traccia per il gruppo lavoro ambiente
Inviato: 15/01/2017, 14:44
Proposta di traccia per il gruppo di lavoro : Ambiente e Lavoro Convegno per i 40 anni di Medicina Democratica
Occorre innanzitutto intendersi sul termine Lavoro che, in questo contesto, richiama non l’attività umana in sé ma l’insieme delle filiere produttive finalizzate al soddisfacimento dei bisogni umani e sociali (di base e indotti) ovvero la produzione : tutti i passaggi “antropici” attuati (scelti tra le diverse alternative tecniche e sociali) per realizzare merci di ogni genere – cibo compreso - dalla estrazione delle materie, alla loro trasformazione alla loro gestione post-consumo.
Ognuna di queste fasi, in funzione del ciclo produttivo adottato, determina impatti ambientali e, quindi, sulla salute. Medicina Democratica è, dalle suo origini, caratterizzata dalla analisi e dalla critica dei cicli produttivi per individuare le alternative a minore impatto come pure per identificare quei processi/materie da escludere dalla produzione a causa della loro insostenibilità. Qualcosa di simile è nei programmi del movimento per la decrescita che non si identifica solo nella necessaria ricerca di “compatibilità” dei processi di riproduzione antropici e nel loro alleggerimento quantitativo ma propone criteri discriminanti tra filiera e filiera produttiva distribuendo gli obiettivi di riduzione necessarie in modo differenziato e in funzione degli specifici impatti. Un “criterio” verrà proposto nella parte finale di queste note.
Negli ultimi anni questa attività si è espressa principalmente in campo processuale, per portare a giustizia i danni del passato (amianto - Eternit, ecocidi – Porto Marghera - morte operaia per malattie professionali) e del presente (Thyssen Krupp – morte operaia per infortuni), quasi sempre questi processi avevano delle “appendici” ambientali. Non sono mancati e non mancano i rapporti con le realtà locali che si battono contro impianti/realtà ad elevato impatto esistenti o in progetto. Frammenti di una potenziale rete di contatti, di condivisione e di azione comune da sviluppare per attuare quella democrazia che è fatta di lotta per il cambiamento e contestualmente di progetto di cambiamento.
Il secondo corno della questione, l’ambiente, è legato nella lettura e nella proposta di MD al tema della salute : l’affermazione del “bisogno” di un ambiente salubre e contro ogni forma di nocività è la concreta attuazione del principio costituzionale del diritto alla salute. L’esito del referendum costituzionale non va solo letto come un “pericolo scampato” ma come una occasione per riprendere il filo dei temi della attuazione della legge fondante la Repubblica, ancor più a fronte del rinnovato interesse alla politica quando si tratta di temi universali.
L’influenza delle condizioni ambientali sulla salute collettiva e individuale è diventata un determinante al punto che il corpo umano è una delle matrici tramite cui misurare e identificare il livello del degrado ambientale. Non solo in termini di contaminazione (accumulo di sostanze o effetti per esposizioni acute) ma anche in termini di modifica a livello di DNA. L’epigenetica sta facendo luce su tale processo e sulle sue conseguenze.
Un primo aspetto da considerare riguarda l’eredità del mondo della produzione del passato ovvero la contaminazione dei siti connessa ad aree dismesse o ancora in attività. L’incancrenimento, a seguito di errori perpetuati per decenni, della situazione relativa al polo ILVA di Taranto ne è un esempio agli estremi degli impatti ambientali e sulla salute (dei lavoratori come delle popolazioni esposte). Rappresenta, contestualmente, l’inefficacia – ai fini della riconversione - della conduzione della lotta, su un unico versante, quello della popolazione (e poi della magistratura).
