SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 299 DEL 11/05/18

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 299 DEL 11/05/18

INDICE

  • Le “Frequently Asked Questions” di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights! – n.26
  • Analisi e proposte sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (Gruppo Lavoro e Salute) – Congresso Nazionale di Medicina Democratica Onlus Napoli 20-22 aprile 2018
  • Gli incidenti che avvengono nei pozzi e nelle fosse
  • Quando mancano i DPI anticaduta

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

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LE “FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO – KNOW YOUR RIGHTS! – N.26

Nella mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro, spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.

In qualche caso invece le richieste che mi pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche risposte a domande su temi molto specifici e limitati.

Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia newsletter.

Ovviamente, per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.

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Ciao Marco,

avevo bisogno di un parere.

Lavoro in un’azienda di pulizie industriali.

In una ditta che ci ha appaltato dobbiamo effettuare la pulizia delle cappe di aspirazione degli impianti.

Le cappe sono alte circa 3 m da terra.

Ci hanno detto che ci daranno un ponteggio per andare in alto.

Come deve essere il ponteggio e gli indumenti che dovremo usare in termini di sicurezza?

Grazie.

Ciao,

per “lavoro in quota” si intende (articolo 107 del D.Lgs. 81/08) una “attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore ai 2 m rispetto a un piano stabile”.

Nel tuo caso quindi si devono applicare gli obblighi legislativi relativi appunto ai lavori in quota.

In generale nell’utilizzo di attrezzature per eseguire lavori in quota (trabattelli, scale, ponteggi, ecc.) il datore di lavoro deve rispettare gli obblighi di cui all’articolo 111 del D.Lgs. 81/08:

1. Il datore di lavoro, nei casi in cui i lavori temporanei in quota non possono essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un luogo adatto allo scopo, sceglie le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformità ai seguenti criteri:

  1. a) priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
  2. b) dimensioni delle attrezzature di lavoro confacenti alla natura dei lavori da eseguire, alle sollecitazioni prevedibili e ad una circolazione priva di rischi.
  3. Il datore di lavoro sceglie il tipo più idoneo di sistema di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota in rapporto alla frequenza di circolazione, al dislivello e alla durata dell’impiego. Il sistema di accesso adottato deve consentire l’evacuazione in caso di pericolo imminente. Il passaggio da un sistema di accesso a piattaforme, impalcati, passerelle e viceversa non deve comportare rischi ulteriori di caduta.
  4. Il datore di lavoro dispone affinché sia utilizzata una scala a pioli quale posto di lavoro in quota solo nei casi in cui l’uso di altre attrezzature di lavoro considerate più sicure non è giustificato a causa del limitato livello di rischio e della breve durata di impiego oppure delle caratteristiche esistenti dei siti che non può modificare.
  5. Il datore di lavoro dispone affinché siano impiegati sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi alle quali il lavoratore è direttamente sostenuto, soltanto in circostanze in cui, a seguito della valutazione dei rischi, risulta che il lavoro può essere effettuato in condizioni di sicurezza e l’impiego di un’altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non è giustificato a causa della breve durata di impiego e delle caratteristiche esistenti dei siti che non può modificare. Lo stesso datore di lavoro prevede l’impiego di un sedile munito di appositi accessori in funzione dell’esito della valutazione dei rischi ed, in particolare, della durata dei lavori e dei vincoli di carattere ergonomico.
  6. Il datore di lavoro, in relazione al tipo di attrezzature di lavoro adottate in base ai commi precedenti, individua le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori, insiti nelle attrezzature in questione, prevedendo, ove necessario, l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute. I predetti dispositivi devono presentare una configurazione ed una resistenza tali da evitare o da arrestare le cadute da luoghi di lavoro in quota e da prevenire, per quanto possibile, eventuali lesioni dei lavoratori. I dispositivi di protezione collettiva contro le cadute possono presentare interruzioni soltanto nei punti in cui sono presenti scale a pioli o a gradini.
  7. Il datore di lavoro nel caso in cui l’esecuzione di un lavoro di natura particolare richiede l’eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute, adotta misure di sicurezza equivalenti ed efficaci. Il lavoro è eseguito previa adozione di tali misure. Una volta terminato definitivamente o temporaneamente detto lavoro di natura particolare, i dispositivi di protezione collettiva contro le cadute devono essere ripristinati.
  8. Il datore di lavoro effettua i lavori temporanei in quota soltanto se le condizioni meteorologiche non mettono in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori.
  9. Il datore di lavoro dispone affinché sia vietato assumere e somministrare bevande alcoliche e superalcoliche ai lavoratori addetti ai cantieri temporanei e mobili e lavori in quota”.

Tale articolo, di natura del tutto generale, impone già dei punti fermi di cui tenere conto in caos di lavori in quota:

  • priorità di accesso a partire da un adatto luogo già esistente;
  • priorità delle misure collettive (ponteggi, trabattelli) rispetto alle individuali (imbracature di sicurezza);
  • utilizzo del sistema di accesso più adatto con possibilità di evacuare l’area di lavoro anche in condizioni di emergenza;
  • utilizzo di scale a pioli solo in casi particolari;
  • scelta di adeguati sistemi di protezione contro le cadute;
  • esecuzione di lavori in quota solo in condizioni meteorologiche adeguate.

Il dettaglio di come devono essere realizzati i sistemi di accesso in quota (trabattelli, ponteggi, scale) è trattato in numerosi articoli e allegati del Decreto:

  • articoli da 112 a 114;
  • articoli da 122 a 140;
  • allegati da XVIII a XX;
  • allegati XXII e XXIII.

Tale mole di normativa non può essere trattata ovviamente in maniera esaustiva in una risposta sintetica.

Esistono però linee guida e pubblicazioni tecniche che trattano in dettaglio l’argomento, tra cui cito le seguenti:

  • INAIL Quaderno Tecnico su ponteggi fissi

http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/intranet/documents/document/ucm_153623.pdf

  • INAIL Quaderno Tecnico su trabattelli

http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_182168.pdf

  • INAIL Quaderno Tecnico sui parapetti provvisori

http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_181798.pdf

  • INAIL Quaderno Tecnico sulle scale portatili

http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_181839.pdf

  • INAIL Quaderno Tecnico sui sistemi di protezione individuali dalle cadute

http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_181800.pdf

  • ISPESL Linee guida per l’esecuzione di lavori temporanei in quota con l’impiego di sistemi di accesso e posizionamento mediante ponteggi metallici fissi di facciata;

http://www.casaportale.com/public/uploads/norme-8243-pdf3.pdf

http://www.casaportale.com/public/uploads/norme-8243-pdf2.pdf

  • Linee guida per la scelta, uso e la manutenzione delle scale portatili

http://www.casaportale.com/public/uploads/norme-8243-pdf3.pdf

  • Linee guida per la scelta, uso e la manutenzione di dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall’alto:

http://www.casaportale.com/public/uploads/norme-8243-pdf4.pdf

Tenendo conto però della complessità dell’argomento, il mio consiglio è quello di chiedere delucidazioni al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione o a un responsabile (dirigente o preposto) dell’azienda.

