I doveri e le responsabilità del servizio pubblico, la sanità e il diritto alla salute e alla cura in Italia
La privatizzazione della sanità non è solo una questione economica
Se si potesse esprimere con un algoritmo l’andamento dello stato di salute della sanità dovremmo da un lato poter sintetizzare lo stato di salute della collettività con dati/obiettivi epidemiologici e dall’altro individuare dei parametri corrispondenti alle condizioni del servizio sanitario nazionale rispetto alle origini, ovvero alla riforma del 1978 : universalità, gratuità e partecipazione.
L’universalità di accesso ai servizi sanitari è il risultato del “combinato disposto” tra il livello di finanziamento del SSN e i Livelli essenziali di assistenza definiti in un dato momento nonché la misura delle concrete possibilità di partecipazione.
La gratuità sostanziale di accesso, a sua volta, è il risultato delle politiche dei redditi – in particolare del lavoro salariato e delle pensioni – e le politiche fiscali ovvero la distanza tra la progressività del fisco e la concreta “giustizia fiscale” al netto di elusioni ed evasioni.
Nelle distanze e nei corto circuiti tra questi aspetti trova posto l’espansione della privatizzazione, risultato delle politiche o non politiche di welfare.
Il nostro algoritmo potrebbe così esprimere il rapporto tra andamento dello stato di salute della collettività e distanza rispetto all’impostazione della riforma sanitaria così da permetterci di individuare quali siano i principali fattori su cui agire per migliorare l’intervento della sanità rispetto ad ipotesi di andamento della salute collettiva.
Possiamo però individuare diversi punti critici sollevati da più parti con minore o maggiore evidenza e quindi individuando o meno in questi la necessità di interventi riformatori.
Tra questi l’assenza di partecipazione si esplica con l’aziendalizzazione delle ASL, con la compressione dei diritti e delle condizioni di lavoro degli operatori peraltro aggravate da esternalizzazioni e inadeguatezza numerica (infermieri – 65.000) o distribuzione non corrispondente alle necessità (la disponibilità di medici è in linea con la media europea ma vi sono carenze di medici di medicina generale – 5.500 e di pronto soccorso in particolare).
I numeri sono impietosi, nel 2024 finanziamento del SSN pari al 6,3 % del PIL, in riduzione e ben lontano dagli standard europei, utilizzo dei fondi della missione 6 del PNRR solo per ilo 34 % ed in particolare solo per il 17 % per le case di comunità (3 % quelle effettivamente realizzate in modo completo rispetto agli standard previsti) che dovevano rilanciare la medicina territoriale, tardivamente riconosciuta come uno snodo insostituibile al SSN anche per la sua “sostenibilità”.
L’espansione del fatturato del privato, erodendo con l’accreditamento per le prestazioni di interesse economico, programmata e apparentemente irreversibile (auto)spoliazione del ruolo del pubblico che esternalizza da un lato e dall’altro ha un approccio identico al privato: obiettivo il pareggio di bilancio non il miglioramento della salute collettiva.
L’unico allarme che viene preso in considerazione è l’effetto di questo insieme di nodi: le liste d’attesa che è anche il rovescio di una medaglia avvelenata dal racconto di decenni, in particolare introiettata in Lombardia: non è importante che la prestazione la dia il privato o il pubblico purchè ci sia a un prezzo decente. in politichese “sussidiarietà orizzontale”, popolarmente “Franza o Spagna, purchè se magna”.
E’ una peculiarità italiana, condivisa con il Canada, un SSN pur finanziato dalla fiscalità generale con una offerta proveniente sia dal pubblico che dal privato.
In termini contabili significa che a fronte di una spesa sanitaria pubblica pari a 138,3 mld di euro nel 2024, la spesa sanitaria privata è pari a 74 mld (40,6 mld nel 2023 “out of pocket” e il resto in accreditamento), in incremento, e che attrae quell’84 % di utenti che non trova risposta nelle prestazioni del SSN per i tempi di attesa, i rimanenti rinunciano del tutto principalmente per ristrettezze economiche.
Di fronte a questo contesto Mediobanca lamenta un limitato concorso delle assicurazioni volontarie (2 % rispetto al 5 % medio dei principali paesi industriali) anche se oramai le diverse forme (assicurazioni, mutue, welfare aziendale) interessano oltre 10 milioni di persone in Italia.
Assicurazioni con le relative franchigie, limiti nelle prestazioni, soglie economiche ecc che possono “far saltare la fila” ma non possono costituire una “alternativa universalistica” semmai una pezza per chi se lo può permettere, sulla falsariga della proposta di utilizzo del TFR per puntellare le prestazioni pensionistiche future.