Nei paesi ad elevata industrializzazione una serie di normative in diversi ambiti (outdoor, indoor, in ambito lavorativo , produttivo e della fase post-consumo) cercano un impossibile compromesso di “sostenibilità”, compromesso peraltro minacciato e ridiscusso perennemente dai vincoli posti dalla forma di valorizzazione del capitale corrente – la globalizzazione dei mercati e il superamento delle realtà nazionali. Se è indispensabile fare i conti con i disastri del passato (uno dei fattori del “boom economico” italiano e non solo) è altrettanto necessario evitare la perpetuazione di vecchi e nuovi errori basati sulla “impellente” parola d’ordine della crescita per la crescita.
Non è un caso che le prime norme, al di là della loro imperfezione, che cadono sotto la falce (rendendole di fatto inattive) delle iniziative di “crescita” sono quelle che regolamentano le procedure autorizzative per gli aspetti ambientali (es VIA, VAS, VIS) e l’esclusione di fatto dalla partecipazione delle popolazioni da queste ultime come da quelle che regolamento il contenuto “tecnico” (es. autorizzazioni integrate ambientali, AUA). Procedure che si convertono o vengono fatte convertire nel loro contrario, da modalità per l’emersione di ogni criticità ed esame delle alternative a forme di ricerca del consenso e di occultamento delle nocività.
In tale contesto non è un caso che diventano sempre più forti le spinte per modifiche “al ribasso” della normativa sulla sicurezza sul lavoro che rappresenta un caso di sostanziale adeguatezza legislativa a fronte della calante capacità di autoorganizzazione in fabbrica su questi temi (anche la tendenza alla ri-centralizzazione della vigilanza va in questa direzione).
In questo contesto contare sulla “green economy”, moderna forma di paternalismo del capitalismo che si autopropone come la soluzione di ogni problema creato da sé medesimo, sarebbe ingannevole. La vera “industria verde” è quella ridisegnata da chi ci lavora e da chi ne subisce le conseguenze ambientali.
Sono temi che riguardano tutte le filiere e necessitano di considerare le peculiarità di ognuna per trovare modi e mezzi di intervento per il cambiamento.
L’energia è la componente fondamentale di ogni processo antropico, il superamento di una società “termica” basata sull’utilizzo dei combustibili fossili è essenziale e coinvolge non solo il dato ambientale diretto (estrazione di materiali, emissioni, rifiuti ecc) e le lotte puntiformi rispetto a progetti e/o impianti esistenti ma una diversa visione anche della “infrastruttura” connessa. Produzione e autoproduzione, diversificazione delle fonti e netto spostamento verso le “vere” rinnovabili (non lo sono, per MD, i rifiuti e diverse modalità di utilizzo delle biomasse), distribuzione, riduzione e risparmio energetico sono temi su cui fondare il discorso dell’alternativa.
La produzione industrializzata degli alimenti, dalla agricoltura alla trasformazione, pone ben specifiche questioni a partire dal dato “unificante” delle fonti energetiche. L’utilizzo di fertilizzanti chimici, pesticidi, sementi brevettate, l’uso intensivo di acqua e macchinari pesanti, ha aggravato il problema della fame nel mondo e contribuito pesantemente alla sua contaminazione.
L’agroecologia nelle sue diverse articolazioni rappresenta l’alternativa : lotta contro gli OGM, contro la brevettibilità del vivente, per la riconversione biologica dell’agricoltura con coerenti programmi di sviluppo rurale tesi a rendere convenienti e premianti per i produttori questa scelta. L’obiettivo è quello di un ecosistema agricolo equilibrato, incentivando la nascita dei Biodistretti, sull’esempio di quello di Panzano in Chianti e della Carta di Panzano, a difesa della salute umana, della qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo come elemento centrale degli equilibri della biosfera e come luogo di produzione salubre del cibo.
Le produzioni industriali rimangono il centro dell’intervento, qui si intrecciano tutti i temi : modo di produzione, contenuto delle merci (e quindi gestione dei rifiuti), rapporti lavorativi, modello economico e sociale. Le possibilità di una conversione in senso “ecologico” (di riduzione degli impatti) si gioca su tutte le articolazioni suddette della forma reale della riproduzione del capitale e delle sue contraddizioni (oggi nel “vestito” della globalizzazione).
