SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 292 DEL 28/12/17

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 292 DEL 28/12/17

INDICE

  • Le “Frequently Asked Questions” di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights! – N.24
  • I rischi connessi alle carenze dei locali di lavoro
  • Eternit: gli aspetti legali che dovresti conoscere
  • Il fenomeno e le carenze infortunistiche nel settore forestale
  • Imparare dagli errori: quando i guanti di protezione sono assenti
  • Impianti elettrici: la verifica iniziale e la verifica periodica

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

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LE “FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO – KNOW YOUR RIGHTS! – N.24

Nella mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro, spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.

In qualche caso invece le richieste che mi pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche risposte a domande su temi molto specifici e limitati.

Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia newsletter.

Ovviamente, per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.

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Ciao Marco,

nella mia azienda (metalmeccanica) ieri è successo un infortunio a causa della ristrettezza dello spazio a disposizione degli operatori. Infatti uno di questi ha battuto la testa contro un’attrezzatura in movimento della linea di produzione, in quanto la sua postazione di lavoro si trova in mezzo e vicinissima a due linee.

Mi puoi dire quali sono le distanze minime che devono esserci tra macchine.

Grazie.

Ciao,

non esistono norme cogenti relative alla distanza tra le macchine, mentre esistono norme abbastanza precise in merito agli spazi di lavoro.

Valgono dunque i seguenti obblighi sanzionabili a carico del datore di lavoro definiti dal D.Lgs. 81/08 (“Decreto”).

Il primo, di carattere del tutto generale, è relativo alla valutazione dei rischi che, ai sensi dell’articolo 28, comma 1 del Decreto deve tenere conto anche della “sistemazione dei luoghi di lavoro”:

La valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o delle miscele chimiche impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori”;

e di conseguenza deve contenere (articolo 28, comma 2, lettera b) del Decreto).

l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate”.

Valgono poi gli obblighi di cui all’articolo 64, comma 1, lettera a) del Decreto che impone che:

Il datore di lavoro provvede affinché i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all’articolo 63, comma 1 […]”;

dove a sua volta l’articolo 63, comma 1 stabilisce che:

I luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell’Allegato IV”.

In particolare il 1.2.1 di tale Allegato prevede che:

I limiti minimi per altezza, cubatura e superficie dei locali chiusi destinati o da destinarsi al lavoro nelle aziende industriali che occupano più di cinque lavoratori, ed in ogni caso in quelle che eseguono le lavorazioni che comportano la sorveglianza sanitaria, sono i seguenti:

  • altezza netta non inferiore a m 3;
  • cubatura non inferiore a mc 10 per lavoratore;
  • ogni lavoratore occupato in ciascun ambiente deve disporre di una superficie di almeno mq 2”.

Mentre il Punto 1.2.6 dell’Allegato VI prevede che:

Lo spazio destinato al lavoratore nel posto di lavoro deve essere tale da consentire il normale movimento della persona in relazione al lavoro da compiere”.

Infine vigono gli obblighi relativi alle attrezzature di lavoro.

In particolare, l’articolo 71, comma 2 del Decreto prevede che:

All’atto della scelta delle attrezzature di lavoro, il datore di lavoro prende in considerazione:

  1. a) le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere;
  2. b) i rischi presenti nell’ambiente di lavoro;
  3. c) i rischi derivanti dall’impiego delle attrezzature stesse;
  4. d) i rischi derivanti da interferenze con le altre attrezzature già in uso”.

Mentre il comma 6 del medesimo articolo prevede che:

Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché il posto di lavoro e la posizione dei lavoratori durante l’uso delle attrezzature presentino requisiti di sicurezza e rispondano ai principi dell’ergonomia”.

Da quello che mi hai raccontato relativamente all’infortunio, direi proprio che si possa configurare il mancato adempimento da parte della tua azienda degli obblighi di cui sopra.

A disposizione ovviamente per ulteriori chiarimenti.

Buona serata.

Marco

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Ciao Marco,

in una piccola azienda italiana di infissi, un operaio rumeno assunto regolare, durante il montaggio di un infisso, precipita e muore. Ovviamente non vi era nè ponteggio né imbracatura di sicurezza.

Conosco solo di vista il DDL, ma credo quasi sicuramente che, visto il suo livello di “capraggine”, non sappia nulla di 81/08.

Mi chiedevo a livello legale/penale e risarcitorio cosa rischia esattamente adesso il DL.

Ciao,

il Datore Di Lavoro (DDL) della ditta in questione è sanzionabile secondo due atti normativi.

Innanzitutto da quello che mi dici non ha ottemperato agli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/08 (“Testo Unico sulla sicurezza”, nel seguito Decreto).

Nella fattispecie ha sicuramente omesso di rispettare gli obblighi relativi a:

  • utilizzo di sistemi di protezione collettiva (ponteggi) contro il rischio di caduta superiore a 2 metri;
  • messa a disposizione dei lavoratori dei Dispositivi di Protezione Individuali (imbracatura) contro il rischio di caduta superiore a 2 metri e richiesta del loro utilizzo.

Quasi sicuramente ha anche omesso di rispettare gli obblighi relativi a:

  • valutazione dei rischi per la sicurezza e indicazione delle misure di prevenzione e protezione da adottare;
  • redazione del Piano Operativo di Sicurezza per le lavorazioni da fare;
  • formazione e informazione dei lavoratori;
  • vigilanza sull’applicazione dei lavoratori delle procedure aziendali per la tutela della sicurezza (o addirittura mancata definizione di procedure).

Per tutte queste omissioni (cioè per tutti questi reati) il DDL è sanzionabile secondo il Decreto con pene detentive (che non sono mai applicate) oppure con sanzioni amministrative.

Nel caso in questione, non conoscendo tutti i vari inadempimenti, come appurati dagli Ufficiali di Polizia Giudiziaria incaricati dell’accertamento, ti posso dire che le sanzioni probabilmente ammonteranno a qualche decina di migliaia di euro.

Cosa ben più grave, visto che a seguito di tutte queste inadempienze è avvenuto un infortunio mortale, sono invece le pene previste dal Codice Penale per il reato commesso dal DDL, che, in questo caso, è quello di omicidio colposo aggravato.

Tale reato è punito ai sensi dell’articolo 589 del Codice Penale:

Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme […] per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni”.

Quindi in teoria il DDL potrebbe essere condannato a una pena detentiva fino a un massimo di sette anni (vista l’aggravante della violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni).

Tale condanna viene impartita da Tribunale Penale a seguito dei tre gradi di giudizio (Assise, Appello, Cassazione).

Oltre a questo il DDL potrebbe essere condannato anche al risarcimento civile (pecuniario) del danno ai parenti della vittima, ai sensi dell’articolo 185 del Codice Penale;

Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole

e ai sensi dell’articolo 2043 del Codice Civile

Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno (Codice Penale 185)”.

