SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 297 DEL 12/04/18

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 297 DEL 12/04/18

INDICE

  • Le “Frequently Asked Questions” di Sicurezza Sul Lavoro – Know Your Rights! – N.26
  • “Lavoro agile”: requisiti per salute e sicurezza
  • Rischi nell’utilizzo delle attrezzature di lavoro
  • La gestione e prevenzione dei rischi rilevanti per l’età
  • La correlazione tra età anagrafica e infortuni dei lavoratori
  • Lavorare su coperture e in quota senza protezioni

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

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LE “FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO – KNOW YOUR RIGHTS! – N.26

Nella mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro, spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.

In qualche caso invece le richieste che mi pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche risposte a domande su temi molto specifici e limitati.

Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia newsletter.

Ovviamente, per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.

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Ciao Marco,

nella mia azienda non tutti i lavoratori usano il DPI, nella fattispecie, le scarpe antinfortunistiche. A cominciare dal direttore, il quale spesso e volentieri esegue attività lavorative a rischio schiacciamento dei piedi.

Ho chiesto al mio RSPP di riferimento e mi ha detto, un po’ scocciato a dire il vero, che il direttore in quanto tale era esonerato a usare le scarpe antinfortunistiche, anche se fa attività lavorative…

Anche altri lavoratori non le usano, soprattutto i part time. L’azienda giustifica tale decisione in base a una loro tabella oraria, con la quale poi decide chi deve indossare le scarpe e chi no: se le attività a rischio sono lunghe allora le usi, se il tempo è relativamente poco allora puoi non indossarle.

Tranne che per il direttore il quale tutte le mattine, e anche al pomeriggio, fa lavori a rischio.

E’ previsto questo dal D.Lgs. 81/08? Siccome sospetto una risposta negativa, avrei bisogno di un tuo suggerimento per fare una bella lettera al RSPP.

Ciao.

Per quanto riguarda il direttore che non usa le scarpe antinfortunistiche occorre prima di tutto verificare se è assimilabile anche a lavoratore, secondo la definizione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 81/08 (“Decreto”):

persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione”;

oppure se rientra solo nella definizione di “datore di lavoro”, di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b) del Decreto:

il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.

Tale cosa la puoi verificare abbastanza facilmente controllando se è lui che firma il documento di valutazione dei rischi, oppure no.

Se il direttore non è datore di lavoro, ancorché sia dirigente, rientra (anche) nella definizione di lavoratore, per cui è soggetto agli obblighi per i lavoratori sanciti dal Decreto, tra cui quelli di cui all’articolo 20, comma 2, lettera d):

I lavoratori devono in particolare utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione”.

e di cui all’articolo 78, comma 2:

In ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 20, comma 2, lettera d), i lavoratori utilizzano i DPI messi a loro disposizione conformemente all’informazione e alla formazione ricevute e all’addestramento eventualmente organizzato ed espletato”.

Il fatto che il direttore sia un dirigente non lo esime da tali obblighi, in quanto di fatto è anche un lavoratore.

Quindi anche lui è obbligato a usare le scarpe antinfortunistiche nell’attività lavorative a rischio e se non lo fa è soggetto alle sanzioni di cui al CCNL o al contratto particolare applicabili.

In merito alla decisione aziendale di non assegnare le scarpe ai lavoratori, che solo saltuariamente effettuano attività a rischio, è una decisione che non ha alcun fondamento giuridico.

Infatti il Decreto impone al datore di lavoro la scelta dei DPI in funzione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi e, di conseguenza, la consegna ai lavoratori e la richiesta del loro utilizzo.

Ciò è sancito dall’articolo 77, comma 1 del Decreto:

Il datore di lavoro ai fini della scelta dei DPI:

  1. a) effettua l’analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi;
  2. b) individua le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi di cui alla lettera a), tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli stessi DPI;
  3. c) valuta, sulla base delle informazioni e delle norme d’uso fornite dal fabbricante a corredo dei DPI, le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta con quelle individuate alla lettera b);
  4. d) aggiorna la scelta ogni qualvolta intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione”.

Da quanto mi dici, anche a seguito di specifica valutazione del rischio, risulta che l’attività lavorativa comporta, anche occasionalmente, rischio di caduta di oggetti pesanti sui piedi del lavoratore, con conseguente infortunio.

Tale rischio non può essere evitato con altri mezzi, se non con l’utilizzo di scarpe antinfortunistiche.

Il tempo di svolgimento dell’attività può influenzare la probabilità che avvenga l’infortunio, ma non lo elimina del tutto.

E’ ovvio che chi esegue attività a rischio tutto il giorno è soggetto a infortunio ai piedi con una probabilità maggiore di chi lo fa per poche ore al giorno. Ma è anche ovvio che effettuare il lavoro pericoloso per poche ore al giorno non elimina del tutto il rischio di infortunio, ma ne diminuisce solo la probabilità. Per eliminare del tutto tale rischio l’unica soluzione è adottare scarpe antinfortunistiche tutte le volte che si fa l’attività pericolosa.

Di conseguenza le scarpe antinfortunistiche devono essere utilizzate da tutti i lavoratori che fanno attività a rischio di infortunio ai piedi, indipendentemente dal tempo per cui fanno tale attività.

Ovviamente ciò non vuol dire che tutti i lavoratori debbano sempre indossare le scarpe, ma solo che lo devono fare nelle attività lavorative in cui sussiste il rischio, indipendentemente dalla durata di tali attività.

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Ciao Marco,

in merito alle postazioni di lavoro volevo sapere quali sono i limiti sugli spazi operativi e di manovra dei lavoratori.

In pratica nel mio reparto vi è una linea di confezionamento che il lavoratore deve presidiare, alimentare e intervenire per il ripristino in caso di fermo.

Questa linea su tutta la sua estensione è costeggiata da baie di supporto in cui vi sono i materiali di confezionamento e grossi contenitori per gli scarti di lavorazione.

In buona parte della linea di confezionamento queste baie contenenti supporti di materiali e contenitori di rifiuti sono distanziate da circa 60 cm.

In pratica una sorta di corridoio in cui il lavoratore deve passare per esercitare le mansioni previste.

La domanda è: ma la distanza di 60 cm tra l’impianto di confezionamento e le baie di supporto materiali, quale corridoio operativo e di manovra, non è insufficiente per il lavoratore, in tutta la sua altezza e larghezza, per poter operare in ergonomia e sicurezza?

