La riabilitazione psicosociale delle persone con sofferenza psichica

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LA PARZIALITA’ E LE LACUNE DELL’ATTUALE ASSETTO

Oggi, non è soddisfacente l’assistenza che viene erogata alle persone con sofferenza psichica: ci sono molte ombre e poche luci.

I problemi dell’assistenza, oggi, vengono affrontati con un approccio parziale, di tipo clinico-sanitario.

Un approccio sanitario non solo parziale , ma anche lacunoso.

Per esempio, basterà pensare al modo e ai frequenti casi in cui viene attuato il Trattamento Sanitario Obbligatorio – T.S.O., invece del ricovero ordinario

Quando non è strettamente necessaria (controindicato), questa forma coattiva di ricovero è fonte di un intenso trauma nel paziente, nei familiari e nel contesto sociale.

Viene addossato alla persona, senza una fondata ragione, lo stigma di soggetto non affidabile, dal quale non verrà dissociato, se non dopo molto tempo.

Basterà pensare al modo in cui funzionano molti Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura – S.P.D.C., ovvero al modo in cui i pazienti trascorrono la giornata.

Al di là del momento in cui vi è la somministrazione dei farmaci, regna l’inerzia e la mancanza di una serie di attività coinvolgenti e, peggio ancora, è frequente l’abuso della pratica di contenzione clinica.

Tutto ciò, in ossequio alle tradizionali scansioni temporali della giornata ospedaliera, cosicché l’S.P.D.C., nella migliore delle ipotesi, non è un reparto diverso dagli altri reparti dell’ospedale generale.

E’ molto raro che vi si riscontri un clima di serenità, di tranquillità, di comprensione, di assistenza personalizzata, di tolleranza anche per le piccole trasgressioni e di elasticità relazionale, di avvio dell’attività di carattere riabilitativo.

Basterà pensare ai Centri per la Salute Mentale – C.S.M., al sottodimensionamento del personale, ai limitati orari di apertura, ai ritardi con cui intervengono, dopo l’esordio della malattia nelle persone sofferenti, all’abbandono dei pazienti dopo la prima visita…

In questo sommario quadro negativo, ci sembra utile citare anche i discutibili provvedimenti amministrativi adottati dalla regione Lombardia nel settore della residenzialità psichiatrica.

In Lombardia, è stato disposto che il ricovero venga limitato all’età di 50 anni per le strutture residenziali dell’area riabilitativa e di 65 anni per quelle di area assistenziale.

Anche il termine della durata massima dei programmi di riabilitazione e di assistenza è stato prefissato dagli atti amministrativi della Regione in 18 mesi o 36 mesi, sia pure con alcune proroghe, a seconda delle tipologie di assistenza residenziale.

Con il rischio che questi limiti vengano interpretati dagli operatori e dagli amministratori delle comunità residenziali in un modo burocratico, prescindendo dai progetti personali, dalle effettive necessità delle persone ricoverate.

Ma l’intento di questo nostro contributo, non è quello di prendere in considerazione l’assetto psichiatrico per le sue insolvenze clinico-sanitarie.

Diversamente, vogliamo soffermarci sugli aspetti clinico-sociali (nell’ambito della riabilitazione psicosociale) della tutela della salute mentale, che sono altrettanto importanti.

Talmente importanti che, anche laddove si attuasse un confacente assetto sanitario, non si potrebbe, comunque, parlare di un valido modello di tutela della salute mentale.

Dunque, esaminiamo le implicanze sociali della salute mentale, che devono essere implementate con l’iniziativa degli attori istituzionali e sociali del territorio, partendo dal concetto di guarigione sociale.

L’ OBIETTIVO DELLA GUARIGIONE SOCIALE

Partiamo dal concetto di guarigione sociale della persona con sofferenza psichica, che è ben lontano dall’essere tradotto nell’esperienza di vita quotidiana

Come è possibile, per le persone con sofferenza psichica, che oggi si lamentano (giustamente) per la carenza di assistenza, puntare su un processo graduale di “guarigione sociale” ?

Dobbiamo intenderci sul concetto di guarigione sociale. È certo che vi è guarigione sociale quando si passa dal fallimento di una situazione lavorativa alla tenuta della situazione lavorativa. Vi è guarigione sociale quando si lascia alle spalle una condizione familiare patologica e si conquista una nuova condizione di socializzazione primaria fisiologica. Si dà guarigione sociale quando sull’ inesistenza di relazioni sociali si costruiscono relazioni sociali significative. La guarigione sociale inizia quando si passa dall’ incapacità di utilizzare le risorse disponibili ad un loro utilizzo costruttivo.

Perché tutto ciò avvenga, è necessario che le persone con sofferenza psichica siano sostenute.

Per quali ragioni ? Perché non siano abbandonate, emarginate, non siano tenute fuori dal contesto più vivo dell’organizzazione sociale; perché non siano colpevolizzate , ma siano comprese e rispettate.

