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oggi è il: 28|03|2024
VERSO IL CONGRESSO NAZIONALE DI MEDICINA DEMOCRATICA

IL GAS, I RIGASSIFICATORI, LA POLITICA ENERGETICA: UNA BATTAGLIA PER IL FUTURO
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In vista del Congresso Nazionale di Medicina Democratica, pubblichiamo la relazione che il Comitato contro il rigassificatore di Livorno e Pisa ci ha inviato. Tale relazione è stata presentata al convegno su "Rigassificatori e fonti rinnovabili" tenutosi a Livorno il 29 marzo scorso.


L’uso del gas naturale

Il gas è da molti anni una preziosa materia di base per l’industria chimica.

Solo in tempi relativamente recenti è diventato una fonte energetica molto utilizzata dal momento che le centrali a gas di ultima generazione (a ciclo combinato) hanno costi e tempi di costruzione estremamente competitivi e presentano adattabilità e flessibilità d’uso e anche un minore impatto ambientale che facilita la concessione di autorizzazioni.

“Relativamente pulito” e al momento disponibile, il gas naturale è considerato da molti un compromesso accettabile tra le esigenze economiche e il rispetto dell’ambiente, in attesa di un’energia pulita, economica e inesauribile, magari attraverso la fusione nucleare che, secondo le ottimistiche speranze dei sostenitori della scelta nucleare, potrebbe arrivare dopo il 2050 (ma da almeno trent’anni si tenta inutilmente di realizzarla). Per altri, invece, il gas servirebbe a “guadagnare tempo” in attesa che le fonti rinnovabili siano competitive con quelle fossili.

In definitiva, il gas sarebbe una sorta di “combustibile di transizione” tanto più che l’ultima direttiva Impianti di combustione di grandi dimensioni impone che tutti i generatori di potenza termica, con almeno 50MW di capacità, dovranno ridurre i loro ossidi di azoto e il biossido di zolfo o chiudere non oltre il 2015.

In realtà il gas naturale non è una fonte “pulita” come qualcuno vorrebbe farci credere ma solamente meno inquinante di petrolio e carbone. Assai discutibile è inoltre il ricorso al gas per limitare la produzione di gas serra. Anche se meno presente della CO2 in atmosfera, il metano ha un potenziale di riscaldamento globale (global warming potential) di 23 volte superiore di quest’ultima ed è responsabile per il 20% dell’innalzamento delle temperature dovuto all’effetto serra. Oggi il metano ha un peso pari al 16% di tutte le emissioni di gas serra a livello globale, con circa il 60% delle emissioni di metano che deriva da sorgenti antropogeniche, cioè legate all’attività umana. Il settore del gas naturale e del petrolio produce l’11% delle emissioni totali di gas serra e il 16% di quelle antropogeniche. Questo vuol dire che le sue perdite durante il trasporto, sia mediante mediante gasiere che gasdotti, contribuiscono a vanificare molti vantaggi.

La generazione di energia è un settore considerato la principale causa del consumo di gas nei prossimi 20-30 anni. Alcune proiezioni indicano che circa il 70 per cento del previsto aumento della domanda di gas sarà dovuto al suo uso nelle centrali di potenza.

La produzione di gas

Il principale bacino gasiero del pianeta è quello arabico, in Medio Oriente, con 64.000 miliardi di metri cubi di riserve. Di questo bacino fanno parte: il North Field in Qatar (25.000 miliardi di metri cubi, il 15% del totale mondiale) e il South Pars in Iran. Al secondo posto ci sono i giacimenti in Siberia, nella penisola di Yamal e nel mare artico con 40.000 miliardi di metri cubi.

La maggior parte del gas russo viene da tre soli campi nella Siberia occidentale: Urengoy, Yamburg, Medvezhye, noti come i “Big Three”. I giacimenti sono immensi ma da tempo sfruttati e la loro produzione è in declino. Le nuove scoperte si trovano in zone estreme come il nord della Siberia, il Mar del Giappone o di Bering, difficili da gestire per motivi tecnici, climatici e ambientali. Complessivamente la Russia, l’Iran e il Qatar controllano il 60% delle riserve planetarie.

Poi ci sono i giacimenti nell’area del Mar Caspio, a cavallo tra Russia e Kazakistan, e in Turkmenistan e l’Amu Darya, con 10.000 miliardi di metri cubi. Nel continente africano spiccano per importanza il bacino sahariano (Algeria 4.660 miliardi e Libia 1500), i bacini del delta del Niger (la Nigeria ha riserve di 5.300 miliardi di metri cubi) e del delta del Nilo (Egitto1800 miliardi). Importanti giacimenti sono anche in Norvegia.

L’Oil & Gas Journal stima le riserve accertate mondiali di gas naturale in 183.000 miliardi di metri cubi. Secondo uno studio di Jean Laharrere di ASPO France il picco nella produzione del gas verrà raggiunto tra il 2020 e il 2040 e ritornerà al livello attuale verso il 2060 per poi declinare sempre più.

L’aumento del prezzo del gas

Mentre negli anni Ottanta e Novanta il gas era abbondante ed erano i compratori a fare i prezzi, oggi il mercato è passato in mano ai venditori. Il declino dei giacimenti più facili e la ricerca in zone impervie, le turbolenze geopolitiche e il vertiginoso aumento dei costi di ricerca fanno aumentare molto i prezzi.

L’Agenzia Internazionale per l’energia, nel suo World Energy Outlook 2006, denuncia la crescente vulnerabilità dei paesi consumatori “i paesi OCSE [Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, n. d. a.] e quelli asiatici emergenti stanno diventando sempre più dipendenti dalle importazioni, poiché la loro produzione interna non riesce a tenere il passo della domanda”.

