L’inail e le patologie tabellate
Le lotte operaie dei decenni passati, tra le altre conquiste ottenute, riuscirono anche ad imporre al legislatore il riconoscimento che alcune patologie, di più ricorrente definizione tra alcune categorie di lavoratori esposti, venissero raccolte all’interno di un elenco, quello appunto delle patologie tabellate, in base al quale per i lavoratori facenti parte di quella categoria, con quelle mansioni e colpiti da una patologia compresa nell’elenco, il nesso di causalità fosse presunto ed il riconoscimento automatico senza che in capo al patronato che lo accompagnava nella domanda di riconoscimento dell’origine professionale pesasse il cosiddetto “onere della prova”, compito che invece rimaneva quando la malattia non era compresa.
Attualmente invece, pur continuando ad esistere lo stesso principio, anzi, anche di fronte ad un elenco che raccoglie nuove patologie, attraverso una serie di sentenze e prima ancora attraverso una serie di Consulenze Tecniche d’Ufficio l’automatismo viene eliminato, costringendo quindi i lavoratori a provare esposizioni che spesso non sono in grado di documentare, poiché deceduti o riferite a periodi molto indietro nel tempo, e negando loro in questo modo i loro sacrosanti diritti.
Porto quindi a conoscenza dei compagni di Medicina Democratica, ed in particolare dei legali, dei medici legali e degli epidemiologi, oltre naturalmente a coloro che pur privi di titoli affrontano quotidianamente sul posto di lavoro o negli sportelli salute queste vertenze, una sentenza a mio avviso oltremodo preoccupante, perché recepisce queste nuove logiche, snaturando le leggi esistenti attraverso una interpretazione a mio vedere capziosa, ma costruendo precedenti sui quali costruire una nuova giurisprudenza, sempre più distante dai diritti di chi la propria salute l’ha messa comunque a rischio e spesso l’ha perduta.
Il file che contiene la sentenza potrete leggerlo o scaricarlo al seguente link
https://www.medicinademocratica.org/vari ... o%20ge.pdf
in questo caso specifico vengono utilizzati strumentalmente i cosiddetti Criteri di Helsinki, arrivando a sostenere che se l’esposizione non è almeno stata raddoppiata il criterio probabilistico è insufficiente a riconoscere l’origine professionale della patologia tumorale.
La richiesta che presento è quindi di un commento di ogni tipo, scientifico, medico, statistico o legale, che ci possa aiutare a respingere questa impostazione e difendere le precedenti conquiste.
Grazie a chiunque volesse provarci
Maurizio Loschi
Sportello salute Savona
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