Spero di essere stato chiaro, ti ringrazio.

Ciao,

i requisiti che devono avere i luoghi di lavoro sono regolati dall’Allegato IV del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. (“Decreto”).

Infatti l’articolo 64, comma 1, lettera a) del Decreto stabilisce, come obbligo a carico del datore di lavoro che:

Il datore di lavoro provvede affinché, i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all’articolo 63, comma 1”,

dove, a sua volta l’articolo 63, comma 1 del Decreto stabilisce che:

I luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell’Allegato IV”.

All’interno dell’Allegato IV del Decreto, da un punto di vista dell’ergonomia degli ambienti di lavoro non sono fissate delle misure definite per i corridoi di passaggio tra le postazioni di lavoro o tra le postazioni e altri ingombri, ma vengono date delle indicazioni di massima.

A tale proposito il Punto 1.2.6 dell’Allegato si limita ad affermare che:

Lo spazio destinato al lavoratore nel posto di lavoro deve essere tale da consentire il normale movimento della persona in relazione al lavoro da compiere”.

In merito alle vie di circolazione, il Punto 1.4.1 dell’Allegato, sempre in maniera del tutto generica afferma che:

Le vie di circolazione […] devono essere situate e calcolate in modo tale che i pedoni o i veicoli possano utilizzarle facilmente in piena sicurezza e conformemente alla loro destinazione e che i lavoratori operanti nelle vicinanze di queste vie di circolazione non corrano alcun rischio”.

Il successivo Punto 1.4.2 aggiunge poi che:

Il calcolo delle dimensioni delle vie di circolazione per persone ovvero merci dovrà basarsi sul numero potenziale degli utenti e sul tipo di impresa”.

Più dettagliato è il Decreto in merito ai corridoi di passaggio intesi come vie di emergenza, definite al Punto 1.5.1.1 come:

percorso senza ostacoli al deflusso che consente alle persone che occupano un edificio o un locale di raggiungere un luogo sicuro”.

Immagino che il corridoio tra l’impianto di confezionamento e le baie di supporto materiali possa essere definito in tal senso in quanto deve permette il raggiungimento dei lavoratori delle uscite di sicurezza e quindi di luoghi sicuri senza impedimenti che potrebbero rallentare o impedire l’esodo.

Per le vie di emergenza, il Punto 1.5.5, stabilisce che:

Le vie e le uscite di emergenza devono avere altezza minima di 2,0 m e larghezza minima conforme alla normativa vigente in materia antincendio”.

Occorre quindi verificare cosa stabiliscono le regole tecniche antincendio relativamente alla tua azienda e a tale proposito sarebbe utile sapere se essa è sottoposto a obbligo di SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) o di CPI (Certificato Prevenzione Incendi).

In generale vale comunque quanto stabilito dal Decreto Ministeriale 10 marzo 1998 (D.M. 10/03/98), che in virtù dell’articolo 46, comma 4 del Decreto costituisce normativa di riferimento in tal senso:

“[…] continuano ad applicarsi i criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro di cui al Decreto del Ministro dell’interno in data 10 marzo 1998”.

Secondo il Punto 3.3 lettera g) dell’Allegato III del D.M. 10/03/98:

le vie di uscita devono essere di larghezza sufficiente in relazione al numero degli occupanti e tale larghezza va misurata nel punto più stretto del percorso”.

Anche tale indicazione è generica, ma, in assenza di ulteriori indicazioni, il criterio per definire tale larghezza può essere inteso come lo stesso che individua la larghezza minima delle porte di piano per l’uscita di emergenza.

Tale larghezza minima è indicata al Punto 3.5 lettera c) dell’Allegato III:

La larghezza minima di una uscita non può essere inferiore a 0,8 m”.

In definitiva, da un punto di vista ergonomico la normativa vigente non definisce in modo univoco la larghezza minima del corridoio tra l’impianto di confezionamento e le baie di supporto materiali, ma specifica solo che essa deve essere sufficiente e adeguate alle esigenze delle lavorazioni.

Più specificatamente invece la normativa vigente definisce che la larghezza minima delle vie di emergenza (cioè delle vie di passaggio all’interno di un’azienda per permettere un esodo sicuro in caso di emergenza) deve essere 0,8 m.

A disposizione per ulteriori chiarimenti.

Un caro saluto.

Marco

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NOTA

Nel testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i seguenti acronimi e termini:

ASL = Azienda Sanitaria Locale

CCNL = Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro

DPI = Dispositivi di Protezione Individuali

DVR = Documento di Valutazione dei Rischi

DUVRI = Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori in appalto

OS = Organizzazioni Sindacali

RSPP = Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione

ASPP = Assistente al Servizio di Prevenzione e Protezione

RLS = Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza

RSA = Rappresentanze Sindacali Aziendali

RSU = Rappresentanze Sindacali Unitarie

D.Lgs. 81/08 o Decreto o TUSL: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro”)

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“LAVORO AGILE”: REQUISITI PER SALUTE E SICUREZZA

Da INAIL Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale

https://www.inail.it

ICT: NUOVE MODALITA’ DI LAVORO

PREMESSA

La quarta rivoluzione industriale contribuisce a superare l’idea fordista di lavoro elaborando nuovi paradigmi che implicano per il lavoratore nuove mansioni, ruoli e competenze e innovazioni organizzative.

In passato le persone definivano la sicurezza del luogo di lavoro in termini di stabilità; oggi non esiste più un posto di lavoro per tutta la vita, né un unico luogo di lavoro durante lo stesso rapporto di lavoro, né un orario fisso.

Ciò unitamente all’aumento dell’automazione porta i dipendenti a definire la sicurezza in termini di rete professionale e di capacità di attingere alle relazioni con gli altri per trovare lavori in grado di estendere la propria carriera lavorativa.

DESCRIZIONE

La flessibilità distingue e caratterizza i nuovi modelli di lavoro, che sempre più devono adeguarsi ai costanti mutamenti del contesto economico e sociale. Se fino a poco tempo fa si faceva riferimento al concetto di “work life balance”, adesso sempre più spesso si discute di integrazione vita-lavoro: il concetto stesso di lavoro grazie a sviluppo e utilizzo delle tecnologie, nei diversi settori e servizi, è sempre meno legato al luogo fisico.

