

http://www.studiocataldi.it

07/08/17

di Gabriella Lax

APPLICATO DA UN’AZIENDA STATUNITENSE, MA CI SONO GIA’ DEI PRECEDENTI IN EUROPA E IN ALTRI PAESI DEGLI STATES

Un microchip nella mano che sostituisce il badge. E’ la Three Market Square, del Wisconsin, la prima impresa negli Usa che ha proposto l’inserimento nelle mani dei dipendenti di impianti della grandezza di un chicco di riso.

Già 50 persone su 85 hanno accettato di diventare lavoratori-cyborg. Nessuno è obbligato, l’adesione è assolutamente volontaria. Il microchip, che costa circa 300 dollari, consentirà al lavoratore di entrare in azienda senza utilizzare il badge, semplicemente avvicinando la mano ai sensori. Allo stesso modo i dipendenti microchippati potranno interagire con i computer e comprare cibo e bevande come se si utilizzasse una carta di credito contactless.

La novità è partita lo scorso 1 agosto. I chip sono stati inseriti tra il pollice e l’indice della mano con un rapido intervento nel corso di un “chip party” organizzato dall’azienda nel quartier generale di River Falls.

Il chip è un dispositivo di identificazione a radiofrequenza a circuiti integrati o transponder RFID incapsulati in un involucro di vetro. Nel caso di specie può essere usato per acquistare i prodotti venduti dai distributori della 32M, ma il suo utilizzo è potenzialmente illimitato.

Dall’impresa arrivano rassicurazioni per i dipendenti indecisi: “Non ci consente di seguire i movimenti degli impiegati. Le informazioni che contiene sono criptate, perciò la privacy è assicurata”. Infine, chi ci ripensa, potrà comunque farlo rimuovere nel giro di qualche secondo.

L’idea di un chip al posto del badge in realtà era partita dal Belgio, dove un’azienda di marketing digitale, la Newfusion ha fatto impiantare ad alcuni dipendenti il microprocessore con funzione di badge, per consentire loro di aprire le porte dell’ufficio e accedere al proprio PC.

Secondo le stime, sarebbero 30-50mila le persone che hanno installato un chip sottocutaneo a livello mondiale. Il dispositivo elettronico (brevettato dallo scienziato britannico Warwick alla fine degli anni ‘90), lungo pochi millimetri e iniettato nei tessuti grassi, consente di “taggare” l’individuo (attraverso le radiofrequenze, come quelle utilizzate dagli smartphone), effettuando il suo riconoscimento e consentendogli così di entrare in un luogo (dall’abitazione all’ufficio al parcheggio), di accedere a un PC, ecc.

In futuro, tale tecnologia potrebbe avere anche applicazioni mediche.

Chip sottopelle al posto del tesserino per aprire le porte o accedere a un computer. Sono solo alcuni dei “vantaggi” per i lavoratori che hanno accettato di farsi impiantare il dispositivo in Belgio. L’iniziativa, come riporta il quotidiano francese Le Soir, è partita da un’azienda di marketing digitale belga, la Newfusion e sta facendo discutere tutto il web (e non solo), tra chi la approva come ultima frontiera della tecnologia e chi invece vi vede un’arma di controllo totale sui lavoratori. Per non parlare delle questioni etiche e di privacy sottese all’uso del corpo umano come dispositivo o ai rischi per la salute.

Ma aldilà delle polemiche e del caso specifico, il fenomeno è in piena crescita.

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QUANDO CI SI INFORTUNA NELLE CUCINE

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

13/07/17

Sappiamo che la cucina, sia negli ambienti di lavoro che tra le mura domestiche, è un luogo ricco di attrezzature, sostanze e attività che presentano diversi rischi per gli operatori. Basti ricordare che è proprio nelle attività di cucina che si può avere a che fare con gas, fuochi, corrente elettrica e oggetti taglienti. E non bisogna dimenticare che in ambito lavorativo a volte sono presenti spazi di lavoro non adeguati e ritmi di lavoro frenetici.