In “gioco” sono tutti i soggetti potenziali del cambiamento e con tutti vanno condotte le azioni per una inversione di direzione. Oggi è difficile identificare la composizione di una “classe generale” che, lottando, cambia le condizioni di tutte le altre realtà, come pure il lavoro non è più, di per sé, espressione e riconoscimento della dignità personale e collettiva. Ma non è un problema nuovo, nell’ambito della tutela della salute, anche nei periodi di maggiore “contropotere” del movimento operaio il tema della salute in fabbrica era minoritario e attivo per lo più nelle aziende di maggiori dimensioni.
Non solo la difficoltà è nei rapporti di forza nel mondo del lavoro e nella società, completamente ribaltati, ma vi è anche la necessità di ripensare il momento del lavoro stesso, a partire dalla sua entità (orario) rispetto alla garanzia di un reddito adeguato ai bisogni primari.
Il tema del post consumo (rifiuti), infine, è un tema su cui i movimenti sono attivi (es RifiutiZero) e sul quale vi è una ampia conoscenza e condivisione nonché sono numerosi gli interventi che in passato e attualmente vedono MD in primo piano e come uno dei riferimenti principali disponibili.
Il lavoro di presa di coscienza – indispensabile per la conduzione di lotte, dentro e fuori le fabbriche – è contestuale al lavoro di conoscenza e costruzione di un “sapere” popolare. Nella costruzione di reti, movimenti, realtà locali la sfida è quella di andare oltre la fissazione di un obiettivo per definire un progetto di alternativa. Per rimanere al nostro tema , a partire da una alternativa alle produzioni di morte e di malattia.
Una possibile iniziativa con valenza universale, articolabile a livello locale e nella condivisione con le altre realtà, è quella del “MAC ZERO per i cancerogeni”. Si tratta di un obiettivo che caratterizza da sempre MD e le punte più avanzate del movimento operaio.
L’elaborazione su questo tema è ampia e scientificamente fondata dai contributi di Giulio Maccacaro, a quelli di Luigi Mara e Lorenzo Tomatis.
Individua un fattore di riconversione di base dell’industria: oltre all’energia la chimica è fondamento di ogni produzione. La discussione e l’iniziativa sulla sua attuazione favorirebbe il contatto e la condivisione tra le realtà di fabbrica e quelle ambientaliste nei territori.
Ha una valenza europea – e quindi un obiettivo “esportabile” - in quanto la normativa sulla chimica (e sul suo “mercato”) è costituito dal regolamento REACH e i cancerogeni costituiscono un tema oggetto di evoluzione e decisioni extranormative su cui la pressione popolare può avere un effetto determinante (ricordo il “precedente” dell’amianto).
Su tale aspetto va detto, non per polemica, ma per impostare una discussione che la Confederazione Europea dei Sindacati (Ces) ha adottato una risoluzione nel dicembre 2014 che da un lato chiede la definizione di un programma internazionale per l’Eliminazione dei tumori professionali e dall’altro chiede la revisione della direttiva sugli agenti cancerogeni nei luoghi di lavoro con la individuazione di valori limite vincolanti per 50 sostanze particolarmente pericolose.
La definizione di limiti occupazionali per i cancerogeni (mutageni e teratogeni) non è il nostro obiettivo, rimanendo sotto il profilo normativo l’azione dovrebbe essere invece quella di caricare maggiormente quanto già previsto (Dlgs 81/2008) ovvero evitare o ridurre “l'utilizzazione di un agente cancerogeno o mutageno sul luogo di lavoro in particolare sostituendolo, se tecnicamente possibile, con una sostanza o una o un procedimento che nelle condizioni in cui viene utilizzato non risulta nocivo o risulta meno nocivo per la salute e la sicurezza dei lavoratori” : sostituzione o ciclo chiuso.
Una campagna ben costruita ed estesa a tutti i soggetti del cambiamento costituirebbe il nucleo di una ripresa dell’iniziativa e un passo fondamentale verso il superamento della presunta dicotomia lavoro-(ambiente)-salute.
