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oggi è il: 19|04|2024


Ex ITALSIDER : per una Bonifica vera dell’area Bagnoli - Coroglio, in un progetto di riequilibrio di salute ed ambiente
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Alla fine degli anni 80 prese corpo la normativa in materia di bonifica ambientale .

L’articolo 5 della legge 441/87 stabiliva che le regioni dovessero approvare il Piano di bonifica delle aree inquinate . Un primo elenco dei siti inquinati di interesse nazionale fu stilato con la legge 426/98 : in esso venivano segnalate nella lista dei 14 due aree di grave compromissione ambientale in regione Campania . Successivamente nella stessa regione furono segnalati altri due siti (legge 388/2000 e legge 179/02) entrambi di grande densità abitativa : il litorale Vesuviano e ,nel cuore della città di Napoli,l’area Bagnoli-Coroglio.

Quest’ultima era stato il polmone industriale del capoluogo regionale durante tutto il secolo breve :Eternit,ex ILVa-Italsider,Cementir furono una possente macchina produttiva ed insieme il centro della vita sindacale di molte generazioni di operai del 900 .

Poi la dismissione segna un’agonia economica che tuttavia non riesce a cancellare la memoria di una partecipazione collettiva alla vita civile.tra le più vive del secondo dopoguerra in Italia. Restavano le ceneri di una grande epopea storica e cioè l’epilogo di un processo economico tutto incentrato sul massimo sfruttamento di risorse umane ed ambientali dal cui catabolismo erano residuate tonnellate di rifiuti industriali .

Queste restano accumulate in un’ansa di litorale tra le più spettacolari del Mediterraneo come bellezza paesaggistica. Il Novecento è seppellito nella colmata a mare di Bagnoli ed è una salma ingombrante poiché la sua è una presenza che non si può ignorare!

Per qualche decennio nelle sedi politiche si è continuamente discusso di recupero dell’area con un occhio privilegiato al problema occupazionale vagheggiando un nuovo ciclo economico attorno a progetti turistici , immobiliari e talora volgarmente speculativi .

I politici di turno ad ogni elezione sparavano proposte sempre “molto originali”: un porticciolo turistico, un casinò, una grande area alberghiera etc...

Tuttavia e per fortuna i molti nodi da sciogliere , le incertezze politiche ,la poca chiarezza di prospettive hanno sempre frenato una progettualità concreta sul problema della bonifica . Negli ultimi tempi invece giungono dagli Amministratori Locali segnali di un reale interesse verso il progetto di recupero ambientale dell’area di Bagnoli - Coroglio .

Nella recente campagna elettorale tale progetto era descritto come già avviato, all’interno di un programma con finalità condivisibili e tempi ben cadenzati.

Quando però abbiamo letto i passaggi concreti di questo percorso abbiamo registrato delle ambiguità e, quindi, delle palesi incongruenze che ci hanno costretti ad intervenire con una serie di iniziative tendenti a coinvolgere la cittadinanza, per aprire una discussione ampia che, arricchita dalla partecipazione e dalla consapevolezza della gente, conducesse verso scelte realmente capaci di evitare prevedibili danni alla salute ed all’ambiente.

Dipanare le ombre ed allontanare i fenomeni di mistificazione ai danni della comunità cittadina, crediamo sia un interesse di tutti ed, in primis, delle persone che occupano ruoli istituzionali, nei governi locali e nazionali.

Nonostante il livello di civiltà politica dei rappresentanti istituzionali locali possa considerarsi tra i migliori di Napoli ,le ombre ed i rischi di mistificazione sulla vicenda appaiono incombenti nel momento in cui la discussione viene ristretta ad ambiti tecnici ed a farsi garante della prospettiva rimane quella classe dirigente ampiamente accreditata da un vasto sostegno popolare .