Partendo da questa constatazione dedichiamo una puntata della rubrica “Imparare dagli errori”, relativa all’analisi degli infortuni e alla presentazione di eventuali buone prassi per evitarli, ad alcuni degli infortuni che avvengono in cucina o con attrezzature per il taglio di prodotti alimentari.

Per la raccolta di informazioni sulla prevenzione faremo poi riferimento ai suggerimenti tratti da un “Quaderno di formazione per la sicurezza sul lavoro in cucina a bordo delle navi”, prodotto da INAIL Settore Navigazione in collaborazione con Confitarma.

I casi di infortunio presentati sono tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il primo caso riguarda un infortunio correlato all’uso di una friggitrice.

La cuoca intorno alle 11.00 ha predisposto la friggitrice, sita nella cucina, per la preparazione dei cibi, riempiendo una delle due vasche con circa 15 l di olio di semi. Alle ore 11:30 circa la cuoca ha provveduto ad accendere il bruciatore della friggitrice e a posizionare la manopola della temperatura sul minimo (130 – 140 °C). Alle 12:30, dopo avere pranzato, la cuoca è tornata nella cucina e si è accorta che il livello dell’olio nella vasca era notevolmente diminuito dal livello iniziale e, pertanto, ha ispezionato l’interno dove alloggia la vasca di raccolta dell’olio esausto per una verifica. Nel compiere l’operazione la cuoca ha notato che, sebbene la valvola di scarico dell’olio fosse in posizione di chiusura, l’olio mancante era finito nella vasca di raccolta sottostante. A quel punto, nel tentativo di estrarre la vasca sottostante, è stata investita al braccio da un getto di olio bollente fuoriuscito dalla valvola di scarico. Nella concitazione conseguente, l’infortunata è caduta, presumibilmente tirando a sé la vasca di raccolta, la quale ha rovesciato il suo contenuto di olio bollente sul pavimento circostante. Una vasta superficie del corpo dell’infortunata è così venuta in contatto con l’olio bollente procurandole gravi lesioni da ustione diffusa.

Questi i fattori causali individuati:

  • l’infortunata è caduta tirando a sé la vasca di raccolta, la quale ha rovesciato il suo contenuto di olio bollente;
  • trafilamento della valvola di scarico dell’olio in posizione di chiusura.

Il secondo caso riguarda un infortunio che si verifica durante la pulizia di un’affettatrice.

Una lavoratrice è dipendente di un supermercato con la mansione di ausiliaria alle vendite presso il banco gastronomia. Il giorno dell’infortunio, a fine turno, mentre esegue la pulizia dell’affettatrice accesa, quindi con la lama in movimento, cerca di togliere un pezzo di carta che è rimasto incastrato tra la lama e la base del taglio della macchina stessa. Tuttavia la lama aggancia un l’estremità del guanto in lattice che la commessa indossa, trascinando la mano verso l’apertura di taglio dell’affettatrice, provocando così un taglio al terzo dito della mano destra dell’infortunata. Dalle indagini è emerso che l’infortunio è avvenuto a causa delle modalità errate utilizzate nella pulizia dell’affettatrice, in quanto l’infortunata non ha provveduto a scollegare l’impianto elettrico della macchina e inoltre non indossava i guanti antitaglio che gli erano stati forniti. L’infortunata è stata idoneamente formata informata sulle modalità di pulizia da effettuare in sicurezza sull’affettatrice e le erano stati forniti i necessari dispositivi di protezione individuali.

Dunque questi sono i fattori causali individuati:

  • eseguiva la pulizia dell’affettatrice con macchina accesa;
  • non indossava i guanti antitaglio che le erano stati forniti.

Il terzo caso riguarda un infortunio durante attività con una macchina impastatrice.

