SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 29/09/14

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 29/09/14

 

INDICE

 

From: Katia Lumachi klumachi@gmail.com

IL TRANSATLANTIC TRADE INVESTMENT PARTNERSHIP TRA USA E UE E’ LA PREFIGURAZIONE DI UN NUOVO ORDINE MONDIALE

 

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com

CON IL JOB ACTS E L’ABOLIZIONE DELL’ARTICOLO 18 SI STANNO APRENDO LE PORTE DELL’INFERNO

 

Basta morte sul lavoro bastamortesullavoro@gmail.com

LA NUOVA STRAGE OPERAIA DI ROVIGO

 

Carmela Bonvino Unione Sindacale di Base c.bonvino@usb.it

QUATTRO MORTI E DUE FERITI A ROVIGO: IL LAVORO SENZA SICUREZZA CONTINUA A UCCIDERE

 

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com

LA RESA DI UN CITTADINO CHE VOLEVA SOLO DARE UN CONTRIBUTO VOLONTARIO CONTRO GLI INFORTUNI MORTALI

 

Samanta Di Persio samantadipersio@virgilio.it

MORTI SUL LAVORO: E’ GIA’ ACCADUTO 471 VOLTE

 

Fulvio Aurora fulvio.aurora@gmail.com

PROCESSO MARLANE DI PRAIA A MARE: IL PUBBLICO MINISTERO CHIEDE LA CONDANNA DEI RESPONSABILI

 

Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com

VERSO LA SENTENZA MARLANE

 

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com

L’OSSERVATORIO INDIPENDENTE DI BOLOGNA MORTI SUL LAVORO CHIUDE PER “INDIFFERENZA”

 

Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com

RIFIUTI TOSSICI, IL PENTITO VASSALLO: “PAGAVAMO TUTTI, MAI AVUTO UN CONTROLLO”

 

USB Perugia perugia@usb.it

TRASPORTI A ROMA, LICENZIATI PERCHÉ DENUNCIANO A “PRESA DIRETTA” LA MANCATA MANUTENZIONE DEI BUS

 

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From: Katia Lumachi klumachi@gmail.com

To:

Sent: Sunday, September 21, 2014 9:38 AM

Subject: IL TRANSATLANTIC TRADE INVESTMENT PARTNERSHIP TRA USA E UE E’ LA PREFIGURAZIONE DI UN NUOVO ORDINE MONDIALE

 

Il TTIP (Transatlantic Trade Investment Partnership), il trattato in atto tra USA e UE è la prefigurazione di un nuovo ordine mondiale nel quale il ruolo della politica e di tutte le istituzioni elettive viene marginalizzato e di fatto esternalizzato.

La sostanza di quanto verrà ratificato con il TTIP è un enorme processo di privatizzazione di tutto ciò che è pubblico ed è bene comune e di ciò che è politica e istituzione. Questa è già una tendenza in atto.

Forse le riforme dell’Europa e quelle di Renzi andrebbero lette come una anticipazione del TTIP.

Un esempio sono gli organismi extraistituzionali preposti all’acqua.

Già oggi le grandi imprese multinazionali, attraverso organismi privati esterni, delegati o partecipati dalle istituzioni internazionali come l’ONU, sono diventati i soggetti primari (li chiamano stakeolder o portatori di interessi) delle decisioni che poi le istituzioni dovranno ratificare con leggi, direttive e sono diventati attori ufficiali nella “Governance”, termine che oggi sostituisce il “Governo politico e rappresentativo.”

Nell’acqua ad esempio: Il Consiglio Mondiale dell’acqua, partecipato dall’ONU e presieduto da Suez e Veolia (a loro volta controllate da Goldnan Sachs), indice il Forum Mondiale dell’acqua che ogni 3 anni stabilisce le linee guida della politica mondiale dell’acqua.

La Water Partnership istituita da Obama dopo l’indagine dei Servizi promossa da Hyllary Clinton sui futuri conflitti idrici nel mondo, è un organismo paritario, (governo/multinazionali), teso a tutelare gli interessi delle imprese USA dalla crisi idrica.

Il Water Mandate è un altro Forum internazionale delegato dall’ONU al quale fanno capo più di 100 aziende multinazionali di tutti i comparti produttivi (Nestlè, Coca Cola, General Elettric, Monsanto, Wall Mart, Unilever, Barilla, Carefur, Levis Straus, ecc) le cui finalità sono quelle di promuovere tutte quelle azioni tese ad assicurare acqua per lo sviluppo delle loro produzioni.

Ecco, dietro al Trattato ci stanno queste lobby e questa politica. Gli USA hanno già delegato ben 600 esperti indicati dalle loro Multinazionali a tutelare gli interessi americani nei negoziati USA/UE nel TTIP.

E’ una cultura che si irradia nella società, è un rovesciamento del ruolo della politica, non più preposta ad affermare diritti universali mediando tra i diversi interessi, ma chiamata dagli organismi privati a legiferare in linea con quanto espresso da questi.

Un esempio è Barilla, che nell’ambito di Expo detta e lancia le linee guida di un Protocollo Mondiale sull’alimentazione e l’acqua e chiama la politica ad aderire e a tradurla in leggi. Ma ciò che sorprende è che oggi una simile iniziativa susciti interesse anche tra le ONG e le associazioni della società civile più impegnate.

Il pragmatismo, fa perdere di vista che con il TTIP e con l’uscita della politica pubblica dalle proprie responsabilità, avverrà un salto epocale nel passaggio di sovranità dalle istituzioni alla governance dei poteri finanziari e con particolare vigore si formalizzeranno le forme con le quali già ora avviene lo sfruttamento e l’accaparramento (land grabbing e water grabbing) dei beni comuni essenziali alla vita (acqua, terra, energia).

Già oggi in Africa, un territorio pari all’Inghilterra è stato comprato/concesso allo sfruttamento privato e un quinto del territorio Cambogiano è stato venduto o concesso.

Con il risultato che in Africa la quantità di acqua necessaria a coltivare i terreni acquistati nel 2009 è, da sola, ben due volte il volume usato per l’agricoltura in tutta l’Africa nei 4 anni precedenti.

Ciò premesso, per quanto riguarda l’acqua per prima cosa occorre dire che il TTIP (e il TISA, trattato parallelo sui servizi pubblici) rischiano di diventare un accordo per privatizzare tutti i servizi pubblici comprese le reti idriche, quelle fognarie e la depurazione.

Per intendere la portata di tale prospettiva occorre leggerla avendo presente lo scenario del 2030:

  • con l’estendersi della crisi economica e dell’impoverimento;
  • con l’estendersi dei conflitti per l’acqua (a partire dal 2022 come sostiene il documento della CIA), per il pane e per l’energia;
  • con il dilagare dei profughi di guerre ed ambientali (ogni anno per effetto della liberalizzazione dello sfruttamento delle aree tipo le dighe, le miniere, ecc. 15 milioni di persone si spostano nel mondo);
  • con l’aumento della domanda globale di acqua a cui, sostengono i Panel dell’ONU, verrà a mancare il 40%;
  • con il 70% della popolazione mondiale che vivrà nelle città e più della metà degli abitanti dei grandi centri urbani che vivrà in baraccopoli e la difficoltà d’accesso all’acqua potabile, ai servizi igienici, allo smaltimento dei rifiuti e alle reti energetiche.

Con il TTIP, alla privatizzazione classica dell’acqua potabile del rubinetto da parte delle grandi Utilitys (Suez, Veolia, RWE, ecc.) farà seguito la differenziazione dei prezzi della qualità delle acque (da lavarsi, da bere ecc.) e l’equiparazione commerciale e concorrenziale tra acqua potabile del rubinetto e acqua in bottiglia (minerale o purificata) prodotta delle grandi multinazionali delle bevande: Nestlè, Coca Cola, Danone, San Benedetto.

Guardate che ciò è già possibile intravvederlo nelle scelte di Expo.

L’acqua buona e pubblica di Milano e Provincia (MM e Amiacque ) non ha potuto diventare l’acqua di Expo, perché la “gara” è stata “vinta” da Nestlè, alla quale è stata affidata niente meno che la piazzetta tematica dell’acqua.