Già in passato erano state disciplinate forme di lavoro legate all’uso di tecnologie (Legge 191/98) come il telelavoro, identificabile con una prestazione lavorativa svolta a distanza con sede abituale e orario predefinito e oneri a carico del datore di lavoro in termini di salute e sicurezza sul lavoro, dotazione delle infrastrutture e della relativa sicurezza e costi, con possibilità di accesso al locale del telelavoro e monitoraggio della produttività anche attraverso l’utilizzo di software.

In Italia la Legge 81/17 ha introdotto la possibilità di ricorrere al lavoro agile, inteso come combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione anche nell’esecuzione delle attività di lavoro subordinato secondo le seguenti disposizioni.

La prestazione lavorativa può essere svolta:

  • in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva;
  • attraverso l’uso di strumenti tecnologici e se il datore di lavoro assegna al lavoratore strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa è anche responsabile della loro sicurezza e buon funzionamento;
  • mediante stipula di un accordo scritto tra le parti anche con forme di organizzazione per fasi, cicli, obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro.

Attualmente il lavoro agile (“smart working”) è già previsto in molti contratti collettivi/accordi di rinnovo, nel settore alimentare, energetico, bancario-assicurativo, trasporto, telecomunicazioni e in aziende altamente tecnologiche. Secondo recenti dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano in Italia sono oltre 300.000 i lavoratori subordinati che godono di discrezionalità̀ nella definizione delle modalità̀ di lavoro in termini di luogo e il 36% delle grandi imprese, il 7% delle piccole media imprese e il 5% delle Pubbliche Amministrazioni hanno già progetti strutturati di smart working.

La modalità di svolgimento della prestazione svolta dal lavoratore agile si differenzia da quella del telelavoro, che viene regolarmente svolta al di fuori dei locali dell’azienda, sebbene parte della dottrina rilevi che non sussista ad oggi alcuna differenza sul piano giuridico in termini di disciplina applicabile al telelavoro e al lavoro agile, se non in due circostanze:

  • quando la prestazione al di fuori dei locali aziendali sia resa senza il supporto di strumentazioni informatiche o telematiche;
  • quando l’alternanza tra lavoro nei locali aziendali e lavoro in altri luoghi sia del tutto episodica e cioè occasionale o comunque non programmata.

Il dibattito è ancora in corso in relazione alla misurazione e predeterminazione del tempo della prestazione di lavoro agile e della natura mobile e non fissa della postazione di lavoro utilizzata all’esterno dei locali aziendali. In ogni caso la legge intende assicurare la totale parità del trattamento normativo, retributivo e previdenziale anche dal punto di vista della tutela in materia di salute e sicurezza sul lavoro, del lavoratore agile, rispetto a quello di chi svolge le stesse mansioni all’interno dei locali dell’azienda.

Nello specifico l’articolo 22 della Legge 81/17 prevede che sia il datore di lavoro a garantire la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.

I lavoratori devono cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro e hanno diritto (articolo 23 della Legge 81/17) alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali derivanti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali e alla tutela contro gli infortuni sul lavoro “in itinere” occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali.

AMBITI DI APPLICAZIONE E IMPATTI SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO

Vista la compatibilità del lavoro agile nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha emanato la Direttiva 3/17 contenente linee guida in materia di promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro ai fini della sperimentazione di tale modalità spazio-temporale.

Nell’ambito della salute e sicurezza sul lavoro il datore di lavoro deve provvedere ai seguenti obblighi:

  • consegnare al lavoratore e al RLS l’informativa sui rischi e sulle misure da adottare;
  • fornire adeguata formazione periodica in merito ai requisiti di salute e sicurezza sul lavoro in ambiente indoor e outdoor se non ricompresi in quella prevista dal D.Lgs. 81/08;
  • assicurare che gli strumenti/dispositivi (eventualmente forniti) siano conformi normativamente a standard tecnici;
  • assicurare che le attrezzature di lavoro/apparecchiature (eventualmente forniti) siano conformi al Titolo III del D.Lgs. 81/08 nonché alle disposizioni delle Direttive di prodotto;
  • effettuare idonea manutenzione delle attrezzature/apparecchiature/strumenti (eventualmente forniti) e somministrare adeguata formazione e informazione sul loro utilizzo;
  • prediligere le apparecchiature elettriche/elettroniche (eventualmente fornite) a doppio isolamento;
  • attuare le misure di tutela previste dall’articolo 15 del D.Lgs. 81/08 anche nel caso in cui non fornisca strumenti/attrezzature e dispositivi.

Le linee guida forniscono, inoltre, indicazioni sui principali elementi da sviluppare nell’informativa per la prestazione di attività svolta in ambiente indoor o outdoor.

Per l’ambiente indoor l’informativa deve contenere almeno le seguenti indicazioni;

  • antincendio;
  • requisiti igienici dei locali;
  • istruzioni d’uso strumenti/dispositivi attrezzature/ apparecchiature e comportamenti da tenere in casi di malfunzionamento;
  • requisiti minimi di impianti di alimentazione elettrica e corretto utilizzo dell’impianto elettrico;
  • ergonomia, postazione videoterminale e uso di dispositivi portatili, computer, tablet, ecc.;

Per l’ambiente outdoor l’informativa deve contenere almeno le seguenti indicazioni;

  • pericolo di esposizione diretta a radiazione solare e prolungata e a condizioni meteoclimatiche sfavorevoli;
  • limitazioni e accorgimenti da adottare in luoghi isolati o in cui sia difficoltoso richiedere e ricevere soccorso;
  • pericoli connessi alla presenza di animali, vegetazione in stato di degrado ambientale, presenza di rifiuti, ecc.;
  • pericoli connessi alla presenza di sostanze combustibili o infiammabili e sorgenti di ignizione;
  • pericoli connessi ad aree in cui non ci sia la possibilità di approvvigionamento di acqua potabile.

Le linee guida forniscono indicazioni importanti anche in merito alle infrastrutture tecnologiche e abilitanti per il lavoro agile e la protezione dei dati, custodia e riservatezza con l’auspicio che anche i dispositivi mobili siano sempre configurati dall’amministrazione per ragioni di sicurezza e protezione della rete.

