CONSIDERAZIONI ATTUALI SUI RAPPRESENTANTI PER LA SICUREZZA DEI LAVORATORI – DI MARCO SPEZIA

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IL RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA (RLS)
LA SUA IMPORTANZA, LA REALTA’ DEI FATTI
CIOE’ TRA TEORIA E PRASSI

1. Premessa
Questo articolo non vuole essere un saggio accademico (e quindi meramente teorico) delle attività svolte dal Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), anche se nel primo capitolo inserirò qualche concetto normativo, che non fa mai male ricordare, e che senza il quale è difficile capire il seguito.
Questo articolo vuole condensare le esperienze vissute in più di 20 anni di lavoro e “volontariato” (consulenze gratuite per sindacati o singoli lavoratori) per salute e sicurezza sul lavoro, relativamente al ruolo, all’importanza e ai limiti (tantissimi) del RLS e fare riflettere su quanto avrebbe potuto essere l’importanza dei RLS e di cosa è invece accaduto e soprattutto come e perché.

2. L’importanza del ruolo di RLS
La Direttiva “quadro” della Comunità Europea (391/89/CE) recepita dapprima dal D.Lgs. 626/94 e ora dal D.Lgs. 81/08 (“Testo Unico sulla sicurezza”), creando la figura del RLS, ha fissato un ruolo fondamentale (almeno in teoria) per la difesa dei diritti dei lavoratori alla loro salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Per la prima volta viene infatti riconosciuto in maniera chiara il ruolo dei lavoratori (per tramite dei loro rappresentanti, cioè i RLS) come parte “attiva” nella politica delle aziende per la salute e la sicurezza e non semplicemente come parte passiva, sottoposta ad eventuali procedimenti disciplinari dall’azienda per il mancato adempimento della normativa per la loro tutela.
La normativa europea e nazionale assegna al RLS attribuzioni di importanza fondamentale (vedi in dettaglio l’articolo 50 del D.Lgs. 81/08):
 essere adeguatamente formato in relazione al proprio ruolo;
 ricevere dalla azienda tutta la documentazione e le informazioni relative alla politica della sicurezza;
 essere consultato sulle decisioni prese dalla azienda relativamente a tale politica;
 fare proposte di miglioramento della salute e della sicurezza dei lavoratori;
 poter fare ricorso agli organi di vigilanza.
Ricevere la documentazione e le informazioni aziendali su salute e sicurezza significa che il RLS non solo le può analizzarle in senso critico, sulla base della formazione ricevuta, ma che egli le può diffondere a tutti i lavoratori e confrontarsi con loro sulla reale correttezza e coerenza di quanto dichiarato dall’azienda.
La consultazione del RLS da parte dell’azienda e la possibilità di poter esprimere il suo parere e proporre interventi di miglioramento, costituisce uno stimolo per l’azienda a confrontarsi con le reali esigenze dei lavoratori, al di là di valutazioni soggettive (da parte dell’azienda) e spesso di comodo.
La possibilità di fare ricorso agli organi pubblici di vigilanza permette infine al RLS di poter segnalare all’autorità competente le difformità rilevate e segnalate all’azienda e da questa non risolte. L’autorità competente ha poi il potere di imporre, tramite gli organi giudiziari, all’azienda la risoluzione delle non conformità segnalate dal RLS, sanzionando l’azienda stessa.
Il RLS avrebbe potuto e dovuto, in teoria, farsi portavoce nei confronti del datore di lavoro delle esigenze espresse dai lavoratori per la tutela della propria salute e sicurezza, richiedere al datore di lavoro stesso l’adeguamento di spazi di lavoro, macchinari, modalità di lavoro a quanto richiesto dalla legge e in caso di mancata attuazione degli interventi fare ricorso agli organi di vigilanza.
In tutto questo, qualcosa, evidentemente si è inceppato.