Mentre Coca Cola è diventata “official soft drink partener” di Expo con grande e dichiarata soddisfazione del presidente Sala.

Una seconda ricaduta sull’acqua, sul suo consumo, sul suo accesso e sul suo degrado qualitativo, avverrà:

  • per effetto dell’impulso che darà il TTIP alla accentuazione della concorrenza tra gli usi, che farà perdere ogni criterio di priorità (quello umano) e al diffondersi delle forme di produzione energetica più distruttrici di acqua (gas da frantumazione su modello USA e Canada, apertura europea al carbone e alle trivellazioni, equiparazione agli USA della normativa per i biocombustibili, ecc.); gli stessi OGM avranno una ricaduta negativa sull’acqua;
  • per effetto della rimozione dei vincoli in materia ambientale con l’uso di pesticidi vietati dalla normativa UE (già ora nella UE, il 57% delle acque di superficie e il 28% di quelle di falda sono fortemente inquinate da pesticidi) e inoltre per il venir meno, come negli USA, del principio di precauzionalità;
  • per la definitiva applicazione anche per quanto riguarda l’acqua e i servizi sanitari dei principi del full recovery cost, (il recupero attraverso tariffe dei costi e dei profitti) e la sospensione dell’accesso per chi non paga le tariffe (nella città di Detroit, ormai in degrado dopo la crisi dell’auto, ben 90.000 persone sono state private dall’accesso all’acqua).

Ma ciò che è veramente in gioco con il TTIP, con la privatizzazione delle istituzioni pubbliche, è la monetizzazione e la finanziarizzazione globale dell’acqua, non più solo della gestione dei servizi, ma dell’acqua in quanto tale, che non sarà più intesa come elemento naturale e simbolico della vita, bensì come materia prima e prodotto industriale da produrre, da trattare, vendere comprare, e trasportare da un posto all’altro, un Prodotto distribuito da imprese detentrici delle tecnologie depurative, di trasporto, di grandi opere, di desalinizzazione e di sistemi di risparmio per unità di prodotto.

L’acqua pulita o potabile scarseggia? Ebbene sarà la tecnologia a riprodurla, trattandola, desalinizzando i mari, trasportandola, deviando i fiumi e canalizzandola.

Oppure depurandola e rimettendola in circolo: Los Angeles e Singapore immettono, già ora, nei rubinetti, l’acqua delle reti fognarie depurata.

Da qui nasce per le multinazionali, la necessità di definire il prezzo mondiale dell’acqua per qualità e usi, l’istituzione di una Borsa e di un Mercato mondiale dell’acqua.

Da qui la necessità per il libero mercato, di introdurre la compravendita dei diritti allo sfruttamento (già in atto in paesi come USA, Cile, Australia, Spagna ecc.), diritti allo sfruttamento energetico, agricolo alimentare, industriale, minerario, all’imbottigliamento.

Con il TTIP questa totale liberalizzazione di un bene comune come l’acqua è destinato ad estendersi all’Europa.

Anzi, siccome il Canada tramite il Trattato nord americano Nafta è già sottoposto al regime dei diritti allo sfruttamento in atto negli USA e siccome l’Europa ha approvato il CETA, il trattato con il Canada, le imprese canadesi o i ricchi magnati potrebbero già rivendicare tali condizioni.

Per dare una idea della compravendita dei diritti allo sfruttamento basta ricordare il magnate texano Boone Pickens (ma anche l’ex presidente Bush è sulla stessa lunghezza d’onda) che ha comprato un lago in Alaska e che ne rivende acqua all’Arabia Saudita e alla Cina oppure il Cile dove l’acqua dei fiumi è lottizzata e venduta all’asta.

Chi compra la concessione ha la priorità sui bisogni umani essenziali degli abitanti del luogo.

I crediti idrici sono gli strumenti finanziari “derivati” di questo sistema della compravendita dei diritti e si rifanno al modello dei crediti per la CO2.

Danno una immagine ambientale all’accaparratore, affermano il criterio del chi inquina paga, ma non fermano l’inquinamento e il suicidio idrico in atto.

Le maggiori Banche del pianeta si vanno attrezzando in tal senso. Goldman Sachs, Morgan Stanley, Credit Suis, Carlyle Group ecc., secondo il New York Time, hanno raccolto 250 miliardi di dollari per raccogliere titoli idrici.

Per il movimento mondiale dell’acqua fermare il trattato TTIP è una necessità assoluta.

Sarebbe la definitiva liquidazione della propria missione, del senso della vittoria referendaria e della possibilità di concretizzare il più grande successo che il movimento ha realizzato sul piano mondiale: aver ottenuto che l’assemblea generale dell’ONU nel 2011 abbia dichiarato che l’acqua e i servizi sanitari (e questo è ancor più determinante) sono un diritto umano.

Per questo, per il movimento dell’acqua fermare il TTIP e la lotta per il No al Trattato, (cosa da fare assolutamente) sono una premessa.

Dovremmo avere un orizzonte altrettanto forte e ambizioso come quello di contrastare il Trattato USA/UE prefigurando un trattato che concretizzi il diritto umano all’acqua e ai servizi sanitari. Il diritto, la quantità di acqua potabile necessaria ad una vita decente e quella per coltivare il proprio campo.

Affermando questa cultura tra la gente e nelle istituzioni, nel mondo associativo, partendo da quelle più vicine (i Comuni, le Università), riempiendo di contenuti la lotta al TTIP è possibile ricostruire movimenti mondiali forti, capaci di misurarsi anche con la sfida di riportare nella sfera pubblica le istituzioni.

Senza il timore di parlare, dal basso, di Trattati e protocolli mondiali che dettaglino tali diritti umani e ai beni comuni, parlino di costituzioni con al centro i beni comuni, di Autorità mondiali, politiche e pubbliche che lo affermino, lo difendano e di tribunali che sanzionino chi non li rispetta.

Un compito di prospettiva, a lungo termine, che può e deve essere sostenuto da alcuni governi, gli stessi che hanno promosso la risoluzione dell’ONU (Bolivia, Equador, Uruguay ecc.), dai municipi, dal mondo della cultura e delle università, dagli artisti, dal mondo religioso, per arrivare alle grandi istituzioni ostili e alla politica.

Un orizzonte che dovrebbe impegnare in tale compito il movimento che si sta determinando contro il Trattato.

Un compito a lungo termine, ma che può, da oggi, nella nostra città di Milano, avvalersi di una occasione universale, giustamente screditata e tradita nelle sue iniziali intenzioni, come Expo 2015 per cominciare il cammino. Per far si che proprio da Milano e dal suo Comune arrivi la proposta e la disponibilità di candidare una sede per il confronto internazionale.

So che la proposta troverà molte ostilità anche nella sinistra del movimento. Molti pensano che è meglio che Expo e le istituzioni milanesi affondino una volta per tutti nei loro peccati mortali e che noi tutti dovremmo tirarsi fuori, in un fronte del NO evitando contatti o confronti.

Io penso invece che il compito di Tsipras e del movimento che ho cercato di prefigurare, debba ambire a far sì che Milano, la nostra città e il nostro Comune, possano essere guardati come la Città e l’istituzione da cui è partito il messaggio al mondo del diritto umano: all’acqua, alla salute primaria, al cibo necessario e sano, al calore per tutti.

E con questo senza perdonare a nessuno i suoi peccati.

Emilio Molinari.

 

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com

To:

Sent: Sunday, September 21, 2014 10:49 AM

Subject: CON IL JOB ACTS E L’ABOLIZIONE DELL’ARTICOLO 18 SI STANNO APRENDO LE PORTE DELL’INFERNO

 

Cari giovani,

sono Carlo Soricelli, curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro.

Ho 65 anni, ho lavorato per 39 anni come metalmeccanico e da quando ne ho 20 dipingo e scolpisco le problematiche sociali soprattutto quelle legate al lavoro.

Conosco approfonditamente la storia e gli errori che hanno fatto i sindacati nel corso degli anni. Li ho sempre denunciati anche quando lavoravo, e per diversi anni, a causa di quegli errori non mi sono neppure più iscritto. La deriva liberista aveva contagiato anche loro e non solo i partiti di sinistra.

