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Il caso dell’impianto ACCAM di Busto Arsizio

L’INCENERIMENTO DEI RIFIUTI: VIZI E FALSE VIRTU’
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LA NOTIZIA “SCONVOLGENTE” Sulla prima pagina del quotidiano varesino, il 29 giugno 2005, campeggiava il titolo “Traffico di rifiuti, Varesotto nel ciclone. Impianto ACCAM sotto sequestro. Choc a Busto e Gallarate” [1]. Negli articoli si riferiva dell’esito delle indagini svolte, nell’arco di un intero anno, dal Nucleo Ecologico Operativo dei Carabinieri (“Operazione Grisù”) sulle modalità gestionali dell’inceneritore ACCAM di Busto Arsizio (VA) ovvero dell’impianto che smaltisce i rifiuti non differenziati per un consorzio di 27 comuni nell’area del basso varesotto e dell’alto-milanese. Gli arresti (con custodia cautelare o arresti domiciliari) hanno riguardato ben 19 persone tra cui il direttore tecnico dell’inceneritore assieme a titolari, dirigenti e/o amministratori di diverse società di raccolta/smaltimento di rifiuti, e precisamente: Alba Ecologia, Puli-Eco, Lodigiana Ambiente, Compostaggio Cremonese, Sari Group, Eco Delphi, Colombo Spurghi, De Andreis, Sitec, Nettatutto, Fertilvita, Ecodeco, Fertilter, Seco. I sequestri preventivi hanno interessato gli impianti delle seguenti società: Alba Ecologia (Albavilla), Puli-Eco e Lodigiana Ambiente (entrambe a Ospedaletto Lodigiano), Compostaggio Lodigiano(Villanova del Sillaro), Compostaggio Cremonese (Lodi), Sitec (Legnago), Nettatutto (Renate). I sequestri probatori hanno coinvolto l’inceneritore ACCAM e la Sari Group (discarica di Albonese - PV). I filoni dell’inchiesta sono diversi, e precisamente:
-  smaltimento, presso l’inceneritore ACCAM, di rifiuti speciali, non compresi nelle autorizzazioni dell’impianto, mediante il sistema del “giro bolla”, ovvero la “trasformazione”, nel passaggio da un impianto di stoccaggio ad un altro, dei codici identificativi dei rifiuti in modo da renderli “compatibili” con l’autorizzazione lucrando sulla differenza dei costi applicata (con differenze di costo tre volte inferiori; il volume di affari illeciti è stato stimato in 10 milioni di Euro);
-  recupero illecito, mediante compostaggio, di rifiuti non idonei a tale trattamento (es. spazzamento stradale), causando inquinamento ambientale nelle zone ove è stato utilizzato il compost così contaminato;
-  turbativa d’asta relativamente a un appalto svolto dall’ACCAM nei mesi scorsi per l’attribuzione dei servizi di movimentazione dei rifiuti in arrivo all’inceneritore che aveva visto contrapporsi due cordate societarie, da un lato Ecodeco, AMSC e Agesp (la prima privata, le altre due società pubbliche di Gallarate e Busto Arsizio), dall’altra Fertilter, Seco ed Econord (che gestisce la raccolta dei rifiuti in una ampia zona tra le province di Varese e Como nonché la immensa discarica di Gorla Maggiore-Mozzate). La gara era stata assegnata ad agosto 2004 a questa seconda cordata con un ribasso di 1 milione di euro (su una base iniziale di 6 milioni) ma, secondo gli inquirenti, l’assegnazione definitiva non era stata ancora effettuata per le pressioni provenienti dal Sindaco di Gallarate e dal presidente della società pubblica di raccolta rifiuti (AMSC) di questa città . In particolare, il sequestro probatorio dell’inceneritore è stato finalizzato a verificare se la combustione di rifiuti non autorizzata abbia comportato ulteriori e particolari impatti ambientali rispetto a quelli connessi con la sua normale attività. L’inceneritore è stato dissequestrato il 6 luglio 2005 dopo il prelievo di campioni da sottoporre a caratterizzazione analitica, le cui risultanze non sono note.