Nell’ambito del più generale sostegno delle persone con sofferenza psichica, è necessario il sostegno dei familiari, perché essi non rimangano chiusi nel loro dramma e non giochino il ruolo dei mendicanti d’aiuto. Occorre alleviare il loro peso. Così facendo si ottengono effetti positivi anche sulla persona sofferente.

Il sostegno familiare è necessario, per un insieme di ragioni:
-  per ridurre i rischi di ricadute della persona sofferente;
-  per insegnare ai familiari la corretta interpretazione dei sintomi e dei comportamenti della persona sofferente;
-  per migliorare la qualità della vita familiare;
-  per aumentare la stabilità emozionale dell’ambiente familiare
-  per migliorare la capacità dei singoli familiari di interagire con la persona sofferente
-  per creare un punto di incontro fra approcci tecnici e approcci empirici nel trattamento della persona con sofferenza psichica
-  per fare in modo che i familiari diventino soggetti positivi nel processo di guarigione sociale della persona sofferente.

GLI INTERVENTI E I SERVIZI DI RIABILITAZIONE PSICOSOCIALE

Ma la condizione di guarigione sociale si ottiene, principalmente, quando nel territorio, che è il luogo di vita di tutti i cittadini, vengono realizzati interventi e servizi di riabilitazione psicosociale per la tutela della salute mentale. Sull’argomento della riabilitazione psicosociale, ci sovviene l’autorevole pronunciamento dell’O.M.S. [1], nel quale vengono fissati gli obiettivi:

-  il controllo della sintomatologia (interventi farmacologici, psicologico e psicosociali;
-  la riduzione degli effetti dannosi dovuti alla prolungata istituzionalizzazione;
-  la riduzione della discriminazione e dello stigma;
-  il sostegno alle famiglie;
-  il miglioramento delle competenze sociali;
-  la creazione di un sistema di opportunità sociali (casa, lavoro, relazioni sociali, svago…)
-  il rafforzamento del potere contrattuale.

Quando non ci sono sul territorio gli interventi e i servizi di riabilitazione psicosociale, diventa inevitabile che l’unico supporto (alternativo) alla vita in famiglia, per la persona con sofferenza psichica, sia rappresentato dalla residenzialità protetta.

In tale condizione, la residenzialità risulterà decontestualizzata, cioè vissuta come un corpo separato dall’ambiente più generale di vita.

Ciò è in insanabile contrasto con l’essenza della riabilitazione psicosociale, che si prefigge la permanenza, in modo durevole e soddisfacente, della persona sofferente, nel tessuto più vivo del sistema di convivenza.

Quindi le pratiche della riabilitazione psicosociale devono essere rivolte tanto alla persona (interventi individuali) , quanto al territorio (interventi collettivi).

Possiamo richiamare qui i principali interventi rivolti alla persona (individuali):

-  psicofarmaci
-  sostegno psicologico
-  addestramento ad attività lavorative
-  educazione ad abilità della vita quotidiana.

Mentre possono essere richiamati così gli interventi sul territorio (collettivi): sostegno alla famiglia sensibilizzazione delle comunità locali coinvolgimento di persone nei luoghi di lavoro educazione sanitaria coinvolgimento della popolazione circostante alle residenze psichiatriche.

Da questa duplice dimensione discende che sono soggetti della riabilitazione psicosociale non soltanto le persone con sofferenza psichica, ma anche l’intera società, che dimostra la propria immaturità sociale quando riconosce, solo formalmente i diritti di cittadinanza (abitare, imparare, scambiare, lavorare, esprimersi…) alle persone con sofferenza psichica; quando, di fatto, non consente loro di esercitare tali diritti.

L’INTERA SOCIETA’ DEVE ESSERE RIABILITATA

Uno degli esempi più clamorosi dell’immaturità sociale del territorio è la criticità della dimissione dei pazienti dagli ospedali psichiatrici giudiziari.

Viene loro cucito addosso lo stigma di soggetti irrecuperabili e pericolosi ( hanno compiuto reati contro la persona nella misura del 65% degli internati; reati contro il patrimonio = 35%).

Per questo, il paziente staziona in O.P.G. molto di più di quanto è previsto dalla misura di sicurezza.

“Il paziente staziona in O.P.G. per anni impropriamente, molto di più di quanto previsto dalla misura di sicurezza, perché il territorio non riesce ad assorbirlo…” [2]

Quando pensiamo all’intera società come soggetto di riabilitazione, intendiamo riferirci al territorio, quale luogo di vita competente, rispetto ai problemi; quale sede autonoma e qualificata di promozione della salute, di presa in carico della persona, per la continuità terapeutica.

E’ nel territorio che devono essere sviluppati non solo gli interventi di tipo sanitario, ma anche le iniziative contro la paura, il pregiudizio, la discriminazione. Dove è necessario che si manifesti il calore delle relazioni, la capacità di accoglienza, l’accompagnamento della persona sofferente in un contesto reale, importante per crescere ed integrarsi (studio, lavoro, ricreazione, sport).