La prima lettera contro il precariato la scrissi all’Unità nel 1987 Comprendevo che con quei contratti che chiamavano di formazione lavoro avrebbe aperto le porte alla precarietà. Ma purtroppo anche allora si parlava con i mulini a vento.

Arrivò poi la legge Treu che rese organica la precarietà, poi la legge Biagi, che io ho il coraggio di dire che è stata una porcata.

La morte di Biagi è stata una catastrofe, come quella di Guido Rossa ucciso dalle Brigate Rosse il cui dipinto che feci pochi mesi dopo, è ancora presso il Comune di Casalecchio di Reno:, quell’organizzazione criminale ha creato danni enormi al movimento operaio. Ma anche se Biagi è morto in modo così ignobile e tragico non si può nascondere il fatto che è stata applicata strumentalmente dalla destra per precarizzare ancora di più la vita di chi lavora, e che era comunque una pessima legge per chi lavora anche come l’aveva concepita Marco Biagi.

Poi è arrivata la legge Fornero che pensionati, pensionandi ed esodati conoscono bene.

Detto questo voglio dire che il sindacato è stato determinante con le lotte degli anni sessanta e settanta fino alla famosa svolta provocata dalla sconfitta alla FIAT che si rilevò una catastrofe per i lavoratori e per le implicazioni che avrebbe avuto nel futuro. In quegli anni (60/70) si conquistò lo Statuto dei lavoratori e il famoso articolo 18 che ha impedito fino ad ora il licenziamento senza Giusta Causa e Giustificato motivo. E’ questo che tratta quell’articolo: impedire un ingiusto licenziamento.

Per motivi di crisi e di riorganizzazione i licenziamenti si sono sempre fatti. Io stresso sono stato tutelato in un momento di vita molto difficile per me da quell’articolo. Mi ammalai in modo molto serio di esaurimento nervoso, a causa di una concomitanza di eventi che mi portarono anche al ricovero ospedaliero. Se non c’era quell’articolo mi avrebbero licenziato. ma non fu per l’azienda possibile. Poi superato quel periodo per l’azienda fui un pilastro, nonostante le mie dee “rivoluzionarie” perchè ho sempre pensato che sul lavoro occorre sempre dare il massimo e avere rispetto per l’Azienda.

Se non c’era il “18” cosa sarebbe stato della mia vita e della mia famiglia? Senza il Sindacato non ci sarebbe stato un ambiente più salubre, non ci sarebbero state le visite mediche obbligatorie.

Si lavorava in ambienti fumosi, si mangiava in quello che chiamavamo tegamino e che ci portavamo da casa (gavetta), come si vede nella copertina del libro “scrivano Ingannamorte”. Ricordo ricatti sessuali, di un capo reparto che quando il Bologna perdeva il lunedì mattina tornava incazzatissimo e se la prendeva con offese gravi con i sottoposto. Potrei continuare a lungo su quello che aspetta i lavoratori senza una tutela come l’articolo 18, che andrebbe esteso a tutti quelli che lavorano.

Come curatore dell’osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro ho constatato, documenti alla mano, che in questi sei anni i morti sul lavoro sono calati per gli assicurati INAIL, ma che sono aumentati tra i precari, le partite IVA individuali che coprono speso lavori dipendenti.

E posso affermare senza temere smentite, che le morti sul lavoro dove sono presenti i sindacati sono quasi inesistenti, e quei pochi che muoiono nelle grandi aziende sono spesso lavoratori di aziende appaltatrici artigianali che non sono coperti dall’articolo 18 e dove i diritti anche per opporsi in lavori pericolosi non esistono.

Ma lo scopo vero dell’eliminazione di questo articolo che protegge nella sua integrità e dignità chi lavora, è quella di distruggere il sindacato così come lo conosciamo, per far crescere sindacati di comodo, per avere mano libera in tutti i processi aziendali e pagare i lavoratori una manciata di denaro, come del resto sta già avvenendo tra i precari.

E’ QUESTA LA VERA POSTA IN GIOCO, DISTRUGGERE OGNI VOCE CRITICA IN TUTTI I LUOGHI DI LAVORO PER AVERE MANO LIBERA SU TUTTO.

Cari giovani, io ormai sono vecchio e non ho più nulla da perdere, ma voi pensate bene al vostro futuro e a quello che stanno cercando di combinarvi, esigete un futuro dignitoso per voi e i vostri cari. Non fatevi poi ingannare da questi ormai famosi contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti: andate a vedere di cosa si tratta. di un lavoro a tempo determinato di 3 anni, dove un lavoratore però poi può essere licenziato ogni 4 mesi. Una presa in giro per i nuovi assunti, anche perché dopo 3 anni non c’è nessuna sicurezza di essere assunto a tempo indeterminato.

Spero tanto che la sinistra PD questa volta faccia sul serio, Sa che c’è in gioco il futuro dei nostri giovani e che Renzi sta portando il paese in un liberismo selvaggio che penalizza la parte più debole.

 

Carlo Soricelli

Curatore dell’osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

http://cadutisullavoro.blogspot.com

 

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From: Basta morte sul lavoro bastamortesullavoro@gmail.com

To:

Sent: Monday, September 22, 2014 4:39 PM

Subject: LA NUOVA STRAGE OPERAIA DI ROVIGO

 

COMUNICATO DELLA RETE NAZIONALE PER LA SICUREZZA E SALUTE SUL POSTI DI LAVORO E SUL TERRITORIO

Rovigo una nuova strage operaia: 4 operai muoiono a Rovigo in una cisterna che uccide per il profitto, il lavoro in ogni condizione.

E’ l’ennesima strage di questo tipo da Molfetta a Mineo, da Porto Marghera all’Eureco di Paderno Dugnano, alla Saras.

Una geografia del paese dove il lavoro uccide in una catena senza fine e per la quale i veri responsabili non pagano mai o non adeguatamente.

La Rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e sul territorio, fa appello alla immediata mobilitazione di tutte le realtà interessate, del Veneto innanzitutto, con scioperi manifestazioni, denunce e presidi.

L’esistenza di una struttura stabile come la Rete, sarebbe stata anche in questa occasione lo strumento unitario e trasversale per la più ampia e globale mobilitazione, ma il sindacalismo confederale silente e complice e l’ottica, ristretta aziendalista e localista, delle stesse strutture del sindacalismo di base nessuna esclusa, indebolisce anche in questa occasione una reazione adeguata.

I lavoratori, i familiari i cittadini di Rovigo diano una prima risposta proletaria e popolare

di solidarietà con i familiari, con i colleghi di lavoro, di lotta contro padroni, istituzioni, organi di controllo veri responsabili di questa ennesima strage.

 

Rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e sul territorio

bastamortesullavoro@gmail.com

22 settembre 2014

 

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From: Carmela Bonvino Unione Sindacale di Base c.bonvino@usb.it

To:

Sent: Monday, September 22, 2014 5:41 PM

Subject: QUATTRO MORTI E DUE FERITI A ROVIGO: IL LAVORO SENZA SICUREZZA CONTINUA A UCCIDERE

 

COMUNICATO STAMPA

Renzi: a quando la sicurezza a tutele crescenti sui posti di lavoro?!

Sono 4 gli operai morti in una azienda specializzata in trattamento di rifiuti speciali della provincia di Rovigo.

“Un tributo di morte inaccettabile” – dichiara Franca Peroni dell’esecutivo nazionale USB – “veri e propri omicidi spesso considerati solo un effetto collaterale, ma che in realtà sono il frutto del sistema degli appalti e sub-appalti al massimo ribasso, del lavoro nero, della precarietà”.

Ma non nascondiamoci dietro un dito: l’insicurezza crescente sui cantieri è frutto della fretta, dei “cottimi”, dei tempi che vengono via via compressi, mettendo il lavoratore di fronte alla rincorsa sfrenata del compimento del proprio lavoro nel minor tempo possibile.

Si muore troppo spesso, e nel settore dell’igiene ambientale, i numeri cominciano a diventare eccessivi.

Fanno specie le postume visite sul luogo del misfatto e le addolorate dichiarazioni di costernazione di chi (dalla senatrice leghista Munerato, al Presidente della Regione Veneto) ai vari livelli Amministrativi e politici dovrebbe intervenire, ma prima!