L’entità del risarcimento varia in funzione di vari parametri (età della vittima, suo grado di sostentamento alla famiglia, danni patrimoniali e non patrimoniali arrecati, ecc.).

Per un infortunio mortale la cifra risarcita può essere circa di 500.000/1.000.000 di euro.

Tale condanna viene impartita da Tribunale Civile a seguito dei tre gradi di giudizio (Primo grado, Appello, Cassazione).

Questo è quanto rischia il DDL secondo legge.

In realtà non sempre si arriva a tali condanne.

In sede penale innanzitutto il Pubblico Ministero (l’accusa) deve convincere il Giudice della effettiva e piena colpevolezza del DDL e questo non sempre è facile, perché la difesa cerca di dimostrare il concorso di colpa da parte del lavoratore (…) per imprudenza o negligenza o di altri responsabili della sicurezza (dirigenti e preposti).

L’avvocato difensore cerca poi di fare riconoscere al DDL il maggior numero di attenuanti possibili per compensare l’aggravante della mancata osservanza delle norme antinfortunistiche.

In genere, se va bene, il DDL viene condannato in via definitiva (Cassazione) in genere a non più di tre/quattro anni di reclusione. Se la pena è inferiore ai due anni, si applica poi sempre la sospensione condizionale della pena stessa.

In qualche caso poi, le lungaggini della giustizia italiana permettono al DDL di arrivare all’estinzione del reato (7 anni e mezzo dall’evento).

In sede civile invece il risarcimento ai familiari della vittima avviene in genere sempre tramite una trattativa tra la parte offesa e il DDL, arrivando spesso (ma non sempre) a un risarcimento extragiudiziale su valori inferiori a quelli più sopra indicati.

Un caro saluto.

Marco

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Salve,

lavoro come metalmeccanico galvanico dal 2000.

Nel mio lavoro devo usare la forza fisica e quindi con la mano sinistra devo alzare pezzi vari per misurarli.

Da qualche anno ho cominciato a sentire dolori sul gomito e il dolore persiste ancora. Ho provato a consultare il mio medico di base e lui mi ha detto che, finché continuerò ad alzare questi pezzi pesanti, il dolore persisterá.

Ogni volta che devo alzare questi pezzi devo mettere un guanto che ricopre tutto il braccio e tutte le volte che tolgo il guanto, ho il braccio tutto sudato e sento un dolore sempre più forte. Ho provato a parlare con il mio titolare per risolvere questo problema e lui mi dice che devo prendere gli antidolorifici e che io sono indispensabile in questo posto.

Come io ho parlato più volte con il mio titolare, egli non mi dà un altro posto di lavoro nella ditta, volevo sapere da voi se si può avere o ottenere un certificato che giustifichi che io non vada più a lavorare in quel posto, ma che io possa lavorare in altri posti presenti nella ditta e cosa mi consigliate per risolvere questo problema e a chi rivolgermi.

Cordiali Saluti

Ciao,

è la tua azienda che deve tutelare la tua salute e deve sottoporti a visite mediche (a carico totale ed esclusivo dell’azienda) tramite il medico competente per stabilire:

  • la tua idoneità fisica a svolgere il lavoro che fai;
  • la necessità, se necessario, di adibirti ad altra mansione che non comporti rischi per la tua salute.

Non entro nel merito della patologia da te lamentata (in quanto non sono un medico), ma ti illustro cosa prevede per casi simili al tuo la normativa di riferimento che è il Decreto Legislativo 9 aprile 08, n. 81 e successive modifiche e integrazioni (il cosiddetto Testo Unico della Sicurezza sul lavoro, nel seguito “Decreto”).

Il Decreto impone al datore di lavoro di ogni azienda (come il tuo titolare) precisi obblighi legislativi (sanzionabili se non ottemperati), per la tutela della salute e della sicurezza dei propri dipendenti.

Tra questi obblighi rientra anche quello di “nell’affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza” (articolo 18 del Decreto).

A tal fine (secondo quanto previsto dall’articolo 18 del Decreto, il datore di lavoro deve (tra gli altri obblighi) “nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto legislativo” e deve “inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria”.

Pertanto ogni qualvolta esista nell’attività lavorativa di qualunque suo dipendente un rischio per la salute del dipendente stesso, il datore di lavoro deve:

  • nominare un medico competente (medico specializzato in medicina del lavoro e iscritto ad albo Ministeriale);
  • specificare al medico competente quali sono i rischi per la salute a cui sono sottoposti i lavoratori;
  • richiedere al medico competente di eseguire sorveglianza sanitaria (visita medica e, se necessario, accertamenti diagnostici) a tutti i lavoratori sottoposti a rischi per la salute;
  • inviare i lavoratori alle visite della sorveglianza sanitaria alle scadenza temporali indicate dal medico competente;
  • attuare le misure indicate dal medico competente a seguito della sorveglianza sanitaria per tutelare i lavoratori non idonei fisicamente alla mansione.

Tutti le visite e gli accertamenti della sorveglianza sanitaria sono a carico totale della azienda.

A sua volta il medico competente, secondo l’articolo 25 del Decreto, ha l’obbligo di:

  • definire le visite mediche e gli accertamenti diagnostici a cui sottoporre il lavoratore in funzione dei rischi per la salute a cui è sottoposto (protocollo di sorveglianza sanitaria) e indicarne la periodicità (una volta all’anno, se non altrimenti specificato dal Decreto);
  • eseguire (o fare eseguire nel caso di visite o accertamenti specialistici) la sorveglianza sanitaria;
  • spiegare al lavoratore i motivi per i quali è sottoposti a tali visite e accertamenti e indicargli i risultati degli stessi;
  • tenere una cartella sanitaria del singolo lavoratore (protetta in maniera adeguata per la normativa sulla privacy), in cui annotare tutti i risultati delle visite.

Inoltre il medico competente, secondo l’articolo 41 del Decreto, a seguito della visita medica ha l’obbligo di:

  • definire se il lavoratore è idoneo o meno fisicamente alla mansione da eseguire;
  • nel caso che egli non sia del tutto idoneo (per motivi legati a disturbi o patologie fisiche), specificare a quali limitazioni deve essere sottoposto nel suo lavoro;
  • nel caso che egli sia del tutto non idoneo (per motivi legati a disturbi o patologie fisiche), specificare che egli non può compiere tale mansione;
  • quanto sopra, sia in caso di non idoneità temporanea (e in questo caso deve specificare i limiti temporali della non idoneità), che permanente;
  • quanto sopra deve essere comunicato in forma scritta sia al lavoratore, che al datore di lavoro.

