Dai primi di gennaio i cittadini, senza alcun preavviso, si sono ritrovati a
pagare una maggiorazione di 10 euro su ogni prestazione specialistica e 25
euro per gli accessi al pronto soccorso con “codice bianco” (casi ritenuti
di gravità minima).
Questo è stato uno dei primi effetti tangibili della finanziaria 2007 per il
cittadino, considerato al centro del sistema secondo ogni legge di riforma
emanata dagli anni 90 in poi, concetto evidentemente rimasto tuttora solo
sulla carta.
Oggi, per assurdo, per alcune prestazioni è più conveniente il privato, ed
anche a fronte di qualche euro in più, si finisce per favorire il privato
che non ha tempi di attesa insostenibili. Risultato: il cittadino sarà
comunque costretto a spendere di più per tutelare la propria salute, oppure,
in alternativa, a rinunciare ad accertamenti o controlli di prevenzione.
Mentre forse le aziende sanitarie pubbliche risolveranno il problema dei
tempi di attesa per molte prestazioni.
Intanto tra le notizie del 19 gennaio si legge che il Governo fa marcia
indietro sulla questione delegando alle Regioni la scelta di applicare la
maggiorazione, trovando però altre forme di compartecipazione alla spesa. E
chi finora ha pagato la maggiorazione perché aveva già prenotato visite ed
esami? In ogni caso, per sapere cosa cambierà, si dovrà aspettare un decreto
di delega alle Regioni, con soluzioni che troveranno applicazione con tempi
non ben definiti.
Il problema degli sprechi in sanità, dell’appropriatezza delle prescrizioni,
dei tempi di attesa, non può essere risolto a danno del cittadino. E come
garantire gli obiettivi di prevenzione, di equità e uniformità di un
Servizio Sanitario Nazionale? Le difficoltà di accesso alle prestazioni
possono in molti casi pregiudicare lo stato di salute, e il carattere
ingiusto di ogni forma di ticket fa cadere il concetto di un sistema
sanitario universale come intendeva essere quello italiano al momento della
sua istituzione con la legge n.833 del 1978.
Come in altri ambiti, avrebbe più senso tassare il superfluo, non il
necessario.
In definitiva questa tassazione, che vorrebbe ridurre la spesa sanitaria
limitando l’accesso inappropriato alle strutture sanitarie, nasconde la
realtà di servizi territoriali insufficienti il cui potenziamento sarebbe,
al contrario, la vera risposta al problema.
Medicina Democratica si impegna a mettere in atto iniziative di informazione
e di pressione perché il governo abroghi questi ingiusti provvedimenti.
Brindisi, 27 gennaio 2007