Di questo si dovrebbe occupare il Governo, altro che “Job Acts”, di garantire un diritto fondamentale: quello della vita, troppo spesso spezzata nei luoghi di lavoro anziché demolire il diritto alla reintegra e a conservare il posto di lavoro a fronte di un licenziamento illegittimo. La Unione Sindacale di Base risponderà a questo ennesimo Omicidio sul Lavoro, oltre che con il cordoglio e la vicinanza alle famiglie, con una campagna di mobilitazione contro le privatizzazioni e gli appalti al massimo ribasso, che sono le cause principali di questi fatti tragici.

Chiamiamo i lavoratori e le lavoratrici alla mobilitazione e alla vigilanza sui posti di lavoro e nei territori per contrastare la spending review delle vite umane.

Non ci piegheremo ai ricatti del “Job Acts”, delle spending review e delle leggi di stabilità.

Un lavoro dignitoso, sicuro, e veramente tutelato prima di tutto!

 

Roma 22 settembre 2014

Esecutivo Nazionale USB Lavoro Privato

 

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com

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Sent: Tuesday, September 23, 2014 8:54 AM

Subject: LA RESA DI UN CITTADINO CHE VOLEVA SOLO DARE UN CONTRIBUTO VOLONTARIO CONTRO GLI INFORTUNI MORTALI

 

La tragedia di ieri [infortunio mortale di 4 lavoratori ad Adria (RO)] ha messo in luce una verità banale e scontata. Che l’articolo 18 tutela anche la Sicurezza dei lavoratori.

Del resto lo scrivo da anni che le morti sui luoghi di lavoro sono quasi tutti da ricercarsi in luoghi di lavoro dove non c’è la protezione di questo articolo di civiltà e dove non è presente il sindacato.

La strage di Adria mette in luce i veri aspetti della posta in gioco. Un’azienda di soli 10 dipendenti, come quella dove si è verificata la tragedia, non ha l’articolo 18, di conseguenza non ha un Rappresentante della Sicurezza, non ha probabilmente nessun iscritto al sindacato ed è quasi impossibile fare un’assemblea per discutere dei problemi aziendali con un rappresentante dei lavoratori.

Un camionista, che purtroppo è morto, è andato a versare direttamente in una vasca il contenuto della cisterna del camion contenente acido fosforico, mentre l’acido doveva andare in un silos a decantare.

Com’è stato possibile? Di chi è la responsabilità?

Ma davvero i lavoratori tramano contro la loro vita e volontariamente non rispettano le procedure di sicurezza che li tuteli? Un camionista ha deciso da solo di saltare le procedure o era una prassi abituale e perché non è stato fermato? La magistratura chiarirà.

Se ci fosse stato presente un sindacato, se ci fosse stato un Rappresentante sulla Sicurezza la tragedia ci sarebbe stata ugualmente? Io credo di no.

Ed è per questo da cittadino “normale”, senza nessun interesse di nessun tipo, da anni mi sto battendo contro queste tragedie.

I lavorati non hanno nessuna arma di difesa se non hanno protezioni adeguate come l’articolo 18 che evita gli “omicidi sul lavoro”.

I dati raccolti dall’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro lo dimostrano inequivocabilmente. Le vittime calano in questi anni tra gli iscritti all’INAIL ma aumentano complessivamente. Siamo in questo momento a +6,4% anche rispetto al 2008 e addirittura +8,7% rispetto al 23 settembre del 2013. e ricordando anche che in questi anni la crisi ha fatto perdere milioni di posti di lavoro.

Ho tempestato in questi anni di mail le forze politiche e la stampa, ma non ho ottenuto niente: salvo rare eccezioni a nessun interessa la vita di chi lavora.

Voi pensate ad un politico, di qualsiasi schieramento e sappiate che è stato avvertito dell’andamento delle morti sul lavoro. Ma nessuno che si è mai degnato di rispondere e di chiedere di vedere “le carte”.

E questo vale soprattutto per chi in questo momento ci sta governando. Il 28 febbraio 2014 ho mandato una mail a Renzi, Martina e Poletti avvertendoli dell’imminente strage di agricoltori che entro pochi giorni sarebbe ricominciata tra gli agricoltori che sarebbero morti in tantissimi schiacciati dal trattore.

Io credo che in un paese civile e normale i Ministri avrebbero risposto, perlomeno si sarebbero informati. Invece niente, il silenzio più totale.

Da quel giorno ne sono morti così atrocemente 127. Bastava solo fare una campagna informativa e una “leggina” per far mettere in protezione le cabine.

Io credo che si dovrebbero vergognare. Ma tanto hanno dalla loro parte amministratori, stampa e televisione e giornalisti che non sanno neppure cosa vuol dire avere la schiena dritta.

Ma forse non è neppure questo il motivo dell’indifferenza verso queste tragedie. La verità è ancora più banale, della vita di chi lavora a questa classe dirigente non importa niente.

MI ARRENDO: BASTA SACRIFICI, BASTA STARE ORE ED ORE AL COMPUTER PER RACCOGLIERE DATI E DENUNCIARE.

NON SERVE A NIENTE, CHI LAVORA E’ ORMAI SOLO MERCE E NEPPURE DELLA PIU’ PREGIATA.

 

Carlo Soricelli

Curatore dell’osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

http://cadutisullavoro.blogspot.com

 

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From: Samanta Di Persio samantadipersio@virgilio.it

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Sent: Tuesday, September 23, 2014 10:44 AM

Subject: MORTI SUL LAVORO: E’ GIA’ ACCADUTO 471 VOLTE

 

Quattro operai muoiono intossicati da sostanze chimiche. Questo è il titolo dei giornali. E poi l’aggiunta si tratterebbe di errore umano. Per fortuna il Procuratore della Repubblica, in prima battuta, ha dichiarato: “Non sono state rispettate le norme di sicurezza”.

Le vittime sono Nicolò Bellato, 28 anni, Paolo Valesella, 53, Marco Berti, 47 e Giuseppe Valdan, 47. Padri, figli che non tornano a casa, mentre dalla parte politica il lavoro sembrerebbe essere solo: bonus di 80 euro, facilità di licenziamenti.

Se si muore sul lavoro non servono questi accorgimenti: serve una vera politica volta alla prevenzione degli infortuni, della salute nei luoghi di lavoro.

Carlo Soricelli scrive sul suo blog che sono 471 i morti per infortuni sui luoghi di lavoro dall’inizio dell’anno: +6,8 % rispetto allo stesso giorno del 2013.

Non si muore solo in una ditta che si occupa di rifiuti speciali. E’ già accaduto all’Ilva perché si cade da una impalcatura, perché si respirano sostanze tossiche, si muore nei campi per ribaltamento del trattore, si muore in fabbrica perché un muletto ti schiaccia, si muore nelle cisterne per aver respirato esano, si muore in ferrovia, si muore mentre si effettuano lavori di manutenzione delle strade, delle metropolitane, di tutto ciò che ci circonda, si muore nell’edilizia, si muore per strada.

La sicurezza è solo un costo, una percentuale da inserire negli appalti, poi di fatto la si può non rispettare.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si mostra dispiaciuto, come nel 2007 di fronte alla tragedia della ThyssenKrupp.

Di cosa si devono accontentare gli orfani, le vedove? Di parole? Dobbiamo essere contenti che ci siano almeno quelle? Non basta: il dolore non si placa con il tempo, anzi, ad ogni infortunio mortale torna a farsi vivo, così come torna la rabbia perché passano gli anni e non cambia nulla.

Daremo l’ennesima medaglia, un mazzo di fiori e tante condoglianze o c’è ancora speranza che qualcosa si possa fare?

 

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From: Fulvio Aurora fulvio.aurora@gmail.com

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Sent: Wednesday, September 24, 2014 9:22 AM

Subject: PROCESSO MARLANE DI PRAIA A MARE: IL PUBBLICO MINISTERO CHIEDE LA CONDANNA DEI RESPONSABILI

 

COMUNICATO STAMPA

Sono oltre un centinaio gli operai morti alla Marlane di Praia a Mare (Cosenza), causa l’esposizione a sostanze tossiche e cancerogene.