Manca la partecipazione degli abitanti, degli intellettuali, delle aggregazioni collettive che potrebbero dare un contributo prezioso su questa tematica così delicata come la bonifica. E’ per questo che è nata l’Assise per Bagnoli ,una realtà di discussione collettiva formata da singoli cittadini,tecnici democratici ed associazioni ,tra le quali Medicina Democratica di Napoli.

Verso la metà dello scorso anno, avemmo notizia dei primi risultati di un rapporto scientifico redatto da un prestigioso Istituto Nazionale sulle condizioni ambientali del litorale, inteso come arenili ed acque dell’area Bagnoli Coroglio; ci riferiamo al rapporto ICRAM.

Ci fu una conferenza stampa alla quale non fu dato il necessario rilievo ma che, comunque, in maniera molto velata confermò la presenza di sostanze nocive per la salute sia nel suolo che nello specchio d’acqua prospiciente quell’area industriale che, per molti decenni, aveva ospitato il bacino siderurgico più grande del Meridione d’Italia.

Abbiamo avuto molte difficoltà a reperire quel rapporto; e questa circostanza la dobbiamo registrare come primo elemento di anomalia nella gestione di un problema che dovrebbe essere accessibile, anzi addirittura divulgato al pubblico, non solo per motivi di trasparenza, ma soprattutto per motivi scientifici.

Questo passaggio è fondamentale per affrontare correttamente uno degli aspetti nuovi ed emergenti nella politica di difesa dell’ambiente; parliamo del problema della "comunicazione del rischio".

L’approccio paternalistico in sanità pubblica è ormai superato; il modello del tecnico depositario della verità scientifica e della collettività ignorante da piegare all’obbedienza ha, da tempo, ceduto il passo ad un modello in cui la "comunicazione del rischio" implica interazione e condivisione nei processi decisionali e nella gestione del rischio. Tale concetto di partecipazione democratica è il principio ispiratore della Legge di Riforma Sanitaria n. 833 del 1978.

La comprensione delle problematiche tecnico-scientifiche da parte del pubblico non è solo una questione d’istruzione o di trasparenza; è, come dicevamo, soprattutto una questione scientifica che si origina dalla comprensione sul "come" si sviluppano le ipotesi scientifiche. E i tecnici di sanità pubblica, così come gli Amministratori, devono prendere coscienza che non esiste "un" pubblico monolitico, ma una gamma di "pubblici" con esigenze diverse.

E’ per questo che la conoscenza scientifica, per essere proficuamente utilizzabile dai cittadini, deve essere integrata con la comprensione delle problematiche sociali e delle dinamiche economiche che, altrimenti, possono condizionare le scelte risolutive, inficiandone efficacia e fattibilità.

La conoscenza da parte del pubblico dei problemi ambientali e dei possibili danni alla salute origina dal dettato Costituzionale. Se consideriamo che il diritto alla tutela dell’ambiente e della salute è un punto fermo della nostra democrazia, dobbiamo garantire la possibilità del controllo democratico, e questo può avvenire, prima di tutto, se si rendono pubblici i dati, i passaggi tecnici e gli atti amministrativi .

Ciò alla fine avviene sempre e comunque nella nostra città, ma con una farraginosità che contrasta drammaticamente con il proclamato profilo democratico delle nostre istituzioni .

Entrando nel merito dello studio redatto dall’ICRAM , oltre ad alcune notizie positive che, ad esempio, consentivano di escludere la paventata presenza di amianto persino in quei siti di lavorazione che erano cresciuti attorno all’uso industriale di tale sostanza, venivano registrati due elementi di allarme in diverse rilevazioni: la quantità di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) e di metalli Pesanti (soprattutto Piombo, Mercurio e Cadmio) sicuramente presenti al di sopra dei livelli compatibili con la salute.

In particolare, gli IPA, in campionamenti effettuati in diverse zone dell’area in questione, rivelavano concentrazioni da 4 a 7 volte superiori ai limiti compatibili con la salute; la pericolosità - che colpevolmente non viene descritta nel rapporto - consiste nell’effetto cancerogeno di queste sostanze che sono il prodotto della combustione del carbone e del petrolio.