Occorre inoltre tenere conto che i lavoratori che eseguono lavori in quota devono essere preventivamente informati, formati e addestrati in merito ai rischi presenti nelle lavorazioni e alle misure di prevenzione e protezione da adottare di conseguenza, compreso il corretto utilizzo e controllo di ponteggi e trabattelli e dei dispositivi di protezione contro le cadute dall’alto.

Tale obbligo rientra tra quelli generali di formazione dei lavoratori stabiliti dagli articoli 36 e 37 del Decreto.

Marco

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Buongiorno Marco!

Volevo chiederti un chiarimento riguardante la sicurezza sul lavoro.

Come devono essere i guanti per chi adopera degli acidi? A noi di solito danno quelli in lattice e finisce che ci si rovina le mani perché l’acido penetra attraverso il lattice.

Ti ringrazio per i chiarimenti e i consigli che potrai darmi.

Un caloroso abbraccio.

Ciao,

i guanti, come tutti i Dispositivi di Protezione Individuali (DPI), devono essere scelti dal datore di lavoro, non sulla base di sue opinioni personali, magari legate a motivazioni economiche, ma secondo precisi criteri indicati sia nella legislazione generale di tutela di salute e sicurezza (D.Lgs.81/08 e D.Lgs. 475/92), sia nelle norme tecniche applicabili.

Per quanto riguarda il primo aspetto, l’articolo 76 del Decreto impone che:

1. I DPI devono essere conformi alle norme di cui al Decreto Legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, e sue successive modificazioni.

  1. I DPI di cui al comma 1 devono inoltre:
  2. a) essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore;
  3. b) essere adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro;
  4. c) tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore;
  5. d) poter essere adattati all’utilizzatore secondo le sue necessità”.

Il D.Lgs. 475/92 e sue modifiche e integrazioni è il recepimento in Italia della Direttive Europee 89/686/CEE, 93/68/CEE, 93/95/CEE e 96/58/CE.

Lo puoi comunque scaricare da Internet, ad esempio all’indirizzo:

https://www.mib.infn.it/main/media/Servizio_Prevenzione_Protezione/PROCEDURE/DPI/Leggi/2007-06-04-16-58-04-DL%2520475%2520e%252010.pdf

Tieni conto però dal 21 aprile 2018 le Direttive sopra citate sono state abrogate e sostituite dal Regolamento (UE) 2016/425, anche se il riferimento presente nell’articolo 76 del D.Lgs. 81/08 non è stato ancora modificato.

Il Regolamento (UE) 2016/425 lo puoi scaricare all’indirizzo:

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32016R0425&from=IT

Sostanzialmente, riguardo a quanto di seguito riportato, tra D.Lgs. 475/92 e Regolamento (UE) 2016/425, non vi sono sostanziali differenze.

Tale Decreto/Regolamento impone sostanzialmente delle regole ben precise applicabili ai fabbricanti di DPI per la loro realizzazione e commercializzazione.

Tale Decreto/Regolamento rimanda per le caratteristiche che devono possedere i DPI a norme tecniche (le cosiddette “norme armonizzate”) emesse dall’istituto di normazione europea EN e recepite in Italia dall’istituto di normazione italiano UNI.

Solo i DPI conformi a tali norme armonizzate possono essere immessi sul mercato e devono recare un’etichetta con il simbolo CE e la norma armonizzata di riferimento e contenere all’interno della confezione una nota informativa su come utilizzare i DPI in funzione dei possibili rischi a cui è sottoposto il lavoratore.

Tenendo conto di tali norme, il datore di lavoro deve effettuare la scelta dei DPI, in funzione dei rischi presenti nelle attività lavorative, secondo quanto disposto dall’articolo 77, comma 1 del Decreto:

1. Il datore di lavoro ai fini della scelta dei DPI:

  1. a) effettua l’analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi;
  2. b) individua le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi di cui alla lettera a), tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli stessi DPI;
  3. c) valuta, sulla base delle informazioni e delle norme d’uso fornite dal fabbricante a corredo dei DPI, le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta con quelle individuate alla lettera b);
  4. d) aggiorna la scelta ogni qualvolta intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione

[…]”

Pertanto il datore di lavoro deve individuare le caratteristiche minime di protezione che devono avere i DPI in funzione della norma tecnica corrispondente e deve acquistare i DPI che abbiano quelle caratteristiche minime di protezione.

In merito al rischio da contatto con prodotti chimici, le norme armonizzate di riferimento sono le:

  • UNI EN 374-1:2004Guanti di protezione contro prodotti chimici e microorganismi – Parte 1: Terminologia e requisiti prestazionali”;
  • UNI EN 374-2:2015Guanti di protezione contro i prodotti chimici e microorganismi pericolosi – Parte 2: Determinazione della resistenza alla penetrazione”.

Secondo tali norme, i DPI devono essere realizzati per poter resistere alla penetrazione di vari tipi di agenti chimici e devono riportare sull’etichetta un simbolo di provetta chimica seguito da una o più lettere dalla A alla L, a ognuna delle quali corrisponde l’agente chimico che il guanto è in grado di proteggere.

A esempio un guanto per la protezione dal metanolo deve riportare in etichetta il simbolo della provetta seguito dalla lettera A (quella che nella codifica delle norme armonizzate corrisponde al metanolo).

Venendo al tuo caso, vedrai che i guanti in lattice (quelli monouso) non riportano alcuna marcatura CE, né alcuna indicazione, perché non sono DPI, ma solo ausili per proteggere dalla polvere o dallo sporco, ma non da agenti chimici.

I guanti da utilizzare per la manipolazione di agenti chimici devono avere nella confezione e sui guanti il marchio CE, il riferimento alle norme armonizzate di cui sopra, il simbolo della provetta e almeno la lettera L (quella relativa alla classe degli acidi minerali inorganici).

Inoltre i guanti devono essere accompagnati da nota informativa (anche in italiano) che illustri le loro caratteristiche e la modalità di utilizzo.

Anche in questo caso al lavoratore deve essere impartita specifica informazione e formazione, secondo quanto disposto dall’articolo 77, comma 4, lettera h):

Il datore di lavoro assicura una formazione adeguata e organizza, se necessario, uno specifico addestramento circa l’uso corretto e l’utilizzo pratico dei DPI”.