CONCLUSIONI

Lavorare in modo più flessibile rappresenta un’opportunità e una necessità che andrebbe sempre più interiorizzata e supportata dalle organizzazioni, per favorire maggiore benessere e soddisfazione da parte dei lavoratori in termini di work life balance, miglioramento della mobilità urbana con riduzione di traffico e inquinamento, aumento della performance del lavoratore e della conseguente produttività aziendale. E’ necessario tuttavia valutare gli aspetti legati all’isolamento del lavoratore agile, che svolge la propria attività all’esterno e che potrebbe non sentirsi partecipe delle logiche aziendali, e quelli relativi all’organizzazione poiché sussiste ancora oggi una forte correlazione tra carriera, avanzamento e presenza. Questo tipo di isolamento ha impatti anche in ottica di genere e spesso si riscontra nei periodi di astensione delle donne dal lavoro per motivi di gravidanza e cure familiari.

Un recente studio Eurofound/Ilo rileva, infine, che l’attuale resistenza al cambiamento e alla diffusione di queste nuove modalità di lavoro è dovuta principalmente alla paura di perdita di controllo (potere) da parte del management nella gestione dell’attività lavorativa che lega tradizionalmente il concetto di produttività alla presenza fisica sul luogo di lavoro e non all’obiettivo e all’efficacia dell’attività o del compito assegnato.

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RISCHI NELL’UTILIZZO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO

Da: Rete Iside

http://www.reteiside.org

LE CARATTERISTICHE DEL RISCHIO

Un’attrezzatura da lavoro viene definita intrinsecamente sicura se è in grado di prevenire il verificarsi degli infortuni anche se il lavoratore commette involontariamente degli errori.

Una macchina utensile dotata di carter di protezione adeguati rende impossibile il contatto degli arti deI lavoratori con gli organi di lavoro della macchina (mandrini, fresa, punta, sega, ecc).

Ad esempio se il lavoratore, per errore, vuole prelevare un “pezzo” dal mandrino di un tornio mentre è ancora in movimento, il carter di protezione deve essere dotato di micro interruttori che bloccano la macchina prima che si possa verificare un infortunio.

Dal 1996 la cosiddetta Direttiva Macchine obbliga le aziende produttrici a progettare le macchine secondo una serie di requisiti di sicurezza e dotarle di un marchio di garanzia, denominato marcatura CE (Comunità Europea).

La Direttiva Macchine è stata aggiornata nel 2006.

LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO

In teoria le macchine attualmente presenti nelle aziende dovrebbero essere tutte sicure, il datore di lavoro, quindi, dovrebbe solo verificare periodicamente che i dispositivi di sicurezza siano sempre perfettamente funzionanti.

Nella realtà questo spesso non avviene perché esiste ancora un ampio mercato di macchine utensili prodotte prima del 1996 e cioè prima dell’entrata in vigore della Direttiva Macchine.

Ma molto spesso la sicurezza è messa in pericolo anche da una scarsa manutenzione delle macchine, e quindi anche dei dispositivi di sicurezza, e sono frequenti i casi in cui, per aumentare la produttività, i dispositivi di sicurezza vengono disattivati.

Per valutare il rischio di una macchina da lavoro si utilizza la seguente formula:

R (Rischio) = P (Probabilità) x G (Gravità del danno)

Analizziamo, a titolo d’esempio, la valutazione dei rischi in un’ipotetica postazione di lavoro con un tornio parallelo:

  • carenze individuate: manca la protezione degli organi di lavoro (il mandrino) e la protezione degli organi in movimento (vite madre);
  • individuazione dei rischi: rischio di lesioni per afferramento del lavoratore/lavoratrice e di proiezione di schegge metalliche;
  • valutazione dei rischi: probabilità che si verifichi l’evento: 4 (altamente probabile), gravità del danno provocato: 4 (gravissimo: perdita o mutilazione di un arto), R = P x G = 16 (rischio gravissimo);
  • misure di prevenzione e protezione: installare un manicotto contornante il mandrino e provvisto di dispositivo d’interblocco (microinterruttore) e carter regolabile per la vite madre;
  • tempi d’attuazione delle misure individuate: indilazionabili, vietare immediatamente l’utilizzo della macchina;
  • indicare il nome del soggetto incaricato per l’attuazione delle misure.

LE MISURE DI PREVENZIONE DELLE MACCHINE DA LAVORO

Le misure di prevenzione e protezione di una macchina “non a norma” consistono essenzialmente nell’implementazione di dispositivi di sicurezza (ad esempio carter) che devono garantire il 100% della sicurezza intrinseca di una macchina.

Elenco sintetico delle misure di prevenzione e protezione di una macchina utensile generica:

  • macchina fissata stabilmente a terra;
  • cavi di adduzione di potenza protetti da possibili tagli e non posati a terra;
  • quadro di adduzione potenza protetto contro l’apertura accidentale;
  • presenza di pulsante d’arresto d’emergenza a fungo rosso;
  • presenza di dispositivo che impedisca il riavviamento automatico della macchina in caso d’interruzione e successivo ripristino della tensione elettrica;
  • dispositivi di comando ben riconoscibili e a facile portata del lavoratore;
  • dispositivo d’avvio tale per cui l’avviamento della macchina è possibile solo con un’azione volontaria e non sono possibili avviamenti accidentali;
  • organi di trasmissione del moto (ingranaggi, cinghie, pulegge, ecc.) provvisti di robusta protezione tale da impedire qualsiasi contatto con l’operatore;
  • organi di lavoro provvisti di protezione tale da impedire qualsiasi contatto con l’operatore;
  • postazione di lavoro sicura, stabile e tale da non deve costringere l’operatore ad assumere posizioni scomode;
  • presenza di cartelli “è vietato pulire, oliare o ingrassare a mano gli organi in moto delle macchine” ed “è vietato compiere qualsiasi operazione di riparazione o registrazione su organi in movimento” e quelli per l’uso degli adeguati Dispositivi di Protezione Individuale.

LA VERIFICA DELLA CORRETTEZZA DEL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI AZIENDALE

Il primo aspetto da verificare è la conformità formale, ossia la presenza della marcatura CE, di tutte le macchine presenti in azienda. Dopo questa fase bisogna effettuare la verifica sostanziale della conformità, verificare, cioè, che i dispositivi di sicurezza (ad esempio carter) garantiscano il 100% della sicurezza intrinseca di una macchina.

Vediamo, a titolo d’esempio, come si verifica la conformità dei carter di protezione di un tornio parallelo.

Se ha i carter fissi occorre verificare che siano fissati in modo tale che per aprirli bisogna utilizzare una chiave, verificare il livello di stabilità del fissaggio.

Se ha i carter mobili verificare direttamente se siano dotati di un micro-interruttore che, all’apertura del carter, provoca l’arresto della macchina.