In altri termini, l’assunzione della dimensione quotidiana della persona va al di là degli orari ambulatoriali (che, necessariamente, devono rimanere aperti il più possibile): ci sono le serate, i sabati, le domeniche, i giorni festivi, il natale, il capodanno, la pasqua, il ferragosto…

Il territorio, come habitat sociale, con attori in rete.

Si tratta di attori istituzionali, che sono gli operatori socio-sanitari dell’assetto psichiatrico, gli amministratori dell’ Aziende Sanitarie Locali, delle Aziende Ospedaliere e dei Comuni.

Si tratta di attori sociali, che sono le stesse persone sofferenti, le associazioni dei familiari e di tutela della salute mentale, le cooperative sociali di tipo “A” e di tipo “B”, le organizzazioni del volontariato, le agenzie della formazione professionale, del tempo libero, i luoghi di lavoro non protetto (aziende pubbliche e private).

LE RISORSE SOCIALI DEL TERRITORIO

Facciamo qui una sommaria, ma significativa, descrizione delle agenzie presenti sul territorio, per il modo in cui sono chiamate a contribuire alla guarigione sociale delle persone con sofferenza psichica.

Incominciamo dai Centri di Formazione Professionale.

Essi sono in grado di attuare dei percorsi formativi professionalizzanti , finalizzati a sviluppare la potenzialità lavorativa dei soggetti, innestandosi sulle loro vecchie abilità o mediante nuovi indirizzi, che risultino maggiormente compatibili con il loro stato di sofferenza..

In chiave di riabilitazione psicosociale, vediamo cosa possono fare le cooperative sociali.

Quelle di tipo “A”, sono in grado di gestire, in regime convenzionale con le Istituzioni Pubbliche Territoriali (le A.S.L., i Comuni) servizi sociosanitari educativi , ovvero comunità, case-alloggio, case-famiglia, interventi domiciliari.

Quelle di tipo “B”, in stretto collegamento con i Servizi per l’Inserimento Lavorativo – S.I.L. possono dare un serio contributo all’esercizio del diritto al lavoro, sia sotto il profilo dell’apprendimento delle abilità professionali (training formativo o prelavorativo), sia come integrazione socio-lavorativa, facendo in modo che le persone inserite acquisiscano lo status giuridico-contrattuale di socio-lavoratore.

Anche i privati datori di lavoro e le pubbliche amministrazioni, devono aprirsi alle esperienze di inserimento lavorativo, soprattutto mettendo a disposizione le posizioni di lavoro compatibili con le potenzialità lavorative delle persone, secondo la metodologia dell’integrazione lavorativa mirata e mediata.

Le organizzazioni del volontariato, in collegamento con il servizio pubblico, possono giocare un ottimo ruolo di attore sociale, con l’animazione del territorio, con la creazione di punti di ascolto e di accoglienza informale, con la promozione di occasioni d’incontro, organizzando attività ludiche, socializzanti, ricreative, culturali, aperte a tutti i cittadini.

Un posto di grande rilevanza deve essere riconosciuto alle associazioni dei familiari.

Perché esse devono farsi tramite e portavoce dei familiari e della loro problematica situazione.

I familiari devono potersi relazionare con gli altri attori istituzionali e sociali.

Essi, in alcuni casi, avranno bisogno essere ascoltati e sostenuti e, in altri casi, potrà essere loro affidato un ruolo collaborativo, tenendo conto della loro valida esperienza, nell’attuazione del Piano di Trattamento Individuale del congiunto sofferente.

DUE ESIGENZE CONCLUSIVE

Nel chiudere il contributo, ci sembra opportuno richiamare due esigenze.

E’ impensabile che la persona con sofferenza psichica e i suoi familiari, per l’attuazione della prassi di riabilitazione psicosociale, siano in grado di accedere ordinatamente, e di giostrare autonomamente, nell’ambito delle agenzie territoriali della formazione professionale, del lavoro, della casa ,del tempo libero…

C’è bisogno della figura del case manager.

A nostro avviso, i Centri di Salute Mentale devono dotarsi di tale figura di accompagnamento delle persone prese in carico, perché attuino il percorso di guarigione sociale.

L’altra esigenza è rappresentata dai familiari e dalle loro associazioni.

Gli amministratori e gli operatori dei servizi istituzionali devono costruire con loro una omogenea visione condivisa, sul modo di interagire con la persona sofferente.

In altri termini, c’è l’esigenza di assumere un’univoca interpretazione dei diversi ruoli, da parte degli attori istituzionali e sociali.

In tutto ciò, gli psichiatri devono declinare il loro ruolo di attore primario. Accanto al rapporto duale con il paziente, devono consentire la (e non opporsi alla) crescita della tutela della salute mentale in una comunità accogliente.



[1] Organizzazione Mondiale della Sanità, dichiarazione di consenso sulla riabilitazione psicosociale, Ginevra , 1995.

[2] “Superamento o riforma degli O.P.G.”, documento dell’Azienda Ospedaliera “Carlo Poma” Mantova, O.P.G. Castiglione delle Stiviere.

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