UN INCENERITORE AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO? La vicenda giudiziaria in corso è solo l’ultimo degli “inconvenienti” riguardanti l’inceneritore ACCAM e la sua gestione. Questi problemi nascono a partire dalla sua progettazione e costruzione: dalla prima autorizzazione regionale risalente al 1988, in previsione della sostituzione e del potenziamento delle preesistenti due linee di incenerimento (da 100 t/g ognuna) in funzione dal 1972-1974, ai successivi anni di frequenti fermate, ristrutturazioni e adeguamenti delle vecchie linee sostituite dal nuovo impianto (due linee da 250 t/g ognuna) attivato il 21 agosto 2000 [2]. La costruzione dell’impianto è, innaturalmente, durata circa 10 anni per le molteplici interruzioni dei lavori a causa di problemi finanziari, contenziosi amministrativi ed errori costruttivi (l’incredibile, per errori dimensionali, crollo di pannelli prefabbricati in cemento armato di copertura). Il precedente impianto ha vissuto proprie vicende giudiziarie, valgano per tutte quelle relative alla emissione di sostanze radioattive per lo smaltimento improprio di rifiuti ospedalieri, nonché la scoperta della tumulazione abusiva, per decenni, all’interno del perimetro dell’impianto, delle scorie e ceneri tossico-nocive derivanti dalla combustione dei rifiuti [3]; ancora, nell’aprile 1994 è stata posta sotto sequestro proprio l’area dove stava sorgendo l’attuale inceneritore. Inoltre, l’impianto sorge in una zona (quartiere Borsano di Busto Arsizio, al confine con il comune di Dairago che è anche il confine tra le province di Varese e Milano) che ha conosciuto nel tempo numerose criticità ambientali: da diverse discariche abusive attive negli anni ’70 e ’80, al pessimo funzionamento di un depuratore per acque reflue di gran parte della città; lo spagliamento diretto sul terreno dei reflui “depurati” (parzialmente e malamente) con la distruzione di una ampia zona agricola e boschiva; dalla presenza della nuova zona industriale della città; alla realizzazione (con l’ampliamento dell’ACCAM) di un impianto di stoccaggio e trattamento di rifiuti speciali [4]. Questo insieme di problemi, unitamente ad annosi (accentuati per la presenza di tali insediamenti) problemi di viabilità, hanno comportato un costante conflitto - con alterne fasi - tra i residenti del quartiere, l’ACCAM e le amministrazioni della città. Recentemente questo confronto aveva portato all’approvazione, da parte della Amministrazione comunale di Busto Arsizio di una nuova convenzione con il consorzio che prevede, previa bonifica del sito, di liberare l’area occupata da ACCAM entro il 2019. Inoltre, è stato siglato un accordo per “limitare” a 400 t/g i rifiuti conferiti da parte dei soli comuni consorziati (la vicenda ultima evidenzia anche un mancato rispetto di tale accordo). Questo accordo non è stato ancora accettato dal Consorzio ACCAM che ha acceso un contenzioso amministrativo tra gli enti, con vicendevoli denunce [5]. L’ultima vicenda prima degli attuali guai giudiziari è stato un gravissimo evento di “disservizio” , avvenuto il 13.11.2004, che ha visto coinvolte entrambe le caldaie dell’inceneritore. Vicenda anch’essa sottoposta a verifiche di carattere tecnico e giudiziario non ancora concluse (per quanto noto pubblicamente) ma, sulla quale, il Consorzio ACCAM e la società di gestione dell’impianto non si sono ancora degnati di fornire una esauriente e credibile ricostruzione dell’evento e delle sue cause. In sintesi, i fatti resi pubblici sono riportati in una succinta e carente “relazione” [6] dalla quale si apprende che alle ore 1,42 del 13.11.2004 si verifica una “rottura di un tubo di caldaia della linea 1”, il gestore interviene per la fermata della linea utilizzando l’acqua demineralizzata di scorta. Per motivi imprecisati alle ore 6.00 si verifica la rottura anche di un “tubo di caldaia della linea 2” e la fermata della linea risulta difficoltosa per l’esaurimento dell’acqua per il precedente intervento, con gravi danni agli impianti. Seguendo quanto indicato nella relazione, solo “alle ore 9,45 il Responsabile di Commissioning (la società, del gruppo Macchi Caldaie - Ansaldo, che ha l’appalto