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oggi è il: 19|04|2024


Considerazioni sulla politica sanitaria piemontese.
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Come stare in un governo, anche in quelli regionali, provinciali e comunali, per quella che chiamiamo "sinistra radicale", è il tema d’attualità per capire realmente dove questo centrosinistra intende andare, ad esempio, su problemi discriminanti come la sanità (servizio pubblico e gratuito), lavoro (fine della precarietà e espansione dell’occupazione), diritti comuni ( gestione pubblica dell’acqua e politiche energetiche eco-rinnovabili). Uscire dal ricatto della stabilità a prescindere è vitale, pena l’inutilità politica della sinistra.

Questo è l’allarme che noi, impegnati sui temi delle politiche sanitarie e ambientali, in Piemonte lanciamo dopo oltre un’anno di Governo Bresso e un piano sanitario regionale per nulla condiviso dagli operatori della sanità del PRC, fortemente criticato dalle associazioni e recepito con perplessità dai sindacati. Di seguito diamo alcuni sintetici elementi di riflessione, per suscitare un dibattito proficuo sulle politiche sociali e istituzionali di tutta la sinistra radicale.

Le domande di fondo che poniamo sono queste: le lotte e le elaborazioni del movimento vanno subordinate, o peggio archiviate, di fronte agli equilibri tra le componenti di una Giunta di centrosinistra, fino ad accettare politiche sociali neoliberiste?

Davanti alle pagine della seconda Bozza del PSS della Regione Piemonte, ormai oggetto delle prossime consultazioni politiche, non si può che provare delusione e sconforto: da un documento così importante per una nuova concezione della salute e della sua tutela, considerate le aspettative suscitate dalla vittoria del centro-sinistra in Piemonte, cittadini e operatori attendevano un segnale forte, nei contenuti e nei metodi di elaborazione.

Chi contava di uscire finalmente dalla semplificazione della “buona gestione” sanitaria in nome della ottimizzazione dei costi, ritrova di nuovo indicate fra le priorità economiche idee-guida che sembrano desunte dalla finanza creativa dell’appena defunto governo berlusconi, le cui devastanti conseguenze peseranno a lungo sul futuro del paese: alienazione del patrimonio immobiliare della sanità, progressiva riduzione delle risorse umane , immediato accreditamento di neonate strutture private, ricorso a sperimentazioni pubblico-privato.

Tuttavia, non ci saremmo forse sentiti così traditi se almeno comparisse nel piano uno sforzo progettuale, davvero innovativo, per dar risposta alle esigenze della popolazione fatta sempre più di anziani, di cronici, di persone fragili e svantaggiate.

Anche la difesa della prevenzione è in realtà accompagnata da una concomitante sottrazione di risorse economiche, ma soprattutto umane, indispensabili per farla funzionare , mentre sappiamo quanto contino gli uomini nella vigilanza sugli allarmi più minacciosi : territorio, ambiente, alimentazione e lavoro .

Si propugna un modello sanitario orientato all’assistenza domiciliare ma questo disegno non si concretizza poi nella definizione della riorganizzazione propedeutica a renderlo operativo. Nel frattempo gli ospedali pubblici , senza chiari indirizzi di riconversione, sono destinati ad un accelerato declino che lascerà la popolazione in balia della disomogenea, e spesso carente, assistenza fornita dalla medicina generale.

L’accorpamento delle aziende territoriali, a fronte di esigui risparmi delle figure dirigenziali, pone enormi problemi di sprechi e di disservizi per l’unificazione di tutte le infrastrutture di supporto ( centralini telefonici, reti telematiche, riorganizzazione dei servizi ) oltre ad essere fonte di contenziosi interminabili con le amministrazioni locali e soprattutto con le popolazioni che hanno fondati motivi di ritenere che una aggregazione si stabilizza molti anni dopo la sua introduzione, e che nel periodo intermedio è purtroppo il cittadino a fare da collante fra i servizi sanitari.

Il rischio di disservizi protratti durante questo genere di avventure è esperienza comune, esso nuoce ai cittadini più di quanto non giovi alla razionalizzazione dei costi: a Torino in più di vent’anni si è introdotto ogni genere di geografia variabile dei servizi ( da una ASL a dieci, poi quattro, e ore due) ma non si è poi condotta nessuna analisi per definire quale sia stata la dimensione migliore per rispondere efficacemente ai bisogni della collettività.

La destra persegue un suo specifico interesse nel depotenziare i servizi pubblici perché questo favorisce l’espansione e il rigoglio del mercato privato, nei fatti alimentato da denaro pubblico , la sinistra, che non ha questi scopi, così facendo dà solo l’impressione di una generica volontà di cambiare pur di cambiare.

Intanto però, di questi cambiamenti poco avveduti, è il personale sanitario che finisce per pagare il prezzo più alto esposto com’è alla rabbia dei cittadini che lo considera direttamente responsabile della mancanza di una cartellonistica adeguata a segnalare nuove sedi e diverse funzioni, di centralini telefonici che non rispondono più, di servizi soppressi o resi inaccessibili, e quindi in conclusione della diminuzione di prestazioni indispensabili .

Il personale non può essere considerato come la controparte della Regione, di volta in volta insidiosamente accusato di assenteismo , di scarsa efficienza, o addirittura di insufficiente professionalità : il personale rappresenta la risorsa più preziosa per il buon funzionamento dei servizi. Gli operatori dovrebbero essere valorizzati per la loro insostituibile esperienza e per l’apporto creativo che ogni giorno profondono nella loro attività: è con la loro partecipazione che si può pensare di produrre una progettualità originale, assai più proficua che con consulenti prestigiosi e lautamente remunerati ma che non hanno alcuna diretta conoscenza delle realtà locali .

Di fronte a questo piano, alla fine riscritto trascurando i contributi che pur erano stati richiesti e sollecitati, si avverte crescere fra i lavoratori della sanità piemontese il senso di una profonda frustrazione.

In una regione come il Piemonte, dove le prospettive di sviluppo ristagnano , il piano sanitario poteva aprire orizzonti di alto profilo, destinando investimenti per la ricerca e per il potenziamento delle professionalità disponibili, riqualificando la sanità locale anche per farla diventare, in collaborazione con le competenze già presenti sul territorio nel settore tecnologico, un laboratorio propulsivo e innovativo nel campo della ricerca a livello internazionale .

Ad oltre un anno dall’insediamento della giunta Bresso , non si intravedono segnali che connotino una strategia della politica sanitaria coerente con un governo di centro-sinistra, anzi il testo attuale presenta una sostanziale continuità con i princìpi del passato quando la sanità è stata mandata avanti, anche in assenza di un piano sanitario, fino all’attuale condizione di gravissimo dissesto economico.

Dissesto economico che tuttavia non ha impedito alla Giunta di mantenere come Commissari la maggioranza dei precedenti Direttori Generali facendo sorgere il legittimo dubbio se i dirigenti che hanno contribuito a crearlo siano oggi i più idonei a risanarlo.

Certamente è opportuno porsi il quesito se l’Assessore che rappresenta in giunta il Partito della Rifondazione Comunista sia stato finora il più efficace interprete dei bisogni dei cittadini e delle istanze dei lavoratori che con grande entusiasmo e fiducia l’hanno sostenuto e votato.

E certamente non hanno votato per costruire un Piano sociosanitario dove le centralità sono rappresentate dalla sperimentazione pubblico-privato, dalle esternalizzazioni, dagli accorpamenti di asl con il solo scopo di risparmiare briciole, dalle nomine senza trasparenza.

Redazione del periodico Lavoro e Salute

www.lavoroesalute.org




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Sanità

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