L’IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE DEL RISCHIO NELLA STRATEGIA DI TUTELA DELLA SALUTE.

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150_salute_lavoro«Inteso che la causa principale di mortalità sarà sempre il fatto di esser venuti al mondo, si può affermare che, a parte le predisposizioni (imprinting) derivanti dal patrimonio genetico e i rischi dovuti al “destino” individuale (specie per quanto riguarda i traumatismi non voluti o provocati) la salute è essenzialmente comunicazione»
Domenighetti G., Il mercato della salute.
Per questo la comunicazione è da intendersi come un processo di scambio di informazioni e di influenzamento reciproco che avviene in un determinato contesto.
Dall’analisi di alcuni episodi storici vediamo come in Italia certi fatti sono stati mal gestiti dalla sanità, questo perché o ci sono stati errori nella comunicazione o addirittura perché c’è stata un’assenza di comunicazione.
Vediamo da un lato il disastro di Seveso ed il disastro alla centrale nucleare di Chernobyl che hanno prodotto danni all’ambiente e alla popolazione, mentre dall’altro, l’uso dell’amianto e delle ammine aromatiche che invece hanno prodotto danni prevalentemente ai lavoratori.
L’evento Seveso è accaduto prima dell’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale e, quindi, delle Unità Sanitarie Locali; l’assenza di strutture pubbliche dedite alla prevenzione sul territorio potrebbe aver influito sui ritardi registrati nella comunicazione e nella messa a punto degli interventi.
Nel disastro di Chernobyl, analizzando la ricostruzione dei fatti, salta immediatamente agli occhi il lasso di tempo che passa tra l’incidente e la sua comunicazione.
L’incidente, inizialmente taciuto e smentito, fu ammesso solo a seguito dell’insistente allarme lanciato dai Paesi limitrofi all’Unione Sovietica; ma fu alterato nei dati e nelle notizie, nel rilevamento dei livelli di contaminazione, nel numero delle persone coinvolte, nei danni subiti.
L’evento Chernobyl, fatti salvi i ritardi di comunicazione prodotti dalle autorità sovietiche, ha invece trovato l’organizzazione sanitaria italiana pronta a reagire e le stesse Unità Sanitarie Locali territoriali sono state fondamentali nella comunicazione con la popolazione e nella diffusione delle conoscenze, delle condotte e dei comportamenti da adottare per ridurre il rischio.
Per quanto riguarda l’uso dell’amianto, bisogna sottolineare che i danni prodotti da questo minerale erano ben noti già dai primi anni del secolo scorso e riguardavano inizialmente casi di asbestosi. Dagli anni Trenta è stata ripetutamente dimostrata la cancerogenicità dell’amianto e sono stati registrati negli esposti numerosi mesoteliomi. Nel 1965 Selikoff, con uno studio di indiscutibile valore scientifico, compiuto su una coorte di quasi 18.000 lavoratori delle ferrovie, ha definitivamente chiuso la questione affermando senza ombra di dubbio la pericolosità dell’amianto per la salute.
Ad un seminario svoltosi a Bologna il 25 ottobre 1989, Selikoff dichiara che “Non può esistere alcuna scusante per quelle aziende che hanno usato amianto, esponendo ad esso i lavoratori senza alcuna protezione”.
Eppure si è dovuto aspettare la Legge del 27 marzo 1992, n. 257 “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”, per ottenere il bando di questo materiale.
Ancora oggi gli industriali che hanno usato l’amianto, nei processi intentati dai lavoratori e dalle popolazioni, si trincerano sulla poco credibile ignoranza delle conseguenze legate all’uso dell’amianto ed una pretesa inconsistenza dei rilievi epidemiologici.
Lo stesso discorso vale per le ammine aromatiche. Anche in questo caso le osservazioni sulla cancerogenicità, soprattutto a livello della vescica, sui lavoratori di fabbriche di vernici, risalgono ai primi anni del Novecento.
Anche in questo caso le limitazioni all’uso e i divieti sono stati adottati tardivamente.
E questo è anche accaduto per il benzolo, per il cloruro di vinile monomero e per altre sostanze pericolose.
Sempre è stata omessa la comunicazione del rischio; anzi è stata deliberatamente ostacolata dalle pressioni delle aziende aventi interesse economici sia nella produzione che nell’uso.
La comunicazione del rischio è una direzione obbligata e può essere il futuro della prevenzione.
Ma considerando la breve storia appena descritta, la comunicazione del rischio non può rinunciare al ruolo preminente delle Istituzioni Pubbliche, con le ASL in primo piano.
Agire sul piano della comunicazione significa creare uno spazio di incontro tra tutti gli attori della prevenzione, le Istituzioni per prime, e i nuovi cittadini “competenti”, anche con le loro Organizzazioni, allo scopo di favorire il rafforzamento del valore della sicurezza.

Invece la comunicazione del rischio nei luoghi di lavoro, peraltro affidata ai datori di lavoro, si esaurisce nella semplice formazione ed informazione, processo unidirezionale che vede i lavoratori come recettori passivi.
E non prevede, per esempio, una strategia per quella che sta diventando una nuova emergenza per la sanità pubblica, cioè favorire l’invecchiamento in salute dei lavoratori.
I diversi documenti programmatici quali il Piano Nazionale della Prevenzione 2005-2007, il Codice Etico dell’ICOH per gli operatori di Medicina del Lavoro ed il Decreto Legislativo 81/08, ci suggeriscono l’importanza della comunicazione per la correzione degli stili di vita negli ambienti lavorativi ad iniziare dalla scuola.
Mentre sono state fatte molte campagne di educazione alla salute ad iniziare dai bambini della scuola primaria, per esempio sulla prevenzione dell’obesità, la comunicazione nei lavoratori sulla correzione degli stili di vita viene praticamente ignorata.
Ed è qui che bisogna intervenire, nei lavoratori, che comprendono un ampia gamma della popolazione adulta; anche perché l’aumento dell’età pensionabile imposto dal welfare, produrrà inevitabilmente l’invecchiamento della popolazione lavorativa e, conseguentemente, l’amplificazione degli effetti sulla salute di stili di vita non corretti.
Lavoratori coscienti e partecipi, a loro volta, contribuiscono a creare un modello di buona salute che può essere replicato in contesti extraziendali, perché noi tutti, anche inconsapevolmente, siamo esempio e trasmettiamo informazioni a coloro che ci sono vicini: la famiglia, gli amici, i colleghi, ecc..
La comunicazione del rischio, intesa come confronto serio e completo che miri ad integrare la popolazione e i lavoratori, anche attraverso le loro Organizzazioni e Rappresentanze, con le Istituzioni Pubbliche e gli altri Soggetti aventi ruolo, è la porta d’accesso al modello di prevenzione partecipata cui si deve tendere.

Dott.ssa Antonia Cangiano
19 gennaio 2013

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