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PRIMI APPUNTI PER UNA DISCUSSIONE SULL’ ORGANIZZAZIONE SANITARIA.

Forum su tematiche relative alla sanità nelle sue implicazioni sulla salute reale della popolazione, sull'organizzazione e sulle politiche sanitarie nazionali e internazionali.
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Antonio Muscolino
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PRIMI APPUNTI PER UNA DISCUSSIONE SULL’ ORGANIZZAZIONE SANITARIA.

Messaggio da Antonio Muscolino » 21/01/2017, 10:40

PRIMI APPUNTI PER UNA DISCUSSIONE SULL’ ORGANIZZAZIONE SANITARIA.

Negli ultimi anni, i sistemi sanitari -come le politiche più generali di welfare in Europa ed in Italia- sono sottoposti in maniera diretta o indotta ad una ristrutturazione determinata in particolare da finalità riconducibili ad una logica ragionieristica esclusiva di compatibilità finanziaria.
Questo pone evidentemente la questione dell’orizzonte verso cui la società intende navigare ed in quali condizioni.
La sanità e il servizio sanitario nazionale sono solo due delle componenti che aiutano a determinare un sistema sociale sano.
Il SSN è senza dubbio uno degli strumenti principali che assicura, per ciò che concerne il nostro Paese, l’unico diritto esplicitamente definito come fondamentale dalla nostra Costituzione: la salute.
Gli interventi che incidono nei luoghi di vita e lavoro di ogni persona hanno evidentemente un impatto diretto sulla salute dei singoli e dipendono anche da politiche che riducano o meno l’inquinamento ambientale, le nocività e le grandi differenze economiche e sociali. Tale decisioni contribuiscono alla creazione, permanenza e divisione -sempre più profonda- di gradienti socio sanitari che dividono la popolazione nei diversi paesi nel mondo ma anche all’interno di essi.
La salute in tutte le politiche dovrebbe invece costituire il punto focale dei legislatori per risolvere queste differenze.
Negli ultimi decenni, al contrario, il discrimine è stato individuato nelle compatibilità finanziarie immanenti che hanno determinato degli interventi diretti nel welfare tesi spesso alla sua riduzione ovvero alla messa in disponibilità sul mercato di suoi vari settori. Tali scelte hanno contribuito sostanzialmente alla separazione sempre maggiore di piccoli settori di popolazione sempre più ricchi ed ampi strati della società che hanno visto ridurre la loro capacità economica e contemporaneamente l’accesso ai servizi.
Il sistema sanitario pubblico nazionale rientra fra i settori maggiormente a rischio per l’impatto che deriverebbe da una sua destrutturazione più o meno incisiva.
Il sistema sanitario nazionale italiano è un sistema definito “sobrio” in quanto pur tutelando l’universalità di copertura delle cure, ha un incidenza sul PIL al di sotto della media OCSE (NEl 2014 la spesa sanitaria procapite era di 3.239 $ PPP in Italia contro i 4.508 $ PPP in UK o i 9.403 $ PPP in USA. Nel 2014 in Italia si assesta sul 7% del PIL).
Spesso però è stata paventata la sua insostenibilità, ovviamente considerata esclusivamente dal punto di vista economico. Una contraddizione, si spiega, dovuta ai previsti impatti che potrebbero acuirsi nei prossimi anni con l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle patologie cronico-degenerative e i maggiori costi dovuti all’aumento del fattore tecnologico in medicina e farmacologia. Negli ultimi anni abbiamo assistito alla emersione del problema etico evidenziato dalla esclusione dalla erogazione di nuovi farmaci importanti per diverse patologie di alcune fette di potenziali pazienti sulla base dei rilevanti costi indotti da speculazioni di mercato.
Nel contempo, l’organizzazione sanitaria negli ultimi decenni ha di fatto reso merce la salute focalizzandosi sulle singole prestazioni erogate ed introducendo rimborsi legati ai volumi di attività e non ai reali risultati di salute. Questo ha determinato la trasformazione della persona in semplice consumatore di prestazioni sanitarie. Lo stesso concetto di “empowerment” del cittadino si è di fatto limitato ad una “libertà di scelta” à la carte strumentale al mercato.
In realtà, come evidenziato dal risultato della Commissione Romanow sulla sostenibilità del servizio sanitario canadese, “Non vi è alcun standard su quanto un paese dovrebbe spendere per la salute. La scelta la riflette la storia, i valori e le priorità di ciascuno. Il sistema è tanto sostenibile quanto noi vogliamo che lo sia”.
