SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 302 DEL 08/08/18

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 302 DEL 08/08/18

INDICE

  • Le “Frequently Asked Questions” di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights! – N.28
  • Ecco il diario di due settimane sugli autotreni
  • Incidenti nel sollevamento con funi di acciaio
  • Storie di infortunio: la buona volontà non basta
  • Quando si manomettono i dispositivi di sicurezza

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

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LE “FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO – KNOW YOUR RIGHTS! – N.28

 

Nella mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro, spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.

In qualche caso invece le richieste che mi pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche risposte a domande su temi molto specifici e limitati.

Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia newsletter.

Ovviamente, per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.

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Ciao Marco,

all’interno della nostra azienda l’Ufficio del Personale ha richiesto al Medico Competente di effettuare una visita straordinaria (cioè ben prima della scadenza annuale) a un dipendente che è stato assente per malattia per un periodo inferiore ai 60 giorni stabiliti dal D.Lgs. 81/08.

Per far ciò ha citato codici civili e chissà quale altra disposizione di legge per giustificare quella che ritengo una non lecita intromissione in problemi non di sua competenza.

Ovviamente il dipendente andrà a visita visto che non ha nulla da nascondere, tuttavia mi risulta che una visita può essere solo richiesta dal datore di lavoro dopo 60 giorni di assenza o se è scaduta la idoneità alla mansione.

Credo che le continue pressioni di un funzionario o di un dirigente siano alla base di un intervento fuori luogo e contrario alle normative.

Credo anche che il RSPP dovrebbe intervenire sull’argomento.

Tu cosa ne pensi?

Grazie.

Ciao,

il D.Lgs. 81/08, come hai ben capito, è molto chiaro sull’aspetto della sorveglianza sanitaria.

L’articolo 41, comma 1 lettera a) stabilisce infatti che:

La sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente nei casi previsti dalla normativa vigente”.

Ciò significa che nei casi non previsti dalla normativa, la sorveglianza sanitaria non può essere effettuata.

I casi previsti dalla normativa, sono quelli riportati all’articolo 41, comma 2:

  • visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro;
  • visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
  • visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali;
  • visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica;
  • visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente;
  • visita medica preventiva in fase preassuntiva;
  • visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione.

Pertanto la visita medica forzatamente voluta dall’Ufficio del Personale è del tutto illegittima, perché non prevista dalla normativa vigente e anche perché in netto contrasto con Legge dello Stato italiano che è lo Statuto del Lavoratori (Legge 300/70) che all’articolo 5 stabilisce che:

Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente”.

Ritengo che oltre al RSPP debba essere sentito anche il Medico Competente che, per obbligo normativo e deontologia professionale, dovrebbe rifiutarsi di eseguire la visita.

Marco

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Ciao Marco,

ti pongo questo quesito al quale non trovo risposta

Un dipendente di un ospedale sottoposto a sorveglianza sanitaria per polvere di amianto che per vari motivi non vuole effettuare gli esami nel suo luogo di lavoro (per sfiducia oppure perché non vuole far conoscere la sua condizione ai colleghi), potrebbe fare gli esami in altro sito e poi portarli a MC?

Al di là dello specifico caso può essere interessante sapere se un lavoratore può fare sottoporsi ad esami per sorveglianza sanitaria in altra sede che non sia il suo luogo di lavoro. Sede che deve essere ASL ovviamente.

Ciao,

il D.Lgs. 81/08 è molto chiaro a questo proposito.

La sorveglianza sanitaria, a carico del datore di lavoro da un punto di vista organizzativo ed economico, con la collaborazione del medico competente da un punto di vista sanitario e viene effettuata dal medico competente appunto, in locali concordati con l’azienda (che possono essere all’interno dell’azienda, se disponibili, ma possono essere ubicati in ambulatorio esterno).

Infatti, per quanto riguarda il datore di lavoro (o dirigente delegato), ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera g) del Decreto, egli deve:

inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente Decreto”;

mentre, per quanto riguarda il medico competente, ai sensi dell’articolo 25, comma 1, lettera b) egli:

programma ed effettua la sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41”.

Infine è ben chiaro, ai sensi dell’articolo 41, comma 1 del Decreto che:

La sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente”.

Nel caso, come quello da te citato, che siano necessari accertamenti specialistici, che il medico competente non può effettuare autonomamente, ai sensi dell’articolo 39, comma 5 del Decreto:

Il medico competente può avvalersi, per accertamenti diagnostici, della collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro che ne sopporta gli oneri”.

Quindi anche in questo caso è il medico competente, in accordo con il datore di lavoro, che definisce come e dove effettuare gli accertamenti.

E’ facoltà del lavoratore (per sfiducia nei confronti del medico competente o altro) sottoporsi ad accertamenti presso altre sedi pubbliche o private, ma, ovviamente a suo totale onere.

A seguito dei risultati ottenuti, egli potrà richiedere ulteriore visita medica al medico competente, ai sensi dell’articolo 41, comma 2, lettera c) del Decreto, che prevede che la sorveglianza sanitaria debba comprendere anche:

visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica”.

In alternativa, ma soltanto dopo aver effettuato le visite e gli accertamenti presso il medico competente e/o gli specialisti o le strutture da lui indicate e aver ricevuto il giudizio di idoneità alla mansione (giustificato dagli accertamenti, i cui risultati devono essere consegnati al lavoratore), il lavoratore può ai sensi dell’articolo 41, comma 9, effettuare ricorso presso la ASL che deve esprimersi in merito, anche mediante “eventuali” ulteriori accertamenti:

Avverso i giudizi del medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase preassuntiva, è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso”.