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Ciao Marco,

volevo chiederti un’informazione per quanto riguarda uno strumento che vogliono applicare ai lavoratori nell’azienda in cui lavoro.

Ci hanno comunicato che dalle ore 17:00 alle ore 22:00 i lavoratori non resteranno più in coppia, ma resterà solo un lavoratore a finire il turno. Verrà quindi munito di un apparecchio da fissare in zona fianchi, cosi in caso che il lavoratore abbia problemi potrebbe azionarlo, oppure se non dovesse essere in grado di azionarlo, lo strumento farebbe scattare un allarme che farebbe intervenire i colleghi.

Noi come RLS non siamo d’accordo.

L’azienda ci ha detto che loro sono in regola con le varie leggi che tutelano la salute e sicurezza sul lavoro.

Grazie

Ciao,

per quanto riguarda il tuo quesito, non ci sono all’interno del D.Lgs. 81/08 regole specifiche relative al lavoro isolato. L’orario che tu citi tra l’altro non ricade nemmeno all’interno della tipologia di “lavoro notturno”, per cui non si può applicare la normativa di tutela del D.Lgs. 66/03.

Il problema va quindi affrontato in termini di carattere generale, basandoci sui principi generali di tutela dettati dal D.Lgs. 81/08.

Uno di questi principi è che l’azienda può operare ogni cambiamento tecnico e organizzativo, solo questo comporta un miglioramento dei livelli di salute e sicurezza.

In altre parole, ogni cambiamento non può comportare un peggioramento dei livelli di salute e sicurezza per i lavoratori.

A livello puramente indicativo e non cogente (cioè non obbligatorio e quindi non sanzionabile), tale principio è sancito dall’articolo 15, comma 1, lettera t) che tra le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro include:

la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, anche attraverso l’adozione di codici di condotta e di buone prassi”.

In termini cogenti invece, vale l’obbligo relativo alla valutazione dei rischi, sancito dall’articolo 28, comma 2 lettera c), secondo il quale il documento di valutazione dei rischi deve contenere:

il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza”.

Inoltre vale l’obbligo di rielaborare la valutazione dei rischi in caso di modifiche dell’organizzazione del lavoro, ai sensi dell’articolo 29, comma 3:

La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata […] in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori […]”.

Nel caso da te citato la modifica organizzativa comporta il passaggio dal “lavoro in coppia” al “lavoro isolato”.

Non conoscendo in dettaglio la mansione a cui si applica questa variazione, posso immaginare che tale cambiamento comporti un incremento di rischi relativamente ai seguenti aspetti:

  • aumento dello stress lavoro correlato, per non poter condividere con altri le proprie decisioni;
  • aumento della movimentazione manuale dei carichi (se essa è presente nella mansione);
  • aumento del rischio di mancato o tardivo intervento in caso di infortunio o malore.

L’azienda deve pertanto formalizzare la valutazione di tali rischi, verificando la loro entità a seguito della variazione che intende attuare nell’ambito della specifica mansione.

Se, ma solo se, i primi due rischi non si incrementano in maniera significativa (ad esempio per la possibilità di poter sempre comunque condividere con un superiore le proprie decisioni se critiche e per il basso livello di rischio da movimentazione manuale dei carichi), l’aumento del terzo rischio (che è invece significativo) può essere compensato con l’utilizzo dei cosiddetti dispositivi a “uomo morto” (definizione molto poco simpatica…).

Esistono in commercio, proprio per chi effettua lavori isolati, svariate dispositivi che in caso di infortunio o malore o vengono azionati dal lavoratore (tipo i “salvavita” Beghelli), oppure, se ciò non avviene, emettono e trasmettono un segnale di allarme (ad esempio se il lavoratore passa repentinamente da posizione in piedi a posizione supina).

Tali apparecchi hanno una reale efficacia, solo se il sistema di gestione delle emergenze in azienda permette di integrarli in maniera tale da non incrementare il rischio per i lavoratori isolati.

E’ necessario pertanto che:

  • gli apparecchi siano testati prima del loro utilizzo simulando tutte le possibili situazioni di emergenza;
  • gli apparecchi siano tenuti in perfetta efficienza tramite regolare manutenzione, come richiesto dal loro fabbricante;
  • l’allarme sia diramato in maniera efficiente (ad esempio non in portineria, ma direttamente agli Addetti Emergenza);
  • sia definita una specifica procedura di intervento in emergenza, da inserire nel Piano di Emergenza Aziendale;
  • i lavoratori che li usino siano adeguatamente formati e addestrati sul loro uso in emergenza;
  • gli altri lavoratori siano parimenti informati su come comportarsi in caso si verifichi l’allarme, con particolare riferimento agli Addetti Emergenza (antincendio e primo soccorso);
  • le dimensioni e il lay out della azienda permettano un immediato intervento da parte degli Addetti Emergenza in caso di attivazione degli allarmi;
  • i tempi di intervento degli Addetti Emergenza a seguito di attivazione dell’allarme siano equivalenti a quelli attuali;
  • vengano eseguite prove di simulazione per verificare il mantenimento delle garanzie in caso di emergenza, rispetto a quanto avviene attualmente.

Solo nel rispetto di quanto sopra (e se non sussistono altri rischi, che non posso immaginare, non conoscendo in dettaglio la mansione) è possibile passare da lavoro a coppia a lavoro isolato, con utilizzo di apparecchi di allarme.

A disposizione per ulteriori chiarimenti.

Marco

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NOTA

Nel testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i seguenti acronimi e termini:

ASL = Azienda Sanitaria Locale

CCNL = Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro

DPI = Dispositivi di Protezione Individuali

DVR = Documento di Valutazione dei Rischi

DUVRI = Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori in appalto

OS = Organizzazioni Sindacali

RSPP = Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione

ASPP = Assistente al Servizio di Prevenzione e Protezione

RLS = Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza

RSA = Rappresentanze Sindacali Aziendali

RSU = Rappresentanze Sindacali Unitarie

D.Lgs. 81/08 o Decreto o TUSL: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro”)

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ANALISI E PROPOSTE SULLA SALUTE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO (GRUPPO LAVORO E SALUTE)

CONGRESSO NAZIONALE DI MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS NAPOLI 20-22 APRILE 2018

LA STORIA

La lotta per la Salute nei Luoghi di lavoro nasce dalle lotte del 1968-69 e la sua onda lunga arriverà fino al 1980: lo slogan di quegli anni fu “dalla monetizzazione alla prevenzione dei rischi lavorativi”.