Inoltre petrolio e gas sono fonti di energia che si possono sostituire vicendevolmente nella maggior parte delle applicazioni a lungo termine. A causa di ciò, il prezzo continuamente crescente del petrolio è un fattore significativo di incremento dei prezzi del gas.

I consumi e le richieste di gas in Europa

La produzione dei paesi aderenti all’Unione Europea è ormai scesa a 210 miliardi di metri cubi all’anno, corrispondenti a circa il 40% della domanda e provenienti principalmente dai Paesi Bassi.

Un quarto delle importazioni (25%) proviene dalla Siberia, il 15% dalla Norvegia e un altro 15% dal deserto del nord Africa (Algeria). In particolare il gas russo arriva dai campi siberiani, tramite l’Ucraina nel “gasdotto della fratellanza”, fino Baumgarten in Austria, “hub” di smistamento del 80% del gas diretto in Europa. La Russia esporta meno di un terzo della sua produzione di gas. La maggior parte delle esportazioni è diretta in l’Europa e nei paesi OCSE Europa, anche se una quantità significativa va ancora a ex repubbliche sovietiche. Ma l’attuale quantità che giunge in Ucraina, Bielorussia e Moldavia non è documentata.

La situazione si va però evolvendo. La produzione norvegese di gas, abituale fornitore dei paesi dell’Unione Europea, è in fase di espansione importante, ma è previsto un suo arresto a 130 miliardi di metri cubi all’anno nel prossimo anno, per motivi politici di conservazione delle risorse. La produzione di gas del Regno Unito e dei Paesi Bassi è in fase di declino. La produzione europea sembra quindi destinata complessivamente a scendere rapidamente.

Inoltre il consumo di gas è in aumento di 2,6% all’anno dal 1980. A partire dal 1965, l’Europa ha consumato meno di 25 miliardi di metri cubi all’anno. Questo consumo è cresciuto fino a 470 miliardi di metri cubi all’anno nel 2005, alimentato dal gas del Mare del Nord. Mentre la produzione cala, si prevede che la richiesta potrebbe salire a 610 miliardi di metri cubi all’anno nel 2010 e a 750 nel 2020.

Si prevede anche che l’84% del possibile aumento della domanda di gas per la generazione di energia elettrica entro il 2015, nell’Europa a 25, verrà da soli tre paesi: Italia, la Spagna e il Regno Unito.

I futuri principali fornitori dell’Unione Europea

Quali paesi saranno in grado di soddisfare queste imponenti richieste? Per ora quelli con cui l’Unione Europea è collegata con gasdotto: principalmente Russia, Algeria e in minor grado anche Norvegia. Rimane la questione se questi paesi saranno in grado di mantenere o di aumentare le forniture di gas in futuro.

Alcuni hanno messo in dubbio l’affidabilità della Russia, come fornitore. Innanzi tutto c’è da osservare che l’Unione Europea è uno sbocco strategico per il gas russo ed è un partner di cui Mosca ha bisogno per sviluppare la propria economia e la propria industria. Un quarto del prodotto lordo russo proviene dagli idrocarburi e il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che per ogni dollaro di greggio o di gas prodotto in più, la ricchezza del Paese aumenta di 0,35 dollari.

Sono stati sollevati dubbi sulla possibilità che la Russia riesca a garantire in futuro le forniture. L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha dichiarato che: “la Russia è stato un fornitore affidabile per decenni; tuttavia non è chiaro quando e come verranno fatti gli investimenti per arginare il declino della produzione dei giacimenti esistenti”.

Si ritiene che la Russia farà tutto il possibile per mantenere le esportazioni di gas in Europa e nei paesi dell’OCSE. Ma con i loro tre maggiori campi di gas - Yamburg, Urengoy e Medvezhye - in declino, il mantenimento delle forniture comporterà dei problemi.

Quindi, sembra probabile che la Russia sarà in grado di mantenere costanti le esportazioni di gas a livello di 600 miliardi di metri cubi all’anno fino al 2020, ma non essere in grado di aumentare le esportazioni per compensare la caduta di produzione dei paesi dell’area OCSE. L’aumento del consumo interno e le esportazioni verso l’Asia orientale potrebbero contenere le esportazioni di gas ad ovest. Esiste infatti un progetto di un grande gasdotto che entro il 2020 dovrebbe poter trasportare in Cina almeno 30 miliardi di metri cubi all’anno, nonché il progetto Sakhalin2 che con il sistema GNL è destinato a rifornire in prevalenza il Giappone e altri paesi asiatici, oltre che la costa occidentale del Nord America.

Algeria (soprattutto), Libia e Egitto aumenteranno la produzione di gas nel corso dei prossimi anni con un picco nel 2015, anche se ci sarà un aumento del consumo interno, in particolare in Egitto. Essi potranno fornire circa 33 miliardi di metri cubi all’anno al mercato europeo. L’Algeria è il terzo maggior esportatore di gas naturale nel mondo. Le esportazioni dovrebbero aumentare, man mano che i progetti di gasdotti e di LNG saranno realizzati. Le esportazioni di gas sono state 64 miliardi di metri cubi all’anno nel 2003 e ci si aspetta che salgano a 76 miliardi di metri cubi nel 2010 e raggiungano 144 miliardi di metri cubi entro il 2030. E’ una fortuna per l’Italia e per l’Europa che l’Algeria si trovi vicino al confine meridionale del continente, permettendo al gas algerino di essere condotto via tubo in Italia e in Spagna.

La produzione di gas norvegese si è sviluppata rapidamente negli ultimi anni, soprattutto per lo sviluppo del campo Troll. Questa espansione potrà andare avanti per un altro paio di anni, ma poi la fase di espansione subirà quasi certamente una battuta d’arresto. Nel 2007, la Norvegia ha aperto il suo primo treno di GNL e sarà da vedere l’uso che ne farà.