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LA GESTIONE E PREVENZIONE DEI RISCHI RILEVANTI PER L’ETA’

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

15/03/18

di Tiziano Menduto

Un nuovo strumento per la gestione dei rischi rilevanti per l’età si sofferma sugli orientamenti di prevenzione per varie tipologie di rischio: rischi legati al lavoro fisico, all’organizzazione, all’ambiente di lavoro e agli aspetti psicosociali.

Con la campagna europea 2016-2017 “Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età” è sicuramente aumentata, tra gli operatori e nelle aziende, la consapevolezza che in relazione all’invecchiamento della forza lavoro europea è sempre più necessario guardare alla tutela e all’esposizione ai rischi dei lavoratori con riferimento anche all’età.

Serve un ripensamento sulle strategie di valutazione dei rischi evitando di fare riferimento, nell’analisi dei rischi, a una popolazione lavorative astratta, a soggetti “standard” senza considerare le variabili che differenziano invece profondamente la suscettibilità dei lavoratori ai rischi professionali (età, provenienza geografica, tipologia contrattuale, genere, ecc.).

E riguardo un particolare al tema della campagna europea servono per le aziende strumenti operativi di valutazione dei rischi o, comunque, supporti integrativi che aiutino aziende e operatori a tenere conto anche dei rischi correlati all’età.

Per presentare alcune indicazioni operative riguardo ai rischi e alla prevenzione applicabili nelle aziende, torniamo a soffermarci su un contributo presente nel libro “Aging E-book, il Libro d’argento su invecchiamento e lavoro”, un libro curato dal gruppo “Invecchiamento e lavoro” della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP).

Il contributo “La valutazione dei rischi tenendo conto dell’età dei lavoratori”, a cura di Tiziana Vai, Olga Menoni, Donatella Talini e Marco Tasso, propone un nuovo strumento per una analisi della mansione/posto di lavoro, per discutere priorità, per proporre miglioramenti o per sviluppare approfondimenti nella identificazione e valutazione dei rischi correlati all’età dei lavoratori.

Nell’Aging E-book si fa poi riferimento anche a una serie di indicazioni fornite dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) per una valutazione dei rischi “attenta all’inclusione”. Sono forniti, ad esempio, alcuni esempi di misure di prevenzione che potrebbero avvantaggiare l’intera forza lavoro:

  • adeguamenti dei locali o delle postazioni di lavoro (per accogliere lavoratori disabili, anziani ecc.), per esempio installando rampe di accesso, ascensori, interruttori di illuminazione, scalini bordati di una vernice chiara, ecc.;
  • adozione di strumenti più ergonomici (adattabili alle specificità di ciascun lavoratore); in tal modo il lavoro o il compito possono essere svolti da una gamma più ampia di lavoratori (donne, lavoratori anziani, persone di bassa statura, ecc.), per esempio rendendo necessaria una minore forza fisica;
  • fornitura di tutte le informazioni in materia di salute e di sicurezza in formati accessibili (allo scopo di renderle più comprensibili ai lavoratori immigrati);
  • elaborazione di metodi e di strategie per mantenere in attività in particolare i turnisti anziani; tali strategie avvantaggeranno tutti i lavoratori (indipendentemente dall’età) e renderanno il lavoro a turni più accettabile per i nuovi dipendenti.

Il contributo rimanda poi alla lettura in dettaglio dello strumento proposto (presente sul sito della CIIP, all’indirizzo sottoriportato) dove per ogni voce di rischio è prevista una scheda relativa agli orientamenti preventivi e migliorativi suggeriti. Si tratta di un contenitore per ora solo parzialmente compilato: l’obiettivo non è quello di definire le soluzioni finali ma proporre uno strumento comune che permetta di raccogliere e condividere esperienze e buone prassi.

Nello strumento “Gestione dei rischi rilevanti per l’età” sono richieste informazioni relative a:

  • rischi legati al lavoro fisico: mantenimento prolungato di posture statiche e/o incongrue, sforzi fisici molto intensi, movimentazione di carichi, movimenti ripetitivi;
  • rischi legati all’organizzazione: lavoro a turni; durata del lavoro, pause e recuperi;
  • rischi legati all’ambiente di lavoro: condizioni di illuminazione ambientale, condizioni microclimatiche, esposizione a sostanze tossiche, esposizione a rumore, esposizione a vibrazioni, spazi inadeguati alle attività svolte, arredi inadeguati alle attività svolte;
  • fattori che penalizzano lo sviluppo, l’utilizzo, la trasmissione di competenze: lavoro monotono, carenza di formazione, metodi di lavoro rigidamente imposti, raggiungimento di picchi di attività imprevisti, mancata identificazione di un sapere particolare, mancato coinvolgimento dei lavoratori anziani nella trasmissione delle conoscenze;
  • rischi psicosociali: modifiche nelle modalità di lavoro, assenza di spazi decisionali nell’organizzazione del lavoro (“assenza di margini di manovra”), relazione con pubblico o clienti “difficili”, competitività tra diverse mansioni, imprecisioni nelle definizioni delle mansioni, mancanza di sostegno e di riconoscimento da parte dei superiori, mancanza di sostegno e di riconoscimento da parte del gruppo.

Veniamo ora ad alcuni orientamenti preventivi sul lavoro proposti nello strumento.

Ad esempio per il rischio da movimentazione carichi e sforzi fisici intensi sono riportati alcuni suggerimenti:

  • prevedere limitazioni per attività fisiche molto impegnative e prolungate specialmente, ma non solo, in microclimi severi soprattutto caldi;
  • ridurre il sovraccarico acuto o cumulativo da movimentazione carichi, sforzi, posture tramite attrezzature/ausili e formazione;
  • eliminare gli sforzi massimali e ridurre sforzi prolungati;
  • distinguere i pesi massimi in condizioni ideali per fasce d’età nella movimentazione manuale di carichi (ad esempio con riferimento alle norme ISO 11228-1 e ISO TR 12295);
  • per questi casi può essere utile l’integrazione nella valutazione dei rischi di test di “strain” eseguiti dal medico competente, ad esempio sulla frequenza cardiaca e/o altro (con riferimento alle norme UNI EN ISO 12894; UNI EN ISO 9886).