Nasce in quegli anni una metodologia innovativa basata sui Gruppi Operai Omogenei, sulla ricostruzione in ciascun gruppo del ciclo lavorativo e del relativo Profilo di Rischio: concetti totalmente innovativi furono rappresentati dalla soggettività dei lavoratori, la non delega ai tecnici, la validazione consensuale, e inoltre i 4 gruppi di fattori di rischio (chimico, fisico, fatica fisica e organizzazione del lavoro). Nasce in quel periodo il delegato alla sicurezza per reparto/gruppo omogeneo.

Le lotte di fabbrica incontrano il movimento studentesco: soprattutto le facoltà scientifiche (medicina, fisica, chimica, ingegneria) vengono coinvolte: nasce una generazione di medici del lavoro (ma anche fisici, chimici, ingegneri) che assumono il punto di vista operaio e la nuova metodologia: la salute non si paga, la nocività si elimina, il concetto di MAC 0 (zero), il registro dei dati ambientali, il libretto dei dati sanitari e biostatistici.

Il convegno della FIOM svoltosi a Roma nel 1972 e il Convegno di Firenze del 1973 (organizzato dal Partito di Unità Proletaria) rappresentano la prima sistematizzazione organica di questa fase storica: il Consiglio di Fabbrica della Montedison di Castellanza con Luigi Mara ne rappresenta forse il punto più alto (l’intero 2° volume degli atti del convegno di Firenze con la metodologia di intervento è curato dai compagni di Castellanza).

La naturale evoluzione del convegno di Firenze del 1973 è rappresentata dalla nascita di Medicina Democratica Movimento di Lotta per la Salute, il cui congresso fondativo si svolge a Bologna il 14 e 15 maggio 1976.

Torino (le lotte alla FIAT contro i ritmi e la nocività) e Castellanza rappresentano i momenti alti di quelle esperienze che vedono l’incontro con il Movimento Operaio di due figure di medici e intellettuali di altissimo livello: Giulio Maccacaro che sarà nel 1976 il primo Presidente e fondatore di Medicina Democratica, Direttore dell’Istituto di Biometria e Statistica dell’Università di Milano e Ivar Oddone, medico e psicologo del lavoro all’Università di Torino.

In quegli anni (1972-73) nascono i Servizi di Prevenzione nei Luoghi di Lavoro all’interno dei Consorzi Socio-Sanitari. I lavoratori, utilizzando l’articolo 9 della Legge 300/70 (Statuto dei lavoratori), possono far entrare in fabbrica i medici e i tecnici dei servizi, dichiaratamente di parte.

Nel dicembre 1978 la Legge 833 “Riforma Sanitaria” porta alla nascita delle USL e i Servizi di Prevenzione nei Luoghi di Lavoro hanno la loro istituzionalizzazione: all’inizio del 1981 le funzioni ispettive e di vigilanza e controllo passano dall’Ispettorato del Lavoro ai Servizi Prevenzione delle USL. Paradossalmente, proprio mentre è in atto ormai il riflusso delle lotte operaie per la salute in fabbrica dopo la sconfitta operaia alla FIAT i lavoratori ottengono una significativa vittoria a livello normativo.

Cosa resta oggi di quella stagione straordinaria e per certi versi irripetibile? Non molto. Alcune fiammate ci sono state negli ultimi 35 anni, ma sono state lotte di resistenza residuali (vedi lotta alla FIAT-SATA di Melfi contro le 12 notti consecutive).

Poco resta delle grandi fabbriche che hanno fatto quella storia e quelle che restano sono nettamente ridimensionate.

Negli ultimi 20-25 anni lo scenario della Salute e Sicurezza sul Lavoro si modifica profondamente: sono state recepite a partire dal D.Lgs 277/91 e poi dal D.Lgs 626/94 per arrivare al D.Lgs 81/08 le Direttive Europee per la Salute e Sicurezza sul Lavoro per le quali è il datore di lavoro ad avere l’obbligo di valutare tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro compresi quelli organizzativi. I lavoratori hanno i loro RLS che hanno alcuni poteri, ma a differenza dei vecchi Delegati alla Sicurezza di 40 anni fa, non rappresentano i Gruppi Omogenei dei Lavoratori. I Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza sono quasi sempre nominati all’interno delle Rappresentanze Sindacali Unitarie; poche volte eletti direttamente dai lavoratori. Spesso sono isolati e discriminati, quando riescono a svolgere bene il loro lavoro, altre volte sono nominati dal datore di lavoro e quindi collusi con lo stesso e perdono la fiducia dei lavoratori.

Gli ambienti di lavoro sono sicuramente molto migliorati rispetto a 40 anni fa, ma come spesso avviene si stanno facendo oggi passi indietro proprio a causa della perdita di potere dei lavoratori. Il rischio chimico e fisico si è oggi modificato per cui oggi bisogna tener conto non solo di esposizioni medio-alte (oggi rare) ma soprattutto delle basse esposizioni e di alte esposizioni che avvengono “una tantum” (magari in coincidenza di lavorazioni di manutenzione impianti) che sono foriere di nuove patologie degenerative multifattoriali (vedi Sindrome da Sensibilità Chimica Multipla e Sindrome da Elettrosensibilità).

Le patologie da Fatica Fisica e da Organizzazione Del Lavoro rappresentano oggi una fetta preponderante di tutte le patologie da lavoro (movimentazione di pesi, movimenti ripetitivi, stress da ritmi e turni di lavoro faticosi, vessazioni e molestie sul lavoro riconducibili al termine improprio di Mobbing): è questa la nuova frontiera della prevenzione.

I tumori professionali rappresentano in gran parte l’onda lunga delle vecchie esposizioni degli anni 60-70 e 80 del 900; l’amianto, il CVM e altre sostanze chimiche rappresentano mine ad orologeria innescate e pronte, come molto spesso avviene, a esplodere.

La lotta anche processuale perché venga resa giustizia a questi lavoratori non è in contrasto con le finalità preventive che vanno comunque ancora oggi perseguite in tutti i luoghi di lavoro.

L’ INAIL sottostima ancor più i dati inerenti le malattie professionali sia vecchie che nuove. Il riconoscimento non supera il 10% delle malattie denunciate. La cosa peggiore è che le patologie non riconosciute sono spesso anche quelle tabellate. L’INAIL è sempre più percepito dai lavoratori come un Ente loro ostile.

Come dimostra l’Osservatorio indipendente sugli infortuni sul Lavoro fondato a Bologna da Carlo Soricelli non c’è una reale diminuzione degli infortuni mortali sul lavoro. I dati INAIL sottostimano notevolmente il dato complessivo in quanto non poche categorie di lavoratori non rientrano nell’Assicurazione INAIL. Nel 2017 c’è stato un aumento degli infortuni mortali lavorativi a fronte di un lieve aumento dell’occupazione costituito da contratti prevalentemente precari secondo il Jobs Act. La tendenza è confermata anche nel 2018 quando oltre allo stillicidio quotidiano di morti sul lavoro abbiamo avuto ben 4 stragi lavorative (Milano, Greco, Pioltello MI, Livorno e Treviglio BG).