Una volta ricevuto il giudizio di idoneità dal medico competente, in caso di non idoneità alla mansione svolta da un lavoratore, il datore di lavoro (articolo 42 del Decreto) “attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori, garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”.

Nel tuo caso:

  • sei sottoposto a rischi per la salute derivanti dal lavoro che fai: il fatto che tu sollevi carichi usando la forza fisica vuole dire che sei sottoposto al cosiddetto rischio da movimentazione manuale dei carichi;
  • per tale motivo, esistendo un rischio specifico per la tua salute nel lavoro (come chiaramente specificato dal Decreto per la movimentazione manuale dei carichi), il tuo titolare deve nominare il medico competente e deve farti sottoporre dal medico competente stesso a visita medica per accertare la tua idoneità o meno a svolgere la tua mansione;
  • se i dolori che hai ti impediscono di eseguire la tua mansione, vuole dire che tu sei parzialmente o totalmente idoneo alla mansione che svolgi;
  • il medico deve stabilire se la non idoneità è parziale, specificare formalmente nel giudizio di idoneità a quali limitazioni sei soggetto (ad esempio “non sollevare carichi maggiori di X kili”) e comunicare tali limitazioni al titolare;
  • se invece il medico stabilisce che la non idoneità alla mansione è totale, lo deve parimenti formalmente comunicare al titolare;
  • in caso di idoneità con limitazioni (ad esempio “non sollevare carichi maggiori di X kili”) il tuo titolare ti deve mettere nelle condizioni lavorative di ottemperare alle limitazioni (facendoti movimentare pezzi meccanici adeguati);
  • in caso di inidoneità totale alla mansione, il tuo titolare ti deve spostare ad altra mansione, ma solo “OVE POSSIBILE” a parità di contribuzione.

Metto in evidenza l’inciso “ove possibile” come riportato dall’articolo 42 del Decreto, perché se non esistono all’interno della tua azienda altre mansioni dove tu possa essere ricollocato senza i rischi per la tua salute (in questo caso i rischi da movimentazione manuale dei carichi), il titolare potrebbe anche licenziarti per giusta causa oggettiva (la tua impossibilità di eseguire lavori per la azienda senza compromettere la tua salute).

Alcune osservazioni:

  • di tutto quanto ho spiegato sopra, il tuo titolare è obbligato (sempre articolo 18 del Decreto) a darti specifica informazione e formazione;
  • da un punto di vista etico, anche il tuo medico di base avrebbe dovuto informarti di quanto sopra.

A disposizione per ulteriori chiarimenti.

Marco Spezia

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NOTA

Nel testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i seguenti acronimi e termini:

ASL = Azienda Sanitaria Locale

CCNL = Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro

DPI = Dispositivi di Protezione Individuali

DVR = Documento di Valutazione dei Rischi

DUVRI = Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori in appalto

OS = Organizzazioni Sindacali

RSPP = Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione

ASPP = Assistente al Servizio di Prevenzione e Protezione

RLS = Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza

RSA = Rappresentanze Sindacali Aziendali

RSU = Rappresentanze Sindacali Unitarie

D.Lgs. 81/08 o Decreto o TUSL: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro”)

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I RISCHI CONNESSI ALLE CARENZE DEI LOCALI DI LAVORO

Da: Rete Iside

http://www.reteiside.org

CARENZE NEI LUOGHI DI LAVORO, LE CARATTERISTICHE DEL RISCHIO

Gli infortuni dovuti a carenze nei locali di lavoro possono essere dovuti a molte cause quali cadute dei lavoratori (per ostacoli sulle vie di circolazione), scivolamenti (per presenza di materiale oleoso sui pavimenti); urti (per mancanza di spazio), cadute di oggetti dall’alto (per errata collocazione del materiale di deposito). Tali rischi possono essere distinti in tre tipologie:

  • rischi per carenze strutturali (pavimenti, pareti, finestre ecc);
  • rischi nella circolazione di veicoli e pedoni;
  • rischi nei locali di deposito merci.

LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO

Il datore di lavoro deve analizzare le caratteristiche dei locali di lavoro e verificare che rispettino tutti i requisiti prescritti, nel caso in cui siano presenti delle non conformità deve valutare il livello di rischio (secondo la matrice di rischio Probabilità x Gravità delle conseguenze) e adottare le misure necessarie per prevenire i rischi. Le carenze nei luoghi di lavoro possono determinare rischi igienico ambientali.

LOCALI DI LAVORO, UN ELENCO SINTETICO DEI REQUISITI DI SICUREZZA PREVISTI

Altezza: l’altezza media dei locali di lavoro deve essere non inferiore a 3 metri. Se alcune operazioni si svolgono in un locale con altezza inferiore a 3 metri, o in un locale seminterrato-sotterraneo, l’azienda deve avere l’autorizzazione dell’Organo di Vigilanza.

La cubatura (lorda) deve essere non inferiore a 10 metri cubi per ciascun addetto.

La superficie (lorda) deve essere non inferiore a 2 metri quadrati per ciascun addetto.

Le pareti devono essere continue, integre, omogenee, tinteggiate a tinte chiare.

I pavimenti devono essere continui, integri, omogenei, lavabili (se necessario per la tipologia d’attività), antisdrucciolevoli.

Le vie di circolazione, i pavimenti e i passaggi devono essere tenuti sgombri e gli ostacoli fissi lungo i pavimenti e i passaggi devono essere segnalati.

Le aperture nei pavimenti devono essere adeguatamente protette con parapetti.

Per quanto riguarda le uscite d’emergenza, i locali devono essere dotati almeno di una porta avente la larghezza minima di cm 90 (o 120 cm) con apertura nel senso dell’esodo, munita di maniglione antipanico.

Le vie e uscite di emergenza devono essere in numero adeguato, segnalate, tenute sgombre, illuminate.

Le scale fisse devono avere un’altezza massima dei gradini inferiore a 20 cm; profondità minima 30 cm, gradini antiscivolo e devono essere munite di parapetto o corrimano.

I locali, se necessario, devono essere adeguati alle esigenze dei lavoratori portatori di handicap.

PRESCRIZIONI PER I DEPOSITI

I materiali in deposito devono essere collocati sempre nelle zone stabilite e comunque in modo da non ingombrare e ostacolare la normale circolazione.

Devono essere sempre liberi gli accessi alle apparecchiature di controllo, quadri elettrici, mezzi di pronto soccorso, uscite di sicurezza, mezzi di estinzione incendi.

I materiali in deposito non devono essere accatastati a ridosso di macchine operatrici o nelle immediate delle vie di transito.

Le operazioni di immagazzinamento/accatastamento di materiali devono essere eseguite utilizzando gli appositi mezzi di raccolta come pallet, contenitori metallici, scaffali.