della gestione dell’impianto, ndr [7] ...avvisava telefonicamente l’Ing. (del Consorzio ACCAM, ndr) ...della situazione” ... “alle ore 13.00, presso la sede dell’ACCAM Spa ...si presentavano gli agenti della Polizia Locale, accompagnati dal Sindaco di Busto Arsizio, per chiedere informazioni sul fumo fuoriuscito dall’impianto. Successivamente ai cancelli si presentavano i Carabinieri, la Polizia di Stato, i Vigili del Fuoco, l’auto medica del 118 e successivamente ancora la Polizia Locale e l’ARPA” evidentemente avvertiti da persone residenti nelle vicinanze. Si procedeva al sequestro dell’impianto (dissequestrato due giorni dopo) e , nei giorni successivi, a sopralluoghi per svolgere prelievi di campioni da sottoporre ad analisi e verifiche sugli impianti. La giornata si conclude alle ore 22.45 quando il presidente dell’ACCAM si reca alla Caserma dei Carabinieri di Busto Arsizio per “effettuare una denuncia contro ignoti per procurato allarme”. In altri termini, il presidente dell’ACCAM ha digerito male l’intervento (alle ore 13.00, mentre il primo guasto agli impianti si era verificato più di 11 ore prima) dei diversi enti avvertiti da cittadini allarmati, mentre non spiega perché l’ACCAM ha omesso di informare dei suddetti guasti agli impianti, nonostante fosse obbligato a farlo, come stabilito dalle autorizzazioni rilasciate dalla Regione Lombardia e dalla Provincia di Varese. Infatti, l’autorizzazione recita (come di prassi) che “le fermate dell’impianto, a seguito di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria o causate da emergenze, guasti o malfunzionamenti, devono essere immediatamente comunicate agli enti territorialmente competenti al controllo” [8]. Come già detto, le cause di tali eventi estremamente infrequenti (la rottura quasi contemporanea di “tubi” delle due caldaie autonome) non sono state ancora rese note dai responsabili dell’ACCAM neppure a fronte di una tempestiva interrogazione consigliare e neppure nell’audizione, il 10.03.2005 del Presidente dell’ACCAM disposta dalla Commissione consigliare ambiente di Busto Arsizio. In particolare, non si conoscono le caratteristiche costruttive degli elementi che hanno ceduto, le caratteristiche del fluido (vapore) in particolare in relazione alla presenza di Ossigeno e/o Cloruri, se siano state svolte analisi metallografiche, se siano statti effettuati controlli sui componenti interessati dai guasti (presenza di corrosione interna/esterna, di incrostazioni o altre forme di attacco dei tubi delle due caldaie), nonché le attività di denuncia, collaudo e manutenzione di questi elementi (in quanto apparecchiature soggette a pressione), le modalità operative, gestionali, di sicurezza, di emergenza degli impianti attuati dalla società (Commissioning Spa) che ha in gestione l’inceneritore per rifiuti; i valori delle concentrazioni degli inquinanti dal sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni durante la fase di spegnimento delle due caldaie (i grafici presentati dall’ACCAM si interrompono all’inizio delle fasi di spegnimento che sono però durate diverse ore). Nonostante questa malaugurata esperienza non sembra che il Consorzio abbia colto gli opportuni insegnamenti. Ciò emerge dall’unica decisione pubblicizzata a seguito dell’evento, il Consiglio d’Amministrazione dell’ACCAM nelle sedute del 7 e 14 febbraio 2005 ha deliberato, tra l’altro quanto segue : “Distribuzione acqua industriale e acqua demineralizzata - sulla base dei profili di professionisti presentati, il Cda ha deliberato il conferimento dell’incarico all’ingegner Roberto Keffer relativamente alle tre fasi progettuali (preliminare, definitivo ed esecutivo) del progetto, direzione lavori e coordinamento sicurezza. Con questo intervento aumenteranno le scorte di acqua demineralizzata destinata al raffreddamento delle tubature delle caldaie, diminuendo, quindi, in caso di incidente, i danni.” [9] In altri termini l’unica misura adottata è quella di una maggiore disponibilità di acqua in caso si ripeta un simile evento, nessun cenno alle cause e alle azioni preventive per salvaguardare gli impianti ovvero per evitare i rischi di rottura e il conseguente inquinamento ambientale.