In questo contesto è arrivata una recente delibera della giunta regionale della Lombardia che introduce, nelle strutture pubbliche, una nuova e aggiuntiva libera professione intramuraria proprio tramite convenzioni tra pubblico e sanità integrativa (“attività aziendale in regime di sanità integrativa”) con l’esplicito obiettivo di superare “il tradizionale paradigma secondo cui le assicurazioni, TPA e fondi di assistenza sanitaria integrativa rispondano alle esigenze dei propri iscritti rivolgendosi quasi esclusivamente alla sanità privata”. Una rincorsa perdente in partenza e che produrrà ulteriori diseguaglianze.
Su questo contesto cala il tema demografico da un lato e le politiche per il riarmo europeo (perdita del senso europeo dei diritti, anche per la salute) come pure le iniziative di autonomia differenziata già esistente da anni in sanità (21 “sistemi sanitari” operanti).
Su questo insieme articolato di condizioni e di tendenze le “misure” delle differenze regionali, con le classifiche di Agenas sulla attuazione dei LEA e/o su aspetti specifici dei SSR, non risultano in grado di rappresentare compiutamente lo stato di salute della sanità.
Eppure il SSN universalistico all’italiana ha dimostrato la sua efficacia rispetto a sistemi estesamente privatizzati, all’estremo USA che spende il 16,7 % del PIL ma in cui vi sono aspettative di vita nettamente inferiori e un numero di esclusi elevatissimo.
Il capitolo demografico viene agitato come dimostrazione della insostenibilità intrinseca del pubblico (più anziani più prestazioni) e partiamo in svantaggio considerando, per esempio, che l’Italia dispone della metà, rispetto alla media OCSE, di letti in lungodegenza negli Ospedali rispetto al numero degli over 65.
Situazione ovviamente che rende appetibili investimenti in questa direzione ed in particolare nella assistenza residenziale, così legge Mediobanca la tendenza prossima già chiaramente espressa dai grandi agglomerati della sanità privata internazionale con il supporto dei fondi di investimento.
In Italia la legge 33/2023 sulle cronicità ci ha portato, assieme ad altre associazioni, a denunciare l’obiettivo, per noi palese, di “sottrarre” le persone fragili dalle tutele costituzionali, da attuare con la sanità, a quelle assai meno stringenti, perché vincolate i bilanci nazionali e regionali, della assistenza portando in quest’ultima anche le funzioni sanitarie.
Noi leggiamo queste tendenze sociali in modo opposto.
L’inevitabile cambio demografico viene letto esclusivamente con la necessità di più prestazioni da erogare ma questo è l’approccio di chi è oramai abituato a vedere l’intervento sulle condizioni di salute in termini di “quantità” di sanità disponibile e relativi costi.
Non è quello della riforma sanitaria che invece ha obiettivi dichiarati quali quelli della informazione e formazione sulla salute, sulla prevenzione delle patologie ovvero allontanarne l’arrivo o la cronicizzazione agendo sui determinanti ambientali, di lavoro, come pure socio-culturali comprensivi della disponibilità di strutture sanitarie adeguate per non dire del superamento delle diseguaglianze tra regioni.
Ancora più esplicito è la tutela della salute nei luoghi di lavoro, accostando l’art. 32 all’art. 41 della Costituzione, ove la iniziativa economica privata pur libera non può svolgersi in contrasto alla dignità, alla sicurezza delle persone e contro l’ambiente.
I vincoli posti dalla normativa di sicurezza (prima italiana e poi congiuntamente con le direttive sociali europee in materia) sono stati espressi in Italia con la scelta, unica in Europa, di affidare la tutela al ministero della Sanità decentrando alle USSL le funzioni attuative che non sono esclusivamente quelle di controllo ma, come nelle migliori esperienze iniziali con gli SMAL, tramite la permeazione delle istituzioni con le rappresentanze dei lavoratori/lavoratrici per condurre interventi di miglioramento delle condizioni lavorative non estemporanee, esclusivamente di tipo repressivo, ma tali da consolidare il raggiungimento di obiettivi di salubrità.
Negli altri paesi europei si sono mantenuti sistemi misti per lo più basati sul ministero del lavoro da un lato e dall’altro le istituzioni di previdenza sociale (Francia) e/o con le forme di assicurazione obbligatoria (Svizzera, Germania) o misti tra ministero lavoro e sanità (Polonia).