Il materiale in contenitori o pallet deve essere impilato in modo da garantire la stabilità. Devono essere sovrapposti contenitori di uguale tipo, tenendo conto delle seguenti capacità di sovrapposizione: 4 pallet in legno, 6 contenitori in lamiera, 8 cassoni in lamiera.

Le scaffalature devono essere fissate alla base; mensole e ripiani devono avere l’indicazione della portata massima.

Le vie di corsa dei mezzi di trasporto devono essere segnalate a terra.

PRESCRIZIONI PER I LOCALI DI SERVIZIO (SPOGLIATOI, LOCALI DI RIPOSO, MENSA, SERVIZI IGIENICI)

I gabinetti devono separati per sesso e in numero sufficiente.

Le docce, separate per sesso e in numero sufficiente, devono essere dotate di acqua calda e fredda e di mezzi detergenti e per asciugarsi.

I lavandini devono essere separati per sesso, in numero sufficiente, dotati di contenitori fissi per sapone liquido, di contenitori fissi di asciugamani monouso o elettrici, di erogatori di acqua con comando non manuale.

Gli spogliatoi devono essere separati per sesso, in numero sufficiente, e convenientemente arredati con armadietti a doppio scomparto.

Il refettorio (per il pasto) e il locale di riposo devono essere igienici e confortevoli.

I locali dei servizi igienico-assistenziali devono essere riscaldati, illuminati, aerati, con pavimenti e pareti impermeabili (fino a 2 metri), lavabili e disinfettabili, tinteggiati a tinta chiara, mantenuti in buono stato di manutenzione e pulizia, e liberi da materiale estraneo.

I prodotti per pulizia, disinfezione, disinfestazione, devono essere riposti in apposito locale o armadietto.

CASSETTA DI PRONTO SOCCORSO

Il pacchetto di medicazione deve contenere i presidi prescritti dal D.M. 388/03, contenuto in un armadietto lavabile, visibile, accessibile a tutto il personale, contrassegnato con una croce bianca in campo verde. Nei reparti decentrati devono essere collocati altri pacchetti di medicazione. Vicino al pacchetto di medicazione deve essere affisso un cartello recante le indicazioni del numero telefonico dell’emergenza sanitaria (112), del recapito del posto pubblico di Pronto Soccorso più vicino, del nome e numero telefonico del Medico Competente aziendale.

LA VERIFICA DELLA CORRETTEZZA DEL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI AZIENDALE

La verifica del livello di sicurezza dei locali di lavoro, e della correttezza del Documento di Valutazione dei Rischi aziendale, è abbastanza semplice: bisogna verificare che siano sempre presenti i requisiti, descritti ai punti precedente che garantiscano, per evitare gli infortuni, il 100% della sicurezza intrinseca dei locali.

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ETERNIT: GLI ASPETTI LEGALI CHE DOVRESTI CONOSCERE

Da Studio Cataldi

http://www.studiocataldi.it

12/12/17

Qual è la disciplina legale e quali sono le principali questioni risolte dalla giurisprudenza sull’Eternit.

CHE COSA È L’ETERNIT

L’Eternit è un marchio di fibrocemento che non viene più commercializzato dal 1994. Venne brevettato nel 1901 dall’austriaco Ludwig Hatschek, il quale soprannominò il materiale Eternit ispirandosi alla parola latina “aeternitas” che significa “eternità”, ad indicare l’elevata resistenza del materiale.

UTILIZZO E PERICOLOSITÀ

A partire dagli anni Trenta l’Eternit è stato ampiamente utilizzato nell’edilizia. Nei primi anni Sessanta in tutto il mondo iniziò ad emergere la consapevolezza riguardo la pericolosità della polvere di amianto, originata dall’usura dei tetti. Oggi è comprovato come questo materiale sia in grado di causare il mesotelioma pleurico, una forma molto grave e aggressiva di tumore, ma anche l’asbestosi, una malattia polmonare. Dal 1992 in Italia è stata vietata l’esportazione, l’importazione, l’estrazione, la produzione e la commercializzazione di Eternit.

DOVE SI TROVA L’AMIANTO

Purtroppo l’amianto si trova in moltissime costruzioni, in particolare in quelle realizzate prima degli anni Novanta, dove l’Eternit è stato usato per realizzare rivestimenti, coperture e controsoffitti. Ciò significa che questo materiale può essere presente ad esempio nelle tegole, nei serbatoi, nelle tettoie e persino nei pavimenti. Poiché l’Eternit è stato dichiarato fuori legge, chi è proprietario di un immobile in cui è presente ha l’obbligo giuridico di allertare le autorità competenti e procedere al suo smaltimento.

ETERNIT: L’OBBLIGO DI DENUNCIA E COSA DEVE FARE IL PROPRIETARIO DELL’IMMOBILE IN CUI C’E’ L’AMIANTO

I proprietari o custodi (ad esempio l’amministratore di condominio oppure il dirigente scolastico) dell’immobile in cui è presente l’Eternit sono obbligati a denunciare immediatamente il fatto all’ASL. Presso l’Azienda Sanitaria Locale infatti è stato istituito un registro in cui viene segnalata la localizzazione dell’amianto. In seguito l’ASL di competenza effettuerà un sopralluogo e darà il via ad un programma di controllo e manutenzione coordinato da un responsabile che ha lo scopo di prevenire i rischi per la salute e favorire lo smaltimento. Questo funzionario avrà il compito di certificare il punto in cui si trova l’amianto, di informare gli inquilini dello stabile della sua presenza e di predisporre tutte le misure di sicurezza necessarie. In seguito redigerà un documento di “valutazione del rischio”. Se l’amianto è in buone condizioni non vi è l’obbligo di rimozione, ma il proprietario (o custode) dell’immobile è tenuto al controllo e alla manutenzione. Se l’Eternit non è in buone condizioni sarà necessaria la dimissione e la bonifica.

ETERNIT: COSA FARE SE L’AMIANTO SI TROVA NEL CONDOMINIO

Se l’amianto si trova in un condominio la legge prevede che l’amministratore rispetti alcuni adempimenti precisi. Prima di tutto dovrà effettuare una mappatura degli elementi in Eternit presenti nelle zone comuni avvalendosi della consulenza di un tecnico abilitato che lo aiuterà anche nella compilazione di alcune schede apposite. Trattandosi di un obbligo di legge, per ottemperare ad esso non è necessaria nessuna approvazione da parte dell’assemblea condominiale. Nonostante ciò l’amministratore è tenuto ad informare i condomini riguardo la presenza di amianto. Nel caso siano presenti manufatti in Eternit friabili e pericolosi per la salute, l’amministratore dovrà denunciare immediatamente la situazione all’ASL competente pena una sanzione amministrativa pecuniaria dai 2.582 a 5.164 euro. Le spese riguardanti bonifica, rimozione e smaltimento dell’amianto saranno ripartite fra i condomini dello stabile in base alle tabelle millesimali.