Un lavoratore svolge la mansione di pastaio all’interno di una azienda che si occupa della produzione e vendita di pasta ad uso alimentare. Il lavoratore sta operando sulla macchina impastatrice. La macchina è dotata di coperchi trasparenti sulle vasche di miscelazione su cui sono posizionati dei microinterruttori di sicurezza magnetici che all’apertura arrestano il moto degli alberi impastatori. Al momento dell’infortunio la macchina opera con gli sportelli di chiusura della vasca di miscelazione aperti e il microinterruttore di sicurezza bypassato da una calamita fornita agli operatori dalla ditta. Durante il controllo dell’impasto l’arto superiore destro dell’operatore viene a contatto con le palette metalliche di lavorazione presenti sull’albero di miscelazione. Il contatto determina il trascinamento dell’infortunato all’interno della vasca. La macchina viene fermata dall’operatore che, con il piede sinistro, riesce a premere l’arresto di emergenza. Il contatto con gli organi lavoratori procura al lavoratore la frattura del braccio destro e un trauma toracico con ferite penetranti.

Il fattore causale è evidente:

  • l’utilizzo della macchina impastatrice con protezioni manomesse.

Il già citato “Quaderno di formazione per la sicurezza sul lavoro in cucina a bordo delle navi” sottolinea che bisogna rimanere sempre concentrati quando si utilizzano le attrezzature di lavoro. Anche una piccola distrazione potrebbe avere conseguenze fatali.

Inoltre tutte le attrezzature di lavoro devono essere dotate di marcatura CE che ne garantisce la rispondenza ad alcuni requisiti di sicurezza e rende inoltre obbligatorio fornire insieme alla macchina un libretto d’uso e manutenzione dove è possibile trovare tutte le informazioni necessarie ad un corretto utilizzo anche durante le operazioni di pulizia e di manutenzione.

Si indica poi che nelle attrezzature il cui principio di funzionamento è meccanico, tutte le parti taglienti raggiungibili dall’utilizzatore durante l’operazione devono essere protette dal contatto accidentale.

Il documento, che vi invitiamo a visionare, riporta alcune soluzioni tecniche protettive più comunemente utilizzate, ad esempio per:

  • affettatrice: il fermacarne sulla slitta non è staccabile, ma è orientabile; la piastra di protezione è fissata mediante parti metalliche e dotata di micro interruttore di sicurezza che blocca l’attrezzatura se si tenta di rimuoverne la protezione durante il funzionamento; la parete posteriore della slitta, la protezione delle dita, la protezione coltelli sono dotati di blocco o di micro interruttore per evitare che sia possibile scoprire la lama durante l’affilatura: Rimuovendolo il motore si arresta;
  • macina caffé: i macina caffé sono dotati di griglie protettive che impediscono l’avvicinamento della mano, alle parti in movimento.

Il documento, che è ricco di immagini esplicative, si sofferma anche sull’impastatrice, sul tritacarne e sull’uso dei coltelli.

Concludiamo con alcune informazioni sulle friggitrici, una delle attrezzature più pericolose, sia per il rischio di ustioni a cui è esposto il personale di cucina, sia per il rischio di incendio che potenzialmente può innescare l’olio ad alte temperature.

E’ fondamentale ricordarsi che in nessun caso va versata acqua o altro liquido nell’olio bollente. Esso diventa, infatti, istantaneamente vapore che può esplodere violentemente e disperdere olio bollente in tutte le direzioni. Occorre aggiungere il cibo nella friggitrice cautamente e con l’ausilio di attrezzatura idonea (pinze). Se l’olio è troppo caldo o se ci sono delle sacche di liquido nel cibo preparato, l’olio si vaporizza e si spande ovunque.

Riportiamo infine alcune indicazioni sulla pulizia e lo svuotamento delle friggitrici.

Il personale di cucina addetto alle friggitrici deve essere adeguatamente formato sulle modalità di manipolazione in sicurezza dell’olio bollente. Le friggitrici dovrebbero essere dotate di filtro automatico o semiautomatico che riducono l’eventualità di un contatto accidentale con l’olio bollente. Il riempimento manuale e il filtraggio delle friggitrici deve essere effettuato solamente quando la temperatura dell’olio è scesa sotto i 40°C. Occorre ricordare che l’olio impiega alcuni minuti per raggiungere la temperatura di cottura, ma necessita di alcune ore per raffreddare. Le friggitrici devono essere spente quando non sono direttamente gestite dal personale addetto.