Occorre innanzitutto intendersi sul termine Lavoro che, in questo contesto, richiama non l’attività umana in sé ma l’insieme delle filiere produttive finalizzate al soddisfacimento dei bisogni umani e sociali (di base e indotti) ovvero la produzione : tutti i passaggi “antropici” attuati (scelti tra le diverse alternative tecniche e sociali) per realizzare merci di ogni genere – cibo compreso - dalla estrazione delle materie, alla loro trasformazione alla loro gestione post-consumo.
Ognuna di queste fasi, in funzione del ciclo produttivo adottato, determina impatti ambientali e, quindi, sulla salute. Medicina Democratica è, dalle suo origini, caratterizzata dalla analisi e dalla critica dei cicli produttivi per individuare le alternative a minore impatto come pure per identificare quei processi/materie da escludere dalla produzione a causa della loro insostenibilità. Qualcosa di simile è nei programmi del movimento per la decrescita che non si identifica solo nella necessaria ricerca di “compatibilità” dei processi di riproduzione antropici e nel loro alleggerimento quantitativo ma propone criteri discriminanti tra filiera e filiera produttiva distribuendo gli obiettivi di riduzione necessarie in modo differenziato e in funzione degli specifici impatti. Un “criterio” verrà proposto nella parte finale di queste note.
Negli ultimi anni questa attività si è espressa principalmente in campo processuale, per portare a giustizia i danni del passato (amianto - Eternit, ecocidi – Porto Marghera - morte operaia per malattie professionali) e del presente (Thyssen Krupp – morte operaia per infortuni), quasi sempre questi processi avevano delle “appendici” ambientali. Non sono mancati e non mancano i rapporti con le realtà locali che si battono contro impianti/realtà ad elevato impatto esistenti o in progetto. Frammenti di una potenziale rete di contatti, di condivisione e di azione comune da sviluppare per attuare quella democrazia che è fatta di lotta per il cambiamento e contestualmente di progetto di cambiamento.
Il secondo corno della questione, l’ambiente, è legato nella lettura e nella proposta di MD al tema della salute : l’affermazione del “bisogno” di un ambiente salubre e contro ogni forma di nocività è la concreta attuazione del principio costituzionale del diritto alla salute. L’esito del referendum costituzionale non va solo letto come un “pericolo scampato” ma come una occasione per riprendere il filo dei temi della attuazione della legge fondante la Repubblica, ancor più a fronte del rinnovato interesse alla politica quando si tratta di temi universali.
L’influenza delle condizioni ambientali sulla salute collettiva e individuale è diventata un determinante al punto che il corpo umano è una delle matrici tramite cui misurare e identificare il livello del degrado ambientale. Non solo in termini di contaminazione (accumulo di sostanze o effetti per esposizioni acute) ma anche in termini di modifica a livello di DNA. L’epigenetica sta facendo luce su tale processo e sulle sue conseguenze.
Un primo aspetto da considerare riguarda l’eredità del mondo della produzione del passato ovvero la contaminazione dei siti connessa ad aree dismesse o ancora in attività. L’incancrenimento, a seguito di errori perpetuati per decenni, della situazione relativa al polo ILVA di Taranto ne è un esempio agli estremi degli impatti ambientali e sulla salute (dei lavoratori come delle popolazioni esposte). Rappresenta, contestualmente, l’inefficacia – ai fini della riconversione - della conduzione della lotta, su un unico versante, quello della popolazione (e poi della magistratura).
Nei paesi ad elevata industrializzazione una serie di normative in diversi ambiti (outdoor, indoor, in ambito lavorativo , produttivo e della fase post-consumo) cercano un impossibile compromesso di “sostenibilità”, compromesso peraltro minacciato e ridiscusso perennemente dai vincoli posti dalla forma di valorizzazione del capitale corrente – la globalizzazione dei mercati e il superamento delle realtà nazionali. Se è indispensabile fare i conti con i disastri del passato (uno dei fattori del “boom economico” italiano e non solo) è altrettanto necessario evitare la perpetuazione di vecchi e nuovi errori basati sulla “impellente” parola d’ordine della crescita per la crescita.