La rete dei gasdotti di interesse europeo

Si è ormai sviluppata una intricatissima rete di tubi che assomiglia a una ragnatela che vede l’Eni in prima fila nella realizzazione di progetti anche in collaborazione con Gazprom. In generale si può rilevare che l’Europa è in prossimità dei maggiori giacimenti del mondo e ha la forza economica per stabilire rapporti solidi con i paesi produttori. Ecco una mappa dei principali gasdotti che forniscono gas russo:

-  Il vecchio gasdotto “della fratellanza” che attraverso l’Ucraina fornisce il gas all’Europa.

-  Il nuovo gasdotto Yamal-Europa. Unisce la penisola di Yamal vicino al circolo polare Artico, attraverso Bielorussia e Polonia, con l’Europa e l’Italia e mediante una altro ramo, con il Mar Nero. Nel 2006 ha trasportato circa 30 miliardi di metri cubi di gas. E’ poi in fase di realizzazione, con partecipazione dell’Eni, un ramo di 600 chilometri e di capacità di 60 miliardi di metri cubi di gas all’anno con destinazione la Slovacchia per migliorare anche i collegamenti con l’Italia.

Tra i gasdotti Africa-Europa ricordiamo:

-  il Transmaghreb dall’Algeria alla Spagna.

-  il TransMed dal Sahara algerino, lungo 2000 chilometri, che porta in Italia circa 25 miliardi di metri cubi all’anno.

-  Il Greenstream, attivo dal 2004, che porta 8 miliardi di metri cubi di gas all’anno dalla Libia fino a Gela.

I progetti di gasdotti di interesse europeo Tra i progetti di maggior rilievo spiccano i gasdotti:

- North Stream. Il gasdotto, in parte sottomarino, parte dal Mar Baltico. Porterà 27,5 miliardi di metri cubi all’anno diretti in Germania, con l’opzione per salire a 55. Il gasdotto, detto anche baltico, evita l’Ucraina fornendo la sicurezza del rifornimento almeno per la Germania.

- Il South Stream (corrente del sud) nasce da un accordo Eni-Gazprom. E’ in fase di realizzazione. In parte sottomarino, porterà gas verso la Grecia e poi verso l’Italia (oltre che all’Austria).

- Il Nabucco, in fase di realizzazione, dalla lunghezza di 3.500 chilometri dovrebbe portare 30 miliardi di metri cubi di gas (all’anno) non solo dal Caspio, ma anche dal Medio Oriente, Iran e Qatar compresi, evitando di passare per zone controllate dalla Russia. Questo gasdotto è in evidente concorrenza con il South Stream.

-  L’interconnessione Turchia-Grecia-Italia, trasporterà fino al golfo di Otranto 10 miliardi di metri cubi all’anno di gas Caspico. Il primo tratto, già realizzato, dalla Turchia alla Grecia si chiama ITG. Il secondo tratto, è sottomarino e arriverà dalla Grecia a Otranto in Italia; si chiama IGI o anche Poseidon; finanziato per il 50% dalla Commissione europea, avrà una portata di 8 miliardi di metri cubi all’anno e consentirà il collegamento al Blue Stream e ai gasdotti provenienti dai paesi caspici.

-  Il Galsi (Sonatrach, con partner italiani come Enel, Eni, Edison, Hera) con un collegamento marino di 1.500 chilometri arriverà a Piombino (Livorno), passando dalla Sardegna e porterà 8 miliardi di metri cubi all’anno dall’Algeria; ne è prevista una diramazione che attraverso la Corsica raggiunga la Francia.

-  Il Medgas dovrebbe collegare direttamente l’Algeria alla Spagna. Sono stati poi presentati progetti per il potenziamento di gasdotti provenienti dalla Norvegia, dalla Russia, dall’Algeria e dalla Libia. Una società mista svizzero-norvegese sta poi procedendo alla realizzazione di un nuovo gasdotto che porterebbe gas iraniano all’Italia attraverso i Balcani e l’Albania (gasdotto TAP). Si sta infine valutando la fattibilità di un progetto di un gasdotto di 4.450 miglia destinato a portare gas nigeriano alle strutture algerine e quindi all’Europa.

Le attuali forniture di gas in Italia

Innanzi tutto c’è da denunciare l’assoluta mancanza di un Piano Energetico Nazionale che definisca le esigenze energetiche italiane e stabilisca di quanta e di quale energia ha bisogno l’Italia.

Nel marzo del 2003 durante l’Offshore Mediterranean Conference a Ravenna, l’amministratore delegato dell’Eni Vittorio Mincato lanciò l’allarme sui rischi di un eccesso di offerta, una “bolla” che avrebbe potuto esplodere, con conseguenze imprevedibili sul mercato.

Secondo alcuni analisti ed esperti, l’ipotesi di una bolla dagli effetti devastanti è servita a giustificare una politica di scarsi investimenti da parte di Eni. Solo tre anni dopo, nel gennaio del 2006, a seguito del braccio di ferro tra Russia e Ucraina, tutti i mezzi di informazione hanno agitato lo spettro della chiusura dei rubinetti del gas. Mentre in Italia una campagna di disinformazione faceva temere un inverno al freddo, il gas veniva utilizzato per produrre energia elettrica venduta a Francia, Germania e Svizzera. Il fatto sarà riconosciuto dall’Autorità del gas che multerà Eni. I cittadini pagheranno 100 milioni di euro in più per comprare olio combustibile per le centrali.

