Commissione Colao, cominciamo bene, per rilanciare l’economia primo punto : scudo penale

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Il primo punto del fantasmagorico programma per il rilancio dell’Italia post covid è incredibilmente lo scudo penale per le imprese di fronte al contagio da covid dei forzati del lavoro che hanno puntellato l’economia “essenziale” e non, nel periodo buio dell’emergenza.
Un ottimo incipit per questo programma e un modo coerente per ricordare l’anniversario dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori. Le solite lagne dei padroni del vapore che divengono frusta contro i lavoratori e la lavoratrici.

La richiesta di uno “scudo penale” per le imprese è purtroppo inserita al primo punto delle proposte della commissione Colao, ma non ha alcun motivo di essere come non lo ha lo scudo penale di tipo ambientale previsto per Arcelor Mittal a Taranto.
L’esposizione ad agenti biologici è da sempre considerato come un possibile fattore di infortunio riconosciuto, sotto il profilo assicurativo da INAIL ove si dimostri la correlazione tra danno e “occasione” lavorativa. Tra l’altro una direttiva del 5 giugno 2020 ha qualificato il SARS-COV2 come agente biologico di terza categoria (su una scala di 4) riconoscendone una maggiore pericolosità, in ambito lavorativo, rispetto alla precedente classificazione (seconda).
Il riconoscimento assicurativo obbligato per effetto delle norme sulla assicurazione obbligatoria da infortuni e malattie professionali, comunque, non corrisponde, come in qualunque altra situazione di infortunio o malattia professionale, a una automatica attribuzione di responsabilità penale del datore di lavoro come ricorda l’INAIL stessa : “Non possono, perciò, confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail (basti pensare a un infortunio in “occasione di lavoro” che è indennizzato anche se avvenuto per caso fortuito o per colpa esclusiva del lavoratore), con i presupposti per la responsabilità penale e civile che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative. In questi, infatti, oltre alla già citata rigorosa prova del nesso di causalità, occorre anche quella dell’imputabilità quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro.”

L’obiettivo reale di questa richiesta è fare un passo verso la eliminazione dell’obbligo della indagine di ufficio per gli infortuni mortali e gravi (ovvero con una astensione lavorativa superiore a 40 giorni), una previsione posta a tutela del diritto dei lavoratori alla sicurezza sul lavoro, in ogni caso solo se dall’indagine emergono delle carenze da parte dell’azienda che siano correlabili con il danno subito dal lavoratore scatta la responsabilità penale.
Nel caso specifico e riferendoci a quegli infortuni da Covid al di fuori del comparto sanitario e sociosanitario possibili indagini a seguito di denunce di infortuni ad INAIL si focalizzerebbero sulla attuazione del protocollo Covid nella singola azienda. Solo una mancata attuazione del protocollo potrebbe determinare una chiamata in causa del datore. Quindi la richiesta dello scudo penale mostra la coda di paglia di chi sa di non aver attuato correttamente i protocolli tra le parti sociali.
Non lo diciamo noi, lo afferma INAIL : “Pertanto la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del decreto legge 16 maggio 2020, n.33.”

I rapporti INAIL sull’andamento delle denunce infortuni da Covid nell’indicare che quelle ricevute sono per lo più riferite al personale sanitario e socio sanitario (oltre il 70 %) non fa altro che rappresentare numericamente quanto conseguente dalle circolari che hanno esplicitato il riconoscimento assicurativo degli infortuni COVID.
In sintesi INAIL interviene riconoscendo la tutela assicurativa senza ulteriori verifiche specifiche in caso di positività mediante tampone e nel caso in cui l’origine lavorativa sia connessa con attività sanitarie, sociosanitarie soggette all’assicurazione INAIL (gli MMG non sono soggetti, hanno assicurazioni private in quanto non sono dipendenti delle ASL/regioni con cui sono convenzionati). In via esemplificativa e non esaustiva INAIL ha individuato categorie come le seguenti “ lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi”.
In questi casi INAIL riconosce d’ufficio che l’infortunio è dovuto ad un rischio professionale anche nel caso in cui tale correlazione non sia comprovabile da parte dal lavoratore.
Negli altri casi la tutela assicurativa non è automatica, occorrerà dimostrare che il lavoratore si è ammalato in relazione all’esposizione sul luogo di lavoro, non è quindi scontato che INAIL lo riconosca.
Vi può essere una possibilità del sommerso in termini di denunce di infortunio Covid è, come in altri casi, principalmente correlato dalla mancata denuncia da parte dei datori di lavoro per un diniego assoluto e quindi a una evasione di tale obbligo oppure dovuto alla mancata certificazione di infortunio da parte dei medici accertatori, siano essi presso gli ospedali o, per lo più, dei medici competenti che, ricordiamo, essendo legati da contratti privati con i datori di lavoro possono agevolmente essere indotti ad eludere tale obbligo generale a loro carico.
Semmai il problema cui pensare, oltre alle sanatorie (sic !!) di emersione per il lavoro nero, mettere in atto concrete attività sia nei confronti dei datori di lavoro che dei medici che non ottemperano ai loro obblighi di denuncia e di referto, rispettivamente. Lo scudo contro gli abusi deve essere messo a disposizione dei lavoratori e delle lavoratrici e non dei padroni del vapore.
(Ovviamente nel “protocollo Colao” non una parola per la democratizzazione dei rapporti nei luoghi di lavoro, i lavoratori lavorano zitti e “scudati” dai loro datori di lavoro, direi che non ci siamo proprio).

Marco Caldiroli

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