Qualunque sia il tipo di friggitrice impiegata, è essenziale che:

  • il personale sia addestrato sulle procedure di sicurezza per il riempimento e la pulizia;
  • il personale sia provvisto dei DPI richiesti (occhiali per la protezione degli occhi, guanti resistenti al calore, grembiuli, ecc.);
  • la friggitrice deve essere sempre sottoposta ad adeguata manutenzione e qualunque accessorio deve essere adatto allo scopo, secondo le indicazioni del costruttore;
  • qualsiasi versamento di olio deve essere pulito immediatamente, assicurandosi che l’area intorno alla friggitrice sia completamente asciutta e pulita per evitare rischi di caduta.

Concludiamo ricordando che il documento INAIL riporta ulteriori e dettagliate indicazioni sulle buone prassi da seguire per lo svuotamento e pulizia delle friggitrici.

Il documento “Quaderno di formazione per la sicurezza sul lavoro in cucina a bordo delle navi”, prodotto da INAIL Settore Navigazione in collaborazione con Confitarma è scaricabile all’indirizzo:

https://www.inail.it/cs/internet/docs/allegato-quaderno-sicurezza-in-cucina-a-bordo-delle-navi.pdf

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 3266, 4533 e 5694 è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

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PREVENIRE LE COLLISIONI TRA MACCHINE E PEDONI

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

27/07/17

Esempi di infortuni professionali dovuti a investimenti tra macchine e pedoni. Infortuni in una azienda agricola, in un garage aziendale e in attività di controllo merce. Le dinamiche degli infortuni e gli strumenti di rilevazione dei pedoni.

Con la rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, abbiamo rilevato in passato la grande quantità di infortuni dovuti a investimenti che avvengono tra macchine e pedoni e/o che avvengono quando si entra nel raggio d’azione di macchine mobili.

E con riferimento anche a quanto riportato recentemente dalla rubrica sul tema dei rischi relativi alle interferenze, torniamo oggi a soffermarci ancora sul tema delle “interferenze interne” e in particolare sulle conseguenze delle collisioni tra macchine e pedoni.

Ricordiamo che i casi di infortunio presentati sono tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il primo caso riguarda un infortunio che avviene nel piazzale di un’azienda agricola.

A fine turno una lavoratrice (dipendente di un’azienda agricola che comprende un piazzale sul quale transitano i camion per il carico e lo scarico della merce e che è anche utilizzato dai dipendenti come parcheggio auto) attraversa il piazzale mentre un mezzo pesante, che ha terminato le operazioni di carico, riparte, attraversandolo.

Il conducente non vede la lavoratrice poiché la sua visibilità è scarsa in corrispondenza del montante di destra della cabina (“zona d’ombra”) e la investe con la ruota destra procurandole lesioni multiple con fratture da schiacciamento.

Nel piazzale non erano segnalate né segregate vie di circolazione per mezzi e pedoni, né la circolazione contemporanea era stata regolamentata in maniera sicura. I vigili urbani hanno valutato il piazzale adeguatamente illuminato.

Questi i fattori causali rilevati nella scheda:

  • il conducente del mezzo pesante procedeva con visuale limitata;
  • non erano presenti percorsi pedonali segnalati e/o protetti.

Il secondo caso riguarda un infortunio con un trattore agricolo.

Un lavoratore, mentre attraversa il garage aziendale, viene urtato da un trattore agricolo, di tipo medio utilizzato per i lavori di giardinaggio, che procede in retromarcia.

A causa dell’urto il pedone viene scaraventato a terra e batte il braccio sinistro riportando la frattura dello stesso. Il conducente del mezzo non si avvedeva di aver invaso la corsia destinata ai pedoni.

Il terzo caso riguarda un infortunio che avviene durante l’attività di controllo della merce.

Mentre un lavoratore sta effettuando il controllo di merce depositata su bancali viene investito (con conseguente contusione alla gamba destra) da un carrello elevatore che procede in retromarcia.

Il guidatore del carrello stava effettuando il caricamento di un camion e per verificare la stabilità della merce trasportata non verificava la presenza di ostacoli sul suo percorso. Il carrello elevatore non era dotato di segnalatore acustico di retromarcia e a causa di ciò l’infortunato non avvertiva il sopraggiungere del carrello.