Attualmente il gas arriva in Italia attraverso diversi gasdotti e il rigassificatore di Panigaglia (Spezia). Fortunatamente le infrastrutture d’importazione sono diversificate anche grazie alla posizione geografica dell’Italia. Algeria e Russia coprono i tre quarti circa del fabbisogno; il resto proviene da Olanda (12%), Libia (10%) e Norvegia (7%).

Ecco i principali gasdotti che portano gas in Italia.

-  Il recente Greenstream porta 8 miliardi di metri cubi all’anno dalla Libia (sarà raddoppiato portando la sua capacità a 16 miliardi di metri cubi) .

-  Il Transmed già ricordato porta 25 miliardi dall’Algeria (ne è previsto il potenziamento per ulteriori 6,5 miliardi di metri cubi).

-  Il Tag (Trans Austria Gasleitung) lungo 1.100 chilometri che attraverso l’Austria arriva a Tarvisio; controllato da Eni (detiene l’89% delle azioni), trasporta 25 miliardi di metri cubi di gas russo che proviene dal gasdotto della fratellanza; è previsto il suo potenziamento per ulteriori 6,5 miliardi di metri cubi all’anno.

-  Dal nord Europa il Transitgas, posseduto per il 49% da Eni, scorre per 1.250 chilometri e porta 16 miliardi di metri cubi all’anno di gas da Olanda e Norvegia.

C’è da notare che tutti questi gasdotti verranno potenziati o ristrutturati nei prossimi anni (vedi tabella 1). L’Italia importa anche piccole quantità di GNL, principalmente dall’Algeria.

L’Italia, ha una significativa, ma in declino, produzione di gas. Non siamo poi tanto poveri di gas: nei nostri mari (alto adriatico) e nel sottosuolo (valle padana) giacciono quantitativi apprezzabili di gas; pochi rispetto ai grandi giacimenti del medio oriente, ma strategicamente preziosi per allentare la dipendenza dall’estero. Sono mancati però ricerche e investimenti.

La scelta del gas: un disastro di politica energetica

Il gas in Italia contribuisce, caso unico nel mondo, al 60% per la produzione totale di elettricità.

In assenza di un Piano energetico nazionale la politica energetica la fanno le multinazionali dell’energia. Negli anni ’90 di fronte all’inquinamento prodotto dal petrolio e dai suoi derivati (olio combustibile, gasolio, ecc.) si poteva scegliere fra due strade: avviare un concreto programma di sostituzione accelerata delle centrali ad olio con una forma di produzione di energia “diffusa” imboccando la strada delle fonti rinnovabili oppure perseverare nella vecchia strada sostituendo le vecchie centrali a olio con le nuove a gas, cioè passando da un combustibile fossile ad un altro. La scelta dei gruppi energetici fu naturalmente quella di proseguire per la vecchia strada e lo Stato la appoggiò “assimilando” il gas alle fonti rinnovabili e quindi incentivandolo con i contributi statali denominati “CIP 6”. Con una rapidità impressionante quindi nel paese che secondo Confindustria e politici sarebbe vittima della “sindrome di Nimby” sono state riconvertite o costruite ex-novo decine di centrali a gas per la produzione di energia elettrica .

Secondo le statistiche di Terna, società che dal 2005 gestisce la rete di trasmissione nazionale, la maggior parte delle centrali termoelettriche italiane sono alimentate a gas naturale (60,5% del totale termoelettrico nel 2006), a carbone (16,9%) e con derivati petroliferi (12,9%). Ma nel 1995 (quindi prima dell’entrata in vigore della famigerata delibera detta CIP 6), gas naturale, carbone e petrolio "pesavano" rispettivamente per il 23,7%, l’12,2% e il 60,8%.

In questi anni a difendere l’interesse collettivo sono rimasti solo poche associazioni indipendenti e il variegato movimento dei comitati dei cittadini.

Appare evidente che senza una rapida inversione di rotta questa corsa vertiginosa verso il gas è destinata ad aumentare nei prossimi anni, accentuando i rischi in una situazione di vulnerabilità.

I rigassificatori

I rigassificatori sono la parte finale della filiera del GNL (gas naturale liquefatto) composta dagli impianti di liquefazione, dalle metaniere che trasportano il GNL e, appunto, dai rigassificatori. In sintesi, si può dire che il gas viene liquefatto negli impianti situati nei paesi produttori, trasportato da metaniere ad una temperatura di circa - 161 gradi centigradi, rigassificato e quindi immesso nelle reti dei paesi consumatori.

Attualmente ci sono nel mondo 51 rigassificatori, 16 in Giappone, 6 negli Stati Uniti, 12 in Europa (5 in Spagna, 2 in Francia, 1 in Portogallo, Belgio, Regno Unito, Grecia e Italia). Si tratta di impianti sottoutilizzati che generalmente lavorano dal 30 al 60% della propria potenzialità perché nel mondo la capacità di liquefazione è molto inferiore a quella di rigassificazione, esistono infatti solo 17 impianti di liquefazione funzionanti.

Il maggior numero di nuovi impianti di rigassificazione è previsto in Asia, in particolare in Cina, India e Corea del Sud, paesi con un enorme mercato potenziale, ma molto distanti dalle aree di produzione. In Europa ci sono 21 progetti di nuovi rigassificatori, di cui ben 13 solo in Italia (vedi tabella 2 nel documento pdf in calce). Negli Stati Uniti ci sono 6 impianti in progetto.

La corsa al gas in Italia

Come si è visto, in Italia si sono moltiplicati i progetti di rigassificatori. Ma perché questa corsa? Le motivazioni sono sostanzialmente tre:

1.C’è poco gas.

2.Bisogna liberalizzare il mercato, per ridurre i costi.

3.I rigassificatori sono strategici perché permetteranno all’Italia di evitare la dipendenza energetica da paesi ritenuti poco affidabili, come la Russia e l’Algeria.