Anche la Magistratura con poche eccezioni si occupa poco e spesso male di infortuni e malattie professionali. L’ipotesi di Procura Unica Nazionale non è passata e i pool che sono stati formati all’uopo con l’eccezione di quello di Torino non hanno mai seriamente funzionato. L’impressione è che i lavoratori hanno perso peso politico e quindi anche le Procure ne prendono atto e si interessino a reati come quelli di corruzione che danno loro più visibilità. Ci sono poi casi limite come quello di Firenze dove la Magistratura sta indagando su 116 operatori della Prevenzione per presunte irregolarità. Il risultato ottenuto è che sono diminuiti i controlli nei luoghi di lavoro.

CONCLUSIONI

L’impressione è che i lavoratori combattano a “mani nude” la guerra di classe che il Capitalismo nella sua versione più feroce, quella neo-liberista ha scatenato contro di loro.

Tutti i governi che si sono alternati negli ultimi 30 anni hanno lentamente ma inesorabilmente ridotto i diritti dei lavoratori prendendo atto di fatto dei nuovi rapporti di forza instauratisi tra capitale e lavoro, tutti nettamente favorevoli al primo.

La situazione attuale del lavoro è pessima: precarizzazione del lavoro, delocalizzazione, lavoro nero, i voucher aboliti solo sulla carta, da una parte e dall’altra i lavoratori a tempo indeterminato che operano con gravi difficoltà con orari di lavoro spesso impossibili (in violazione dello stesso D.Lgs. 66/03), rischiando spesso il licenziamento o in alternativa mobbing (per i lavoratori più combattivi) ed organizzazioni del lavoro sempre più disfunzionali. La Classe Dominante cerca inoltre di renderci tutti innocui (con consumismo esasperato, asservimento al pensiero unico, disinformazione tramite i “media” asserviti, perdita della solidarietà tra lavoratori), mentre nel frattempo vengono calpestati i REALI VALORI DELLA VITA, DELLA SALUTE, DELLA SICUREZZA E DELLA DIGNITA’ DELLE PERSONE e DI UNA CULTURA DEGNA DI QUESTO NOME.

Il ruolo di Medicina Democratica non è quello di sostituirsi ai lavoratori nel difendere la propria salute, nel fare le lotte, nell’organizzarsi, ma potrebbe essere quello di stimolare la loro partecipazione, attraverso una analisi degli infortuni e delle malattie professionali che dimostri, scientificamente e storicamente, come una loro partecipazione attiva a qualsiasi fase del processo produttivo possa, quantomeno, ridurre i rischi.

Sottolinea quindi come molte delle proposte che avanziamo, senza questa partecipazione organizzata, non abbiano alcuna speranza di essere concretizzabili. Quando non c’è la partecipazione attiva dei lavoratori la salute viene venduta in cambio di salario (si torna alla pratica della monetizzazione del rischio)

Peraltro con gli Sportelli Salute e del Disagio Lavorativo dovrà continuare il sostegno di Medicina Democratica a quei lavoratori infortunati o ammalati nelle vertenze contro INAIL e contro la Magistratura Civile e Penale, ormai controparte dei lavoratori con poche eccezioni. Infine sarebbe necessario che Medicina Democratica, si avvicini a tutte le forme di autoorganizzazione dei lavoratori cercando di costruire con loro percorsi comuni a partire dalla Salute e Sicurezza sul lavoro.

Per concludere, tra le responsabilità del pesante aggravamento attuale delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori, è necessario infine individuare anche il ruolo passivo delle più grandi organizzazioni sindacali del nostro paese.

Sarebbe necessario pertanto un percorso a ritroso di riconquista di diritti che per forza di cose va fatto dal basso con la ripresa delle lotte dei lavoratori, attraverso anche una ricomposizione dei mille lavori parcellizzati e in questo caso occorrerebbe un Sindacato completamente nuovo con pochi funzionari e molti lavoratori di base, che svolga un’opera di continua sensibilizzazione per costruire nuovamente una cultura di classe su questi temi, e dall’alto, se ci sarà un governo riformatore che non sia espressione di Confindustria e della Troika, che si faccia carico di una riestensione dei diritti dei lavoratori.

Resta il fatto che ai lavoratori manca oggi un soggetto politico di riferimento che sappia, partendo dalle lotte di resistenza riunificare le stesse per farne in prospettiva una Piattaforma riformatrice di governo.

PROPOSTE

Continuare con le lotte referendarie sui diritti del lavoro: l’abrogazione del Jobs Act (come si dice nella relazione Conte-Giovannini) è condizione necessaria ma non sufficiente; va rimessa mano a un ventennio di destrutturazione dei diritti del lavoro che inizio da parte del governo Prodi 1 (Pacchetto Treu); va ripristinato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori riportandolo a prima del Jobs Act.

Presentare proposte di legge che vadano a scalfire lo strapotere padronale in fabbrica e nei luoghi di lavoro, come il completamento del D.Lgs 81/08, con l’introduzione di un’area specifica sul rischio organizzativo (vedi proposta Carpentiero come Associazione Italiana Benessere e Lavoro) e come l’inserimento del reato di vessazioni sul lavoro (mobbing) nel Codice Penale (vedi proposta Rombolà come Associazione Italiana Benessere e Lavoro). Queste due proposte devono andare di pari passo col ripristino dell’articolo 18 in quanto sia in passato che oggi le aziende usano il mobbing quando non possono licenziare liberamente il lavoratore.

Inserimento nell’ordinamento penale del reato di Omicidio sul Lavoro, sulla falsariga dell’Omicidio Stradale entrato in vigore un anno fa. A tal fine esiste già una proposta di legge.

Poiché non risulta garantito l’articolo del Decreto Legislativo 81/08 che sancisce che il Rappresentante dei Lavoratori alla Sicurezza (RLS) “non subisca pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività”, sarà necessario sancire la partecipazione attiva degli RLS a tutte le fasi della stesura del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), garantendo loro a tal fine una preparazione specifica. Questa ultima non potrà prescindere da una ricostruzione del ciclo di lavorazione con un profilo di rischio che evidenzi tutti i rischi presenti, compresi quelli organizzativi e quelli presenti in operazioni di manutenzione e dovrà concludersi con la proposta di misure precise di bonifica e correttive dell’organizzazione; in effetti gli attuali DVR sono spesso incomprensibili anche agli RLS e non contengono quasi mai un vero piano di misure correttive e di bonifica con un preciso cronoprogramma.