Non erano definiti percorsi per mezzi e pedoni.

Questi i fattori causali rilevati nella scheda:

  • mancano percorsi definiti per mezzi e pedoni;
  • l’operatore alla guida di un carrello elevatore non verificava la presenza di ostacoli sul percorso mentre procedeva in retromarcia;
  • carrello elevatore privo di segnalatore acustico di retromarcia.

Se riguardo al rischio di investimento uomo/macchina molti articoli di PuntoSicuro hanno parlato dell’importanza di idonei piani di viabilità, ci soffermiamo oggi sulla possibilità di ridurre il numero di infortuni attraverso strumenti di rilevazione dei pedoni.

In particolare nel documento “Prevenire le collisioni macchine-pedoni (dispositivi d’aiuto alla conduzione dei mezzi)”, prodotto dal INRS (Istituto Nazionale di Ricerca e di Sicurezza francese), si indica che la prevenzione delle collisioni macchine-pedoni può essere realizzata in primo luogo con misure organizzative e con il miglioramento della visibilità. Tuttavia se queste misure sono insufficienti per garantire la sicurezza delle persone possono rendersi necessarie delle misure tecniche complementari come l’installazione di rilevatori di persone.

A questo proposito si segnala che nel campo dei dispositivi di rilevazione di persone che hanno l’obiettivo di prevenire i rischi di collisione tra mezzi e persone, per sistema d’aiuto alla guida si intende un sistema tecnico che permette di rilevare delle persone in zone in cui il conducente ha una visibilità limitata, dovuta al compito che sta svolgendo o alla presenza di angoli morti. Il conducente è informato da un segnale d’allarme della presenza di persone in situazione di pericolo nella zona di rilevazione sorvegliata; questo segnale può essere sonoro e/o visivo e deve essere percepito nell’ambito di lavoro del conducente. Tuttavia il conducente mantiene la completa gestione dei movimenti delle macchine. Il rilevatore non agisce automaticamente sui freni, è compito del conducente arrestare immediatamente la macchina in caso di allarme.

Si ricorda tuttavia che questi dispositivi hanno delle limitazioni d’uso che possono impedire di rispondere efficacemente in tutte le situazioni. Attualmente non c’è una soluzione universale che permetta di rispondere all’insieme delle situazioni di rischio.

E nel documento si sottolinea che ogni azienda deve definire il bisogno di questi sistemi di rilevazione prima della loro installazione e solo dopo una ricerca delle misure organizzative o delle misure destinate a migliorare la visibilità.

In particolare è necessario:

  • identificare ogni situazione di rischio intorno al veicolo (movimenti della macchina che presentano dei rischi significativi per le persone, fasi particolari dei movimenti che presentano dei rischi, zona a rischio attorno alla macchina dove circolano o stazionano persone);
  • stimare il livello di rischio di ogni situazione rischiosa (frequenza e durata dell’esposizione delle persone a rischio, possibilità di evitare o limitare i danni, ecc.);
  • studiare le possibilità di ricorrere a un dispositivo di segnalazione delle persone;
  • specificare tecnicamente la/le caratteristiche della segnalazione (bisogna ad esempio specificare la taglia dell’oggetto più piccolo da intercettare, la distanza di intercettazione, la dimensione e la localizzazione della/e zone da segnalare, i tempi di risposta richiesti, ecc.);
  • scegliere e mettere in pratica una soluzione tecnica;
  • valutare le misure installate (si dovrà anche considerare il punto di vista delle diverse persone coinvolte, con l’obiettivo di conoscere il loro grado di soddisfazione rispetto al dispositivo installato).