La prima motivazione, ossessivamente ripetuta dai mezzi di comunicazione, e secondo cui i rigassificatori servono perché il gas in Italia è carente, è una tesi assolutamente insostenibile.

Prendendo per buone le uniche previsioni ufficiali disponibili, quelle fornite dalla “cabina di regia” istituita dal Governo Prodi nell’agosto 2006, nel 2015 l’Italia avrà bisogno di 108 miliardi di metri cubi di gas ma sempre stando alle cifre ufficiali relative ai gasdotti da potenziare e da realizzare alla stessa data arriveranno in Italia dai 124 ai 130 miliardi metri cubi di gas. Dal 14 al 20% in più del fabbisogno, fra l’altro evidentemente sovrastimato.

Questo senza considerare i 4 o 5 rigassificatori che con una campagna tanto insistente quanto fraudolenta ci viene ripetuto essere essenziali per l’approvvigionamento nazionale (vedi tabella 3 nel documento pdf in calce).

“Nel piano industriale del 2005 - ha scritto Edo Dominici - l’Eni già diceva che il gas in Italia è troppo. Già dal 2007 ci sono 7 miliardi di metri cubi in più. In realtà il gas quest’anno avanza ancora di più, circa 10 miliardi di metri cubi a causa dell’inverno estremamente caldo. E allora da dove nascono gli allarmi sul gas in Italia? Perché noi pensiamo di fare dell’Italia il Paese con più impianti e capacità di rigassificazione al mondo dopo il Giappone?

(...) Nel periodo di maggior allarme, creato a mio modo di vedere artificialmente, ci hanno detto che dalla Russia ci tagliavano il 5% del gas tutti i giorni il Tg1 apriva con questa notizia- noi cittadini abbiamo pagato. Vi ricordate? Un decreto per abbassare la temperatura di un grado nei condomini e negli uffici e una bolletta più cara del 14%. In realtà, durante la crisi del gas tutte le compagnie che producono elettricità da turbogas stavano esportando energia elettrica all’estero. Perché? Dal 2005 per la prima volta le compagnie italiane sono riuscite a produrre, in alcune ore della giornata, energia elettrica a basso costo addirittura competitiva con quella francese prodotta col nucleare. Quindi, mentre da noi ci facevano stringere la cinghia, nel frattempo Eni, Enel, Endesa e altre tre o quattro società esportavano energia elettrica prodotta con gas all’estero. Secondo me, l’allarme gas è stato creato appositamente per il suo enorme impatto economico.”

Dietro la campagna che tende a individuare i rigassificatori come infrastrutture indispensabili allo sviluppo economico dell’Italia si nascondono precisi interessi. A questo proposito citiamo una fonte insospettabile, Massimo Serafini del direttivo di Legambiente (associazione favorevole alla realizzazione dei rigassificatori):

“(il governo) dovrebbe prima di tutto dire quanto gas ci serve e in quale percorso di transizione va collocato. In realtà il concetto di fabbisogno viene piegato da una parte all’altra a fini speculativi: grazie ai rigassificatori si pensa di comprare il gas quando costa meno stoccandolo nei depositi sotterranei, per poi rivenderlo ad altri Paesi quando costa di più”.

Si insiste molto anche sui prezzi del gas ai consumatori. In effetti questi sono tra i più alti in Europa. Secondo la stessa Autorità del gas (indagine conoscitiva 2005) la causa fondamentale sta “nella persistenza della posizione dominante di Eni, in grado di esercitare, di fatto, una forte influenza nel mercato e sui prezzi”. Che ci sia una posizione predominante Eni, e sopra tutto svincolata dagli interessi nazionali, è fuori di dubbio. Del resto il gruppo petrolifero è stato multato per 290 milioni di euro dal Garante per i ritardi nel potenziamento del gasdotto Transmed “ostacolando l’ingresso di altri operatori sul mercato”.

Riguardo la presunta necessità di liberalizzazione del mercato, sui suoi effetti sui costi e sull’indipendenza strategica possiamo osservare che:

-  I costi di costruzione di un rigassificatore sono notevoli, valutati dai 300 agli 800 milioni di euro. Il rischio dell’investimento sarebbe elevato. Per incentivare la costruzione di questi impianti, lo Stato italiano è intervenuto garantendo la copertura di gran parte dei costi e dei rischi economici dei rigassificatori. Grazie alla delibera 178 emanata dall’Autorità per l’energia nell’estate 2005, lo Stato italiano ha azzerato di fatto il “rischio di impresa”. Con questa delibera l’Autorità per l’energia: “assicura anche in caso di mancato utilizzo dell’impianto” la copertura di una quota pari all’80 % della potenza nominale da rigassificare. Così, se le società che gestiscono i terminali non riescono a procurarsi il GNL, interviene lo Stato italiano che le rimborsa con i soldi prelevati dalle bollette dei cittadini. Ma non è finita. Al servizio di rigassificazione si applicano le tariffe differenziate fissate dall’Autorità dell’energia a seconda dei costi dell’impianto. Il gas dei nuovi rigassificatori, per l’ammortamento del costo dell’impianto, sarebbe fuori mercato. Grazie alla citata delibera dell’Autorità per l’energia, lo Stato si accollerà, per meglio dire scaricherà ancora sui cittadini, attraverso le bollette, le differenze di costo. E’ evidente che la costruzione dei rigassificatori non porterà giovamento sul versante dei prezzi mentre porterà un aggravio dei costi sulle bollette dei consumatori.

-  La legge 239/2004 consente ai proprietari di nuovi terminali GNL di chiedere l’esenzione della regola del TPA (Third Party Access) che avrebbe consentito agli operatori terzi di utilizzare in parte il terminale.