Il rafforzamento del ruolo degli RLS ovviamente non potrà prescindere dal ripristino dell’articolo 18 della Legge 300/70; andrebbe anche valutata la possibile applicazione della nuova Legge “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità”, la cosiddetta legge sul Wisthleblowing, che peraltro ha molti limiti e si è resa necessaria in un contesto dove i lavoratori e le lavoratrici sono ridotti in condizioni di schiavitù.

La figura del Medico Competente così come prevista dal D.Lgs 81/08. dovrà essere modificata a livello normativo / giuridico introducendo misure di tutela onde evitare che il Medico Competente sia ricattabile e di conseguenza si trasformi in strumento del datore di lavoro contro i lavoratori.

Gli operatori della prevenzione oggi sono sempre di meno e più che mai in sofferenza in quanto l’organizzazione aziendale ASL richiede un sempre maggiore numero di ispezioni. La conseguenza è la spersonalizzazione, l’impossibilità di approfondire l’analisi del ciclo e dell’organizzazione del lavoro, la scarsa comunicazione con i lavoratori e gli RLS. La conseguenza è che la qualità delle ispezioni sia sempre più bassa. E’ necessario ricostruire i Servizi di Prevenzione delle ASL tornando a un congruo numero di operatori di ispezione, giovani e motivati, comprendendo tutte le professionalità: medici, tecnici, ingegneri, chimici, psicologi esperti di organizzazioni del lavori e garantendo la formazione continua e trasmettendo loro la certezza che il risultato che si vuole da loro sia realmente sconfiggere la piaga delle morti e degli infortuni sul lavoro, in un sistema di prevenzione che sia in grado anche di individuare e modificare quelle condizioni strutturali e organizzative che sono all’origine degli infortuni e delle malattie professionali.

Gli operatori che svolgono ispezioni dovranno essere sgravati da farraginosi protocolli che oltre a ridurre gli interventi reali possono essere fonte di errori che nel caso fiorentino hanno addirittura causato un’inchiesta con accuse di rilevanza penale. Medicina Democratica si impegna alla difesa degli operatori ingiustamente coinvolti in inchieste della Magistratura che, nel caso fiorentino, hanno avuto come unico risultato la distruzione dei servizi attraverso l’intimidazione degli operatori.

Le aziende che vengono riconosciute colpevoli della morte (o di gravi invalidità) di lavoratori per infortuni o malattie professionali dovranno essere pesantemente penalizzate con esclusione dalla legislazione che preveda defiscalizzazione ed altre misure premiali e sottoposte ad un regime di controlli periodici e frequenti da parte degli Organi di Vigilanza.

Il carrozzone INAIL va sciolto e rifondato su nuove basi, anche nel nome che è quasi uguale a quello del periodo fascista (Istituto Nazionale Fascista per gli Infortuni sul Lavoro): le malattie da lavoro devono avere pari dignità con gli infortuni e le tabelle vanno ampliate ulteriormente (mancano molti tipi di tumore e le patologie da stress lavoro correlato e più in generale da cattiva organizzazione sul lavoro). Va trasferita la competenza sul riconoscimento delle malattie professionali dall’INAIL alle ASL, trasferendo dall’INAIL anche le risorse necessarie, e mantenendo solo un membro INAIL nel collegio medico ASL. Come avviene per le visite INPS, in caso di mancato riconoscimento dovrà essere fatto ricorso direttamente al Giudice del Lavoro. All’INAIL dovrebbe rimanere solo il compito di gestire i singoli infortuni e le singole malattie professionali dal punto di vista amministrativo e finanziario, pagando i risarcimenti ai lavoratori. Come misura da prendere nell’immediato, andrebbe modificata da parte dell’INAIL la modalità di accertamento del nesso causale delle malattie professionali che viene attuata sia acquisendo acriticamente il DVR aziendale (difficilmente le aziende si autodenunciano!) sia non riconoscendo le malattie professionali ai lavoratori quando le aziende non hanno fatto la Valutazione dei rischi. Inoltre in applicazione della Legge 241 sulla trasparenza nella pubblica amministrazione l’INAIL dovrebbe smettere di frapporre ostacoli all’accesso agli atti per i lavoratori che devono effettuare ricorso.

Per una riforma compiuta dell’istituto INAIL sarebbe necessario dopo il Congresso la formazione di un apposito gruppo di lavoro. Si propone infine di ricostituire l’ISPESL che è stato inglobato nel 2010 nell’INAIL, accorpando in esso il Contarp e ricostituendo tutti i dipartimenti ivi compreso quello di Psicologia del Lavoro.

Va presentata una proposta di Procura Unica Nazionale per infortuni e malattie da lavoro

Occorre proporre un’apposita legge che preveda l’autogestione da parte dei lavoratori con un fondo statale congruo delle aziende che dichiarano fallimento, di quelle in cui il datore di lavoro fa perdere le sue tracce, e di quelle che delocalizzano l’attività con motivazioni pretestuose. Inoltre in applicazione della costituzione repubblicana andrebbe approvata una legge che preveda la cogestione (articolo 46 della Costituzione) delle aziende con più di 50 lavoratori fornendo ai lavoratori poteri decisionali reali e tutti gli strumenti economici e di conoscenza. Sia l’autogestione che la cogestione dovrebbero portare vantaggi alla salute e sicurezza sul lavoro nel momento in cui il valore della vita umana e della dignità del lavoro divenissero prevalenti sul valore del profitto; quest’ultimo andrà reinvestito in gran parte in misure di miglioramento delle condizioni di vita e di salute e sicurezza dei lavoratori.

Molte delle proposte che facciamo in particolare a livello normativo rischiano di rimanere però lettera morta senza l’appoggio dei lavoratori organizzati e senza la ripresa di una coscienza di classe, in particolare tra i lavoratori più giovani costretti spesso (vedi i cosiddetti “riders”) ad accettare condizioni di lavoro neoschiavistiche (quasi ottocentesche).

La caduta della coscienza di classe fa si che molto spesso i cittadini che difendono la loro salute dall’ inquinamento industriale si trovano contro il padrone e i lavoratori che difendono posti di lavoro nocivi, come è successo a Taranto per responsabilità anche del sindacato confederale, con l’unica e positiva eccezione dei “Lavoratori Liberi e Pensanti”.

Firenze, 3 maggio 2018

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GLI INCIDENTI CHE AVVENGONO NEI POZZI E NELLE FOSSE

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

26/04/18

di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni avvenuti in pozzi di raccolta liquami e durante attività di pulizia di fosse fognarie. Le dinamiche degli infortuni, i fattori causali, la prevenzione e l’importanza della ventilazione nei pozzi e nelle fosse.