INCENERIRE RIFIUTI CONTRASTA CON LA LORO RACCOLTA DIFFERENZIATA E IL LORO RICICLO L’impianto ACCAM di Busto Arsizio (VA) è autorizzato all’incenerimento di rifiuti solidi urbani (RSU), rifiuti speciali assimilabili e rifiuti ospedalieri. La sua capacità di progetto, come detto, era complessivamente pari a 500 t/g di rifiuti con un potere calorifico medio intorno ai 2.200 kcal/kg (la capacità termica di ogni linea di incenerimento è pari a 23,1 Gcal/h) [10]. Successivamente [11] l’autorizzazione è stata “abbassata” a 400 t/g. L’inceneritore in questione è stato progettato per bruciare rifiuti “tal quali”, a basso potere calorifico, senza tener conto di significativi incrementi nella raccolta differenziata che, a partire dalla metà degli anni ’90, ha interessato diversi comuni del Consorzio ACCAM (sollecitati anche per i ritardi nella partenza del nuovo inceneritore). Si tratta di interventi fondati sulla raccolta porta a porta di singole tipologie di rifiuti che hanno portato (per rimanere a un valore sintetico) alla raccolta differenziata (2003) nei comuni consorziati a un valore del 45%; per l’esattezza i comuni della parte varesina hanno superato il 55 % [12]. La raccolta differenziata porta a porta attuata progressivamente dai comuni maggiori (Busto Arsizio, dal 1997; Gallarate dal 2003; Legnano, da maggio 2005) ha comportato l’arrivo all’inceneritore di un rifiuto residuo ad elevato potere calorifico (in media 3.100 kcal/kg) provocando maggiori difficoltà gestionali per l’inadeguatezza progettuale delle caldaie che, nei fatti, si è tradotto in una riduzione della loro “produttività” energetica. Si valuta che l’inceneritore ACCAM di Busto Arsizio [13] possa bruciare 119.000 t/a di rifiuti (360 t/g, quindi ancora meno di quelli “concordati”) e, nel 2003, ha effettivamente incenerito “solo” 97.029 tonnellate di rifiuti (di cui 6.625 tonnellate di rifiuti sanitari e 5.404 tonnellate di rifiuti speciali) pari a una media giornaliera (su un funzionamento annuo di 330 giorni) di 294 t/g. Eppure tale tendenza, e i relativi effetti sulla conduzione dell’impianto, erano ben noti anche al precedente Presidente del Consorzio che, nel gennaio 2004, così riferiva alla Commissione consigliare ambiente del Consiglio Comunale di Busto Arsizio: “Dal bilancio semestrale si vedeva già ad un certo punto una punta discendente, una punta che doveva preoccupare gli amministratori, perché con la raccolta differenziata, l’afflusso di materiale all’inceneritore è diminuito del 30%, questo comporta, badate bene, non una contemporanea riduzione di quella che è la produzione che paga il 30% ma è esponenziale, cioè al 30% di riduzione della capacità produttiva corrisponde un 50 % in meno di produzione di energia elettrica. E guardate che la questione dell’energia elettrica per l’impianto era abbastanza importante perché dava qualcosa come un miliardo (di lire, ndr) al mese, quindi era una cosa che serviva a pagare i mutui ... Si potrebbe dire . ‘ma fate un forno solo, invece di due fatene funzionare uno solo’ ma non è una risposta esatta perché quando c’è bisogno di fare andare tutte e due i forni bisogna attivare il forno, e attivare il forno vuol dire portare la temperatura con dispendio del gas metano e poi richiudere il forno riducendo ancora quella che è la temperatura, col dispendio sempre del metano... Se noi dovessimo considerare se anche il Comune di Legnano facesse la