Il processo è iniziato nel 2010 ed ora finalmente sta giungendo a conclusione (in primo grado) con la richiesta della Procura presso il Tribunale di Paola.

I Pubblici Ministeri Paola Maria Camodeca e Linda Gambassi hanno chiesto la condanna, a 6 anni di reclusione, anche per Pietro Marzotto, ex presidente del gruppo, per disastro ambientale.

La pena più alta, 10 anni, è stata chiesta per l’ex sindaco di Praia a Mare, Carlo Lomonaco, imputato in qualità di ex responsabile del reparto tintoria, Silvano Storer, ex amministratore delegato del gruppo (5 anni); Jean De Jaegher (5 anni); Lorenzo Bosetti, ex sindaco di Valdagno (Vicenza) e consigliere delegato e vicepresidente della Lanerossi (5 anni); Vincenzo Benincasa (8 anni); Salvatore Cristallino (3 anni); Giuseppe Ferrari (4 anni e sei mesi); Lamberto Priori (7 anni e sei mesi); Ernesto Antonio Favrin (5 anni); e Attilio Rausse (3 anni e sei mesi). Chiesta l’assoluzione per Ivo Comegna per non aver commesso il fatto.

Un’indagine iniziata nel 1999 che ha avuto alti e bassi, tentativi di chiusura e difficoltà a partire in modo deciso. Oggi, con le richieste di condanna è stato fatto un grande passo avanti.

Medicina Democratica, parte civile nel processo, difesa dall’avvocato Natalia Branda, con l’intervento quale perito di parte del dottor Edoardo Bai, auspica che venga fatta giustizia pur sapendo che non lo sarà mai abbastanza: i morti non tornano!

Sono migliaia i morti ogni anno per malattie professionali e per infortuni sul lavoro.

Il processo di Paola ce lo ricorda, ma non sembra che vi sia un grande ascolto e interesse da parte di chi deve intervenire per fare cessare la strage.

Anzi, i tentativi di liberalizzazione e di diminuzione dei diritti sul lavoro, si stanno facendo più frequenti: non accettiamoli: basta morti sul lavoro!

 

Milano 24/09/14

per Medicina Democratica di Paola: Alberto Cunto

per Medicina Democratica Nazionale: Fulvio Aurora

 

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From: Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com

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Sent: Wednesday, September 24, 2014 1:50 PM

Subject: VERSO LA SENTENZA MARLANE

 

Ci siamo. La sentenza è vicina.

La richiesta dei Pubblici Ministeri Camodeca e Gambassi del processo Marlane sono state durissime, da sei a dieci anni per gli undici imputati responsabili di omicidio volontario, lesioni colpose e disastro ambientale.

Sono garantista e so bene che anche in caso di condanna in primo grado, fino alla Cassazione, gli imputati sono da considerarsi innocenti dai reati a loro prescritti. Ma il processo in ogni caso diventerà un processo storico per la Calabria. Storico perché per la prima volta si è giunti ad un dibattimento su un disastro ambientale e umano: parliamo di oltre cento operai e operaie deceduti o ammalati, di proporzioni enormi.

Non abbiamo avuto un processo per la Jolly Rosso spiaggiata ad Amantea nel 1990, vicenda finita senza responsabili (un processo è in corso a Cosenza contro una ditta che avrebbe sepolto rifiuti nel fiume Olivo, ma non ha niente a che vedere con la società Messina proprietaria della Jolly Rosso).

Non lo abbiamo avuto per i traffici di ferrite di zinco dalla Pertusola di Crotone finiti nei terreni del cassanese (18 arresti tra vari funzionari della Regione Calabria e un assessore all’ambiente: finì tutto prescritto).

Non lo abbiamo avuto, finito in prescrizione, per la Pertusola di Crotone e i veleni al cubilot usati per le costruzioni di strade, scuole e piazzali.

Non lo abbiamo avuto per le altri morti sospette avvenute attorno a discariche tossiche nel vibonese, in Aspromonte, ad Africo.

Perché a Paola è stato possibile?

Prima di tutto grazie a due operai della Marlane, Luigi Pacchiano e Alberto Cunto che ostinatamente hanno portato denunce scritte alla Procura di Paola, di Cosenza, all’antimafia di Catanzaro.

Poi grazie al legame con il movimento ambientalista, piuttosto che a partiti e sindacati che avrebbero affossato di sicuro tutto. Solo a processo iniziato si è costituito il sindacato della CGIL provinciale, dopo che per anni la sezione dei sindacati all’interno della Marlane ha fatto finta di non vedere niente, minacciando addirittura con comunicati stampa quei pochi operai che parlavano di veleni e morti nella fabbrica.

Solo adesso parla il sindaco del PD Praticò, alleato del segretario provinciale del PD e del consigliere regionale Guccione, mentre per trent’anni sono rimasti in silenzio. Solo adesso la stampa regionale si occupa del processo mentre stava zitta quando gli operai morivano, in nome della difesa del lavoro a tutti i costi. Marzotto non si doveva toccare e guai ancora a chi parlava del Conte Rivetti che si è auto dedicato una statua a Maratea, facendola passare per un Cristo. Le sue ceneri sono all’interno di una grotta basiliana posta proprio sotto la statua ed inaccessibile a chi volesse visitarla.

Il sindaco di Maratea non ne sapeva nulla. I cancelli di chiusura sono ancora lì. Restano le strutture archeologiche industriali, ridotte ad un ammasso di rifiuti tossici, fatti di amianto, ferraglie varie, invase da topi e randagi. Così è la PAMAFI a Tortora, così è la Lini e Lane a Praia a mare, così è la Marlane circondata da terreni pieni di Cromo VI e veleni di ogni genere.

Dopo le perizie fatte negli anni scorsi e il ritrovamento dei rifiuti, il sindaco Praticò e il consigliere regionale Guccione ancora chiedono di sapere cosa c’è lì sotto, rinviando la bonifica che il Comitato chiede da anni.

Non ammettono l’esistenza dei rifiuti tossici sull’intera area, perché Marzotto vorrebbe vendere l’intera zona ad albergatori e imprenditori pronti a nuovi alberghi e villaggi turistici. Un’area da bonificare non è vendibile e giustamente la Procura di Paola la tiene ancora sotto sequestro.

Marzotto attende oggi, chiuso in una delle sue splendide ville venete la sentenza. E’ cavaliere del lavoro, membro della Confindustria, ha ancora 2.000 operai che lavorano per le sue aziende tessili ancora aperte nel Veneto, a Schio, in Cecoslovacchia, in Tunisia. Lui non è olandese come Thyssen-Krupp, lui è italiano.

Nella Calabria malata, si è trovato un Procuratore, Bruno Giordano, che con coraggio ha aperto un’inchiesta, mentre nel Veneto progredito ancora non si mosso niente. Eppure anche lì ci sono morti e ammalati di tumore.

Ecco perché una sentenza di condanna sarebbe per la Calabria e anche per l’Italia tutta una dimostrazione di coraggio, di forza, di messaggio verso chi lavora e porta a casa un povero pezzo di pane.

Gli operai morti oggi asfissiati, a Rovigo, dai veleni ci riportano drammaticamente in una terribile realtà e ci ricordano uno per uno tutti quelli che per il lavoro hanno perso la loro vita.

 

Francesco Cirillo

Da Il Lavoro Nobilita

http://illavorodebilita.wordpress.com

 

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com

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Sent: Wednesday, September 24, 2014 3:19 PM

Subject: L’OSSERVATORIO INDIPENDENTE DI BOLOGNA MORTI SUL LAVORO CHIUDE PER “INDIFFERENZA”

 

La tragedia di Adria, come poi avevamo già scritto, fa capire quanto conta anche sul piano della Sicurezza l’articolo 18.

Il povero autista di 28 anni che è andato a scaricare l’acido solforico dentro la vasca, invece che a decantare dentro al silos, lo faceva perché quella era una prassi consolidata. Così si apprende dal telegiornale LA 7.

Così facendo l’azienda non rispettava le normative e le specifiche inerenti alla sicurezza nel maneggiare sostanze così pericolose, che tra l’altro, se c’era un forte vento poteva andare ad uccidere anche fuori dallo stabilimento persone innocenti come i lavoratori che sono morti. Allora bisogna dire con la massima chiarezza che quei lavoratori sono stati uccisi da chi dirigeva l’azienda, dall’impossibilità di opporsi nell’eseguire lavori così pericolosi.

