“Incidenti sul lavoro” : secondo ANMIL utile per le vittime un percorso di consapevolezza e di testimonianza

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L’ANMIL ha celebrato il 13 ottobre con diverse iniziative la “74 giornata nazionale delle vittime degli incidenti sul lavoro”: è pacifico che l’operato di questa associazione a favore degli infortunati da lavoro è utile, rammentiamo che tale giornata è nata come “giornata nazionale del mutilato sul lavoro” (come peraltro da “ragione sociale” della stessa ANMIL.

Sembra però incredibile che nel 2024 siamo ancora a parlare di “incidenti” e non di infortuni da lavoro (causati dal lavoro e non genericamente durante il lavoro). Un tale approccio, a mio avviso, è fuorviante perchè richiama nei termini eventi negativi più dovuti al fato avverso (per definizione l’incidente è “non previsto e imprevedibile) che a un contesto di insicurezza sul luogo di lavoro per fattori variabili per singolo caso. Che lo faccia il giornalista di turno che deve fare 20 righe per l’ennesimo infortunio ci sta, che lo faccia una associazione che ha come scopo la tutela degli infortunati è preoccupante. Il termine si è “cristallizzato” con la norma del 1998 che lo ha introdotto e non sarebbe male una modifica per adeguare il senso della iniziativa.

Anche il termine infortunio è stato contestato in quanto la parola contiene un riferimento alla “fortuna” come se si volesse richiamare un ruolo alla dea bendata nel verificarsi di eventi infortunistici, ma per quanto mi riguarda il termine infortuni è sostanzialmente corretto e rende l’idea degli eventi di cui si tratta in queste brevi note.

Si finisce in questo modo di parlare della singola vittima, del singolo evento alimentando il vittimismo e riducendo l’evento a un fattore umano, un errore o disattenzione del lavoratore/lavoratrice.

Peraltro questa è una scelta di ANMIL che propone agli infortunati di divenire “testimoni” del proprio caso, come indicato sul sito della Associazione : La “Scuola della Testimonianza” ANMIL: nuove figure professionali per la Sicurezza

Formazione emozionale per svoltare sul tema sicurezza: lavoratori a “lezione” dalle vittime di infortunio (bergamonews.it)

“Gli istruttori Anmil, essendo stati coinvolti in prima persona da questi eventi – continua Rota – possono dare uno sguardo differente da quello delle classiche ore di formazione. Hanno raccontato della propria esperienza, entrando nei dettagli dei percorsi personali di consapevolezza affrontati: grazie al loro modo di comunicare sono stati in grado di stimolare la riflessione sul tema. Cerchiamo così di passare dalla sicurezza prescrittiva a una sicurezza comportamentale che coinvolga tutti, a ogni livello, all’interno dell’azienda: perché quando un dipendente subisce un grave infortunio, questo impatta su tutta la
comunità, dai colleghi ai manager”.

Detto così vi è il concreto rischio che il messaggio si riduca alla individuazione del fattore umano, presente quasi sempre negli infortuni, come quello predominante nei fattori che li determinano finendo per autocolpevolizzare il lavoratore/lavoratrice senza entrare nel merito del contesto lavorativo ove si è verificato l’infortunio.

Tanto più quando questo percorso è “sponsorizzato” dai padroni (scusate il termine vetusto), è unidirezionale (testimone/lavoratori) e non viene mediato da altri soggetti anche per calare il tema nella realtà di quel luogo di lavoro (sindacati, rls, organi di vigilanza …..).

Ci sembra che il percorso vada nella direzione opposta a quella che promuova una autoorganizzazione dei lavoratori/lavoratrici per rivendicare direttamente condizioni di sicurezza a partire dalla “autocoscienza” che si potrebbe anche identificare in una consapevolezza anche personale, scientifica e critica,  da condividere con gli altri colleghi, dei cicli produttivi e delle criticità dovute ai rischi lavorativi finalizzati a massimizzare il profitto.

In questo caso (non in altri) sembra che l’autorità giudiziaria rappresenta un elemento più avanzato di questa “consapevolezza” da condividere tra vittime di infortuni e altri lavoratori/lavoratrici.

Siamo sempre nell’ambito dell’elemento soggettivo quasi sempre presente negli infortuni (che riguardano necessariamente esseri umani) ma da considerare nel contesto lavorativo e tenendo conto dell’applicazione corretta e completa delle prescrizioni normative.  

Puntosicuro richiama una recente sentenza di Cassazione a fronte del ricorso di un datore di lavoro contro la condanna in appello proprio per il comportamento “distratto” dell’infortunato : << con riferimento poi al nesso di causalità tra la contestata mancanza di segnaletica ed il sinistro ritenuto insussistente da parte della difesa la suprema Corte ha ricordato che “Il responsabile della sicurezza sul lavoro, che ha negligentemente omesso di attivarsi per impedire l’evento, non può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze, purché connesse allo svolgimento dell’attività lavorativa”.

I giudici di merito, infine, secondo la Sez. IV, avevano escluso, con motivazione logica e congrua,  che nel caso in esame il lavoratore avesse posto in essere una condotta abnorme e anche se il fatto fosse avvenuto perché la vittima si fosse improvvisamente “girata”, si sarebbe comunque in presenza di imprudenza prevedibile e quindi da tenere doverosamente in considerazione da parte del soggetto gestore del rischio.

Pertanto non è la distrazione che può essere addebitata al lavoratore come fattore della sua colpevolezza ma solo i casi di condotta scorretta non prevedibile, e questo è scritto, fortunatamente, a chiare lettere nella normativa sulla sicurezza in vigore.

Marco Caldiroli – Tecnico della Prevenzione dell’ambiente e nei luoghi di lavoro


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