raccolta differenziata, l’ACCAM sarebbe veramente in crisi” [14] (come anzidetto, la città di Legnano ha introdotto un sistema di raccolta differenziata porta a porta solo nel maggio del 2005). Si tratta di un italiano che zoppica, ma il cui senso è chiaro e la fonte “nonèsospetta”. Anche queste parole smentiscono la prosopopea con la quale, anche da parte di alcune associazioni ambientaliste, si sostiene sia compatibile sviluppare elevati livelli di raccolta differenziata dei R.S.U. (con invio a riciclo/recupero dei materiali) e contestualmente promuovere il loro inquinante incenerimento, chiamato eufemisticamente “termovalorizzazione”. L’ILLEGALITA’ NELLA GESTIONE DEI RIFIUTI E’ SOLO NELLE DISCARICHE ABUSIVE E NON ? Altrettanta prosopopea viene utilizzata contro i cittadini che si oppongono alla realizzazione di nuovi inceneritori per rifiuti, in particolare nel Sud Italia. Queste forme di resistenza vengono puntualmente presentate (es. la lotta contro l’inceneritore di Acerra) come “inquinate” e/o dirette dalle organizzazioni criminali organizzate, le quali preferirebbero le discariche (abusive e non) per meglio attuare i propri disegni. L’inceneritore viene invece presentato come la vittoria della tutela dell’ambiente e della legalità. Le recenti vicende di ACCAM (ma non solo esse!) mostrano che ciò non corrisponde alla realtà. Sempre l’ex Presidente ACCAM ricorda che “lo scopo principale della mia nomina... era quello di ricercare quelle che potevano essere le anomalie dell’impianto...c’erano delle cose che non funzionavano, ad esempio... nella struttura muraria di questo nuovo impianto (c’erano) dei tegoloni. I tegoloni erano dei manufatti d copertura dell’impianto che cadevano, perché erano sottodimensionati...I discorsi dei fumi erano tenuti costantemente sotto controllo, però questo controllo era affidato a dei macchinari, che ad un certo punto l’autorità preposta alla tutela dell’ambiente, riteneva che questi macchinari non erano in regola, cioè non erano affidabili... Il discorso delle acque reflue, che non erano scaricate come dovevano essere scaricate secondo la normativa vigente...c’è il discorso dell’affidamento dell’incenerimento, del termovalorizzatore ad una società che è la Commissioning... noi a questa società, attribuiamo qualcosa come un canone annuale di circa quattro miliardi... Io ho calcolato che con una spesa e con un impiego di due miliardi per manodopera, si può benissimo fare il lavoro di questa società.. c’è uno strano appalto... tutte le responsabilità connesse per quanto riguarda eventuali infortuni o comunque eventuali, Dio non voglia, disgrazie, erano a carico del consorzio, mentre invece la società che lucrava, che lucra questo pagamento non aveva nessuna responsabilità... c’è la clausola che dice che i pezzi di ricambio devono essere a carico dell’ACCAM, ma non solo, con un prezzo prefissato, ma con un prezzo così strabiliante che io ho detto: ‘ma ad un certo punto, questi pezzi di ricambio chi li fa ? Forse Dior, forse li fa Cartier ?”