Chi sta cercando anche in parlamento di togliere ai lavoratori anche il diritto, pena il licenziamento, d’opporsi ad eseguire lavori pericolosi per sé e per gli altri diventerà per me responsabile morale di questi omicidi.

Anche con l’articolo 18 ci sono stati tantissimi tentativi di licenziare lavoratori che si opponevano al mancato rispetto delle normative vigenti. Ma ci sono stati anche tanti reintegri perché i giudici potevano valutare se il licenziamento era giusto o ingiusto, se dietro al licenziamento c’era la volontà di colpire chi voleva solo che venissero rispettate le normative sulla Sicurezza che “appesantivano” il lavoro.

Il caso di Adria non è isolato. Anche se si cerca d’occultare la realtà da parte della politica, della stampa e delle televisioni tutte in mano a chi sta cercando attraverso l’abolizione dell’articolo 18 di eliminare i sindacati scomodi in pochi anni, attraverso la mancanza d’iscritti, come sta capitando con i precari che non si possono esporre e manifestare il loro dissenso anche attraverso l’iscrizione ad un sindacato.

I morti sui luoghi di lavoro non sono mai calati da quando il 1° gennaio 2008 ho aperto l’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro. Anzi, addirittura sono aumentati del 5,9% rispetto al 24 settembre di quell’anno e dell’8,6% rispetto al 24 settembre del 2013. L’INAIL non dice bugie quando dice che c’è stato un forte calo in questi anni, ma dica chiaramente con un comunicato che monitora le morti solo tra i propri assicurati e che non inserisce tra le morti sul lavoro le vittime che ci sono tra quei milioni di lavoratori che non sono iscritti a questo istituto, e che addirittura lavorano in nero. Le partite IVA individuali sono diventate milioni e non sono assicurate all’INAIL tanto per fare un esempio.

Questo cosa significa? Lo scrivo da anni, che i morti sui luoghi di lavoro non sono mai calati, che si sono solo “trasferiti” tra i precari, partite IVA e lavoratori in nero e agricoltori.

Chi nel parlamento ha uno spirito libero e ha soprattutto a cuore la salute, il benessere psicofisico di chi lavora dovrebbe riflettere molto su quello che si appresta a votare, se è favorevole all’abolizione dell’articolo 18 e non allargarlo anche agli altri lavoratori.

Esiste anche la libertà di coscienza, che anzi, dovrebbe essere un obbligo morale, soprattutto da parte di chi ha preso i voti dei lavoratori, e non spiegando prima che andava a fare leggi per togliere loro i diritti acquisiti da oltre 40 anni.

Dopo sei anni di monitoraggio e lavoro volontario e libero da ogni vincolo, sento una grande stanchezza. Stanco di lavorare senza ottenere nessun risultato come volontario tante ore al giorno, per far comprendere agli italiani questo fenomeno terribile, complesso e in crescita che sono le morti sul lavoro.

Chiuderò questo osservatorio quest’anno, il 31 dicembre saranno sei anni completi di monitoraggio. Chiuderò l’Osservatorio per “indifferenza”: è impossibile avere in questo paese una voce libera da qualsiasi vincolo, battersi contro interessi d’ogni tipo che ci sono anche su queste tragedie, e che coinvolge tutta la classe dirigente.

E’ peggio che scalare una montagna a piedi scalzi.

 

Carlo Soricelli

Curatore dell’osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

http://cadutisullavoro.blogspot.com

 

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From: Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com

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Sent: Wednesday, September 24, 2014 7:44 PM

Subject: RIFIUTI TOSSICI, IL PENTITO VASSALLO: “PAGAVAMO TUTTI, MAI AVUTO UN CONTROLLO”

 

“Quando aprimmo la cisterna il liquido bruciava ogni cosa, al contatto le plastiche friggevano”. Così inizia il racconto del “ministro” della monnezza per i Casalesi. Il grande accusatore dell’ex viceministro Cosentino ricorda gli incontri con Craxi, accusa grandi imprese pubbliche come Enel e Italsider. E rivela una trattativa con gli 007 per arrestare Iovine e Zagaria. Andata a vuoto.

“Abbiamo scaricato milioni di tonnellate di rifiuti tossici ovunque possibile. Non ho mai messo un telo di protezione, non ho mai avuto un controllo, pagavamo e vincevamo sempre noi”. Un racconto freddo, tanto chirurgico quanto inquietante. Poche parole: la fotografia del disastro di una terra. A parlare al Fatto Quotidiano è il pentito Gaetano Vassallo, ministro dei rifiuti del clan dei Casalesi, protagonista di quei traffici illeciti che, per anni, hanno trasformato aree della Campania in pattumiera del Paese.

C’è un primo equivoco da chiarire e Vassallo aiuta a farlo: “Quando è arrivato il commissariato di governo per gestire l’emergenza rifiuti, nel 1994, la musica non è cambiata”. E ricorda: “Venne a parlarmi il boss Feliciano Mallardo e mi disse: ‘Cumpariè dobbiamo fare i lavori presso la discarica di Giugliano, volete lavorare?’; io rifiutai e scelsero un’altra ditta del clan”.

Di imprenditoria criminale in imprenditoria criminale, una linea di continuità anche quando lo Stato si commissaria per escludere la camorra dal ciclo. Da metà anni ‘80 al 2005, vent’anni di veleni tossici disseminati ovunque e di gestione criminale del ciclo dei rifiuti urbani e industriali. Il ventre della terra ha digerito ogni cosa: fanghi industriali, ceneri degli inceneritori, residui farmaceutici, acidi, calce spenta, scarti di bonifica, veleni a milioni di tonnellate. In due decenni un fiume di pattume si è riversato nel cuore fertile della terra campana.

Ma questa è la storia criminale di un ex agente dello Stato, ritrovatosi imprenditore in una terra senza legge, in un settore senza controllo, dove i soldi tracimavano a valle. Dal nulla diventato referente dell’imprenditoria affaristica per abbattere i costi di smaltimento degli scarti industriali del nord produttivo. Vassallo, con le sue dichiarazioni, consegnate ai Pubblici Ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Giovanni Conzo, Maria Cristina Ribera, Alessandro Milita (il pool coordinato dall’aggiunto Giuseppe Borrelli) descrive l’inferno, le coperture politiche, i rapporti con la massoneria di una cricca di imprenditori al soldo della camorra.

Vassallo è il grande accusatore di Nicola Cosentino, l’ex sottosegretario all’Economia di Forza Italia, finito sotto processo per camorra, e di Luigi Cesaro, deputato di Forza Italia, destinatario di una misura cautelare, annullata dal Riesame.

Incontriamo il pentito in carcere, accompagnato dall’avvocato Sabina Esposito. Il collaboratore sta scontando una condanna per l’affare CE4, il consorzio di bacino che aveva come braccio imprenditoriale i fratelli Orsi, legati ai Casalesi, e referente politico Nicola Cosentino.

E la politica piaceva tanto anche a Vassallo. “Io negli anni ottanta ero del partito socialista, facevo le riunioni con Giulio Di Donato, organizzavamo le campagne elettorali. Io, quando potevo finanziavo il PSI. Come imprenditore vicino al partito ho fatto anche incontri a Roma alla presenza di Bettino Craxi. Furono gli anni in cui conobbi Luigi Cesaro, Giggino ‘a purpetta’. Eravamo della stessa corrente”.

Finito il sogno socialista, Vassallo cambia bandiera: “Passo a Forza Italia, sono stato anche iscritto al partito, ho fatto tessere, sostenuto campagne elettorali, ma noi facevamo affari con tutti, destra e sinistra”. I partiti a Vassallo sono sempre piaciuti, perché questa storia è anche e soprattutto la fotografia di un intreccio tra clan, impresa, professioni e mondo politico. Ma è un racconto che inizia da lontano.

Vassallo si è deciso a parlare dopo aver ascoltato ex collaboratori e altre figure, raccontare questa storia per sentito dire infarcita di strafalcioni e false piste.