Il documento “Prevenire le collisioni macchine-pedoni (dispositivi d’aiuto alla conduzione dei mezzi)”, prodotto dal INRS (Istituto Nazionale di Ricerca e di Sicurezza francese), è scaricabile all’indirizzo:

http://www.ulssvicenza.it/allegati/1201-prevenire_le_collisioni_macchina_-pedone_sul_lavoro.pdf

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 8265, 2814 e 5599 è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

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MOVIMENTI RIPETITIVI: ESPOSIZIONE, PREVENZIONE E MALATTIE PROFESSIONALI

Da: PuntoSicuro

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28/07/17

Alcuni interventi si soffermano sul sovraccarico biomeccanico degli arti superiori. Il rischio di sovraccarico, l’attenzione nelle aziende e le modalità di trattazione delle denunce di malattie professionali degli arti superiori.

In relazione alla diffusione del rischio legato ai movimenti ripetuti degli arti superiori nel mondo del lavoro e alla sua incidenza nelle denunce di malattie professionali, l’ATS Brianza e i Comitati di Coordinamento Provinciali di Monza Brianza e Lecco hanno promosso nel 2016 uno specifico Piano Mirato di Prevenzione (PMP) dal titolo “Il sovraccarico biomeccanico degli arti superiori: un rischio sottovalutato”.

Di questo piano di prevenzione, che fa riferimento anche ad alcuni Decreti Regionali emanati in materia dalla Regione Lombardia, abbiamo già parlato in diversi articoli di PuntoSicuro presentando alcuni utili documenti di supporto per le aziende.

Ci soffermiamo, invece, oggi sugli atti di un incontro pubblico, correlato al piano di prevenzione, che si è tenuto presso l’ATS Brianza il 23 novembre 2016.

Ad esempio riprendiamo alcune battute dall’intervento “SBAS Sovraccarico Biomeccanico degli arti superiori”, a cura della dottoressa Silvia Negri (API Lecco, Servizio Ambiente e Sicurezza), che, dopo aver espresso gli apprezzamenti e le preoccupazioni per queste nuove metodologie degli enti di controllo, fa il punto sul rischio SBAS.

Il rischio di sovraccarico biomeccanico degli arti superiori è stato finora sottovalutato?

La relatrice risponde: “probabilmente sì, non tutti coloro che ho avuto modo di sentire sul tema ne erano consapevoli”. Tuttavia nelle PMI “i lavoratori esposti a questo rischio potrebbero non essere molti”.

Questi sono, ad esempio, alcuni gruppi di lavoratori più esposti:

  • addetti all’assemblaggio, alla cernita manuale, al confezionamento;
  • addetti alla levigatura manuale o al carico/ scarico linea;
  • addetti alle pulizie.

In particolare del PMP viene apprezzato l’approccio step by step, con domande chiave (key enter), che non coinvolgono subito necessariamente un consulente esperto.

E viene espresso un timore, relativamente alla valutazione del rischio di sovraccarico, di un eccessivo tecnicismo. Potrebbe offuscare l’obiettivo, che dovrebbe rimanere uno solo: quello di garantire la salute del lavoratore, attuale e futura. Sarebbe un peccato che un obiettivo così condivisibile e significativo venisse offuscato da aspetti tecnici che spostassero eccessivamente l’attenzione.

Infine una considerazione finale per le aziende.

E’ importante ricordare che prevenzione è… investire qualche risorsa in più nella progettazione del luogo di lavoro e nello studio di una buona organizzazione dei compiti, anziché destinarle alla misura puntigliosa del rischio specifico.

Chiaramente un altro tema importante in merito a questa tipologia di rischio è quello relativo al riconoscimento delle malattie professionali.

A questo proposito riprendiamo alcune indicazioni tratte dall’intervento “Le modalità di trattazione delle denunce di malattie professionali degli arti superiori”, a cura della dottoressa Claudia Sferra (INAIL Monza).

La relazione parte innanzitutto con la distinzione tra:

  • malattia tabellata: compresa in elenco D.M. 9 aprile 2008 per la quale c’è una presunzione legale di origine;
  • malattia non tabellata: malattia per la quale il lavoratore dimostri l’origine professionale.

Il documento si sofferma sul tema dell’onere della prova e ricorda alcune Sentenze della Corte Costituzionale (179 e 206 del 1988).

Onere della prova per il quale non è agevole:

  • identificare fra i diversi antecedenti concausali il possibile ruolo giocato dal lavoro;
  • stabilire se a questo possa attribuirsi un valore di concausa giuridicamente rilevante.