Mentre in Europa l’Agenzia di Sicurezza sul Lavoro (OSHA) discute se siano più efficaci sistemi di intervento del pubblico di tipo “repressivo” o di accompagnamento al miglioramento, in Italia si erode poco per volta l’approccio della riforma sanitaria grazie al fallimento sostanziale delle regioni nella attuazione dei compiti di prevenzione primaria cui appartiene la sicurezza sul lavoro, riportando al ministero del lavoro tramite l’Ispettorato Nazionale del Lavoro quelle che erano, ante riforma, le competenze dell’Ispettorato del Lavoro. Una regressione che esclude ancora di più i lavoratori e le loro rappresentanze dal poter avere voce sulle condizioni di lavoro.
Sono quegli aspetti che caratterizzano la funzione della sanità pubblica cui è chiamata a dare risposte promuovendo la partecipazione sia degli operatori che delle popolazioni e adeguandosi alle caratteristiche territoriali ed epidemiologiche. Tutto il contrario di aziendalizzazione, ASL con competenze territoriali vastissime (la Lombardia con la ATS Città Metropolitana di Milano ma anche la Toscana è su questa strada).
Non più tardi del 2021 la Ragioneria di Stato si stupiva delle ulteriori previsioni a favore del privato in Lombardia sotto il cappello della “equivalenza” pubblico-privato segnalando che la funzione pubblica in sanità è “preminente” perché va oltre la erogazione di prestazioni ma è finalizzata alla attuazione degli obiettivi della riforma sanitaria a sua volta contenuti nell’art. 32, ma non solo in questo passaggio della Costituzione.
Ultime e brevi annotazioni su ciò che si muove in Italia, partendo dal periodo immediatamente precedente al Covid
- La Carta di Bologna per la sostenibilità e la salute e la piattaforma “Dico32” (2018);
- Il manifesto La salute non è una merce, la sanità non è un’azienda (giugno 2020)
- Gli esiti dei Congressi per la salute fino alla piattaforma dei 16 punti (2023).
Ultimamente vi è una inflazione di iniziative solo nominativamente accomunate dalla volontà di salvaguardare e aggiornare la funzione pubblica della sanità. Dai partiti politici (documento recente del PD, prese di posizione di 5Stelle con il supporto di Cavicchi, recentissima anche l’entrata in scena di Forza Italia), ad aree a loro vicine come “Salviamo la sanità pubblica”, i sindacati (La Via Maestra con la CGIL) come altre realtà associative più vicine a noi dalla Società della Cura, al Coordinamento Nazionale delle Associazioni e dei Comitati dei Familiari delle RSA / CRA / RSD e dei malati cronici non autosufficienti, il Forum per il Diritto alla Salute, l’iniziativa NOG7 salute come situazioni locali che sono riuscite a far star assieme diverse realtà come La Lombardia SiCura.
Il corrispettivo europeo è rappresentato dalla Rete la salute non è in vendita che intende andare oltre la iniziativa annuale del 7 aprile, contro la commercializzazione della salute, per trovare il filo comune pur nella diversità dei servizi sanitari nazionali e che ha trovato ad oggi una comunanza di vedute e di obiettivi nella piattaforma europea dei 7 punti lanciata nell’aprile del 2025.
La frammentazione e la difficoltà di condividere aspetti decisivi, andando oltre in particolare alla semplice richiesta di incremento del finanziamento del SSN e individuando i punti salienti per il rilancio del SSN, rallentano e rendono poco incisiva l’azione particolarmente sentita nei territori ma che ha difficoltà a passare ad una vertenzialità più ampia e generale.
Eppure, quasi paradossalmente, lo studio Mediobanca citato più volte oggi, ha un sussulto extracontabile ove afferma che gli obiettivi in sanità del PNRR “unitamente al potenziamento del settore diagnostico e della ricerca scientifica, svolgono un ruolo cruciale nel passaggio da un’assistenza sanitaria basata sui volumi a un’assistenza basata sul valore”. Noi potremmo dire, sulla cura. La stessa Mediobanca ci dice che non ci “salveranno” né ci daranno più salute le banche e le fondazioni, un approccio che sia collettivo necessita di una riforma radicale della assistenza sanitaria.
Proseguiamo il dibattito, mettiamo in campo iniziative, tra queste ricordo un prossimo ambito di confronto nel “congresso” di Medicina Democratica che si terrà a Milano a metà aprile 2026.
Marco Caldiroli – Presidente protempore di Medicina Democratica
Sicurezza sul lavoro
Marco Caldiroli – Presidente Medicina Democratica – Tecnico della Prevenzione
IL VIDEO DELL’INTERA INIZIATIVA PUO’ ESSERE VISTO CLICCANDO QUI
L’INTERVENTO DI MARCO CALDIROLI (MEDICINA DEMOCRATICA PUO’ ESSERE LETTO CLICCANDO QUI
LE SLIDE DELL’INTERVENTO DI GIANLUIGI TRIANNI E DI YVES HELLENDORFF E MARIE-AGNES GILOT
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