“Io ho visto tutta la schifezza che abbiamo sputato nella terra. Una volta scaricammo fanghi, liquidi che erano scarti di lavorazione di un’industria farmaceutica. Poco dopo i ratti si sono estinti, sono spariti”.

Immagini dall’orrore. Un’organizzazione criminale che ha risolto la crisi rifiuti toscana prima, della provincia di Roma poi e offerto soluzioni economiche alle imprese del nord, agli impianti che dovevano smaltire.

Il capitalismo aveva trovato nell’imprenditoria di camorra lo sbocco per ridurre i costi di smaltimento del pattume industriale. A prezzo della salute di un popolo, in un’area quella di Giugliano, in provincia di Napoli, dove una perizia consegnata alla Procura, fissa per il 2064 la morte di ogni forma di vita.

“Mi vergogno, avrei dovuto pentirmi prima”. Lo fa nell’aprile del 2008. “Avevo paura. Quando il killer Giuseppe Setola è uscito su Castel Volturno ha cominciato a fare i morti. Un componente del clan mi disse che non era controllabile. Così mi sono pentito. Non ce la facevo più. Ho cambiato vita, allo Stato ho consegnato tutte le mie ricchezze”. In quell’anno Setola e il suo gruppo di fuoco hanno ammazzato anche Michele Orsi, imprenditore che aveva iniziato a fare dichiarazioni ai Pubblici Ministeri, ma non era un pentito. “Sergio e Michele Orsi erano legati al clan. Prima dell’ omicidio di Michele avevo detto agli inquirenti che sia Sergio che Michele erano stati designati perché non avevano mantenuto gli accordi con la camorra. Il clan gli aveva fatto la cartella [aveva stabilito di doverli ammazzare]. Dovevano morire e il clan mantiene gli impegni. Gli Orsi avevano tanti amici, funzionari, imprenditori, erano in rapporti anche con un magistrato”.

Vassallo ricorda l’inizio di questo horror di distruzione, morte e terra stuprata. “Ha iniziato mio padre, non sapeva neanche scrivere. Le carte le compilavano gli amici sul comune. Teneva la cava di pozzolana, rimanevano grosse buche. Un conoscente gli ha suggerito di buttarci i rifiuti. In quel periodo io facevo l’agente di polizia penitenziaria, l’ausiliare, mi sono congedato nel 1980, l’anno della strage di Bologna. Tornai a casa”.

“Dopo due anni fondai la prima società. Fino ad allora, abbiamo gestito appalti con gli enti pubblici per svariati milioni al mese senza partita IVA, senza ditta, senza niente”. Le discariche, non solo la sua, venivano gestite così: “Non abbiamo mai messo un telo di protezione, il percolato finiva in falda, non c’era neanche una vasca di raccolta, bruciavamo i rifiuti per liberare spazio, facevamo quello che volevamo”. Il percolato, liquido inquinante, risultato della decomposizione dei rifiuti organici, inquina le falde, stupra la carne viva della terra. “Presto cominciammo anche con gli speciali, la Regione mi autorizzò allo smaltimento anche di quelli”. E’ l’inizio dell’eldorado quando la consorteria criminale scopre il business dei rifiuti dal nord, prima quelli dei Comuni, poi quelli industriali. La discarica di Vassallo, a Giugliano, Comune in provincia di Napoli, si trasforma in un girone dell’inferno così come gli altri buchi, nei dintorni, sotto l’egida assoluta dei clan. E i controlli? “Ci davano tutte le autorizzazioni di cui avevamo bisogno, chi doveva controllare era a nostro libro paga”.

“In provincia le autorizzazioni le dava l’assessore Raffaele Perrone Capano dei liberali (arrestato nel 1993, condannato in primo grado, poi assolto per falso e prescritto per corruzione e abuso d’ufficio, dal 2001 è stato reintegrato come professore alla Federico II). Ci dava indicazioni che non rispettavamo mai. Io davo i soldi a Perrone Capano, i contributi per il suo partito. A volte li davo a lui, altre volte al suo autista”.

“Io sono stato l’imprenditore dei rifiuti per conto di Francesco Bidognetti”. Gaetano Vassallo era il ministro dei rifiuti dei Casalesi, il responsabile degli scarichi tossici agli ordini di Bidognetti, Cicciotto ‘e mezzanotte, il capo assoluto del clan, oggi rinchiuso al 41 bis. L’ex agente, diventato imprenditore, conosce la camorra in quegli anni di gloria. “La faccia della camorra l’ho conosciuta con Santo Flagiello, che faceva la latitanza a casa mia. Poi il primo incontro con il boss Francesco Bidognetti. Mi disse: ‘Tu mi rappresenti in questo affare’”.

La struttura organizzativa era molto semplice. “C’erano le società commerciali che si occupavano dell’intermediazione e del trasporto tutte controllate da Gaetano Cerci, camorrista, nipote del boss Francesco Bidognetti, che aveva la società Ecologia 89. Poi c’erano tre imprenditori, io, Luca Avolio e Cipriano Chianese che avevamo le discariche”. I colletti bianchi dei Casalesi, proprio Gaetano Cerci è stato nuovamente arrestato qualche giorno fa con l’accusa di estorsione. Vassallo continua: “Utilizzavamo le certificazioni che avevamo, anche se le discariche erano esaurite. I rifiuti ufficialmente venivamo smaltiti nei nostri impianti, ma finivano nei campi, sotto la Nola-Villa Literno, nei terreni incolti, in altre cave. Tutto senza controllo”.

La rete era estesa. Vassallo ricorda un’altra presenza costante in questo affare: la massoneria. “Gaetano Cerci andava a casa di Licio Gelli, mi spiegò che Gelli era un procacciatore di imprenditori del nord che potevano inviarci i rifiuti”. Nel 2006 la procura di Napoli chiese addirittura l’arresto di Licio Gelli, il GIP Umberto Antico negò la misura. I Pubblici Ministeri scrivevano: “I rapporti preferenziali tra Gaetano Cerci e Licio Gelli appaiono poi assolutamente certi, essendo riferiti da Schiavone, De Simone, la Torre, Quadrano, Di Dona, sia de relato che per scienza diretta”. Ora arrivarono anche le parole di Vassallo, ma Gelli da quella indagine ne è uscito pulito. Un altro che conta era Cipriano Chianese, avvocato, imprenditore, sotto processo per disastro ambientale e collusione con i clan. Chianese, nel 1994, si candidò con Forza Italia, ma non fu eletto. “Chianese è stato l’ideatore dell’organizzazione. Aveva conoscenze importanti, era amico di un generale dei carabinieri. A Chianese lo stato ha preso solo una parte dei beni, molti soldi li ha macchiati [nascosti]”. Il sistema rodato era soldi in cambio dell’appalto. A Vassallo chiediamo se negli anni di rapporto con i politici, tra mazzette e collusioni, ne ha mai trovato uno che si è opposto. “No, non ho visto nessuno opporsi”.

E dal nord produttivo, dalle aziende del Paese arrivava di tutto. “Abbiamo scaricato le ceneri degli inceneritori del nord, gli scarti dell’Italsider di Taranto, la calce spenta dell’Enel di Brindisi e di Napoli, i fanghi industriali, gli scarti tossici proveniente dalla bonifica dell’Acna di Cengio, gli acidi, tonnellate di rifiuti dalle aziende del settentrione. Di certo posso dire: non abbiamo scaricato i rifiuti nucleari”. E cita le aziende come “i Bruscino che trasportavano gli scarti di lavorazione dell’Enel, la ditta Perna Ecologia”, un lungo elenco di aziende che hanno scaricato veleni per anni. Le imprese produttrici non si preoccupavano di dove andava, a prezzo stracciato, il loro pattume tossico. Contattavano gli intermediari, i trasportatori, e i carichi partivano.