L’effetto cancerogeno degli IPA è di antica conoscenza ed è talmente noto che è entrato a far parte della storia della medicina: risale addirittura al 1775 l’osservazione del medico inglese Pott di tumori dello scroto negli spazzacamini di Londra, conseguenza dell’accumulo di fuliggine nelle pieghe cutanee. Da queste osservazioni di Pott nacque l’epidemiologia oncologica.

Non meno gravi sono gli effetti dei Metalli Pesanti, il Piombo (Pb), il Mercurio (Hg) e il Cadmio (Cd) che, noti per gli effetti tossici sistemici che coinvolgono praticamente tutti gli organi, hanno scritto pagine altrettanto importanti e drammatiche nella storia della medicina del lavoro.

Siamo talmente convinti delle bontà delle affermazioni sinora sostenute che abbiamo provato a dare il nostro contributo scientifico assieme alla popolazione, preoccupata sia delle possibili conseguenze sulla salute che del silenzio delle Istituzioni : quindi, abbiamo cominciato a leggere provando ad analizzare il rapporto ICRAM.

In esso, nonostante ne riconoscessimo l’indubbio valore, abbiamo rilevato alcuni limiti, soprattutto nella parte sulla quale doveva impiantarsi il progetto di risanamento completo. In particolare, la lettura del rapporto ci ha suggerito le seguenti considerazioni e relativi dubbi:

-  1)se l’inquinamento è un prodotto dell’uomo e può danneggiare la sua salute , ci sarebbe bisogno di valutarne gli effetti sulla collettività, mentre invece nello studio si rilevano solo una serie di dati rispetto all’ambiente (suolo ed acque)e tuttalpiù rispetto alla fauna marina (molluschi bivalve e pesci);

-  2)l’esame del sito talora contrasta con indagini precedenti (ASl-rilievi geologici) che davano dati relativamente difformi;

-  3)la fotografia che ne deriva appare di tipo statico in un ambiente che è invece caratterizzato e modificato continuamente dalla combinazione di elementi dinamici che sono addirittura tipici (i venti, le maree, la persistente pressione antropica che addirittura si prevede in aumento, la presenza di fenomeni vulcanici che, in verità, vengono citati come possibile fonte di origine di inquinanti”naturali”).

In particolare manca nel rapporto il dato epidemiologico che crediamo sia fondamentale per capire i costi umani di un processo di industrializzazione che, durato circa un secolo, se da un lato ha portato ricchezza in una terra tanto assetata di lavoro, in cambio ha prodotto malattie e danni ambientali per le modalità ed i mezzi che ha utilizzato.

Questo passaggio, la conoscenza di dati relativi alle patologie correlabili agli inquinanti (tumori, malattie della pelle e dell’albero respiratorio, malformazioni etc..) non servirebbe tanto per un esame di una realtà ormai scomparsa con l’intero ciclo economico che l’aveva generata, quanto piuttosto per progettare la salute futura, non solo dell’ambiente ma anche delle popolazioni che in quell’ambiente continueranno a vivere: se si conosce il punto di partenza si capirà pure se c’è un reale avanzamento nel tempo. Un’indagine difficile e costosa ?

Non crediamo :forse bastava reperire i dati dei distretti sanitari ,dei Pronto Soccorso e degli ospedali ,degli ambulatori territoriali e dei medici di base per avere un quadro significativo ma tutto questo,a quanto se ne sa, non è avvenuto!

Sull’elemento antropico, inoltre, bisogna avanzare l’ovvia considerazione che forse rappresenta ancora una poderosa fonte d’inquinamento, non considerata quale fattore attivo ed in prospettiva crescente nell’evoluzione dell’area, ma semplicemente contabilizzata in via indiretta dall’analisi dell’ICRAM (ad es. presenza di colibacilli nelle acque).