3. Dalla teoria alla prassi
A fronte di questi teorici diritti e poteri del RLS, fissati dalla normativa comunitaria e italiana su salute e sicurezza, in realtà la vera situazione del mondo del lavoro in Italia è purtroppo decisamente meno positiva.
Per argomentare, almeno in parte, questa affermazione, basta citare che dal 1994 (anno in cui venne formalizzata la figura del RLS) a oggi, le morti sul lavoro non hanno subito nessun drastico calo, ma hanno continuato a oscillare attestandosi attorno ai 1.300 morti all’anno (fonti INAIL, peraltro sottostimate), cioè più di 3 morti al giorno.
Oltre a questo, bisogna considerare che le malattie professionali sono in crescita, anche a causa dell’aumento dell’età lavorativa.
Occorre mettere in evidenza che i dati INAIL sono sottostimati, in quanto comprendono solo i dipendenti pubblici e privati (le cui aziende sono assicurate appunto con l’INAIL), ma non i liberi professionisti, i lavoratori con contratto “anomalo”, i lavoratori in nero, ecc.
A tale proposito, occorre però specificare che la maggior parte dei morti sul lavoro (circa il 60%) avviene in agricoltura e in edilizia, cioè in quei settori dove il ruolo del RLS (per parte dei motivi che vedremo più sotto) ha un peso molto basso.
Situazione analoga si ha relativamente alle malattie professionali.
Riporto a seguire quelli che, secondo il sottoscritto, sono i motivi che hanno ridotto di molto l’importanza del RLS e la sua capacità di agire in maniera concreta sul fenomeno infortunistico e delle malattie professionale.
La mia non vuole essere un’analisi sociologica o politica (anche se, da questo punto di vista, la mia posizione è netta: sono comunista da quando ho l’età della ragione e lo sarò sempre), né tanto meno giuslavoristica, ma solo una serie di considerazioni basate su 20 anni di lavoro e volontariato per salute e sicurezza sul lavoro.
A tale proposito, troverete tra parentesi quadre e in corsivo, alcune delle mie “esperienze di vita”, declinate in forma del tutto anonima.

4. Sindacati, bastoni tra le ruote, orticelli e prime donne
Il RLS, per quanto disposto dal Decreto, per aziende sopra i 15 lavoratori, deve obbligatoriamente essere eletto all’interno delle rappresentanze sindacali (a seconda dei casi, RSA o RSU) e questo in genere comporta molti problemi.
E’ un evidente “conflitto di interessi”, voluto, non a caso, dal legislatore.
Da un lato le RSA/RSU cercano consensi sulla difesa dei posti di lavoro, ma spesso più semplicemente retributivi (anche a scapito di salute e sicurezza) in contrasto con la richiesta da parte del RLS di interventi a difesa della salute e la sicurezza.
Certo è che, da parte di sindacati vari, si hanno maggiori consensi dai lavoratori, ottenendo più soldi in busta paga (che si toccano subito con mano), piuttosto che difendendo i lavoratori da infortuni e malattie professionali che vengono visti dagli stessi, in maniera fuorviante, come un’eventualità remota (“tanto che cosa vuoi che capiti, basta avere fortuna”).
E’ quello che Renato Curcio definisce “lo scambio salute-lavoro”.
Molti RLS, che magari avrebbero voglia di lottare secondo il loro ruolo, si trovano i bastoni tra le ruote, da parte dei loro stessi sindacati, a livello aziendale e locale o addirittura ne sposano in pieno le linee rivendicative.
[Mia esperienza come RSPP di una fabbrica. Proprietario unico in perenne crisi di finanza: interesse dei RLS alla sicurezza minimo. Poi subentra multinazionale che porta la finanza anche per la sicurezza: interesse dei RLS alla sicurezza massimo. Subentra ancora altra multinazionale a cui della sicurezza non interessa niente e che comincia a paventare tagli al personale: interesse dei RLS alla sicurezza zero.]
Attenzione che qui non parlo di questo o quel sindacato.
Qui racconto la mia esperienza “mediata” su varie sigle sindacali con le quali collaboro da anni nel mio ruolo di “volontario” della sicurezza.
Non esistono in toto sindacati “buoni” o “cattivi”, anche se, statisticamente, la maggior parte degli atteggiamenti negativi verso i RLS, proviene dai Confederati, mentre i sindacati “di base” risultano molto più attenti alle tematiche della salute e sicurezza.
Ma come sapete, la statistica è quella scienza, secondo la quale se io mangio due polli e tu non ne mangi nessuno, statisticamente ognuno di noi mangia un pollo.
Tra i sindacati di base ho sempre trovato le persone più impegnate e disposte a metterci le palle, ma non mi sono mai legato, come “volontario”, a un sindacato di base o confederale, ma solo alle persone che, all’interno di diverse sigle, si sono sbattute coerentemente per difendere i diritti dei lavoratori su salute e sicurezza (cioè hanno fatto semplicemente il loro lavoro di sindacalisti e di RLS).
Ci sono poi i RLS, eletti all’interno delle rappresentanze sindacali o tra i lavoratori (aziende con meno di 15 dipendenti) che vengono scelti tra persone “di comodo”, che di fatto non svolgono il loro ruolo sancito dalla legislazione, ma diventano di fatto un’appendice della dirigenza aziendale, senza nulla fare di concreto per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
[Mi sono trovato come “volontario”, invitato da un sindacato che non apparteneva alla RSU aziendale e che quindi non poteva avere un RLS, a litigare di brutto con il RLS “ufficiale” della RSU che difendeva pedissequamente le posizioni aziendali, più che se ne fosse un drtigente. E non è di certo un caso isolato.]
Un aspetto comune tra molti sindacati e RLS nell’ambito della sicurezza sul lavoro (che poi si riflette in grande su quello che succede in ambito nazionale) è quello degli “orticelli” e delle “prime donne”.
E’ facile trovare degli RLS che fanno del loro impegno una sorta di appagamento del proprio “ego” nel voler essere meglio degli altri. In sostanza, nel minuscolo della situazione, hanno fame di “potere” e non fanno altro che cercare consensi nei propri “orticelli”, anche a scapito della reale finalità degli obiettivi di cui si fanno portavoce.
[Azienda chimica. Come dirigente do la priorità alla valutazione del rischio chimico al reparto A, evidentemente più a rischio. I RLS vogliono priorità al reparto B, con rischio minore. Motivo: il reparto A conta 2 lavoratori, il reparto B ne conta 30. Conclusione maggiori consensi, più che reale tutela.]