-  L’Eni ha il monopolio dei gasdotti italiani e un forte controllo sui gasdotti esteri che portano gas in Italia. Esperti e analisti vedono nella mancata separazione delle reti uno dei maggiori ostacoli all’apertura dei mercati. In nome della concorrenza, Commissione europea e Autorità del gas chiedono di separare la proprietà dei gasdotti gestiti dalla Snam dal controllo dell’Eni. La separazione proprietaria di Snam rete gas da Eni è stata più volte rinviata, ma mai realizzata. In proposito la Commissione Europea ha espresso un severo monito all’Italia sottolineando come la piena separazione proprietaria è il modo più efficace per assicurare più competizione, un’adeguata scelta da parte dei consumatori e per incoraggiare gli investimenti. Il gruppo a sei zampe ritiene invece vitale il controllo della rete per non indebolirsi “nel momento in cui servono interlocutori forti con i Paesi produttori”.

Appare evidente che i continui richiami alla necessità della “liberalizzazione” siano solo vuota propaganda. Non è stato “liberalizzato” nulla - né la rete dei gasdotti, né gli impianti di stoccaggio, né le tariffe - per il semplice motivo che la “liberalizzazione” di questi signori è in realtà il mantenimento e il rafforzamento di un mercato protetto in cui pochi attori (ENI, ENEL, Edison e non molte altre società energetiche) godano dei privilegi che lo Stato elargisce pesando sulle bollette dei contribuenti. Così con i soldi dei cittadini si favoriscono gli operatori del settore del gas, eliminando il “rischio d’impresa” e gonfiando le tariffe. La liberalizzazione è questa: l’abbuffata selvaggia di centrali, rigassificatori ed elettrodotti, non quella idealista quanto ipocrita dell’Espresso o dell’UE, o di Bersani. Per quanto riguarda la diversificazione abbiamo visto come i fornitori di gas dell’Italia siano molti (Russia, Algeria, Olanda, Norvegia, Libia) e come aumenteranno ancora grazie ai gasdotti in fase di realizzazione che porteranno gas prodotto nel mar Caspio e nell’Asia centrale. Secondo analisti seri nel breve-medio periodo l’eventuale realizzazione di nuovi rigassificatori non potrà cambiare l’attuale modello di approvvigionamento: contratti a lungo termine e predominanza di gas fornito da uno dei maggiori produttori di gas mondiale, la Russia.

Italia “hub” del gas?

Come si è detto in Italia arriverà una quantità di gas ben superiore alle effettive necessità nazionali perché governi e industriali vogliono fare dell’Italia un ponte per rifornire di gas l’Europa. Ad esempio, l’Autorità del Gas vede il nostro Paese come: “ponte naturale tra le aree di produzione mediorientali e nord africane e le aree di consumo continentali europee; tale collocazione consentirebbe all’Italia di diventare un vero e proprio , base di scambio per i mercati internazionali di approvvigionamento e consumo. Ciò genererebbe significative e positive conseguenze in termini di sicurezza degli approvvigionamenti e di convenienza economica, grazie ad una ampliata disponibilità di offerta e ad una maggior pressione concorrenziale”.

Per l’hub mediterraneo l’Italia deve vincere l’agguerrita concorrenza di Spagna, Francia, Croazia ma soprattutto della Turchia. Anche se poco pubblicizzato dai media, quello dell’hub rimane un obiettivo per industriali, politici e sindacalisti. Nel settembre 2006 uno studio dell’IRES-CGIL si allinea a quanto sostenuto da governo e industriali e parla chiaramente di realizzare 4 o 5 rigassificatori in modo da fare dell’Italia un hub del gas mentre nel dicembre 2007 la società di consulenza statunitense A.T. Kearney ha realizzato uno studio su “Il ruolo chiave dell’Italia nella corsa al gas naturale per il futuro delle forniture energetiche in Europa” in cui si legge che “l’Italia potrà giocare un ruolo importante grazie ai nuovi progetti dei gasdotti GALSI e IGI oltre che agli ampliamenti delle capacità dei gasdotti esistenti. Si tratta, complessivamente di oltre 40 miliardi di metri cubi di gas in più che faranno capo all’Italia (portando la sua capacità d’importazione di gas complessiva a circa 120 miliardi di metri cubi) e che rappresentano circa un quarto (26%) della capacità addizionale di gas naturale via gasdotto per il rifornimento dell’Europa del futuro”. Il progetto di fare dell’Italia un “hub” del gas per l’Europa lo si ritrova anche nel programma elettorale del Partito democratico in cui si sostiene che “La rete italiana del gas ... può molto rapidamente costituire il nucleo fondante della rete europea dei gasdotti”; il sostegno alla creazione in Italia di un hub del gas trova un accordo bipartisan fra le formazioni politiche che, al massimo, evitano di affrontare la questione, come fa la Sinistra arcobaleno.

A questo punto sorgono delle inevitabili domande:

-  Si crede davvero che l’indipendenza strategica possa essere ottenuta aumentando le importazioni di gas invece di intraprendere una seria politica di risparmio ed efficienza energetica e di incentivazione alla produzione in proprio di energia ricorrendo alle fonti rinnovabili?

-  Non si ritiene che un eccesso di gas possa essere di impedimento allo sviluppo di quelle tecnologie che saranno indispensabili in un futuro non lontano?

L’obiettivo delle attuali politiche “sviluppiste” sembra piuttosto quello di favorire il business delle grandi multinazionali energetiche che, infatti, si sono buttate a corpo morto sull’affare rigassificatori: mentre in Italia sono stati presentati ben 13 progetti di terminali di rigassificazione, nel resto dell’Europa ne sono stati presentati 8 in tutto!