Fatte queste considerazioni sui limiti dell’indagine, abbiamo rilevato comunque l’elemento positivo di avere dei dati certi sullo stato dell’area. In base a questi dati, che evidenziavano dei rischi per la salute, era prevedibile che si dovessero prendere dei provvedimenti urgenti, immediati, prima ancora di progettare e mettere in moto il processo di bonifica.

Tutto ciò è avvenuto in parte con degli atti formali (divieti di balneazione, interdizione di alcune aree limitate, vincoli all’esercizio di alcuni impianti balneari, etc...), ma non abbiamo rilevato alcuna reale volontà politica ad esercitare un controllo sul rispetto di tali vincoli: basta guardare ogni giorno il litorale, indiscriminatamente aperto a tutti gli accessi, per capire che, in realtà, si è preferito assecondare, con una certa demagogia, da un lato la giusta richiesta popolare di spiagge ed acque per la balneazione, dall’altro, e forse soprattutto, la pressione di gruppi economici interessati alla gestione degli impianti che hanno ricevuto in gestione gli spazi dell’arenile.

Dalla stampa si è appreso poi che, proprio per le inadempienze relative a questi provvedimenti immediati, la magistratura avrebbe avviato delle indagini e spedito avvisi di garanzia (Il Mattino: 14-15-16 giugno u.s.).

Infine, abbiamo preso visione del programma di messa in sicurezza del litorale, che ne avrebbe dovuto consentire sia la parziale apertura in condizioni di garanzia per la salute che l’avvio della bonifica in tempi brevi, in pratica entro la stagione balneare di quest’anno 2006.

Nonostante l’avallo degli organi ministeriali, a molti osservatori tale programma è sembrato poco credibile e forse più rispondente ad esigenze di veloce reimmissione dei suoli nel circuito commerciale che a quelle di ripulitura dei litorali e di protezione della salute dei cittadini.

Quale garanzia si può ricavare, infatti, dalla rimozione dello strato superficiale dei sedimenti in alcuni siti, sostituiti da qualche metro di sabbie pulite, se poi si lasciano immutate le condizioni delle spiagge immediatamente confinanti?

Chiunque capisce che la ricontaminazione avverrebbe in tempi molto brevi, sia per il movimento delle acque che per i venti; nessuno è mai riuscito a tenere fermi questi due elementi e, quindi, riteniamo che qualsiasi progetto può risultare efficace e fattibile solo se è costruito tenendo presente i fattori dinamici dell’ambiente.

Ci verrebbe voglia di stendere un “velo pietoso” sull’ipotesi del famigerato telo di materiale impermeabile (plastica)quale isolante tra gli strati dei sedimenti degli arenili;

secondo i sostenitori di questo progetto il telo dovrebbe separare lo strato di sabbie “vergini” aggiunto in superficie dall’inquinamento del sottosuolo o, comunque, degli strati più profondi. Al di là della sensazione che se ne ricava nell’immediato che è quella del classico tappeto di casa, sotto il quale si possa nascondere lo sporco quando non si ha intenzione di fare una pulizia reale, ancora una volta si configura un intervento che non tiene conto dell’ambiente e del suo continuo divenire e modificarsi per l’effetto combinato dei vari meccanismi già menzionati.

E poi, se vi è una tale incombente pericolosità di elementi tossici che provengono dal basso, che senso ha creare una soluzione tampone che, probabilmente, diverrebbe definitiva in una condizione in cui forse non sono chiari del tutto i meccanismi che hanno generato e forse continuano a creare l’accumulo di materiali inquinanti?

E quale reale barriera potrà costituire questa sorta di contenitore di plastica, se esso lascia una superficie superiore ed anteriore (verso il mare) comunicanti con le aree interessate dai materiali tossici?

Qual è il criterio che ha guidato tale programma?

Formulando questa domanda ci viene un sospetto, suggeritoci dalla recente storia dei risanamenti ambientali in questo Paese: troppo spesso dietro queste operazioni si nascondono le stesse logiche dalle attività lavorative che hanno prodotto l’inquinamento, che sono quelle di moltiplicare i profitti sfruttando l’ambiente, la salute della gente e le casse dello stato.

