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Anatomia del caso Caffaro dal punto di vista della politica ambientale
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Ho scritto la mia tesi di laurea (Master in Scienze Amministrative - Politica Ambientale) sul caso Caffaro a Brescia [1]. Ho cominciato ad interessarmene leggendo lo "scoop" de La Repubblica nell’agosto 2001: "A Brescia c’é una Seveso bis", scoprendo che la Caffaro era una fabbrica chimica che aveva inquinato l’ambiente di Brescia fin dall’inizio del secolo scorso, ma di cui solo in quel momento si stava cominciando a capire di cosa si trattasse veramente [2]. Cosi ho raccolto parecchio materiale di ricerca, soprattutto articoli dai quotidiani ed altri scritti sul caso, e ho svolto diverse interviste a Brescia, finendo il mio lavoro nell’autunno del 2003. Quello della Caffaro e un caso di politica ambientale molto interessante per vari motivi. Per una studiosa di politica ambientale, la storia della fabbrica come illustrata nel libro di Marino Ruzzenenti [3] e veramente sconcertante. L’inquinamento e cominciato negli anni ’30, e quello più pesante si e protratto fino agli anni ’80, quando e stata interrotta la produzione dei PCB. Gradualmente si e presa coscienza della pericolosità di questi PCB, delle diossine e di altre sostanze chimiche che venivano trattate nel sito e rilasciate nell’ambiente. Quasi altri 20 anni ci sono voluti prima di trovare la volontà oppure il coraggio di studiare quali fossero le conseguenze di questa produzione industriale a Brescia. La presenza di questi inquinanti nel terreno e stata scoperta per caso, in occasione della pianificazione per la costruzione dell’inceneritore a Brescia, pero prima che scoppiasse lo scandalo sulle pagine de La Repubblica non si avevano le risorse economi-che e la pressione politica per studiare la cosa fino in fondo. Anche per questo il caso Caffaro e particolarmente interessante: costituisce un caso esemplare di come i cittadini e gli ambientalisti riescano a sollevare la coscienza dei problemi, ed a sollecitare azioni costruttive per affrontarli, visto che finalmente l’inquinamento della Caffaro viene ora trattato con serieta, pur essendo attualmente ancora ai primi passi. La tesi di laurea si e occupata di svolgere uno studio particolarmente approfondito su un arco di tempo limitato; ho scelto infatti di studiare in dettaglio il caso Caffaro a partire dall’articolo de La Repubblica (13 agosto 2001) fino al novembre del 2002, pur tenendo certamente conto degli eventi nel loro complesso. La scelta e dettata dal fatto che, nonostante la storia centenaria della fabbrica, e nonostante alcuni studi di Asl, Arpa e Comune di Brescia, e lo studio di Marino Ruzzenenti fossero cominciati negli anni ’90, a far scoppiare il caso e a qualificarlo come disastro ecologico sono stati proprio l’articolo de La Repubblica e le successive denunce e polemiche degli ambienta-listi del Co.P.I.C. [4]. Nella mia tesi ho analizzato queste polemiche pubbliche, di cui la discussione sui rischi per la salute dei cittadini era quella più interessante [5]. Secondo il concetto sociologico e costruttivista del rischio, i rischi non sono qualcosa di oggettivo e facile da misurare o stimare in ogni caso; essi vengono invece costruiti in un processo sociale, comunicativo e collettivo. Il "rischio in se’" non esiste, e sempre costruito, calcolato e valutato dall’ uomo. Un obiettivo della mia tesi e stato cercare di capire come questa valutazione del rischio e stata fatta nel caso Caffaro. Subito dopo l’articolo di La Repubblica si e cercato di negare che l’inquina-mento della Caffaro costituisse un rischio per la popolazione. E stato detto che l’inquinamento era sotto controllo e che non c’era motivo di allarmarsi. Forse le autorità sarebbero state in grado di convincere la pubblica opinione (e se stesse) che i rischi non fossero poi così gravi. Ma il caso Caffaro non e stato solo discussione e polemica: ci sono stati studi e ricerche affidabili sul terreno, sulle acque, sulle rogge, sugli animali di allevamento, sulle coltivazioni e anche sul sangue degli abitanti. Ultimamente questi studi hanno pienamente confermato la gravita della situazione. Gli studi dell’Arpa di Brescia, considerati molto affidabili da tutti i coinvolti nel caso, hanno aggiunto l’autorevolezza scientifica necessaria perché le istituzioni potessero procedere con ordinanze sempre più severe e, anche se questo forse non e stato pubblicamente riconosciuto, hanno confermato le giuste intuizioni degli ambientalisti, e anzi hanno descritto una situazione persino peggiore