5. La ricattabilità
Ma anche quando i RLS esercitano con coerenza e impegno il loro ruolo (cioè semplicemente fanno quello che la legge prevede che facciano), proprio per questo impegno diventano lavoratori “scomodi” per l’azienda e quindi soggetti a ogni tipo di pressione e di ricatto (nonostante quello che prevedono il Decreto e lo Statuto dei Lavoratori).
Sono moltissimi i casi di RLS discriminati e perseguitati perché svolgono correttamente il proprio ruolo e molti purtroppo sono costretti a rinunciare al loro incarico.
[Come “volontario” ho aiutato per anni il RLS di un’azienda e abbiamo fatto molte belle battaglie insieme, ottenendo anche risultati importanti, fino a che un giorno mi chiama e mi dice “Marco, rinuncio al ruolo di RLS. Il padrone mi ha fatto capire che se continuo a rompere le palle, alla prima occasione, mi fa fuori…”.]

6. La mancanza di massa critica
Strettamente legato al problema della ricattabilità di cui sopra, vi è quello della mancanza di massa critica da parte dei lavoratori. Che è poi la maggiore causa di depauperamento dell’importanza del RLS.
Accade infatti che, molto frequentemente, i RLS “rimangano da soli” a svolgere il loro ruolo, non essendo adeguatamente supportati dai lavoratori stessi che loro tutelano, sorta di Don Chisciotte della Mancia che va all’assalto dei mulini a vento, seguito solo dal fedele Sancho Panza.
Mancanza di cultura della sicurezza e, soprattutto di coscienza di classe, paura di ritorsioni, ricattabilità delle categorie più precarie, fanno mancare ai RLS la “massa critica” per poter portare avanti le rivendicazioni su salute e sicurezza nei confronti dell’azienda o degli organismi di vigilanza.
[Mi sono trovato in una grande città, sempre come “volontario” a un incontro con i lavoratori di uno specifico settore con grosse problematiche di salute e sicurezza. Il numero totale di addetti di quel settore in quella città era di circa 1.000. Davanti a me c’erano una ventina di lavoratori, cioè il 2% del totale. Di fronti ai padroni e agli organi di vigilanza tale percentuale è del tutto insignificante.]
Checché se ne dica e per quanto ci si illuda, alla maggior parte dei lavoratori di salute e sicurezza gli interessa poco.
Al contrario, dove il RLS è appoggiato dalla maggioranza dei lavoratori, i risultati ci sono.
[Azienda pubblica di smaltimento rifiuti. A seguito di continue lamentele sulle condizioni di lavoro, il RLS convince gli addetti a scioperare. Il giorno dopo escono dalla sede 10 camion per la raccolta su 100. Con il rischio di vedere la città invasa dai rifiuti in pochi giorni, l’azienda accetta le richieste del RLS e, è il caso di dirlo, dei lavoratori.]