E quale valore occorre attribuire al lavoro affinché questo possa, nell’ambito di tutti i fattori concausali che partecipano insieme ciascuno con peculiare efficienza al determinismo della malattia, essere riconosciuto causa?

La relazione, che vi invitiamo a leggere integralmente, riporta un breve excursus commentato di alcune importanti sentenze e circolari INAIL in materia, precedenti o successive al Decreto del 9 aprile 2008 contenente le “Nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura”, ad esempio con riferimento a:

  • Sentenza della Corte Costituzionale 179/88 sulle malattie professionali non tabellate;
  • Circolare INAIL 35/92;
  • Circolare INAIL 81/00 “Malattie da sovraccarico biomeccanico posture incongrue e microtraumi ripetuti. Modalita di trattazione delle pratiche”;
  • Circolare INAIL 25/04: “Malattie del rachide da sovraccarico biomeccanico. Modalità di trattazione delle pratiche”.

Viene poi riportato un estratto del Decreto del 9 aprile 2008 con le indicazioni relative alle malattie professionali correlate al sovraccarico biomeccanico dell’arto superiore nel comparto industria e con riferimento (ultima colonna) al periodo massimo di indennizzabilità dalla cessazione della lavorazione.

Dopo aver riportato, nella relazione anche alcune malattie tabellate in ambito agricolo (tendinite della spalla, del gomito, del polso, della mano; sindrome del tunnel carpale; altre malattie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori), si indica che molte delle patologie che nella tabella previgente erano solo indicate con la definizione generica “malattia da…” sono state, in relazione all’evoluzione delle conoscenze scientifiche, specificate in modo dettagliato con la denominazione della patologia tabellata. La tipizzazione delle patologie nel senso sopra specificato rende più efficace l’operatività della presunzione legale di origine. Tuttavia ci si poteva attendere l’indicazione delle lavorazioni e ci si poteva attendere l’indicazione dei limiti di rischio.

Uniche indicazioni vengono della Circolare INAIL 47/08 la presunzione legale opera quando l’adibizione alle lavorazioni indicate avviene in maniera non occasionale, quando costituisca una componente abituale e sistematica dell’attività professionale dell’assicurato, quando sia dunque intrinseca alle mansioni.

Si ricorda poi la lettera circolare INAIL del 16 febbraio 2006.

Nel caso di concorrenza di fattori professionali con fattori extraprofessionali trovano applicazione i principi di cui agli articoli 40 e 41 del Codice Penale (“il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute non esclude il rapporto di causalità”). Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento; una volta accertata la nocività dei fattori di rischio lavorativi, si potrà passare alla valutazione del nesso di causalità tra detti fattori di rischio e la patologia denunciata come malattia professionale.

Si indica poi che l’impossibilità di raggiungere una assoluta certezza scientifica in ordine alla sussistenza del suddetto nesso causale non costituisce motivo sufficiente per escludere il riconoscimento della eziologia professionale. A questo fine, infatti, la giurisprudenza consolidata e concorde della Corte di Cassazione ritiene sufficiente la ragionevole certezza della genesi professionale della malattia. Tale ragionevole certezza, che non può certamente consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, deve ritenersi sussistente in presenza di un elevato grado di probabilità dell’etiopatogenesi professionale, desumibile anche da dati epidemiologici e dalla letteratura scientifica.

Si ricorda, infine, che la criteriologia di accertamento della nocività è poi stata confermata e meglio chiarita dalla Circolare INAIL 47/08 quando spiega la voce tabellare “altre malattie causate dalla esposizione” inserita, per alcuni agenti patogeni, accanto alle patologie tipizzate, allo scopo di non produrre un arretramento del livello di tutela. In questo senso la prova della derivazione eziologica della malattia dall’agente tabellato deve ritenersi raggiunta in presenza di un elevato grado di probabilità dell’idoneità causale della sostanza indicata in tabella rispetto alla patologia denunciata, per come desumibile anche dai dati epidemiologici e dalla letteratura scientifica.

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