L’indigesta tavolata della sanità (lombarda) di Lady Moratti

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L’indigesta tavolata della sanità di lady Moratti

 Questo testo è stato pubblicato su Il Manifesto del 24.06.2021 con il titolo “Moratti conferma, meglio il privato”

La campionessa del neoliberismo lombardo, ora assessora regionale al welfare, Letizia Moratti, sta apparecchiando il tavolo per revisionare l’Evoluzione del sistema socio-sanitario regionale: questo era il titolo della sperimentale riforma Maroni (LR 23/2015). L’ultimo colpo al precedente assessore, Giulio Gallera, l’aveva dato l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari (Agenas) che, pur impropriamente – è un organismo tecnico e non politico – aveva evidenziato a fine 2020 incongruenze nella governance: rapporti tra regione, Agenzie di Tutela delle Salute ATS, ex ASL, e Aziende Socio Sanitarie Territoriali ASST, ex Aziende Ospedaliere, richiedendo poche e certamente non radicali modifiche obbligatorie e qualche raccomandazione per la revisione, dopo 5 anni, della riforma Maroni.

Nessun problema per Agenas e per il Ministero della Salute per temi tornati al centro del dibattito regionale grazie alla pandemia: il rapporto pubblico-privato palesemente sbilanciato sul secondo, la gestione privatistica dei malati cronici (incluse le RSA, lazzaretti mortali per anziani e disabili), distruzione della medicina territoriale, abbandono dei medici di medicina generale – che l’attuale ministro per lo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, voleva sostituire con la telemedicina – frammentazione delle competenze, riduzione del personale … si può continuare. Con una delibera del 31.05.2021 lady Moratti ha iniziato ad apparecchiare una tavola indigesta per associazioni, enti, sindacati di base che hanno ripreso voce e chiedono un servizio (non un sistema!) sanitario regionale rifondato sui principi della vera riforma sanitaria, la legge 833/1978: obiettivi di salute individuale e collettiva come prodotto di prevenzione, cura e riabilitazione. Le pietanze apparecchiate sono una risposta alle sole richieste obbligatorie di Agenas, cambiare il meno possibile dell’esistente, su questo innestare alcuni contenuti del PNRR: case di comunità, medicina di prossimità, ospedali di comunità ecc. Un vero e proprio ircocervo ingestibile condito con il racconto della libertà di scelta garantita agli assistiti. Parliamo di un sistema che, in realtà, ha volutamente prodotto l’esplosione delle liste di attesa nel pubblico. Si aggiungono alcune perle la duplicazione dei dipartimenti di prevenzione, ora in capo alle ATS, con un servizio analogo nella ASST. I servizi di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro (PSAL) non vengono neppure citati. I tecnici della prevenzione, messi in smartworking durante la Fase 1 della pandemia (per sperimentare forse la televigilanza?) sono ancora oggi utilizzati soprattutto per il tracciamento, attività certo necessaria ma non riducendo quelle di controllo. Non si assumono operatori, neppure quelli già previsti 3 anni fa. La regione si è però data l’obiettivo di aiutare le imprese con le consulenze invece che con le ispezioni “repressive”: sono le imprese a dover essere aiutate per attuare gli obblighi di legge, non i lavoratori/lavoratrici per sopravvivere al lavoro.

Da ultimo, ma non per importanza, un invito al welfare aziendale quale ponte per nuove forme di partecipazione del privato all’erogazione delle prestazioni sanitarie, tutto nel silenzio dei sindacati che ottusamente non si rendono conto di aver attivato con i benefit assistenziali nei contratti un vero e proprio cancro della sanità pubblica.

Cosa chiedono le associazioni lombarde che condividono un percorso alternativo? In primo luogo che si rovesci il flusso di riorganizzazione del Servizio Sanitario Regionale: anziché dall’assessorato e scendere (fino a ATS, ASST, Ospedali, e solo per ultimi i servizi territoriali) chiediamo di iniziare da questi ultimi, rendendo poi coerenti con tale impostazione le strutture sovrastanti, di comando e organizzazione. Si deve parlare di case della salute, ma riempiendole di contenuti, ed essendo queste la realtà più vicina agli assistiti, per definirne le priorità occorre garantire la partecipazione dei cittadini come pure un preciso ruolo degli enti locali: chi ricorda che è il Sindaco la massima autorità sanitaria locale? A questo livello andrà definita l’Assistenza domiciliare integrata (ADI) o di prossimità (domiciliare) in particolare per chi ha patologie croniche e/o disabilitanti, in luogo del ricovero nelle RSA.

Si parli poi di Distretti socio-sanitari affrontando il nodo del rapporto con i medici di medicina generale come pure l’incremento di risorse e operatori: il ruolo della telemedicina, per esempio, che non è di risparmiare operatori ma di migliorare e potenziare i loro servizi. Qui troveranno sede anche i dipartimenti di prevenzione (sicurezza sul lavoro, veterinaria, sicurezza alimentare, igiene edilizia e pubblica) in coordinamento con gli enti che si occupano di ambiente, a partire dalla Agenzia Regionale di Protezione Ambientale (ARPA).  A seguire: definire il ruolo degli ospedali di comunità per i ricoveri brevi e di quelli di elevata complessità, pensare a come coordinarli invece di introdurre aziende ospedaliere separate fra loro e dal mondo. Le attuali ATS vanno abrogate, si può pensare a un’agenzia che si occupi di coordinare e controllare i diversi enti. Comunque, fine delle gestioni frammentate tra ATS e ASST. Un aspetto da risolvere trasversalmente e in modo netto è quello dei ruoli nel rapporto pubblico-privato: il pubblico definisce gli obiettivi e il privato, se vuole partecipare, li accetta invece di un sistema in cui il privato è disponibile a farsi carico solo delle prestazioni più profittevoli. Esattamente il contrario delle rivendicazioni dell’Associazione Italiana Spedalità Privata che in una recente audizione nella commissione sanità regionale ha chiesto letteralmente che il privato possa erogare “prestazioni sanitarie e sociosanitarie” delle future case e ospedali di comunità. Gli insaziabili si apprestano al banchetto apprestato da Lady Moratti. Le associazioni lombarde si preparano a far saltare il tavolo o almeno cercheranno di farlo “ballare”: la salute non è una merce, la sanità non è una azienda.

Marco Caldiroli – Medicina Democratica, Società della Cura – Tecnico della Prevenzione

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