ETERNIT: COSA FARE SE IL VICINO HA UNA COPERTURA IN AMIANTO

Le tettoie in Eternit sono potenzialmente pericolose per la salute, soprattutto perché, essendo esposte all’azione di agenti naturali, possono erodersi più facilmente e provocare malattia croniche e tumori alle persone che abitano nell’ambiente circostante. Cosa fare se ci accorgiamo che il vicino ha una copertura in amianto? Da anni vige l’obbligo di censimento per tutti gli edifici che presentano lastre in Eternit, ciò significa che i proprietari degli immobili in cui è presente l’amianto sono tenuti a denunciare questo fatto. Se il proprio vicino presenta una copertura in Eternit è possibile segnalarlo rivolgendosi all’ASL oppure ai Vigili urbani o al Nucleo ecologico e tutela ambientale dei Carabinieri. Una volta ricevuta la segnalazione gli enti pubblici provvederanno a contattare l’ARPA (l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) che penserà ad effettuare i relativi sopralluoghi e test per valutare la presenza di amianto e decidere come intervenire.

ETERNIT: SE L’ACQUIRENTE SCOPRE LA PRESENZA DI AMIANTO, IL COMPROMESSO E’ VALIDO?

Con sentenza n. 15742 del 23/06/17 la Cassazione civile, Sezione II ha stabilito che se l’acquirente di un immobile si accorge della presenza di amianto dopo il compromesso, quest’ultimo risulta comunque valido. Dopo aver stipulato un contratto preliminare di compravendita, il compratore ha scoperto che la copertura era realizzata in Eternit. Per questo motivo ha richiesto la risoluzione del contratto. I giudici però hanno dato ragione al venditore affermando che questo non è possibile se l’immobile è comunque abitabile e privo di un pericolo effettivo. La Legge 257/92 infatti vieta la vendita e l’utilizzo dell’Eternit, ma non prevede la sua rimozione nelle costruzioni già presenti al momento dell’entrata in vigore della norma. La Cassazione ha però sottolineato la possibilità di richiedere una riduzione del prezzo di vendita in base anche alla specifica pericolosità dell’Eternit presente. In questo caso è necessario richiedere l’intervento dell’ARPA.

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IL FENOMENO E LE CARENZE INFORTUNISTICHE NEL SETTORE FORESTALE

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

11/12/17

di Tiziano Menduto

Un intervento si sofferma sui lavori forestali con specifico riferimento all’attività del sottogruppo “Lavori forestali e di manutenzione del verde” nel Coordinamento tecnico interregionale. Gli infortuni, le carenze e gli strumenti necessari.

In relazione alle attività del Coordinamento tecnico interregionale in materia di salute e sicurezza e al delicato tema della prevenzione in agricoltura e selvicoltura, un sottogruppo di lavoro, coordinato da Dario Uber (UOPSAL – APSS – Provincia Autonoma di Trento) e dal titolo “Lavori forestali e di manutenzione del verde”, ha il seguente mandato di lavoro: “predisporre, previa analisi della documentazione e delle esperienze esistenti, nonché delle più gravi dinamiche infortunistiche, documenti di indirizzo finalizzati alla prevenzione dei rischi più gravi nelle operazioni di abbattimento e/o manutenzione del verde, tenendo conto dei diversi livelli organizzativi aziendali (professionisti del settore, operatori stagionali, hobbisti, pubblici dipendenti, …)”.

A ricordarlo è una relazione al convegno “La prevenzione e la salvaguardia di chi lavora e produce in agricoltura. I piani nazionale e regionali 2014 – 2018: attività e prospettive”, un convegno che si è tenuto a Foggia dal 28 al 29 aprile 2017 durante la 68a Fiera Internazionale dell’Agricoltura e della Zootecnia e che ha affrontato anche alcuni temi relativi alla prevenzione nel lavoro forestale.

In “I Lavori Forestali”, a cura di Dario Uber e di Andrea Misseroni (Unità Operativa Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro – Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari Trento) vengono riportate alcune riflessioni e indicazioni:

  • il settore forestale nei suoi vari aspetti operativi è caratterizzato da un alto rischio infortunistico determinato da una serie di fattori;
  • la presenza di evidenti pericoli intrinseci alla mansione, che in genere risulta gravosa, l’utilizzo di mezzi, attrezzature e macchinari complessi incidono in maniera prevalente nel determinismo del rischio infortunistico;
  • incidono anche aspetti organizzativi e logistici resi critici dal contesto ambientale nel quale si svolgono le lavorazioni;
  • gli eventi infortunistici del settore assumono spesso una particolare gravità con eventi mortali non rari;
  • presenza di figure con un inquadramento professionale non sempre definito e/o che assume talvolta un profilo puramente hobbistico;
  • l’importanza che il settore forestale riveste da un punto di vista economico produttivo in alcune vaste aree del territorio nazionale rende necessario un approfondimento finalizzato ad individuare indirizzi omogenei per la pratica lavorativa in tale settore.

Questo, dunque, il programma di attività:

procedere a un censimento del materiale esistente per valutare la necessità di un eventuale approfondimento per migliorare la conoscenza relative al fenomeno infortunistico (e tecnopatico) del settore forestale e della manutenzione del verde;

in una seconda fase verificare la necessità di procedere a integrazioni del materiale esistente o di procedere alla realizzazione di nuovo materiale;

valutare la necessità di individuare adeguati strumenti di informazione e divulgazione aderenti ai fabbisogni formativi degli addetti al comparto;

individuare strumenti di indirizzo comuni per il controllo durante la fase di verifica ispettiva al fine di garantire omogeneità di approccio a livello nazionale.

A questo proposito la relazione fornisce una serie di indicazioni relative al numero di infortuni nel comparto forestale a livello del territorio nazionale, anche confrontando il numero di infortuni del comparto con altri comparti e segnalando alcune particolari agenti causali (trattore, motosega, alberi e piante, …).

Sono riportati anche alcuni dati relativi al fenomeno infortunistico e tecnopatico in ambito forestale nella Provincia Autonoma di Trento nel quinquennio 2009-2013 e sono mostrati alcuni esempi di eventi (la descrizione degli eventi si basa sugli elementi raccolti a chiusura dell’indagine svolta da UOPSAL e fa in parte riferimento anche ai contenuti delle prescrizioni formulate):

  • 2 eventi, a esito mortale, si sono verificati a causa di una carente valutazione nell’allestimento dei sistemi di ancoraggio delle teleferiche; in uno si è trattato del cedimento di uno degli ancoraggi, mentre l’altro è avvenuto in conseguenza della rottura di un componente del sistema di ancoraggio;
  • 8 eventi sono attribuibili a una scarsa attenzione alla superficie del terreno che in ambiente boschivo è spesso caratterizzato da irregolarità, ostacoli, cedimenti terreno, superficie scivolosa, ecc.);
  • 8 eventi sono attribuibili a carenze presenti durante la fase di taglio e riguardanti l’area di taglio, le modalità di lavoro non corrette, il mancato rispetto delle procedure e infine la scarsa attenzione;
  • 3 eventi sono attribuibili al mancato rispetto delle distanze di sicurezza e in genere determinanti dall’impatto col pezzo lavorato;
  • 3 eventi sono avvenuti a cause delle modalità scorrette di movimentazione del legname e in genere a seguito dello spostamento di tronchi;
  • 2 eventi sono infine attribuibili a carenze di informazione/formazione degli operatori.