Quando gli chiedi l’ammontare dei rifiuti scaricati, Vassallo allarga le braccia e scuote la testa. Il principio ispiratore era uno soltanto: non si rischiavano niente in un Paese, l’Italia, dove a distanza di anni la maggior parte dei processi per delitti contro l’ambiente finisce in prescrizione. Basso rischio e palate di soldi. Vassallo spiega: “Io solo per il trasporto dei rifiuti dalla Toscana, andavo a prendere 700 milioni di lire al mese. In Campania guadagnavo 10 miliardi di lire ogni anno solo per l’affare dei rifiuti solidi urbani, raccolti nei comuni dell’hinterland”. Poi c’era il traffico dei rifiuti tossici, occultati sotto quelli domestici. “Un pozzo senza fine. Guadagnavo 5 milioni di lire a carico, al clan davo 10 lire al kg, ma li fottevo sul peso e sugli arrivi. Ogni giorno arrivavano anche 30 camion. Una cosa come 150 milioni di lire ogni santo giorno. Si iniziava a scaricare alle 4 del mattino, c’era una fila di camion dalla discarica fino alla strada”. Fotteva i clan Vassallo e, quando occorreva, usava le buche di Stato grazie a buoni amici.

Vassallo ricorda quello che poteva diventare lo spartiacque, il momento di cesura di questo orrendo spartito criminale: il 1993. “Fummo arrestati tutti nell’inchiesta Adelphi proprio per i traffici di rifiuti . Io fui prosciolto, ma ero colpevole. Se fosse andato diversamente quel processo, la Campania si sarebbe risparmiata altri 15 anni di veleni”. E ricorda un particolare. “Venne un magistrato per chiedermi di collaborare. Il nostro accusatore era Nunzio Perrella, un boss di Napoli che si era pentito. Io ci pensai, ma poi in carcere ebbi un colloquio con mio padre”. E il padre gli portò i saluti dei Casalesi. “Mi disse che lo aveva avvicinato Francesco Bidognetti per rassicurarlo sulla copertura economica”.

Tutto ricominciò. Dopo gli arresti arrivò lo Stato. “Noi ci dedicammo solo ai traffici di rifiuti industriali. Nel 1994 la gestione dei rifiuti solidi urbani viene affidata al commissariato di governo. Aveva l’obiettivo di avviare un ciclo di gestione ed estromettere la camorra dal pattume”. Non cambiò nulla, l’imprenditoria dei clan era l’unica a lavorare. “Il commissariato mi ha dato un paio di milioni di euro, loro ci lasciarono una parte della cava, dovevamo fare la messa in sicurezza, ma noi facevamo finta e continuavamo a scaricare”. Il business era redditizio. “Arrivavano le motrici con i fanghi che fintamente venivano trattati negli impianti di compostaggio dei fratelli Roma. Facemmo un macello, li abbiamo scaricati nei terreni dei contadini. A Lusciano, a Villa Literno, a Parete, a Casal di Principe. Poi dopo aver scaricato passavamo con il trattore per muovere la terra”.

Con l’arrivo del commissariato, la camorra raddoppia. In particolare Vassallo ricorda: “Giuseppe Carandente Tartaglia, era emanazione, prima dei Mallardo e poi del boss Michele Zagaria. Me lo disse Raffaele ‘o puffo’, il figlio di Francesco Bidognetti. L’azienda di Carandente Tartaglia ha lavorato prima in sub-appalto per il consorzio Napoli 1 e dopo per Fibe (la società del gruppo Impregilo che aveva vinto l’appalto per la gestione dei rifiuti in Campania). Carandente Tartaglia si vantava di avere un rapporto da anni anche con un ingegnere importante di Fibe, al quale garantiva la copertura della camorra, ma non ricordo il nome”. Nel 2008 quelle sigle societarie, già operative nel ‘95, realizzeranno la discarica di Chiaiano per conto del commissariato di governo.

Sul ruolo nell’emergenza rifiuti di Antonio Iovine e Michele Zagaria, per 15 anni latitanti, e poi catturati, Vassallo non ha dubbi. “I terreni dove sono stoccate le balle di rifiuti (dalla Fibe grazie a un’ordinanza commissariale), sono di soggetti legati al boss Zagaria”. In questo cammino criminale, Vassallo è sempre stato in prima linea, prima come protagonista della mattanza ambientale, poi offrendo il supporto quando necessario ai fratelli Orsi nell’affare CE4. Era nella cabina di regia con i boss di primo ordine. Così gli chiediamo di eventuali rapporti di Zagaria e Iovine con pezzi dello Stato. E lui racconta un particolare inedito che apre interrogativi. “Ho incontrato agenti dei servizi segreti nel periodo 2006-2007. Mi hanno contattato perché volevano arrestare Iovine e Zagaria. Un mio amico carabiniere di Roma venne da me insieme a due persone che presentò come agenti dei servizi. Ci sono stati tre incontri, due in un albergo e un altro all’uscita autostradale di Cassino. Potevo incontrare Iovine, ‘o ninno’ e Zagaria in qualsiasi momento. Li conoscevo, io ero imprenditore del clan. Il patto era di fargli arrestare i due latitanti in cambio di mezzo milione di euro, 200 mila euro per Iovine, 300 mila per Zagaria. Io chiesi anche la garanzia della libertà per me, ma non accettarono. L’accordo saltò”.

Iovine, oggi collaboratore di giustizia, viene arrestato nel 2010, dopo 14 anni di latitanza, e Zagaria nel 2011, dopo 16 anni. Il racconto del pentito pone una domanda: si potevano arrestare prima? Gaetano Vassallo aspetta di uscire dal carcere per tornare alla sua nuova vita: dipendente di un supermercato. Mentre si alza ripensa alla mattanza ambientale. “Non si può fare niente. Io parlo dell’area dove smaltivamo io e Chianese. E’ impossibile bonificare”. E’ una peste, un inferno senza fine.

 

23/09/14

Nello Trocchia

Il Fatto Quotidiano

 

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From: USB Perugia perugia@usb.it

To:

Sent: Wednesday, September 24, 2014 8:01 PM

Subject: TRASPORTI A ROMA, LICENZIATI PERCHÉ DENUNCIANO A “PRESA DIRETTA” LA MANCATA MANUTENZIONE DEI BUS

 

Da Controlacrisi

http://www.controlacrisi.org

I delegati sindacali dell’USB Ilario Ilari e Valentino Tomasone sono stati sospesi dal servizio in via cautelativa dalla loro azienda, la “Trotta Bus Service”, dopo essere stati intervistati dal programma di Rai 3 “Presa Diretta” per la puntata andata in onda domenica 21 settembre, dedicata ai problemi del trasporto pubblico.

Per protestare contro questi provvedimenti l’USB ha occupato la sede dell’Assessorato alla Mobilità del Comune di Roma, dato che la Trotta è una delle società facenti parte del Consorzio Roma TPL, che gestisce in appalto il 30% del servizio bus nella capitale.

“Nelle lettere inviate ai lavoratori si contesta la loro presenza in trasmissione senza alcuna autorizzazione da parte aziendale e l’aver rilasciato al giornalista inviato ‘dichiarazioni inerenti il parco automezzi aziendale circolante e la relativa manutenzione delle vetture altamente lesive dell’immagine dell’azienda”, spiega Walter Sforzini dell’USB.

“Crediamo che le immagini trasmesse parlino chiaro” – evidenzia Sforzini – “i lavoratori non hanno rilasciato nessuna dichiarazione diversa da ciò che proprio le immagini hanno mostrato, ovvero una vettura guasta al capolinea, proprio durante l’intervento di un meccanico; un autobus che ad ogni inserimento di marcia scaricava l’aria dei servizi automezzo e rischiava di bloccare la vettura. Inoltre” – prosegue il rappresentante USB – “la risposta a una domanda del giornalista in merito al rinnovo del parco automezzi, come previsto dal contratto di servizio stipulato con il Comune di Roma, è venuta non dalla bocca dei lavoratori, ma dal passaggio di un autobus, evidentemente molto in là con gli anni, che emetteva un intenso fumo nero dal tubo di scappamento”.

“La sospensione dei nostri delegati, che potrebbe preludere al loro licenziamento, appare come un’azione di ritorsione nei confronti della nostra organizzazione sindacale, che da anni denuncia questo tipo di mancanze alle istituzioni responsabili del servizio. Alla luce di ciò l’USB chiede l’annullamento immediato delle sanzioni nei confronti dei delegati e l’attivazione delle necessarie verifiche sulla corretta applicazione del capitolato d’appalto con il Consorzio Roma TPL”, conclude Sforzini.

 

24/09/14

Fabrizio Salvatori

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