7. La scarsezza degli organi di vigilanza e, a volte, il loro doppiogioco
L’articolo 50 del D.Lgs. 81/08, specifica chiaramente che il RLS può rivolgersi agli organi di vigilanza Aziende Sanitarie Locali (ASL) o Agenzia di Tutela della Salute (ATS).
Sintetizzando, una segnalazione all’ASL/ATS di un mancato adempimento su salute e sicurezza da parte del padrone di un’azienda è una denuncia di reato che obbliga l’organo a fare intervenire un ispettore (che è Ufficiale di Pulizia Giudiziaria) per fare estinguere il reato.
In teoria è molto bello: il padrone fa lavorare gli operai su macchine non a norma, il RLS chiede l’intervento dell’ASL/ATS, che sanzione il padrone e gli fa a mettere a norma le macchine.
In realtà, quasi mai è così.
Una prima causa di quanto sopra è che gli ispettori degli organi di vigilanza sono pochissimi, rispetto al numero di aziende del territorio, per precise volontà politiche.
Mediamente in Italia le ASL/ATS riescono a controllare il 3% delle aziende, quindi il rimanente 97% può fare quello che vuole. E’ un po’ come far sparire gli autovelox o il safety tutor da strade e autostrade: chi li rispetta più i limiti di velocità?
In secondo luogo, spesso gli ispettori non vogliono o non possono intervenire con il potere che hanno in quanto UPG, per sanzionare i padroni e far loro eliminare i non adempimenti.
Cioè le ASL/ATS non forniscono ai RLS il supporto previsto dalla normativa, sia omettendo le ispezioni richieste o “ammorbidendo” il loro comportamento, sia mancando di tutelare i RLS rispetto alle discriminazioni da parte delle aziende.
[Questa non è una mia esperienza diretta. Gli ispettori ASL intervennero nei confronti della Thyssen-Krupp di Torino, in maniera spaventosamente blanda, in una fabbrica a elevatissimo rischio. Il risultato sono i 7 morti del 6 dicembre 2007.]
I motivi di quanto sono ovviamente di natura politica.
Le ASL/ATS sono organismi di natura pubblica, quindi in mano ai politici e si sa che molto difficilmente un politico vuole mettere i bastoni tra le ruote a un’azienda, specie se a sua volta è molto influente sui politici.
[Ho conosciuto parecchi ispettori ASL/ATS, che agendo semplicemente secondo quanto prevede la legge, hanno ricevuto richiami dai loro dirigenti perché erano “troppo rigidi” rispetto alle aziende controllate.]