Una prima lettura dei dati potrebbe indurre a ritenere che gran parte degli eventi presentati siano conseguenti al comportamento dell’operatore e, come spesso accade, facilmente attribuiti a fatalità o comunque ad aspetti difficilmente controllabili, quasi se dovessero inevitabilmente accadere. Se da una parte il comportamento dell’operatore è certamente un fattore importante nel determinismo dell’evento, costituendo il terminale del processo lavorativo, quasi mai lo è da solo, e una valutazione delle dinamiche basata su un approccio metodologico consente spesso di evidenziare che i veri determinanti causali dell’evento sono spesso individuabili in una carente gestione del rischio.

Sono riportate poi anche indicazioni tratte dagli infortuni oggetto di indagini da parte degli SPISAL della provincia di Belluno (periodo 2005-2015) ad esempio con riferimento a fasi di rischio come l’allestimento/trasporto del legname e l’abbattimento degli alberi.

Si segnalano poi alche alcuni riscontri relativi alle carenze antinfortunistiche:

  • in 9 casi è stata evidenziata una mancata valutazione del rischio in relazione all’area di lavoro di taglio (4 casi relativi a terreno, caratteristiche degli alberi, spazi, ecc., 3 casi per non aver rispettato le distanze di sicurezza, 2 in relazione alle operazioni di accatastamento o movimentazione del legname);
  • in 7 incidenti (compresi quelli accaduti agli hobbisti con il trattore) è stata rilevata la mancanza di dispositivi di sicurezza nella attrezzatura/macchina;
  • in 3 situazioni c’è stato un mancato o errato utilizzo dei DPI (in particolare 2 infortuni durante la salita sugli alberi);
  • per 2 infortuni, oltre alla inadeguata valutazione del rischio dell’area di lavoro, si associa la mancata formazione/addestramento del lavoratore;
  • nei restanti 7 casi non si è individuata una violazione a norme antinfortunistiche, in quanto la situazione può essere classificata come accidentale o comportamentale per scarsa attenzione alle condizioni ambientali (rischio generico aggravato) in relazione alle caratteristiche dell’area (scivolamento su terreno o durante la salita o discesa da mezzi), o, ancora per azione imprudente del lavoratore stesso (eccessivo carico manuale, avvicinamento con le mani, intervento di manutenzione su macchina in moto).

In prospettiva, continua il relatore, servono strumenti di informazione e formazione/cultura della sicurezza e strumenti di indirizzo operativo per l’attuazione delle misure e il controllo applicativo, ricordando che servono sono importanti anche un approccio metodologico alla dinamica infortunistica e che esiste sempre un motivo per cui l’infortunio accade, non è mai (o quasi) una fatalità.

A questo punto il documento presenta una serie di strumenti per gli operatori, una raccolta di misure di prevenzione connesse genericamente alle lavorazioni svolte nel bosco ed una serie di moduli e schede esemplificativi.

Si ricordano, infine, i punti su cui si impegna il gruppo di lavoro:

  • scheda indirizzi preventivi;
  • scheda per la fase di controllo e vigilanza;
  • approfondimenti ed indirizzi su aspetti critici.

Il documento “I Lavori Forestali”, a cura di Dario Uber e Andrea Misseroni (Unità Operativa Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro – Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari Trento), è scaricabile all’indirizzo:

http://www.ciip-consulta.it/images/eventlist/Eventi2017/20170428-foggia-agricoltura/UBER.pdf

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IMPARARE DAGLI ERRORI: QUANDO I GUANTI DI PROTEZIONE SONO ASSENTI

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

14/12/17

di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni correlati all’assenza di DPI per la protezione delle mani: perché non forniti dall’azienda, perché non utilizzati dal lavoratore o tolti durante l’attività. La dinamica degli infortuni, i fattori causali e gli aspetti organizzativi.

I guanti di protezione sono sicuramente tra i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) più conosciuti e utilizzati in moltissime attività professionali, con fogge e funzioni protettive diverse. Anche perché la protezione delle mani offerta dai guanti non riguarda in realtà solo i rischi meccanici, ma una lunga serie di altri rischi (chimici, biologici, termici, elettrici, ecc.).

Il problema è che in molti luoghi di lavoro e nei riscontri che avvengono dopo l’accadimento di infortuni, questi DPI di protezione delle mani risultano assenti. E questo può avvenire, ad esempio, perché:

  • non sono forniti dall’azienda al lavoratore;
  • non sono utilizzati dal lavoratore benché a disposizione;
  • sono tolti dal lavoratore durante l’attività lavorativa.

Con la rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, ci soffermiamo su queste tre casistiche con tre infortuni significativi in cui si ravvisa l’assenza di idonei DPI per le mani.

Come sempre, i casi di infortunio presentati nell’articolo sono tratti dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il primo caso riguarda un infortunio avvenuto tra lavoratori addetti alle rifiniture delle costruzioni.

Per liberare un tratto di tubazione idraulica un lavoratore si sfila i guanti protettivi e agisce usando una chiave inglese. Questa si stacca dal tubo in un momento di spinta da parte del lavoratore e proietta la sua mano sinistra contro la parete del bagno.

Questi i fattori causali dell’incidente rilevati dalla scheda:

  • guanti protettivi assenti;
  • l’infortunato compie un movimento incoordinato con eccessivo sforzo.

Il secondo caso riguarda un infortunio che avviene tra lavoratori specializzati delle lavorazioni alimentari.

Una lavoratrice durante il porzionamento di conigli dà un colpo di mannaia e accidentalmente viene amputato il dito medio della mano sinistra.

La lavoratrice non utilizzava gli adeguati DPI e non aveva fatto specifica formazione. Ed era assente anche un’adeguata valutazione del rischio relativamente alla dinamica dell’infortunio.

Al di là delle carenze a livello di valutazione e formative, questi i fattori causali dell’incidente rilevati:

  • durante il porzionamento di conigli accidentalmente perde in controllo e si amputa un dito;
  • mancato utilizzo di adeguati DPI.

Il terzo caso riguarda un infortunio che avviene in un’attività di trattamento e confezionamento di prodotti ittici.