E’ perciò opportuno riflettere e rivendicare quelli che per noi dovrebbero essere i principi basilari per un organizzazione sanitaria che sia finalizzata ad un reale obiettivo di salute.
- La sostenibilità del sistema non può prevedere un utilizzo illimitato e non razionale delle risorse, come imposto dalla cultura neoliberista degli ultimi decenni, ma deve essere prevista al suo interno la migliore risposta possibile a seconda dei diversi bisogni di salute. Le politiche in genere devono avere l’obiettivo della riduzione delle diseguaglianze.
- La compressione di un sistema sanitario nazionale pubblico, la riduzione dell’accessibilità ai suoi servizi, determinata da vari fattori (de-finanziamento, compartecipazione, gestione rigida dei piani di rientro,...) tende a trasformarne la natura favorendo l’innesto di ampi settori privati i quali hanno come principale finalità la massimizzazione degli utili e la minimizzazione dei costi ma non la tutela della salute pubblica. Questa deriva non può che ampliare più facilmente le diseguaglianze riducendo la possibilità di accesso ai servizi e aumentando il consumismo sanitario. Il risultato paradossale potrebbe essere quello di un aumento della spesa sanitaria complessiva agendo non sulla parte pubblica ma ampliando quella privata o mediata con forti dubbi relativi alla reale appropriatezza delle prestazioni erogate.
- Le varie forme assicurative integrative o sostitutive di assistenza sanitaria o secondo welfare (peraltro spinte dai contratti collettivi di lavoro in luogo di riconoscimenti salariali e da sgravi fiscali) producono nuove diseguaglianze sulla base delle differenti coperture previste a seconda dei premi richiesti e non aiutano certo a ridurle.
Risulterebbe invece facilitata la possibilità di limitazione delle tutele del sistema pubblico per le sole categorie svantaggiate potenzialmente lasciando la strada aperta alla creazione di un sistema a doppio binario.
Deve invece essere mantenuto e rilanciato un unico Servizio Sanitario Nazionale pubblico basato sulla fiscalità generale progressiva per mantenere il solidarismo interno al sistema. Sarebbe pertanto opportuno, invece, insistere sulla lotta all’evasione ed elusione fiscale, alla corruzione ed agli sprechi. L’obiettivo della gratuità degli interventi “free at the point of use” deve essere attuata in particolare in questo lungo periodo di crisi economica.
- L’ideologia dell’incremento della salute legata al numero di prestazioni effettuate è solo funzionale al sistema di mercato della sanità stessa e non certo al livello di salute della popolazione e deve essere contrastata.
- Il ricorso a forme di assistenza privatistica anche interna ai servizi pubblici per l’aumento dei tempi di attesa o della compartecipazione per aumento ticket o dei tempi di attesa lunghi deve essere superata o almeno legata, nel breve periodo, a modifiche organizzative che tendano alla sua cancellazione.
- L’attuale concentrazione territoriale delle ASL determina ulteriori difficoltà in termini di reali risposte ai bisogni sanitari periferici e soprattutto limita la possibilità di reale partecipazione e controllo diretto da parte dei cittadini. Il modello della “Casa della Salute” proposto da Maccacaro per esaltare questi aspetti dovrebbe essere ripreso e approfondito.
- Deve essere ribadita l’importanza della riunificazione dei percorsi di prevenzione, cura e riabilitazione dando maggiore peso alla prevenzione primaria e promozione della salute (che impatta su tutte le politiche) da tempo relegata ai margini di ogni discussione poiché la sanità basata sulle prestazioni si è maggiormente concentrata sulla fase acuta concentrata negli ospedali. E’ poi importante la riunificazione del campo sanitario con quello sociale in quanto non è razionale reinviare dopo la cura, nei luoghi di provenienza che spesso hanno causato la malattia, senza avere previsto alcun intervento migliorativo socio-ambientale locale. Inoltre,l’attenzione alla migliore relazione fra il paziente e gli operatori di una équipe multidisciplinare deve essere centrale nel percorso in una visione olistica.
- Per rendere coerente il sistema con l'obiettivo di definire interventi che abbiano come risultato un reale miglioramento del livello di salute, è indispensabile che sia profondamente rivisto il sistema di rimborso considerando indicatori di efficacia e risultato in luogo dell'attuale rimborso a prestazione/DRG che, di fatto, si basa esclusivamente sulle patologie e pertanto sulla malattia.