Ci soffermiamo poi sui suggerimenti correlati ai rischi da ambienti di lavoro:

  • eliminare o ridurre l’esposizione ad ambienti troppo caldi o freddi, preferibilmente al di sotto dei livelli di attenzione;
  • in caso di riduzione di acuità visiva, della percezione della distanza degli oggetti, della distinzione tra colori scuri molto simili e maggior sensibilità agli abbagliamenti, migliorare l’illuminazione, applicare contrasti di colore e illuminazione supplementare radente e/o localizzata, eliminare abbagliamenti e riflessi;
  • in caso di difficoltà di accomodazione, riduzione del 20-30% del campo visivo, adottare sui videoterminali caratteri o schermi più grandi, mentre è preferibile una collocazione dello schermo più bassa (mediante braccio regolabile);
  • fare attenzione alle lenti progressive sulle scale;
  • disporre per alcune attività specchi retrovisori multipli, anche per l’artrosi cervicale che limita la rotazione della testa;
  • eliminare o ridurre l’esposizione a sostanze tossiche, preferibilmente al di sotto dei livelli di attenzione;
  • in caso di difficoltà a percepire o comprendere suoni soprattutto in ambienti rumorosi, ridurre l’esposizione a rumore sin dall’inizio dell’attività onde evitare la sommazione di effetti con la presbiacusia, amplificare allarmi sonori e/o prevedere segnalazioni luminose supplementari, avere cura nella scelta di otoprotettori che non devono essere eccessivamente attenuanti per non isolare completamente il lavoratore da allarmi e comunicazioni;
  • eliminare o ridurre l’esposizione a vibrazioni, preferibilmente al di sotto dei livelli di attenzione.

Riguardo ai rischi organizzativi il documento propone:

  • migliorare per tutti il regime di turni (rapida successione) e ridurre o eliminare per l’anziano i turni notturni soprattutto quando vengono percepiti come più affaticanti;
  • curare la flessibilità, prevedere maggior autogestione di ritmi e pause, consentire il part time, allontanare su richiesta i lavoratori dai turni notturni.

Si ricorda che il lavoro in orari atipici disturba sonno, digestione, apparato cardiocircolatorio. L’effetto aumenta nel tempo con l’età e con l’anzianità di lavoro.

Lo strumento per la gestione dei rischi rilevanti per l’età si sofferma poi sui rischi psicosociali:

  • per contrastare la riduzione progressiva della resistenza allo stress, evitare gli open space, curare la flessibilità, prevedere maggior autogestione di ritmi e pause, consentire il part time;
  • riconoscere la contraddizione in caso di competitività tra diverse mansioni con obiettivi di gruppo, ma valutazione individuale: questa situazione genera stress e conflitti tra lavoratori, che sono fonte ben identificata di demotivazione nei lavoratori esperti.

Si indica, a questo proposito, che in condizione di assenza di margini di manovra decisionale il lavoratore ha la percezione di non poter utilizzare la sua esperienza e in caso di relazione con pubblico o clienti difficili, il lavoratore è esposto a conflitti od aggressioni.

Inoltre la mancanza di precisione nell’affidare un compito e la mancanza di riconoscimento e di sostegno sono fonti ben conosciute di stress nei lavoratori esperti.

Riguardo, invece, ai rischi legati alla gestione dei cambiamenti, si segnala di:

  • curare i tempi per pensare a compiti complessi e per imparare compiti nuovi;
  • valorizzare le conoscenze acquisite.

Concludiamo l’articolo segnalando che lo strumento si sofferma anche sugli orientamenti preventivi in relazione ai:

  • rischi legati allo sviluppo delle competenze;
  • rischi legati all’utilizzo di competenze;
  • rischi legati alla trasmissione di competenze.

Il documento della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP), “Aging E-book”, è scaricabile all’indirizzo:

https://www.ciip-consulta.it/index.php?option=com_phocadownload&view=category&id=1:ebook&Itemid=609

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LA CORRELAZIONE TRA ETA’ ANAGRAFICA E INFORTUNI DEI LAVORATORI

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

27/03/18

di Massimo Servadio

Quante e quali correlazioni ci sono tra l’età anagrafica dei lavoratori e l’indice degli infortuni? Come è percepito l’invecchiamento da parte del lavoratore?

All’interno della globale sottovalutazione del fenomeno infortunistico, e nella ancora molto diffusa mancanza di cultura della sicurezza, si è iniziato solo di recente a prendere in esame il particolare problema del rapporto tra invecchiamento e infortuni sul lavoro. Secondo le recenti statistiche INAIL, emerge il fatto che sia la frequenza infortunistica che la gravità tendono ad aumentare con l’età del lavoratore che rimane vittima, in modo più o meno grave, dell’infortunio stesso.

In particolare si evidenzia un picco evidente per i lavoratori di età uguale o superiore ai 65 anni.

Dal punto di vista del periodo di degenza dal momento dell’infortunio al momento di ripresa dell’attività lavorativa, si deve tenere conto delle capacità di ripresa dell’infortunato dal punto di vista fisico: spesso i lavoratori più anziani hanno bisogno di un periodo di recupero più lungo rispetto ai lavoratori più giovani, a causa dei vari cambiamenti fisiologici associati all’età, che inibiscono di conseguenza la capacità di guarigione dell’organismo. Particolare attenzione va poi riposta nel contesto lavorativo e nella sua organizzazione, ovvero vanno prese in considerazione le differenti mansioni dei lavoratori e quindi anche i rischi particolari connessi con le attività stesse. Sempre da un punto di vista fisiologico, è chiaro che i lavoratori più anziani possano essere maggiormente a rischio in relazione a certi specifici tipi di infortuni o malattie professionali, in particolare quelle che possono impattare sulla schiena, gli arti inferiori, l’udito, in cui la fragilità dell’apparato scheletrico, ipoacusie, e altro sono fenomeni perfettamente normali e direttamente correlate con l’invecchiamento dell’organismo, indipendentemente dal tipo di attività lavorativa svolta dall’individuo. Questo comporta quindi che lavoratori di età differenti possano essere suscettibili o più o meno vulnerabili a differenti tipi specifici di infortunio.

Nelle statistiche prese in esame è da tenere presente che i dati raccolti a fronte di incidenti e/o infortuni, sono sempre frutto di una valutazione di tipo giuridico, che quindi tendono a tenere nascoste in prima battuta le differenze individuali dovute all’età, la condizione psico-fisica ed emotiva dell’infortunato al momento dell’evento, e in secondo luogo anche informazioni relative alle misure di prevenzione individuate dall’Organizzazione Aziendale.