Un lavoratore deve effettuare la pulizia di cefalopodi (piovre, calamari e seppie) utilizzando una macchina spellatrice. Questa è dotata di un interruttore generale start/stop e di un comando a ginocchio a funzionamento mantenuto in continuo (safety pad); solo quando l’operatore lo spinge, il rullo della macchina gira.

Il comando safety pad era già stato manomesso e veniva utilizzato solo per fermare la macchina che veniva avviata con il pulsante start/stop.

Mentre il lavoratore è intento ad accompagnare a mani nude (non gli erano stati forniti guanti di protezione) il cefalopode sul rullo, all’improvviso la mano destra viene trascinata dal rullo stesso verso la lama procurandogli una ferita.

I fattori causali:

  • il lavoratore accompagnava il cefalopode sul rullo della macchina spellatrice;
  • il rullo della macchina girava appena veniva azionato il pulsante generale start/stop, avendo manomesso il comando a ginocchio ad azione mantenuta;
  • al lavoratore non erano stati forniti guanti di protezione.

Per avere qualche indicazione sull’utilizzo dei guanti, anche con riferimento agli aspetti organizzativi, possiamo fare riferimento ad una lista di controllo pubblicata da SUVA, istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni.

Nella “Lista di controllo: protezione delle mani nel settore metalmeccanico” non solo si ricordano i maggiori pericoli per le mani nel settore metalmeccanico (che sono principalmente di natura meccanica, termica e chimica), ma sono forniti anche alcuni consigli relativi all’organizzazione, formazione, comportamento sul lavoro.

Nella lista si indica che dopo aver verificato che per le attività specifiche siano a disposizione guanti protettivi idonei e che tutti i dipendenti abbiano i propri guanti protettivi, bisogna accertarsi che vengano utilizzati esclusivamente guanti protettivi conformi alle norme di sicurezza: i guanti di protezione privi di contrassegni non devono essere utilizzati.

Inoltre i dipendenti devono essere coinvolti nella scelta dei guanti protettivi e si deve tener conto anche delle loro esigenze personali. Ad esempio con riferimento a taglia dei guanti, destrezza delle dita, aderenza, comfort, traspirabilità, presa asciutta e bagnata, sensibilità tattile, ecc. Le mani nei guanti non devono diventare troppo umide (sudorazione), se necessario si può limitare la durata massima di impiego o utilizzare sottoguanti di cotone.

E i dipendenti hanno a disposizione adeguati prodotti per la protezione della pelle (creme protettive), prodotti detergenti e prodotti per la cura della pelle? E esiste un piano di protezione della pelle che prevede l’utilizzo di creme protettive, detergenti per le mani, prodotti per la cura e guanti protettivi?

E’ poi evidente che i dipendenti devono essere istruiti riguardo ai pericoli di lesioni alle mani, alle sostanze pericolose per la pelle impiegate in azienda e alle misure di protezione da adottare. E i superiori devono controllare e imporre il rispetto e l’attuazione delle norme in materia di protezione della pelle. Inoltre almeno una volta all’anno il personale deve essere sensibilizzato nei confronti dei pericoli causati da dimenticanze, pigrizia, faciloneria e sottovalutazione dei rischi.

Dopo queste semplici indicazioni organizzative, ricordiamo ancora una volta che le protezioni per le mani non riguardano i soli rischi meccanici, che, riguardo agli infortuni alle mani, sono sicuramente quelli più presenti nelle schede di INFOR.MO.

Concludiamo l’articolo segnalando che per la protezione delle mani possiamo avere, ad esempio, anche:

  • guanti di protezione contro i rischi termici (guanti di protezione per i rischi derivanti da calore e/o fiamma, guanti di protezione per saldatori, DPI per i rischi derivanti da freddo, ecc.);
  • guanti di protezione contro i rischi chimici;
  • guanti di protezione contro gli agenti biologici;
  • guanti medicali (guanti da esaminazione non sterili, guanti chirurgici sterili, ecc.);
  • guanti di protezione contro i rischi da vibrazione;
  • guanti di protezione contro le radiazioni ionizzanti;
  • guanti di protezione contro la contaminazione radioattiva;
  • guanti di protezione contro i rischi elettrici.

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo sono state presentate le schede numero 6035, 5454 e 2439, è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

Il documento di SUVA “Lista di controllo: protezione delle mani nel settore metalmeccanico” è scaricabile all’indirizzo:

https://www.suva.ch/-/media/produkte/dokumente/9/b/a/20627-1–67183_i_original_20627–d–pdf.pdf?lang=it-CH

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IMPIANTI ELETTRICI: LA VERIFICA INIZIALE E LA VERIFICA PERIODICA

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

15/12/17

Indicazioni sulle verifiche di un impianto elettrico con particolare riferimento ai locali medici. Le norme tecniche, la verifica iniziale, le verifiche periodiche e parziali, la sicurezza elettrica e la frequenza delle verifiche.

Con il termine “verifica” di un impianto elettrico o di un impianto di protezione contro le scariche atmosferiche si può intendere quell’insieme di operazioni che deve accertare la rispondenza dell’impianto alla regola dell’arte, dal punto di vista della sicurezza. E infatti lo stesso articolo 86 del Testo Unico (D.Lgs. 81/08) ritiene necessario verificare lo stato di conservazione e di efficienza di impianti elettrici e impianti di protezione dai fulmini ai fini della sicurezza. E laddove esistano norme di buona tecnica cui sia riconosciuta la presunzione di conformità alla regola dell’arte in materia di sicurezza, allora la verifica può essere svolta verificando la rispondenza alle prescrizioni di tali norme.

A ricordarlo è un documento, prodotto dal Dipartimento DIT dell’INAIL e già presentato dal nostro giornale, dall’esplicativo titolo “Impianti elettrici nei locali medici: verifiche”.

Il documento, a cura di Giovanni Luca Amicucci, Fabio Fiamingo e Maria Teresa Settino, ricorda che la verifica di un sistema elettrico collegato alla rete può essere effettuata con riferimento alla norma CEI 64-8/6, che fornisce le prescrizioni per le verifiche di qualsiasi impianto elettrico.

Inoltre per gli impianti elettrici nei locali a uso medico, ulteriori prescrizioni si trovano nella norma CEI 64-8/7-710 (la variante V2 è in vigore dall’agosto 2015). In aggiunta a quanto previsto da tali norme, prescrizioni e considerazioni aggiuntive specifiche per i lavori elettrici possono essere trovate nella norma CEI 11-27 (la IV edizione è in vigore dall’aprile 2014). E riguardo alla terminologia usata nelle norme, si ricorda che nella CEI 64-8 si parla di “verifiche” e nella CEI 11-27 si parla di “ispezioni”, ma con significati simili.