Marco Caldiroli
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Re: PRIMI APPUNTI PER UNA DISCUSSIONE SULL’ ORGANIZZAZIONE SANITARIA.

Messaggio da Marco Caldiroli » 13/03/2017, 20:13

Segnalo e riporto l'articolo di Ivan Cavicchi su Il Manifesto del 3.03.2017 in particolare sul tema del "welfare" sanitario negli ultimi rinnovi contrattuali.


La salute ieri e oggi. Dal delegato di fabbrica alle mutue-benefit

Mezzo secolo è trascorso e i mitici metalmeccanici sono passati dalla salute non negoziabile (gruppi omogenei, mappe di rischio, delegato alla salute) alle mutue integrative. Si afferma così, attraverso il lavoro, il cosiddetto welfare aziendale.

Welfare aziendale, vale a dire una idea di contro-universalismo di classe che al diritto alla salute (del quale si constata di fatto l’inesigibilità, quindi l’utopia) preferisce, pragmaticamente, una forma di accesso privilegiato ai servizi sanitari garantito attraverso il salario demonetizzato.

Demonetizzare il salario significa che, un operaio, oltre ad una certa quantità monetaria con la quale pagare l’affitto, fare la spesa, andare in pizzeria, riceve anche benefit e perquisite, cioè servizi per perseguire «obiettivi di ottimizzazione fiscale e contributiva, di fidelizzazione, motivazione e attrazione delle risorse umane e di costruzione di una solida e duratura corporate identity».

Benvenuti nella nuova ideologia del “premio totale” (total reward): la salute non è più un interesse collettivo e, meno che, mai un diritto della persona, ma è un valore di scambio individualmente negoziabile. Questa volta siamo oltre l’indennità, oltre il litro di latte, oltre il problema delle pause. Il salario demonetizzato è nel terzo millennio, un modo per monetizzare la malattia.

Le mutue, nell’ideologia del total reward (si presuppone con un sistema pubblico minimizzato), retribuiscono così le aspettative di salute delle persone per cui esse non sono altro che un sistema di prestazioni ad accesso privilegiato, definite da un nomenclatore.

Presto potremmo assistere alla rinascita del neo-mutualismo aziendale che segnerà probabilmente il definitivo declino della sanità pubblica o meglio la sua marginalizzazione. La famosa “seconda gamba”.

Perché?

Perché in questo tempo sta prendendo piede l’applicazione della legge di stabilità del 2016 il cui decreto attuativo in materia di detassazione prevede tutte le precondizioni per generalizzare attraverso i contratti delle vere e proprie mutue sostitutive.

Il punto focale di questa detassazione è sostanzialmente uno: le aziende previo accordo potranno detrarre il costo delle mutue dal costo complessivo del lavoro. Cioè per loro il welfare aziendale è praticamente a costo zero.

Il governo oggi finanzia i datori di lavoro per svuotare l’art 32 della Costituzione, per ridurre a pubblica carità la sanità pubblica, per distruggere ogni parvenza di universalità e tutto questo in ragione di una discutibile idea neoliberista di sostenibilità economica. E senza che nessuno protesti.

La sua strategia sulla sanità è chiara: de-finanziarla per ridurre l’incidenza della spesa sanitaria in rapporto al Pil, uso del terzo settore per appaltare parti della sanità al volontariato e alla sussidiarietà, dare corso ad un nuovo mutualismo usando strumentalmente la forte domanda di servizi sanitari delle persone, disattesa a causa dello stato deplorevole in cui versa la sanità pubblica.

Tutto questo: mentre cresce il numero dei cittadini che comprano direttamente di tasca propria sul mercato prestazioni private altrimenti definite out of pocket; mentre cresce l’abbandono sociale cioè il numero di persone che non si possono permettere né la mutua, né l’assistenza privata e purtroppo (se pensiamo ai ticket) neanche quella pubblica; mentre la sanità pubblica tra eccellenze e miserabilità perde colpi falcidiata dai tagli lineari, sempre più diseguale, deludendo suo malgrado le aspettative sociali delle persone

Tuttavia non me la sento di accusare i metalmeccanici di tradimento perché non me la sento di condannare chi, oggi, ad una sanità pubblica decadente, preferisce altre alternative sfruttando i vantaggi della sua condizione di lavoro. La realtà è quella che è.

In questa regressione salute/mutue c’è qualcosa che rimanda alle difficoltà e alle incapacità della sinistra e del sindacato a leggere i cambiamenti e a governarli con un pensiero riformatore all’altezza delle sfide. Se oggi probabilmente saremo radicalmente controriformati dalle mutue di ritorno è perché in tutti questi anni anziché ripensare la sanità nei contesti che cambiavano reinventandola per adeguarla ad esempio ai problemi dell’economia e a quelli relativi alla nuova domanda sociale, ci siamo limitati a farne l’apologia, a rivendicare più soldi senza azzerare le diseconomie riducendo la prevenzione ad uno slogan.

La mia idea di “quarta riforma” contesta radicalmente l’idea sciagurata di sostenibilità di questo governo, è contraria ad un mutualismo di ritorno, ma contesta anche la grande invarianza nel sistema sanitario che in questi anni ha come ossificato l’offerta di servizi rendendola ancor più inadeguata nei confronti dei nuovi bisogni delle persone.

Oggi tornano le mutue anche perché il mutualismo, nonostante tre riforme sanitarie, non è mai morto. Sono anni che il servizio sanitario nazionale in realtà è una super mutua per cui oggi il dato politico vero è che la super mutua si sfarina in tante piccole mutue come era mezzo secolo fa.

Se Bauman dice che la crisi sociale genera nuove forme di solidarietà contro la precarietà (Stato di crisi 2015) bisogna rispondere che la mutua dei metalmeccanici dimostra che, la stessa crisi, se non è governata con un pensiero riformatore (cioè se il mutualismo quale paradigma resta sostanzialmente invariante), spinge la solidarietà a riorganizzarsi in forma egoistica e corporativa contrapponendo i deboli ai forti esattamente come tanto tempo fa.

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