8. Le partite IVA, il lavoro “interinale” e il lavoro sommerso
Per quanto riguarda le “partite IVA”, esse non rivestono una grande attenzione da parte dei RLS dei sindacati confederali, ma anche (esperienza diretta) di qualche sindacato di base.
Non sono lavoratori da “tessera”, all’interno delle aziende sono smarriti e senza un appoggio concreto.
E per “partita IVA” non si intendono certo, in questo caso i ricchi professionisti: avvocati, notai, medici privati, ingegneri (a parte qualche caso atipico…).
Qui si parla di lavoratori che pur di collaborare con un’azienda, accettano il ricatto di prendere la partita IVA, ma di lavorare di fatto come dipendenti, soltanto che rispetto ai dipendenti mancano di contributi previdenziali e assicurazione INAIL, contratto collettivo di riferimento e devono lottare ogni giorno con padroni che giocano al ribasso sul loro contratto (“guarda che l’anno prossimo non te lo rinnovo, sai quanti ne trovo come te”).
Non sono “lavoratori” e quindi non hanno diritto a formazione, sorveglianza sanitaria, DPI. Sono la più bassa forma di lavoro “para-dipendente”, appena sopra ai lavoratori in nero.
Sono sfruttati soprattutto nei cantieri edili o in agricoltura e sono in genere i primi a pagare le spese
Sono solo con sé stessi o, se possono permetterselo, difesi da un avvocato (“partita IVA” anche lui), lautamente pagato.
[Tecnico della sicurezza che esegue anche lavorati operativi a rischio. Nessuna tutela INAIL, per cui si deve fare un’assicurazione a sue spese per eventuali infortuni. I DPI se li deve comprare e la sorveglianza sanitaria specifica se la paga.]
Subito sotto, in termini di tutela, stanno i lavoratori somministrati (i cosiddetti “interinali”), lavoratori a chiamata, sbattuti a destra e a sinistra, senza potersi fare qualunque esperienza. Se alzato appena un dito se ne tornano a casa. Agenzie interinali che di fatto sono un “caporalato” legalizzato.
Ma alla fine i più sfruttati, i lavoratori “senza volto” che non hanno alcun diritto o forma di garanzia, che semplicemente “non esistono” sono i lavoratori in nero (quelli veri, non i “padroncini” che non fanno fattura per non pagare le tasse).
Tutti questi lavoratori, che in genere lavorano nei settori più a rischio (agricoltura, edilizia), ovviamente non possono avere nessun RLS che li possa dare il men che minimo aiuto perché la legge non lo prevede (anzi, in effetti, la legge non prevede nemmeno il lavoro in nero…).
E quasi sempre svaniscono nelle catene infinite dei subappalti e subsubappalti. Ci si affida a una ditta qualificata, certi di avere a che fare con un’organizzazione mirata alla sicurezza, e si scopre alla fine che in fondo in fondo alla piramide ci sono partite IVA e lavoratori in nero.
[Azienda chimica. Come responsabile manutenzione, affido dei lavori di ristrutturazione a una ditta qualificata. Nei miei soliti giri di controllo del cantiere vedo un lavoratore che non lavora in condizioni di sicurezza. Mi avvicino per chiedere informazioni e questo povero disgraziato come mi vede, inizia a scappare. Riesco a fermarlo e dal poco che capisco dal suo italiano approssimativo non è assolutamente in regola ed è la base della piramide dell’appalto principale.]

9. E quindi?
Credo fondamentalmente che la problematica della poca incisività dei RLS sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, dipenda dalla scarsa cultura dei lavoratori dei propri diritti in generale e in particolare di quelli relativi alla sicurezza.
Non parlo della “cultura della sicurezza” di cui ogni tanto si fa portavoce qualche ministero, qualche politico, qualche sindacalista, che ha come significato sostanzialmente che i lavoratori si fanno male perché non sanno lavorare in sicurezza, perché sono ignoranti.
Parlo della cultura che viene dalla consapevolezza di classe.
Non è vero che la lotta di classe è finita. I padroni la stanno combattendo contro i lavoratori a colpi di morti sul lavoro, ma anche di contratti capestro, di possibilità di licenziamento indiscriminato, di declassificazione del lavoratore (partite IVA, somministrati, in nero).
I padroni la guerra la combattono, a suon di morti.
I lavoratori no.
La cultura a cui ci ha ridotto un sistema basato sul bombardamento mediatico è quella del consumismo sfrenato, dell’omologazione al regime, dell’analfabetismo di ritorno.
Se i lavoratori fossero invece consci del sangue che versano in nome del profitto dei padroni, della loro forza numerica e si riappropriassero della loro cultura in generale e della sicurezza in particolare, potrebbero creare quella “massa critica” di cui accennavo prima.
Il che permetterebbe al RLS “padronale” di dimettersi o di assolvere al proprio ruolo, al RLS “sincero” di portare avanti con maggiori probabilità di successo le rivendicazioni dei lavoratori.
Il che costringerebbe (o permetterebbe a seconda dei casi) gli organi di vigilanza a fare finalmente il loro lavoro.
[Ho preparato spesso, per vari sindacati di base, lettere all’ASL di richiesta di intervento, con segnalazione di reato contro la sicurezza, da inviare anche alla Procura della Repubblica. Alla domanda “ma secondo te interverranno”, la mia risposta è sempre “se la firmano tutti i lavoratori e la inviate a tutti i giornali, credo proprio di sì.]
Insomma, solo cambiando la testa della gente, convincendo che la salute e la sicurezza sul lavoro siano valori non barattabili, potremo aiutare i RLS.
Io è un po’ che ci provo.
A volte mi stufo.
Ma alla fine non mi fermo.

“Hai il diritto di non essere ucciso, l’omicidio è un crimine,
a meno che non sia stato compiuto da un poliziotto o da un aristocratico”

Marco Spezia
Tecnico della sicurezza

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