di quella che loro stessi avevano ipotizzato. Gli studi ecologici su terreno, acqua e rogge fatti per il caso Caffaro hanno in un certo senso anche creato inedite rotture, divisioni e alleanze di opinione tra diversi attori del caso. I due medici, Panizza dell’Asl di Brescia e Ricci di quella di Mantova, hanno apertamente contestato le interpreta-zioni dei rischi date dall’Asl di Brescia stessa. Il consigliere regionale di Rifondazione Comunista Lombardi e l’ex-sindacalista Ruzzenenti sono stati attivi nel Co.P.I.C, mentre la Filcea-Cgil di Brescia, il sindacato chimici, non ne ha fatto parte. L’Arpa di Brescia e la fabbrica Caffaro sono invece rimaste sopra le parti. Qualcuno potrebbe chiedersi il perché di una divisione cosi peculiare: l’Asl, il sindaco di centro-sinistra, l’assesso-re all’ambiente dei Verdi e la Filcea-Cgil contro due medici, un ex-sindacalista e un consigliere regionale di sinistra... Perché le "linee di lotta" si sono formate cosi, e non invece ad esempio tutte le autorita contro la fabbrica? Secondo la mia tesi, ciò e avvenuto in conseguenza del fatto che gli ambientalisti hanno accusato le autorità di controllo e il sindacato di non aver fatto il loro dovere, gli accusati si sono naturalmente difesi, e le posizioni si sono cosi complicate fin dall’inizio. In questo modo, con una nuova rottura da un lato, e con dall’altro gli studi scientifici che nessuno contesta, si e creata abbastanza polemica per cominciare a studiare le cose fino in fondo. Secondo il sociologo Ulrich Beck le nuove cosiddette rotture ecologiche [6] possono aiutare a capire i nuovi rischi, e cosi sembra che effettivamente sia successo a Brescia. Tuttavia qualcosa mi sembrava man-care. Nel caso Caffaro si e discusso e studiato tanto i rischi sulla salute delle persone, ma si e parlato poco o nulla nelle discussioni pubbliche dei rischi ambientali, cioè i rischi per la natura, per 1’ecosistema. Forse ciò e accaduto perchè la fabbrica e insediata tra abitazioni e campi coltivati, o perchè né l’Arpa né Legambiente (o altre associazioni ambientali) sono state tra i più attivi nella discussione pubblica. Resta il fatto che a Brescia non ci si e preoccupati delle conseguenze sulla natura: si sono studiati attentamente i livelli di PCB e diossine nel sangue umano, come e giusto, ma si e forse dimenticato che queste sostanze danneggiano tutto 1’ecosistema? Si è scritto tanto sui giornali locali riguardo al caso Caffaro, ma quasi tutta la discussione (fatto rilevato anche nelle interviste) ha riguardato questioni per il futuro: dove ottenere i fondi per disinquinare, quali rischi ci saranno, a cosa si potrà adibire il terreno inquinato. Guardare solo le conseguenze nasconde un pericolo: se si giunge alla conclusione che alla fine gli effetti sulla salute dell’uomo sono molto difficili da verificare, si può arrivare a pensare che in fin dei conti l’inquinamento non fosse poi tanto grave ... Invece, guardare al passato e individuare gli errori che hanno portato a questo inquinamento e un lavoro costruttivo. Naturalmente il futuro della fabbrica, della popolazione e del terreno, e ancora la cosa piu urgente da capire e da risolvere, ma forse e anche vero che non c’é volontà di discutere pubblicamente un passato cosi "scottante". Leggendo il libro di Ruzzenenti tuttavia non si può fare a meno di chieder-si come e perchè sia stato possibile che una fabbrica abbia potuto inquina-re impunemente per anni ed anni, nonostante le voci degli ambientalisti, degli abitanti locali, degli scienziati, e anche nonostante i casi di inquinamento e disastro ambientale come Seveso. Perchè si e aspettato fino alla fine del 1990 prima di studiare il terreno e procedere con le ordinanze? [7]. Negli anni ’30 si era convinti di sapere bene come controllare le sostanze chimiche in produzione nel settore, ma questa convinzione esiste tuttora riguardo alle tecnologie e all’industria del presente. Siamo sicuri di stare ascoltando gli avvertimenti in tempo? Non sempre e facile capire quali avvertimenti ascoltare, ma cercare di capire gli errori del passato e sicuramente un modo di imparare a non ripeterli.

Nina NYGREN (Researcher, Master of administrative sciences (environmental policy), Department of Regional Studies 33014 University of Tampere, Finland email: nn62585@uta.fi Cell, in Finlandia: +358-40-563 64 72)


Articolo pubblicato sul numero 154-156 di Medicina Democratica
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> Anatomia del caso Caffaro dal punto di vista della politica ambientale 14 giugno 2007, di:andrez
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