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Rassegna Stampa - Sentenza di secondo grado petrolchimico

Un po’ di giustizia per Marghera
Il Manifesto, 16 dicembre 2004
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Per i morti da cvm e il disastro ambientale causato dal Petrolchinico la sentenza d’appello correge il tutti assolti di primo grado. Cinque condanne per omicidio colposo e tante prescrizioni. Significa che i reati sono stati commessi, commenta il pm Casson che definisce la sentenza «equilibrata»

Una sentenza equilibrata, che dosa condanne, prescrizioni e assoluzioni, ha corretto lo smodato «tutti assolti» che il 2 novembre 2001 aveva chiuso il processo di primo grado per i morti e per il disastro ambientale causati dal Petrolchimico di Porto Marghera. La sentenza d’appello, letta ieri nell’aula bunker di Mestre dal giudice Francesco Aliprandi, non è un mero contentino simbolico per i parenti delle vittime, offesi dall’assoluzione plenaria di tre anni fa. Commina solo cinque condanne per un unico omidicio colposo. Ma la tante prescrizioni per questo e per altri capi d’imputazione attestano che il crimine c’è stato. I signori della chimica, pur sapendo che il cloruro di vinile monomero era cancergeno, hanno lasciato che uccidesse gli operai. E per anni hanno inquinato laguna e territorio con sversamenti e rifiuti tossici. Il tempo trascorso ha «estinto» reati che però sono stati commessi. «Vent’anni fa avrebbero condannato tutti», dice il pubblico ministero Felice Casson, il grande sconfitto del processo di primo grado. La sentenza di ieri conferma l’impianto accusatorio e lo ripaga di una fatica decennale. E’ anche un risarcimento alla memoria per Gabriele Bortolozzo, l’operaio del Petrochimico che per primo documentò l’epidemia di tumori tra i lavoratori del reparto Cvm. Le prescrizioni evitano le condanne per gli imputati in sede penale, ma per le parti lese sono una solida base per ottenere risarcimenti in sede civile. I cinque condannati per omicidio colposo (un anno e mezzo di pena, azzerata dalla concessione delle attenuanti) sono ex dirigenti di spicco della Montedison: Alberto Grandi e Piergiorgio Gatti hanno ricoperto in epoche diverse la carica di amministratore delegato, Emilio Bartalini era responsabile del servizio sanitario centrale, Renato Calvi è stato direttore generale della divisione petrolchimica, Giovanni D’arminio Monforte era l’amministatore delegato di Montefibre. Dovranno risarcire (50 mila euro ai figli e 8 mila ai fratelli) i familiari di Tullio Faggian, operaio del Petrolchimico deceduto per angiosarcoma nel 1999. E’ stato l’ultimo ad andarsene dei 157 morti su cui verteva il processo, l’unico per cui non è scattata la prescrizione.Intervenuta invece, per i cinque condannati, per altri 7 omicidi colposi e per 12 casi di lesioni personali colpose. I cinque ex pezzi grossi di Montedison sono stati assolti, fino al 1973, dall’accusa di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni (mancata istallazione degli aspiratori). Fino a quella data il reato non sussisteva. Sussisteva, invece, dal 1974 al 1980 ma è caduto in prescrizione. Analoga prescrizione per un’altra decina di imputati. L’anno 1973 è importante. Il giudici di primo grado ne avevano fatto un feticcio. Hanno sostenuto che prima di quella data non era provato che il cvm provocasse tumori all’uomo, dunque Montedison non era tenuta a fare alcunché; dopo, hanno scritto nelle motovazioni, aveva fatto tutto il possibile per proteggere la salute dei lavoratori. Di qui, l’assoluzione. Il giudici d’appello, sulla base dello stesso materiale probatorio (il dibattimento non è stato rinnovato), hanno concluso diversamente. Di qui, le prescrizioni.

Le prescrizioni coinvolgono anche imputati Enichem (arrivata a Marghera dopo la Montedison). L’ex presidente Lorenzo Necci e tre amministratori delegati di Enichem figurano tra i 16 imputati a cui sono state prescritte le contravvenzioni per gli scarichi del petrolchimico in laguna. Dunque quando il professor Federico Stella, patrono dell’Enichem, afferma che per i suoi imputati la sentenza d’appello con cambia di una virgola quella di primo grado dice una piccola bugia.

A quella virgola cambiata attribuisce invece grande importanza l’avvocato dello Stato Giampaolo Schiesaro. L’intervenuta prescrizione per gli scarichi in laguna «apre la strada alla richeiesta del risarcimento danni nei confronti dell’Enichem». Lo Stato ha già ottenuto 600 miliardi di lire dalla Montedison, con un accordo raggiunto poche ore prima che venisse pronunciata la sentenza di primo grado. Nel processo d’appello Schiesaro ha chiesto 600 milioni di euro come provvisionale per i danni causati dall’Enichem. «Ma in sede civile potremo chiedere molto di più», annuncia l’avvocato dello Stato. Il che fa pensare che per cancellare le prescrizioni, cioé per ottenere un’assoluzione «piena», l’Enichem ricorrerà in Cassazione.

Anche la Regione Veneto e il Comune di Venezia, costituitisi parte civile, mirano giustamente a portare a casa un po’ di soldi. «Gli imputati sono stati salvati dal tempo trascorso, ma le prescrizioni ci danno la possibilità d’essere risarciti in sede civile», dice l’avvocato Eugenio Vassallo, patrono di Comune e Regione.

Soldi a parte, una sentenza articolata ed equilibrata, con i mezzi a disposizione della giustizia, si avvicina alla verità. Senza fare ideologia, demagogia o populismo, critiche mosse neppure larvatamente dai giudici di primo grado al pm Casson. Che ieri ha portato la sua pietruzza alla polemica in corso sulle prescrizioni: «Tempi di prescrizioni di 4 anni e mezzo per i reati ambientali sono ridicoli. Non si fa neppure in tempo a celebrare il processo di primo grado che è già tutto prescritto». Lui, comunque, resta in pista contro il tempo: sta indagando su altri casi di angiosarcoma collegati al cvm. Ripete che anche vent’anni c’erano leggi buone e buoni magistrati. «Ma la sensibilità e il contesto storico erano diversi».

MANUELA CARTOSIO




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Petrolchimici

In questa sottorubrica sono contenuti documenti e articoli sui processi contro i petrolchimici e sulle lotte dei lavoratori e degli abitanti delle zone inquinate.
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