... C’è un’altra società, anche questa che fa parte di un grosso complesso che è la Fertilter (una delle società indagate nella “Operazione Grisù” di cui si è detto sopra, ndr), questa società ha come si dice la gestione, il trasferimento dei rifiuti. Anche a questa società vengono dati qualcosa come quattro miliardi all’anno. (...) io non mi sono reso conto della ragione per la quale dopo due anni che malfunzionava l’impianto, non si fosse ancora arrivati al collaudo. Ho sollecitato il collaudo e ad un certo punto si è riusciti a chiuderlo... nel giro di un mese e mezzo... c’è una coincidenza abbastanza strana, cioè quel contratto con Commissioning ha la durata di trenta mesi, però decorrono ... dalla data del collaudo... ho scoperto e trovo strano che altri non abbiano scoperto, per esempio ho scoperto che i bilanci erano fatti male, e dopo ho trovato quel peculiare Sindaco che mi ha accusato di aver pagato le tasse”. (14)

Anche in questo caso si tratta di affermazioni che anticipano (forse anche hanno stimolato) le indagini che hanno fatto emergere parte delle illegalità nella conduzione dell’inceneritore ACCAM. Peraltro, l’“Operazione Grisù” segue, a circa un anno di distanza (dicembre 2003), l’ “Operazione Eldorado”, eseguita sempre dal NOE dei Carabinieri che portò all’emersione delle illegalità (anch’esse nella forma del “giro bolla” per trasformare rifiuti industriali in rifiuti urbani o assimilati) della discarica di Gorla Maggiore-Mozzate (gestita dalla società Econord e il cui direttore fu tra i 21 arrestati). Società come la Lombarda Servizi Ecologici (di Olgiate Olona, che aveva avuto strani e ripetuti incendi della sede), la società Ecoltecnica di Bollate (MI) e la Servizi Risorse di Settimo Milanese. (La società Ecoltecnica è stata successivamente interessata anche da un gravissimo incendio, il 30.07.2004, che ha comportato la chiusura dell’Autostrada A8 - Milano-Varese-Como- per diverse ore). A fronte di tali illeciti anche nel “profondo Nord”, sono paradossali, per usare un eufemismo, le parole dell’Assessore all’ambiente della Provincia di Varese (l’Amministrazione aveva in corso l’autorizzazione per il nuovo lotto della stessa discarica): “«Non ci meraviglia quello che è accaduto oggi - commenta Francesco Pintus assessore provinciale all’ecologia - ma i sospetti non sono sufficienti a prendere altre decisioni, ogni qualvolta si è verificato un incendio (si parla della società Lombarda Servizi Ecologici, ndr) la Provincia ha diffidato la ditta e sospeso le autorizzazioni, ma per il resto il nostro compito si limita al monitoraggio, anche per quanto riguarda la discarica di Gorla». A controllare, come aggiunge Pintus, è delegata l’Arpa, che proprio sull’impianto di Olgiate aveva svolto un controllo non più di un mese prima dell’ultimo incendio.”(Varesenews, 18.12.2003) Ancor più incredibili, sfrontate e in netto contrasto con quanto previsto dalla normativa in materia (DLgs 22/1997 ma, ancor prima, il DPR 915/1982 che pongono in capo alla Provincia la competenza del controllo delle attività di gestione dei rifiuti) le parole del medesimo assessore a fronte degli eventi dell’ACCAM: “L’assessore all’ambiente della Provincia di Varese, Francesco Pintus, sta facendo le valigie per le vacanze. Partenza rovinata? “Perché?”. Attento alle ultimissime notizie sulla riforma giudiziaria, l’ex sostituto procuratore della Repubblica e noto pm in tanti processi varesini non sa nulla dell’inchiesta che ha ‘spazzato’ il mondo della raccolta rifiuti in mezza Lombardia e anche tra Busto Arsizio e Gallarate. “La Provincia, d’altra parte, in un caso del genere non ha alcun ruolo. Non c’è nessuna competenza nel controllo dei rifiuti, sono i Comuni soci del consorzio dell’Accam a dover affrontare il problema” (La Prealpina, 29.06.2005).