Le conseguenze degli infortuni che avvengono nei lavori all’interno di pozzi, fosse e canalizzazioni possono essere molto gravi. E se la causa degli infortuni più gravi dipende dalla presenza di atmosfere pericolose, contrariamente alla maggior parte degli altri rischi professionali (come ricorda un documento elvetico sulla sicurezza in questi luoghi di lavoro) la messa in pericolo non si limita a spazi ristretti ma può senz’altro estendersi su tutta la zona di pozzi, fosse e canalizzazioni. Sono quindi esposti allo stesso rischio non solo gli infortunati ma anche i soccorritori.

Proprio partendo da questi dati iniziamo oggi un breve viaggio su alcuni infortuni avvenuti in questi ambienti lavorativi e raccolti, negli anni, dal sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi attraverso le schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio.

Il primo caso che presentiamo riguarda un infortunio mortale avvenuto in un pozzetto di raccolta liquami.

In realtà, come indicato nella scheda, la dinamica dell’infortunio non è definita in quanto non ci sono testimoni del fatto e dai rilievi eseguiti sono plausibili diverse ipotesi.

Tuttavia da quanto è stato possibile stabilire, il giorno dell’infortunio, il lavoratore deceduto, assieme ad un collega, è intervenuto per svuotare un pozzo di raccolta liquami provenienti dalla fermentazione della paglia usata per la coltivazione dei funghi. Il pozzo era pieno in quanto la pompa sommersa non funzionava. Il pozzo si trova al di sotto del piano di calpestio ed è accessibile da una botola 60 x 60 cm, profondo 2,2 m. e ha sezione circolare.

I due lavoratori sono intervenuti utilizzando una pompa di riserva. Durante lo svuotamento del pozzo, il collega si allontanava per eseguire altri lavori. Dopo circa un’ora, l’infortunato veniva ritrovato all’interno del pozzo, quasi completamente sommerso dai liquami. Dall’autopsia è emerso che la morte è avvenuta per asfissia, molto probabilmente all’interno del pozzo vi era un’atmosfera carente di ossigeno e l’infortunato non indossava dispositivi respiratori idonei (autorespiratore). All’interno del pozzo è stata rinvenuta una scala a pioli. Non è chiaro da chi sia stata introdotta la scala nel pozzo, se dallo stesso infortunato per scendere e visionare la pompa o se da altri nel tentativo di un soccorso. Le dichiarazioni raccolte al riguardo risultano reticenti. È verosimile che l’infortunato si sia introdotto volontariamente nel pozzo e sia rimasto asfissiato dai gas ivi presenti”.

questi i fattori causali individuati:

l’infortunato si introduceva in pozzetto di raccolta liquami in presenza di gas asfissianti;

mancata disponibilità di DPI adeguati: autorespiratore.

Il secondo caso riguarda un infortunio plurimo relativo ad una fossa fognaria.

Un lavoratore, al suo primo giorno di lavoro, insieme a un operaio esperto, si reca con il camion autospurgo presso un condominio con l’incarico di svuotare e pulire la fossa fognaria in disuso. La fossa è costituita da tre cisterne adiacenti e comunicanti fra loro, ognuna con la botola di accesso.

Le operazioni di pulizia prevedono una prima fase di svuotamento delle camere dall’esterno con utilizzo di pompe di aspirazione, e una seconda fase di pulizia dall’interno, con ausilio di erogatori d’acqua ad alta pressione. L’infortunato doveva rimanere all’esterno per manovrare le pompe e l’autospurgo, mentre il collega “anziano” doveva procedere con la pulizia dall’interno.

Il lavoratore è stato trovato, invece, morto nella terza camera riverso nel liquame, insieme al collega anziano addetto all’operazione di pulizia. Dall’indagine risulta che il lavoratore deve essere sceso all’interno della cisterna probabilmente per soccorrere il collega, ha perso i sensi a causa dei gas prodotti dalla fermentazione del liquame ed è annegato poi a causa dell’aspirazione nei polmoni del liquame stesso. L’infortunato è stato trovato privo di dispositivi di protezione individuale. Nella cabina di guida dell’autospurgo è stata trovata la strumentazione per la rilevazione dei gas, insieme a 2 maschere antigas e a corde di sicurezza.

L’indagine evidenziava l’insufficiente valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro e la mancanza di procedure di lavoro adeguate; inoltre non era stata fornita ai due operai alcuna apparecchiatura per la ventilazione di spazi confinati, né attrezzature (ad esempio treppiede) per il recupero e salvataggio di infortunati.

Al di là dei casi presentati, per avere qualche suggerimento a livello di prevenzione generale possiamo fare riferimento a una pubblicazione di SUVA, istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni, dal titolo “Sicurezza nei lavori all’interno di pozzi, fosse e canalizzazioni”.

Il documento, che, non dimentichiamolo, parte da una normativa diversa dalla nostra, è applicabile a pozzi, fosse e canalizzazioni in cui esistono atmosfere pericolose e nei quali è possibile accedere in piedi o strisciando nonché sostare per eseguire lavori di controllo, pulizia, manutenzione e costruzione. E in questo caso i pozzi d’accesso alle canalizzazioni sono da considerare come pozzi ai sensi della presente pubblicazione nei casi in cui la ventilazione naturale non è più garantita in modo sufficiente attraverso il sistema di canalizzazione.

Riguardo alla prevenzione il documento si sofferma, ad esempio, sulla ventilazione nei pozzi e nelle fosse.

Infatti prima di entrare in pozzi e fosse occorre ventilarli artificialmente in modo da evitare la presenza di un’atmosfera pericolosa. Lo si può fare, per esempio, aspirando i gas nel punto più basso mediante un ventilatore fino a raggiungere un numero di ricambi d’aria pari a venti volte. E’ da tener presente che l’uso di tubazioni d’aspirazione lunghe causa una diminuzione della potenza della ventilazione.

E la ventilazione artificiale deve rimanere in funzione per tutto il tempo in cui persone si soffermano all’interno di pozzi o fosse e vi è pericolo di presenza o formazione di gas o vapori. Lo sbocco della condotta di scarico dell’aria viziata deve trovarsi all’aperto e ubicato in modo da evitare l’accensione dei gas o dei vapori espulsi e la loro penetrazione in quantità pericolose in edifici, pozzi, fosse o canalizzazioni.

E se poi non fosse possibile effettuare una ventilazione artificiale di pozzi, fosse, ecc. (per esempio per la mancanza di spazio o per la profondità del pozzo):

  • occorre comprovare per mezzo di misurazioni “che non sussiste un’atmosfera pericolosa e portare con sé un autorespiratore d’emergenza, oppure;
  • chi entra nel pozzo o nella fossa deve indossare un respiratore indipendente dall’aria circostante.