Sempre con riferimento alla terminologia utilizzata dalle norme tecniche, le verifiche si dividono in:

  • verifica iniziale;
  • verifiche periodiche.

A volte, durante la realizzazione dell’impianto possono essere svolte delle verifiche parziali che hanno lo scopo di ausilio alla prosecuzione dei lavori.

In ogni caso il documento sottolinea che non esiste sostanziale differenza nelle operazioni fra i vari tipi di verifica in quanto esse devono essere condotte in maniera da accertare la sicurezza dell’impianto.

In particolare la verifica iniziale serve per determinare la conformità dell’impianto allo stato dell’arte in vigore (al fine anche del rilascio della dichiarazione di conformità), per controllare la conformità dell’installazione al progetto e per identificare eventuali difetti dell’impianto. E tale verifica non deve essere confusa con la prima verifica a campione, di cui all’articolo 3 del D.P.R. 462/01, sulla conformità alla normativa vigente degli impianti di terra e degli impianti di protezione contro le scariche atmosferiche. Nel documento una tabella riporta le verifiche iniziali previste dalla norma CEI 64-8/6 e dalla norma CEI 64-8/710.

Invece le verifiche periodiche sono volte a determinare la permanenza nel tempo dei requisiti di funzionalità e sicurezza dell’impianto e di tutte le apparecchiature che lo costituiscono. Sono utili a confermare che l’impianto non sia danneggiato o deteriorato, in modo da ridurre la sicurezza, e per identificare eventuali difetti dell’impianto che non sono stati messi in evidenza con le verifiche precedenti. L’esito di qualsiasi tipo di verifica è verbalizzato ed è tenuto a disposizione dell’autorità di vigilanza.

Il documento riporta alcune precauzioni per la verifica.

Infatti durante la verifica si devono prendere precauzioni per garantire la sicurezza e per evitare danni alle persone, ai beni e ai componenti dell’impianto, anche quando una parte dell’impianto potrebbe essere difettosa:

  • le persone che effettuano le verifiche dovrebbero avere a disposizione tutta la documentazione riguardante l’impianto (anche per gli impianti non soggetti a obblighi di progettazione dovrebbe essere disponibile almeno l’elenco dei componenti dell’impianto e uno schema dello stesso): per gli impianti elettrici nei locali a uso medico il D.M. 37/08 prescrive l’obbligo del progetto, redatto da un professionista iscritto all’albo (e contenente planimetrie, schemi, componenti e relazione tecnica);
  • quando un impianto elettrico esistente è modificato o a esso è aggiunta una parte, si deve verificare che la modifica o l’aggiunta siano conformi alla regola dell’arte in materia di sicurezza e non compromettano la sicurezza complessiva dell’impianto.

E riguardo alla sicurezza elettrica durante una verifica, secondo la CEI 11-27 (punto 5.3.3.5) le verifiche, quando comportano rischio di trovarsi in prossimità o a contatto con parti sotto tensione (rischio che potrebbe sussistere durante le misure, le prove o la ricerca di guasti), devono essere eseguite da PES o PAV con esperienza di verifica su impianti simili (già in esercizio). E sempre secondo la CEI 11-27, in dipendenza della situazione di lavoro (misure, prove, ricerca di guasti), si dovranno adottare le regole previste per i lavori fuori tensione (punto 6.2, CEI 11-27) o sotto tensione (punto 6.3, CEI 11-27) o in prossimità di parti attive (punto 6.4, CEI 11-27).

In particolare, le misure e/o le prove in presenza di rischio elettrico devono essere eseguite:

solo da PES o PAV o,

se il lavoro non è sotto tensione: da PEC sotto la supervisione di PES e/o PAV.

Ricordiamo il significato degli acronimi:

  • PES: persona esperta in ambito elettrico (definizione 3.2.5 della CEI 11-27), cioè persona con istruzione, conoscenza ed esperienza rilevanti tali da consentirle di analizzare i rischi e di evitare i pericoli che l’elettricità può creare;
  • PAV: persona avvertita in ambito elettrico (definizione 3.2.6 della CEI 11-27), cioè persona adeguatamente avvisata da persone esperte per metterla in grado di evitare i pericoli che l’elettricità può creare;
  • PEC: persona comune (definizione 3.2.7 della CEI 11-27), cioè persona che non è esperta e non è avvertita.

Il documento sottolinea poi che secondo la CEI 64-8/6 (punto 62.2.1), la frequenza della verifica periodica di un impianto va determinata considerando il tipo di impianto e componenti, il suo uso e funzionamento, la frequenza e la qualità della manutenzione e le influenze esterne a cui l’impianto è soggetto. In qualche caso, l’intervallo di tempo è stabilito da prescrizioni di carattere legislativo. Secondo la CEI 64-8/6, l’intervallo di tempo può essere di alcuni anni (per esempio 5 anni), con l’eccezione dei seguenti casi per i quali, esistendo un rischio maggiore, sono richiesti intervalli di 2 anni:

  • posti di lavoro/luoghi con rischio di degrado, incendio, esplosione;
  • posti di lavoro/luoghi in cui coesistano impianti di AT e BT;
  • luoghi ai quali abbia accesso il pubblico;
  • cantieri;
  • locali medici.

E si segnala che in assenza del D.P.R. 462/01 (indicato dall’articolo 86 del Testo Unico), con le modalità e i criteri di effettuazione delle verifiche, i valori temporali riportati al punto 62.2.1 della norma (e, per i locali medici, gli altri valori riportati nella sezione 710) sono l’unico riferimento disponibile.

Si ricorda poi che una verifica è articolata in:

  • esame della documentazione: è un accertamento svolto sulla documentazione tecnica per valutarne la conformità alle norme e la consistenza rispetto alle assunzioni adottate per i calcoli, che potrebbero essere non veritiere, errate o obsolete, a causa di modifiche della struttura e/o degli impianti e/o del loro uso;
  • esame sul campo: comprende due momenti diversi, l’esame a vista e l’esecuzione di misure e/o prove.

Al termine, sulla base dell’esito dell’esame della documentazione, dell’esame a vista e dei dati raccolti con le misure e le prove eseguite, si redige il rapporto di verifica. Il rapporto di verifica deve riportare anche i dati e la firma di chi ha effettuato la verifica.

Concludiamo segnalando che il documento si sofferma poi più nel dettaglio nelle modalità dell’esame della documentazione, dell’esame a vista, dell’esecuzione di misure e prove e riporta ulteriori indicazioni sugli elementi specifici della verifica degli impianti di messa a terra.

Il documento di INAIL, Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici, “Impianti elettrici nei locali medici: verifiche” edizione 2017 è scaricabile all’indirizzo:

https://www.inail.it/cs/internet/docs/alg-pubbl-impianti-elettrici-nei-locali-medici-verifiche.pdf

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