L’INCENERITORE ACCAM E LE PROSPETTIVE DI GESTIONE DEI RIFIUTI IN PROVINCIA DI VARESE In questo periodo è in corso di revisione il Piano provinciale di gestione dei rifiuti, il Piano precedente (risalente al 1995) era basato sull’incenerimento dei rifiuti prevedendo due “poli”, uno a nord e uno a sud della provincia (quest’ultimo rappresentato dall’impianto di Busto Arsizio, il secondo inceneritore non è stato realizzato per la - giusta - opposizione popolare e delle amministrazioni locali coinvolte. Allo stato la Giunta provinciale ha approvato una prima parte del piano, dedicata all’analisi della produzione dei rifiuti, alla definizione degli interventi di riduzione dei rifiuti (1% in meno all’anno da qui al 2014), alle modalità e agli obiettivi di raccolta differenziata (indicati intorno al 60 %). A parte l’anomalia di un piano elaborato “in due tempi” da soggetti diversi (la prima parte, dedicata alla prevenzione/raccolta, affidata in pratica a persone che operano presso la Scuola Agraria di Monza; la seconda, quella “impiantistica”, affidata a tecnici della locale Università dell’Insubria), vanno segnalati mancati approfondimenti della problematica in questione. Si segnala in particolare la mancata definizione delle iniziative finalizzate alla riduzione dei rifiuti, alla struttura industriale provinciale del settore (in provincia vengono riciclati oltre 500.000 t/a di rifiuti di cui oltre 300.000 t/a importate da altre province), come le iniziative nel campo della ricerca sui prodotti e sulle tecnologie di riciclo (in particolare per i materiali più “ostici” come alcune matrici plastiche); infine, gli obiettivi di raccolta che prevedono incrementi quantitativi per quasi tutte le frazioni degli R.S.U. eccezion fatta per le materie plastiche la cui intercettazione dal flusso dei rifiuti urbani rimarrebbe stabile per oltre dieci anni sui livelli già raggiunti nel 2003. Non è un caso che questa parte del piano si chiude formulando una unica ipotesi per i rifiuti “residui”: essa prevede il loro recupero energetico sotto forma di CDR, mentre esclude in partenza ogni altra forma di trattamento finalizzato ad evitare il loro incenerimento. Nella discussione in corso sulla seconda parte del Piano provinciale dei rifiuti la questione del secondo inceneritore provinciale è tornata al centro, l’Amministrazione di Busto Arsizio ha chiesto esplicitamente che il piano preveda “la presenza di un secondo sito di smaltimento rifiuti a nord della provincia, alternativo a quello esistente in territorio di Busto Arsizio, da realizzarsi entro il 2007” [15], posizione ancora prima esplicitata dai tecnici dell’Università [16]. Va pure segnalato che le “linee guida” provinciali [17] riconoscono che “l’impatto ambientale che un solo impianto di smaltimento dei rifiuti urbani (termovalorizzatore) può determinare è considerato eccessivo dalla maggior parte dei comuni”; inoltre prefigurano (nell’ambito di una organizzazione per cinque bacini provinciali) una distribuzione di cinque “impianti di biostabilizzazione e pretrattamento che utilizzano la frazione residua per la produzione di CDR o di frazione secca” lasciando indefinito il successivo - obbligato data la finalità di tali impianti - incenerimento dei rifiuti così trattati. Il ruolo dell’impianto ACCAM dovrebbe essere quello di divenire una “centrale di cogenerazione che tratterebbe la frazione secca dei comuni della sola Provincia di Varese”. Come si vede, nulla di nuovo sotto il sole, gli affari (leciti e non) possono proseguire. Tale gestione dei rifiuti basata sulle modalità di smaltimento attraverso l’incenerimento e la discarica, ignorando colpevolmente che esse deprimono e rendono ancora più difficile il perseguimento di politiche di prevenzione, riduzione, riciclo e recupero dei materiali presenti nelle diverse frazioni dei rifiuti è inaccettabile, letteralmente tossica per la salute e l’ambiente. Per questo restano fondamentali la partecipazione e la lotta delle popolazioni a rischio autoorganizzate, per impedire l’installazione di ogni tipo di impianto di incenerimento dei rifiuti e per affermare la salute, l’ambiente salubre e i diritti umani.

Marco Caldiroli Busto Arsizio, 12 luglio 2005

* Centro per la Salute “Giulio A. Maccacaro”, Castellanza (VA)


Articolo pubblicato sul volume 157-158 della rivista Medicina Democratica
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