Non è un caso che le prime norme, al di là della loro imperfezione, che cadono sotto la falce (rendendole di fatto inattive) delle iniziative di “crescita” sono quelle che regolamentano le procedure autorizzative per gli aspetti ambientali (es VIA, VAS, VIS) e l’esclusione di fatto dalla partecipazione delle popolazioni da queste ultime come da quelle che regolamento il contenuto “tecnico” (es. autorizzazioni integrate ambientali, AUA). Procedure che si convertono o vengono fatte convertire nel loro contrario, da modalità per l’emersione di ogni criticità ed esame delle alternative a forme di ricerca del consenso e di occultamento delle nocività.
In tale contesto non è un caso che diventano sempre più forti le spinte per modifiche “al ribasso” della normativa sulla sicurezza sul lavoro che rappresenta un caso di sostanziale adeguatezza legislativa a fronte della calante capacità di autoorganizzazione in fabbrica su questi temi (anche la tendenza alla ri-centralizzazione della vigilanza va in questa direzione).
In questo contesto contare sulla “green economy”, moderna forma di paternalismo del capitalismo che si autopropone come la soluzione di ogni problema creato da sé medesimo, sarebbe ingannevole. La vera “industria verde” è quella ridisegnata da chi ci lavora e da chi ne subisce le conseguenze ambientali.
Sono temi che riguardano tutte le filiere e necessitano di considerare le peculiarità di ognuna per trovare modi e mezzi di intervento per il cambiamento.
L’energia è la componente fondamentale di ogni processo antropico, il superamento di una società “termica” basata sull’utilizzo dei combustibili fossili è essenziale e coinvolge non solo il dato ambientale diretto (estrazione di materiali, emissioni, rifiuti ecc) e le lotte puntiformi rispetto a progetti e/o impianti esistenti ma una diversa visione anche della “infrastruttura” connessa. Produzione e autoproduzione, diversificazione delle fonti e netto spostamento verso le “vere” rinnovabili (non lo sono, per MD, i rifiuti e diverse modalità di utilizzo delle biomasse), distribuzione, riduzione e risparmio energetico sono temi su cui fondare il discorso dell’alternativa.
La produzione industrializzata degli alimenti, dalla agricoltura alla trasformazione, pone ben specifiche questioni a partire dal dato “unificante” delle fonti energetiche. L’utilizzo di fertilizzanti chimici, pesticidi, sementi brevettate, l’uso intensivo di acqua e macchinari pesanti, ha aggravato il problema della fame nel mondo e contribuito pesantemente alla sua contaminazione.
L’agroecologia nelle sue diverse articolazioni rappresenta l’alternativa : lotta contro gli OGM, contro la brevettibilità del vivente, per la riconversione biologica dell’agricoltura con coerenti programmi di sviluppo rurale tesi a rendere convenienti e premianti per i produttori questa scelta. L’obiettivo è quello di un ecosistema agricolo equilibrato, incentivando la nascita dei Biodistretti, sull’esempio di quello di Panzano in Chianti e della Carta di Panzano, a difesa della salute umana, della qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo come elemento centrale degli equilibri della biosfera e come luogo di produzione salubre del cibo.
Le produzioni industriali rimangono il centro dell’intervento, qui si intrecciano tutti i temi : modo di produzione, contenuto delle merci (e quindi gestione dei rifiuti), rapporti lavorativi, modello economico e sociale. Le possibilità di una conversione in senso “ecologico” (di riduzione degli impatti) si gioca su tutte le articolazioni suddette della forma reale della riproduzione del capitale e delle sue contraddizioni (oggi nel “vestito” della globalizzazione).