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo sono state presentate le schede numero 2572 e 3742, è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

La pubblicazione di SUVA, istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni, dal titolo “Sicurezza nei lavori all’interno di pozzi, fosse e canalizzazioni” è scaricabile al sito:

https://www.suva.ch/-/media/produkte/dokumente/8/3/e/24260-1–44062_i_original_24260–d–pdf.pdf?lang=it-CH

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QUANDO MANCANO I DPI ANTICADUTA

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

03/05/18

di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni in cui non sono stati utilizzati o forniti i Dispositivi di Protezione Individuale anticaduta. Le attività di ristrutturazione e in lavori di manutenzione di impianti fotovoltaici. Le dinamiche degli infortuni e i fattori causali.

Se la caduta dall’alto rappresenta in Europa circa il 20% degli infortuni mortali, è evidente quanto sia importante sensibilizzare aziende e lavoratori all’utilizzo, laddove necessario, dei dispositivi di protezione anticaduta.

Proprio per questo motivo torniamo dunque a parlare, nella nostra rubrica “Imparare dagli errori”, di incidenti dovuti alla mancanza (ad esempio, perché non forniti e in situazioni in cui sarebbero stati necessari) di idonei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) anticaduta.

Come sempre, per la raccolta delle dinamiche di infortunio, prendiamo spunto dalle schede di INFOR.MO., un importante strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il primo caso riguarda un infortunio in attività di ristrutturazione.

Un lavoratore si trova in una abitazione soggetta a ristrutturazione ed è intento a installare un infisso in legno in un vano posto a 3,5 metri dal piano pavimento. Per tale operazione utilizza un trabattello con portata massima di 150 kg.

Dopo aver caricato l’infisso sul piano del trabattello sale sullo stesso con altri due colleghi per posizionare la finestra nel relativo vano. Nel sollevare dal piano del trabattello la finestra, il trabattello si sposta, a causa dell’eccessivo peso che grava sullo stesso, sbilanciando i lavoratori.

Il lavoratore e i suoi colleghi lasciano la presa dell’infisso che precipita a terra; il lavoratore, a causa dello sbilanciamento del trabattello, cade dall’alto e impatta il pavimento sottostante riportando la frattura del polso destro, trauma cranico e contusione al ginocchio sinistro.

Questi i fattori causali dell’incidente rilevati dalla scheda:

  • il trabattello usato aveva portata massima di 150 kg e non era idoneo per il lavoro da eseguire;
  • il lavoratore non indossava DPI per caduta dall’alto.

Il secondo caso è relativo ad un infortunio avvenuto in lavori di manutenzione.

Due lavoratori di una ditta di manutenzione di impianti fotovoltaici stanno operando sul tetto di un capannone industriale senza che siano state realizzate idonee linee di vita e ai lavoratori siano forniti idonei DPI per i lavori in quota.

Il lavoro di manutenzione da eseguire consiste nel riposizionare l’intelaiatura metallica di alcuni pannelli che, non completamente fissati, sono stati ribaltati a causa del vento.

La posizione di salita è stabilita in funzione dei pannelli da ripristinare.

Usufruendo dello spazio costituito dalla parte piana superiore della trave a “Y”, che nel caso in esame è anche il bordo del tetto dell’edificio, l’infortunato si porta in prossimità dei pannelli da riposizionare e fissare con staffe.

Per fare questa operazione, a causa della posizione dei pannelli, il lavoratore è costretto a calpestare le lastre in fibro-cemento non portanti, provocandone il cedimento e la conseguente caduta nel vuoto. L’infortunato riporta la frattura del braccio sinistro.

Questi i fattori causali rilevati:

  • il lavoratore operava sul tetto di un capannone industriale senza che fossero state realizzate idonee linee di vita e senza che gli fossero forniti idonei DPI anticaduta andando a calpestare lastre in fibro-cemento ecologico;
  • assenza di percorsi attrezzati per camminare in sicurezza.

Rimandando ai tanti articoli di PuntoSicuro che si sono occupati in questi anni della sicurezza relativa all’utilizzo di specifiche opere provvisionali, sistemi di sicurezza o DPI anticaduta, ci soffermiamo oggi su alcune brevi indicazioni introduttive sui DPI per i lavori in quota.

E le riprendiamo da un documento, utile per pianificare attività in quota, dal titolo “Manuale operativo per chi lavora in altezza”, realizzato dall’Unità Operativa Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari della Provincia autonoma di Trento.

Il manuale ricorda che, se per evitare le cadute dall’alto non sono utilizzabili misure di protezione collettiva, quali parapetti, impalcati, reti o sottoponti, è necessario impiegare DPI contro le cadute, costituiti da:

  • imbracatura destinata a essere indossata dal lavoratore;
  • sistema di trattenuta e di arresto della caduta;
  • dispositivo di ancoraggio a parti stabili.

Si ricorda che i DPI utilizzabili nei lavori in quota per le cadute dall’alto possono poi essere suddivisi in tre categorie:

  • DPI per il posizionamento sul lavoro: sono destinati a sostenere e trattenere gli addetti nella posizione di lavoro consentendo di operare con le mani libere; non sono destinati all’arresto delle cadute;
  • DPI contro le cadute dall’alto: sono destinati ad arrestare le cadute, costituiti da una imbracatura del corpo, un assorbitore di energia e collegamento a un ancoraggio;
  • DPI per le discese di emergenza: sono utilizzabili per il salvataggio e l’evacuazione di emergenza con possibilità di discesa a velocità controllata.

Il documento fornisce poi indicazioni sulla scelta del tipo di ancoraggio in funzione delle necessità operative. In generale, rispetto alla disposizione dei punti di ancoraggio devono essere presi in considerazione i seguenti principi:

  • la fase di installazione degli ancoraggi deve avvenire, ovviamente, in condizioni di sicurezza;
  • i punti di ancoraggio, quando possibile, vanno posizionati sempre più in alto del punto di aggancio sull’imbracatura, per limitare lo spazio di una eventuale caduta.

Il manuale fornisce, infine, informazioni anche sulla scelta del tipo di imbracatura con specifico riferimento alle cinture di posizionamento sul lavoro, alle cinture con cosciali per posizionamento e sospensione in quota e alle imbracature anticaduta.

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo sono state presentate le schede numero 8411 e 3340, è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

Il documento “Manuale operativo per chi lavora in altezza”, realizzato dall’Unità Operativa Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari della Provincia autonoma di Trento, è scaricabile all’indirizzo:

https://www.vegaengineering.com/linea-guida-manuale-operativo-per-chi-lavora-in-altezza-a-cura-di-provincia-autonoma-di-trento–269.pdf

 

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