Dal punto di vista del fattore umano, quale potrebbe essere la percezione della singola persona relativa al proprio invecchiamento? E’ possibile che nell’ambito di specifiche attività lavorative, i lavoratori più anziani possano essere messi a confronto con diverse difficoltà sempre più crescenti, correlate spesso con una diminuzione delle loro capacità fisiche. La domanda a questo punto è: i singoli lavoratori sono in grado di compensare in qualche modo questi “deficit” del loro organismo? Se l’attività, ad esempio, richiedesse specifiche capacità cognitive specializzate, gli individui sarebbero in grado di sfruttare le loro conoscenze tecniche a loro favore, e contrastare quindi il deterioramento delle loro abilità fisiche per l’esecuzione dei lavori? O parallelamente, come potrebbero reagire i singoli lavoratori più anziani, nel caso in cui l’esperienza nel settore lavorativo non possa più fungere da compensazione, lasciando quindi che le richieste derivanti dalla tipologia di lavoro e dall’Organizzazione Aziendale stessa effettivamente superino progressivamente le capacità di base del lavoratore?

Procediamo quindi a un’analisi di queste due possibili situazioni che si possono presentare, adottando la premessa che l’età anagrafica degli individui possa anche non rappresentare un indicatore universale del rapporto “invecchiamento-lavoro-infortuni”, tenendo presenti non solo le limitazioni dovute all’invecchiamento stesso e che possono agire sulle capacità individuali, ma anche un miglioramento delle performance lavorative dal punto di vista della qualità dell’esecuzione di un lavoro dal punto di vista tecnico e da una migliore gestione individuale del carico di lavoro e dell’individuale percezione del rischio, acquisiti attraverso l’esperienza.

Alcune attività lavorative possono essere indebolite dall’età in quanto le capacità tecniche individuali di base vengono superate dalle esigenze poste dal lavoro in modo più esteso; nel caso dei lavoratori più anziani, la loro esperienza non riesce più a compensare le limitazioni connesse con l’avanzamento dell’età. Ciò potrebbe comportare che le performance siano negativamente condizionate, sia dal punto di vista tecnico che da quello emotivo-mentale, soprattutto nell’ambito di attività in cui viene richiesto un continuo e rapido processo formativo e informativo, unitamente ad attività e sforzi fisici frequenti che richiedano un rapido cambiamento nell’ambito dell’esecuzione dei lavori e pertanto una necessità di un altrettanto rapido apprendimento di procedure aziendali e nuove funzionalità tecnologiche.

Ma mentre le abilità fisiche e di adattamento potrebbero tendere a diminuire con l’aumentare dell’età, l’efficienza lavorativa a livello globale, può in qualche modo rimanere invariata o addirittura accrescersi con l’aumentare dell’età? E se l’invecchiamento rappresentasse un fattore negativo delle performance lavorative solo in alcune tipologie di contesto lavorativo? Se invece si manifestasse un innalzamento delle performance lavorative attraverso l’acquisizione continua di esperienza su un luogo di lavoro o di una specifica mansione?

Forse perfino all’interno di uno stesso lavoro, l’avanzamento dell’età potrebbe avere effetti diversi sulla performance e quindi di conseguenza sulla sicurezza. Mentre da un lato alcuni lavoratori più anziani possano sentirsi indeboliti dal declino delle loro capacità di base, o addirittura mentalmente o fisicamente incapaci di rispondere alle richieste lavorative della loro Organizzazione di appartenenza, magari anche al punto di abbandonare le lavorazioni più difficili e pericolose, non possiamo escludere a priori che una selezione di lavoratori sempre in età avanzata sfrutti la propria capacità lavorativa alta come un buon esempio da fornire ai lavoratori più giovani; questo processo di auto-motivazione, non potrebbe essere visto anche come un accrescimento delle capacità mirato a lavorare in modo più sicuro?

Premesso inoltre che i lavoratori più anziani siano più soggetti a incidenti prevenibili grazie a una rapidità di riflessi, è altresì vero che gli stessi siano allo stesso modo soggetti a infortuni prevenibili con l’attenzione e una buona capacità di valutazione della specifica situazione; la linea di confine tra l’esperienza e la troppa confidenza può essere molto, molto sottile, e spesso il passaggio da una combinazione benefica “età-esperienza” per il lavoratore dopo un certo periodo di tempo, diventa uno svantaggio quando si manifesta un calo della percezione del rischio connesso con l’attività lavorativa di interesse.

In moltissimi contesti, prevale ancora una cultura che tende a sottovalutare le misure di prevenzione adottate, e a prendere in carico gli eventi avversi quando ormai sono già successi; si può affermare con un certo margine di certezza che in moltissimi contesti lavorativi i lavoratori si affidano quasi alla fatalità degli eventi senza sentirsi parte dell’evoluzione organizzativa relativa alla sicurezza sui luoghi di lavoro. Eppure gli infortuni sono per lo più prevedibili, quindi, di conseguenza, evitabili, a differenza di altre possibili cause di invalidità quali le malattie cronico-degenerative.

Sempre da un punto di vista culturale, vi può essere la tendenza, da parte dei lavoratori più anziani, non solo alla sottovalutazione di situazioni di pericolo che potrebbero comportare, in seguito, un infortunio o comunque un evento avverso prevedibile, ma anche di non denunciare o segnalare all’Organizzazione Aziendale di riferimento gli infortuni molto lievi (che quindi si limitano all’apertura della Cassetta di Primo Soccorso, senza ulteriori conseguenze), in quanto vengono considerati eventi giornalieri standard e che quindi non devono assumere più di tanta importanza.

A fronte di quanto affermato, un processo di formazione relativo all’ invecchiamento aziendale unitamente alle diverse percezioni del rischio in base all’età anagrafica dei lavoratori, potrebbe essere una buona arma per stimolare i concetti di sicurezza e consapevolezza dei rischi e delle situazioni di pericolo all’interno del proprio ambiente di lavoro.

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LAVORARE SU COPERTURE E IN QUOTA SENZA PROTEZIONI

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

29/03/18

Esempi di infortuni in cui è non viene utilizzato o fornito un dispositivo di trattenuta come la cintura di sicurezza. Incidenti su terrapieni e su coperture. Le dinamiche degli infortuni, i fattori causali e le norme tecniche.

A sfogliare tra le schede di INFOR.MO., un’importante strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi, non c’è dubbio che una delle cause di infortunio più citate, in relazione sia ai casi gravi che mortali, è quella relativa alla mancanza di protezioni idonee per le cadute dall’alto.