E questo accade mentre l’Europa sta sviluppando sempre di più le fonti energetiche alternative. Quelle che non lasciano ai figli brutte eredità.

I futuri rifornimenti di gas

Grazie alla posizione geografica dell’Europa e alla sua forza economica, grazie alla sempre più fitta rete di gasdotti, il rifornimento di gas per l’Europa pare assicurato per uno o due decenni. L’Italia poi è in una posizione geografica particolarmente favorita.

Ma se ci si spinge più in là con gli anni le prospettive cambiano. E’ allora inevitabile domandarsi: chi fornirà il gas all’Europa? La Russia probabilmente soddisferà gli impegni attuali fino al il 2020. L’Africa avrà una forte crescita della produzione ridotta però da una crescita dei consumi interni. Parecchie decine di miliardi di metri cubi all’anno dovrebbero provenire da qualche altra parte mediante crescenti importazioni di GNL. Già nel periodo dal 2010 al 2020 l’Europa dovrà però affrontare una forte concorrenza per le forniture di GNL da parte del mercato asiatico (Cina, India, Giappone, Corea del Sud) e di quello statunitense.

E’ prevedibile che i costi del gas saliranno vertiginosamente, sopratutto per la crescente penuria di combustibili fossili, petrolio per primo seguito da gas e carbone. All’inizio dell’anno, Jeroen van der Veer della Royal Dutch Shell ha detto: “Dopo il 2015 le riserve facilmente accessibili di petrolio e di gas probabilmente non terranno più il passo della domanda”.

Insomma non ci sarà gas sufficiente per tutti a un prezzo accettabile. Consentire al mercato e alla forza economica degli Stati di stabilire chi potrà ottenere e chi non potrà ottenere l’energia disponibile avrà effetti sicuramente disastrosi. Uno scenario dove, ad esempio, prima le ex repubbliche sovietiche e poi l’est europeo e, forse, anche la Turchia saranno lasciati al freddo mentre l’Europa occidentale potrà riuscire a garantirsi la fornitura di energia, potrà produrre una incontrollabile destabilizzazione, con conseguenze negative per tutti, classi ricche e paesi occidentali compresi.

Anche il solo esame delle future riserve di gas, evidenzia la necessità di smettere di fondare l’assetto industriale e la vita di tutti sul gas, che diventerà presto un freno per lo sviluppo. L’efficienza energetica e lo sviluppo importante di energie rinnovabili, a basso o nullo impatto ambientale, sono dunque vie obbligate.

Si deve cambiare indirizzo e mentalità. Lo sviluppo di una industria che faccia di queste risorse il centro del suo interesse potrà essere il motore di una nuova economia. Per dare concretezza a queste prospettive, ci vogliono però anni, ricerca, massicci investimenti. Si devono perciò avviare subito opportune politiche economiche, che possano indirizzare il mondo scientifico e industriale.

Uno sguardo al futuro

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) pubblica annualmente dei prospetti energetici mondiali ("World Energy Outlook”) che analizzano i bisogni, le risorse e le politiche attuali degli Stati e delle imprese. I prospetti, pur con i loro inevitabili limiti, rappresentano, in un certo modo, il pensiero ufficiale dell’OCSE e sono perciò di notevole interesse.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha pubblicato nel 2005 un rapporto sulle future prospettive energetiche fino al 2030. La parte più significativa di questo studio è il commento della Direzione dell’AIE che accompagna la sua presentazione. Nella conferenza stampa di presentazione del rapporto “World Energy Outlook 2005” del luglio 2005, William C. Ramsay, Vice Direttore Esecutivo dell’AIE dichiarava: “Le proiezioni di queste tendenze hanno importanti implicazioni e portano a un futuro che non è sostenibile sia dal punto di vista della sicurezza delle forniture di energia, sia dal punto di vista delle prospettive ambientali. Noi dobbiamo cambiare queste prospettive e indirizzare il pianeta verso un cammino di energia sostenibile”.

Secondo Bernard Laponche, esperto di politiche dell’energia e presidente del Comitato Efficienza Energetica 21 della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite, il susseguirsi delle tendenze attuali sul consumo energetico al livello mondiale viene a urtare con dei limiti insormontabili, accentua le disuguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri e contribuisce alla frattura sociale.

Secondo Laponche analizzando il documento dell’AIE, se ne ricava che: “Se il modello energetico in vigore fino ad ora si limitasse ai paesi dell’OCSE, potrebbe senza dubbio perdurare nel tempo. Ma se consideriamo che sul pianeta ci sono uno (Cina), due (India), tre...insiemi della stessa misura dove lo sviluppo economico è sia legittimo che auspicabile, allora il sistema energetico attuale basato su uno sviluppo economico e sociale “energivoro” non regge: non c’è sviluppo sostenibile compatibile con questo modello...”.

Infatti, “Anche con una popolazione costante, il consumo totale dell’energia primaria supererebbe 30 miliardi di tep [tonnellate equivalenti di petrolio, n. d. a.], quasi il triplo del consumo attuale. Con l’attuale crescita dei consumi, se anche la popolazione rimanesse costante, il consumo totale dell’energia primaria supererebbe 30 miliardi di tep quasi il triplo del consumo attuale.

Se invece, come prevedono i demografi, la popolazione mondiale dovesse passare dai 9 agli 11 miliardi, il consumo sarebbe dell’ordine di 50 miliardi di tep. Una tale situazione non è soltanto , è semplicemente impossibile in termini di risorse, di costi economici, di danni ambientali, di conflitti armati.”