Al di là di ogni considerazione morale, quello che ci spaventa di questa evenienza è il rischio palpabile della reiterata truffa ai danni della collettività che si realizza invariabilmente attraverso la sottrazione di salute, di territorio e di risorse economiche!

Noi avremmo adottato il principio di cautela, per il quale sarebbe stato utile rilevare qualche altro elemento oltre quelli enumerati nel rapporto ICRAM e, quindi, progettare un intervento più articolato e risolutivo, ma certamente più credibile in quanto a garanzie di efficacia, sostenibilità e fattibilità.

L’impressione che si ricava dalla citata progettualità è che l’unico criterio di riferimento e di priorità sia la fretta o, forse, l’idea che alla fine una reale bonifica non ci sarà. E da questo a consegnare comunque ed alla svelta le spiagge a coloro che ne ricaveranno qualche utile immediato il passo è breve.

Si sarà pensato che in una regione così carente di occupazione, anche questo possa servire a risollevare la situazione! Peccato che qualcuno si porterà a casa un problema di salute probabilmente grave che non verrà cancellato dalle poche migliaia di posti di lavoro precario ricavati da questa storia.

... E peccato che, dopo qualche anno, ci si accorgerà che la situazione non sarà migliorata, anzi, molto probabilmente, mostrerà segni di peggioramento!

Forse questo sarebbe addirittura un epilogo atteso da coloro che hanno interesse a trasformare l’area in un porto turistico : tale infatti sarebbe alla fine l’unica soluzione possibile in una zona ove si fosse sperimenta un’inutile e costosa opera di bonifica. Ancora una volta questa terra verrà sacrificata ad una logica utilitaristica, tanto aggressiva quanto miope, che nessun Amministratore Locale o figura istituzionale democratica dovrebbe assecondare.

Sulla base di tali considerazioni chiediamo a chi ricopre ruoli di governo che si considerino queste perplessità e preoccupazioni, per consentire un più ampio dibattito ed una maggiore partecipazione su questi temi ed, infine, per avviare una reale bonifica del litorale con l’obbiettivo di reintegrarlo in un equilibrio naturale, senza inutili e dannose scorciatoie, e specialmente per allontanare quei pericoli per la salute umana che sono emersi in maniera inequivocabile dal rapporto ICRAM .

Subito dopo le elezioni ,scadenza questa accuratamente evitata-per unanime decisione dell’Assise-allo scopo di sfuggire ai livori della campagna elettorale ed ai tentativi di speculazione,ha preso corpo un movimento che intende imporre un controllo democratico su questa vicenda .

Nella tradizione dei movimenti di lotta la richiesta di partecipazione è stata sostenuta dalla mobilitazione ,con sit in, conferenze stampa, volantinaggi ed assemblee pubbliche delle quali una tenuta nella neonata Municipalità di Fuorogrotta-Bagnoli . In verità la partecipazione è stata inizialmente timida ma in breve tempo ha preso a prender corpo un’attenzione ed un coinvolgimento che riportavano alla Bagnoli degli anni 70.

Il primo risultato è stata l’apparizione di altri dati sull’inquinamento ,interventi dell’ASL Napoli 1 sui litorali, diversi articoli su quotidiani locali,Mattino,Roma ,Napoli più, interviste a Tv locali di esponenti dell’Assise ,interrogazioni in Consiglio Comunale ed infine una ordinanza comunale di chiusura di tutti gli impianti di Balneazione dell’area.

Da queste prime tappe vittoriose ,l’Assise e Medicina Democratica intendono proseguire nell’opera di garantire un reale recupero dell’area , assicurando un ambiente salubre alle generazioni future ed una prospettiva di difesa degli interessi degli strati popolari che da sempre reclamano spazi aperti e mare pulito ,senza steccati e senza pericoli per la salute .....

Napoli 18 Agosto 2006 Paolo Fierro

Medicina Democratica Napoli.......




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