E in molte schede viene sottolineato, tra gli specifici fattori causali correlati all’infortunio, il mancato uso di cinture di sicurezza, dispositivi di trattenuta che, in caso di caduta, trattengono l’operatore impedendone lo scivolamento e/o il rotolamento.

Nel nostro viaggio della rubrica “Imparare dagli errori”, attraverso gli infortuni con mancata fornitura o mancato utilizzo di DPI anticaduta, torniamo dunque a soffermarci oggi sul tema delle conseguenze dell’assenza di adeguate cinture di sicurezza nei lavori su copertura e nei lavori in quota.

Il primo caso riguarda un infortunio avvenuto durante lavori di impermeabilizzazione di un canale di scarico dell’acqua piovana presente sulla copertura di un capannone industriale, costituita da lastre in cemento amianto poggianti su travi portanti in cemento armato.

Un lavoratore per effettuare il lavoro si muove lungo le parti portanti utilizzate come vie di transito.

Mentre il lavoratore procede a posizionare la guaina impermeabilizzante sul canale di scolo, per cause che non sa riferire, calpesta una lastra in cemento amianto che cede, facendolo precipitare da un’altezza di circa 4 metri sul pavimento all’interno del capannone.

Si procura fratture in sedi multiple.

L’infortunato non si era dotato di dispositivi di protezione individuale anticaduta.

Questi i fattori causali dell’incidente rilevati dalla scheda:

  • il lavoratore si muove su un tetto non portante in assenza di idonee protezioni e mettendo un piede in fallo;
  • assenza di cinture di sicurezza.

Molto breve il secondo caso che riguarda una caduta di un lavoratore dopo essere salito su una copertura.

Il lavoratore sale su una copertura in lastre ondulate in cemento amianto per arrivare ad un palo. La copertura non regge il peso del lavoratore e cede facendolo rovinosamente cadere da una altezza superiore a due metri.

L’infortunato ha riportato la frattura del coccige. Non indossava cintura di sicurezza.

I fattori causali:

  • mancano i percorsi attrezzati per camminare e stazionare in sicurezza;
  • il lavoratore saliva su una copertura in cemento amianto per accedere su un palo;
  • il lavoratore non indossava le cinture di sicurezza.

Il terzo caso riguarda un altro infortunio relativo alla verifica della verticalità di un muro.

Un lavoratore, con un collega, deve verificare la verticalità di un muro in cemento armato, precedentemente gettato: nello specifico, deve muovere le travi di legno a sezione quadrata (tiranti o bretelle) per mettere in allineamento la parete.

Entrambi i lavoratori si trovano su un terrapieno a circa 2,5 metri dal suolo, non protetto lungo due dei quattro lati poiché, almeno su uno dei due lati liberi, non è possibile allestire alcuna protezione collettiva a causa delle operazioni di allineamento che dovevano compiere gli operai e della qualità del terreno franoso.

Il terrapieno è caratterizzato da terreno di riporto proveniente dall’area del cantiere.

A un tratto, mentre il lavoratore sta ruotando il tirante esterno, operazione che si poteva fare posizionandosi in prossimità del crinale del terrapieno, perde l’equilibrio e cade in avanti, scivolando sulla pendenza della scarpata con l’addome, a testa in giù, fino a colpire rovinosamente con la fronte la fondazione in cemento armato (ai piedi del terrapieno). L’operaio, durante la caduta, perde l’elmetto indossato.

Immediatamente soccorso dal collega, il lavoratore è trasportato al pronto soccorso, ricoverato nel reparto di medicina d’urgenza con trauma cranico non commotivo, frattura osso frontale e ferita lacero contusa.

Non era stato allestito un sistema di linee vita, né era stata fornita all’infortunato la cintura di sicurezza.

Questi i fattori causali rilevati:

  • mancato allestimento sistema di linee vita;
  • il lavoratore perdeva l’equilibrio e cadeva in avanti;
  • mancata fornitura di cintura di sicurezza, non essendo possibile altro sistema di protezione collettiva contro la caduta dall’alto.

Ci siamo già soffermati in molti articoli, anche di “Imparare dagli errori”, sulle cinture di sicurezza, su questi dispositivi di trattenuta dove con “trattenuta” si intende la condizione che per la lunghezza del cordino e del posizionamento dell’ancoraggio rende impossibile la caduta.

A ricordarlo è la scheda “Cintura di sicurezza UNI 358 (DPI002)”, che segnala che tale cintura non rientra fra i sistemi di protezione contro la caduta dall’alto (vedi D.Lgs. 81/08, articolo 115). Non può essere considerato un Dispositivi di Protezione Individuale di arresto caduta ai fini di anticaduta dall’alto, ma solo quale dispositivo di trattenuta.

Oltre a presentare il dispositivo e a segnalarne le caratteristiche, la scheda riporta alcuni elementi di criticità di questo dispositivo:

  • può essere usato solo quale elemento di trattenuta e non ai fini anticaduta;
  • dipendenza, ai fini dell’efficacia della cintura, da un sistema perfettamente funzionante nei suoi elementi costitutivi e/o subsistemi, di cui la cintura stessa è solo un componente;
  • esistenza di un punto di ancoraggio affidabile;
  • cattivo stato di conservazione;
  • utilizzo erroneo da parte dell’operatore, se non sufficientemente istruito sul modo corretto di indossare la cintura;
  • esistenza di bordi taglienti, la temperatura elevata, la conducibilità termica, ecc.

Ricordiamo, in conclusione, che la norma UNI che parla delle cinture di posizionamento è la UNI EN 358:2001 “Dispositivi di protezione individuale per il posizionamento sul lavoro e la prevenzione delle cadute dall’alto – Cinture di posizionamento sul lavoro e di trattenuta e cordini di posizionamento sul lavoro”.

La norma è la versione in lingua italiana della norma europea EN 358 (edizione dicembre 1999) e, con riferimento a cinture e cordini destinati al posizionamento sul lavoro o alla trattenuta, specifica i requisiti, le prove, la marcatura e le informazioni fornite dal fabbricante.

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo sono state presentate le schede numero 4671, 4303, 3099, è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

La scheda “Cintura di sicurezza UNI 358 (DPI002)” è consultabile all’indirizzo:

http://www.coperturasicura.toscana.it/index.php/dispositivi-di-protezione/dpi-dispositivi-di-protezione-individuale/209-dpi-02-cintura-di-sicurezza-uni-en-358

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