In “gioco” sono tutti i soggetti potenziali del cambiamento e con tutti vanno condotte le azioni per una inversione di direzione. Oggi è difficile identificare la composizione di una “classe generale” che, lottando, cambia le condizioni di tutte le altre realtà, come pure il lavoro non è più, di per sé, espressione e riconoscimento della dignità personale e collettiva. Ma non è un problema nuovo, nell’ambito della tutela della salute, anche nei periodi di maggiore “contropotere” del movimento operaio il tema della salute in fabbrica era minoritario e attivo per lo più nelle aziende di maggiori dimensioni.
Non solo la difficoltà è nei rapporti di forza nel mondo del lavoro e nella società, completamente ribaltati, ma vi è anche la necessità di ripensare il momento del lavoro stesso, a partire dalla sua entità (orario) rispetto alla garanzia di un reddito adeguato ai bisogni primari.
Il tema del post consumo (rifiuti), infine, è un tema su cui i movimenti sono attivi (es RifiutiZero) e sul quale vi è una ampia conoscenza e condivisione nonché sono numerosi gli interventi che in passato e attualmente vedono MD in primo piano e come uno dei riferimenti principali disponibili.
Il lavoro di presa di coscienza – indispensabile per la conduzione di lotte, dentro e fuori le fabbriche – è contestuale al lavoro di conoscenza e costruzione di un “sapere” popolare. Nella costruzione di reti, movimenti, realtà locali la sfida è quella di andare oltre la fissazione di un obiettivo per definire un progetto di alternativa. Per rimanere al nostro tema , a partire da una alternativa alle produzioni di morte e di malattia.
Una possibile iniziativa con valenza universale, articolabile a livello locale e nella condivisione con le altre realtà, è quella del “MAC ZERO per i cancerogeni”. Si tratta di un obiettivo che caratterizza da sempre MD e le punte più avanzate del movimento operaio.
L’elaborazione su questo tema è ampia e scientificamente fondata dai contributi di Giulio Maccacaro, a quelli di Luigi Mara e Lorenzo Tomatis.
Individua un fattore di riconversione di base dell’industria: oltre all’energia la chimica è fondamento di ogni produzione. La discussione e l’iniziativa sulla sua attuazione favorirebbe il contatto e la condivisione tra le realtà di fabbrica e quelle ambientaliste nei territori.
Ha una valenza europea – e quindi un obiettivo “esportabile” - in quanto la normativa sulla chimica (e sul suo “mercato”) è costituito dal regolamento REACH e i cancerogeni costituiscono un tema oggetto di evoluzione e decisioni extranormative su cui la pressione popolare può avere un effetto determinante (ricordo il “precedente” dell’amianto).
Su tale aspetto va detto, non per polemica, ma per impostare una discussione che la Confederazione Europea dei Sindacati (Ces) ha adottato una risoluzione nel dicembre 2014 che da un lato chiede la definizione di un programma internazionale per l’Eliminazione dei tumori professionali e dall’altro chiede la revisione della direttiva sugli agenti cancerogeni nei luoghi di lavoro con la individuazione di valori limite vincolanti per 50 sostanze particolarmente pericolose.
La definizione di limiti occupazionali per i cancerogeni (mutageni e teratogeni) non è il nostro obiettivo, rimanendo sotto il profilo normativo l’azione dovrebbe essere invece quella di caricare maggiormente quanto già previsto (Dlgs 81/2008) ovvero evitare o ridurre “l'utilizzazione di un agente cancerogeno o mutageno sul luogo di lavoro in particolare sostituendolo, se tecnicamente possibile, con una sostanza o una o un procedimento che nelle condizioni in cui viene utilizzato non risulta nocivo o risulta meno nocivo per la salute e la sicurezza dei lavoratori” : sostituzione o ciclo chiuso.
Una campagna ben costruita ed estesa a tutti i soggetti del cambiamento costituirebbe il nucleo di una ripresa dell’iniziativa e un passo fondamentale verso il superamento della presunta dicotomia lavoro-(ambiente)-salute.