Aggiunge Laponche: “Ma il cambiamento più profondo della questione energetica è la fine dell’usurpazione della questione energetica da parte delle che controllano la produzione, i trasporti e la distribuzione dell’energia. La dinamica di crescita di queste imprese e le politiche energetiche che hanno imposto sono arrivate davanti a degli ostacoli di carattere economico ed ecologico. Si è imposto al consumatore un ruolo passivo, ridotto al pagamento delle fatture energetiche, nel momento in cui l’energia viene fornita e viene quindi pagata (...) La riappropriazione della questione energetica da parte dei cittadini è sicuramente la dimensione più interessante e più portatrice di speranze”.

Nelle conclusioni del suo lavoro Laponche afferma: “Lo sviluppo economico e sociale non può essere che frenato, reso impossibile, a causa dell’insicurezza energetica e la degradazione dell’ambiente locale e globale. Il rincaro dei prezzi del petrolio ha distrutto le economie più fragili.

Gli scenari di prospetti energetici «lasciare fare» (business as usual) mettono chiaramente in evidenza la chiusura politica, economica ed ambientale alla quale essi conducono.

La sicurezza energetica e gli ostacoli ambientali sono una sfida considerevole per lo sviluppo economico e sociale su scala planetaria. Questa sfida non può essere presa in considerazione fino a quando non si adottano dei nuovi modelli di sistemi energetici compatibili con lo sviluppo sostenibile, al fine di .

Il controllo dei consumi energetici subentra al primo stadio delle politiche che bisogna rapidamente mettere in atto poiché è esso che possiede il potenziale maggiore, esso si applica a tutti i settori e in tutti i paesi, è il migliore strumento di lotta contro il cambiamento climatico, al fine di permettere un rallentamento dell’esaurimento delle risorse fossili ed assicurare che una parte crescente di consumo energetico sia assicurata dalle energie rinnovabili. Esso costituisce un altro fattore di sviluppo economico attraverso la diminuzione delle spese energetiche e anche attraverso la creazione di nuove attività e d’impiego. E’ un imperativo di prim’ordine delle politiche energetiche ed economiche”.

Conclusioni

Invece, come se nulla stesse accadendo, in Italia i diversi schieramenti della politica istituzionale, salvo rare eccezioni, si muovono con gli stessi obiettivi: “modernizzare” il paese, offrendo risposte “adeguate” alla crisi economica, come se non esistesse anche una drammatica crisi ambientale. In altre parole tutti, o quasi, propongono infrastrutture, autostrade, centrali elettriche, rigassificatori, inceneritori, elettrodotti, ecc. ecc. I politici sono sostenuti da una pletora di tecnici, scienziati, opinionisti, intellettuali. Si assiste così a fenomeni per lo meno curiosi come quello di vedere la stampa piena di dotte dissertazioni su questioni che fino a pochi mesi prima nessuno conosceva. Esempio tipico ne è la questione “rigassificatori” sulla cui necessità per i superiori interessi del paese tutti ma proprio tutti gli opinionisti concordano, ma di cui fino alla primavera 2006 nessuno parlava per il semplice motivo che nessuno fra questi “tuttologi” da strapazzo sospettava neppure l’esistenza. E’ facile vedere che la regia di questa offensiva sta altrove, fra i padroni e i manager dei grandi gruppi industriali, energetici in prima fila, che controllano la stampa, sovvenzionano i partiti e certe grandi associazioni ambientaliste, impongono le loro parole d’ordine, cioè i loro interessi. Scrive Marino Ruzzenenti: “Insomma l’attuale ceto dirigente dei al potere (politico, imprenditoriale, manageriale, accademico e culturale) appare in Italia fondamentalmente unito (fatte salve lodevoli e minoritarie eccezioni) nel prospettare al Paese una direzione di marcia che ripropone esattamente il paradigma dello sviluppo, una sorta di .” Ancora più esplicito l’ecologista francese Hervè Kampf: “Il mondo è oggi governato da una oligarchia che accumula guadagni, patrimoni e potere con avidità. Questa classe predatrice non ha alcun progetto e non è animata da alcun ideale”. O, forse, ha un unico progetto: fare profitti...

A resistere a questa ondata “sviluppista” rimangono, a parte poche associazioni ecologiste indipendenti, i Comitati che nascono là dove il potere politico ed economico vuol imporre le sue scelte. I Comitati vedono migliaia di cittadini trasformarsi in agguerriti ecologisti che con una radicalità spesso notevole cercano di difendere salute e ambiente. I Comitati raccolgono crescenti consensi perché hanno facile gioco nello smascherare le malefatte nascoste dietro a tanti progetti devastanti che, spesso, si bloccano non solo per le proteste popolari ma anche per le effettive difficoltà insite nel loro “gigantismo” dannoso e inutile. Con le loro battaglie difensive i Comitati diventano il fulcro dell’offensiva ecologista tesa ad imporre alle classi dominanti un diverso modello di società, fondata su risparmio, efficienza energetica e utilizzo di fonti rinnovabili.

Scrive Greenpeace nel suo “Energy [R]evolution: a sustainable World Energy Outlook”, uno dei primi rapporti a fornire una strategia globale e dettagliata su come rivoluzionare il sistema energetico mondiale: “Per arrestare i cambiamenti climatici e contenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C, soglia oltre cui il processo rischia di divenire irreversibile, occorre abbattere le emissioni di CO2 del 30% al 2020 e di almeno il 50% al 2050. L’obiettivo è raggiungibile, ma occorre agire ora e avviare la rivoluzione energetica nei prossimi 10 anni”.

Si tratta di una sfida enorme che ci deve vedere impegnati tutti. Ancora una volta Davide può battere Golia. Il futuro è nelle nostre mani...



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.: Relazione del Comitato contro il rigassificatore di Livorno e Pisa :.
(Formato PDF della relazione presentata al convegno su "Rigassificatori e fonti rinnovabili" tenutosi a Livorno il 29 marzo 2008.)
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