Sottolineo l’inciso “eventuali”, poiché non è detto che la ASL disponga tali accertamenti, esprimendo il proprio giudizio sugli accertamenti già eseguiti da parte del medico competente.

Un caro saluto.

A presto.

Marco

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Buonasera,

sono di nuovo a chiederti un consiglio.

La mia azienda mi sta un po’ maltrattando (per cambio mansioni): mi chiedono di spezzare il mio orario part time e così finirei in una cucina scolastica.

Il punto è che sarei da sola a fare la chiusura.

Sapevo che in certi casi per la sicurezza le persone dovrebbero essere in due.

Ti saluto e un abbraccio

Grazie.

Ciao,

il lavoro isolato comporta fattori addizionali di rischio, rispetto al lavoro con presenza di altri colleghi, soprattutto relativamente alla gestione delle situazioni di emergenza, per due motivi.

Innanzitutto il lavoratore isolato può non essere in grado di chiamare soccorritori esterni e, in secondo luogo, i soccorritori esterni possono non essere in grado di accedere ai luoghi di lavoro se questi sono chiusi dall’interno.

Ti riporto a seguire alcune mie considerazioni su alcune misure di prevenzione e protezione che devono in ogni caso essere adottate dal datore di lavoro in questi casi.

Riassumendo quanto sotto riportato, il lavoro isolato è possibile solo se il livello di rischio in caso di emergenza è basso, a seguito di una precisa definizione di come affrontare le emergenze, che deve essere formalizzata all’interno del Piano di Emergenza Aziendale.

Occorre in ogni caso fare un’altra considerazione.

Il tuo orario di lavoro attuale non comporta lavoro isolato. Passando a tale tipologia di lavoro si crea un evidente aumento del rischio per la tua salute e sicurezza.

Ma l’aumento del rischio per una qualunque azienda non è possibile in quanto il D.Lgs. 81/08 prevede esplicitamente e al contrario il miglioramento continuo dei livelli di salute e sicurezza per i lavoratori (articoli 15, comma 1, lettera t) e 28, comma 2, lettera c)).

Di conseguenza il passaggio a lavoro isolato è possibile solo se l’azienda adotta misure compensative che ripristino il livello di sicurezza precedenti, sempre che questo sia possibile. Se invece ciò non è possibile, l’azienda deve mantenere l’organizzazione di lavoro che preveda la presenza di almeno due persone.

Un caro saluto e un abbraccio.

Marco

OBBLIGHI RELATIVI AL LAVORO ISOLATO

Relativamente al lavoro solitario o isolato (attività lavorativa in cui il lavoratore si trova ad operare da solo, senza alcuna collega accanto e senza nessun contatto diretto con altri lavoratori), sia diurno che notturno, la vigente normativa non prevede obblighi particolari, con eccezione di quanto stabilito per lavorazioni in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti (articoli 66 e 121 del D.Lgs. 81/08 e D.P.R. 177/11).

E’ però sempre valido il principio che all’interno del documento di valutazione dei rischi di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 81/08, devono essere valutati tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, compresi quindi anche quelli derivanti da particolari condizioni lavorative, come appunto il lavoro solitario e di conseguenza devono essere adottate le necessarie misure di prevenzione e protezione e le relative procedure per eliminare o ridurre le conseguenze dei rischi individuati.

Nel caso di lavoro solitario il fattore di rischio principale (da valutare e per il quale adottare misure e procedure di prevenzione e protezione) è relativo all’organizzazione dei soccorsi in caso di malore o infortunio del lavoratore.

In tal caso i fattori addizionali di rischio sono i seguenti:

  • impossibilità o limitata capacità, da parte del lavoratore stesso, di allertare i soccorsi all’esterno del luogo di lavoro
  • difficoltà o impossibilità dei soccorritori, se e quando allertati, di accedere all’interno del luogo, dove è necessario l’intervento
  • ulteriore difficoltà a individuare esattamente, una volta all’interno, il punto intervento in caso di situazioni complesse.

Tali fattori addizionali di rischio comportano inevitabilmente il ritardo dell’intervento con effetti a volte fatali.

In caso di lavoro notturno tali fattori addizionali di rischio sono aggravati anche dal fatto che viene pure a mancare la presenza casuale di persone che a diverso titolo possono frequentare il luogo di lavoro (fornitori, clienti, collaboratori, controllori, ecc.).

Il datore di lavoro deve pertanto (in virtù degli obblighi di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 81/08) prevedere sistemi per monitorare in tempo reale lo stato di salute del lavoratore attraverso il controllo del suo stato di coscienza.

Allo stato attuale esistono diverse soluzioni di tipo tecnico per garantire questo monitoraggio:

  • telefono cordless o cellulare;
  • ricetrasmettitore collegato a soggetti addetti a servizi di sorveglianza;
  • trasmettitore di segnale di allarme punto-punto con attivazione manuale;
  • trasmettitore automatico collegato ad un sensore di postura del lavoratore (busto eretto = OK, busto orizzontale = allarme);
  • sistema a chiamata (manuale o automatica) e risposta manuale (risposta = OK, mancata risposta = allarme).

I primi tre sistemi, essendo ad azionamento manuale volontario, offrono sicuramente sicurezza psicologica, ma dimostrano scarsa efficacia, che diventa addirittura nulla in caso di perdita di coscienza del lavoratore.

I sensori di postura non sempre sono adatti al tipo di mansione (ad esempio manutentore coricato).

Il sistema a chiamata/risposta sembra essere il più efficace, anche se presenta alcuni limiti legati alla frequenza di chiamata (se è troppo bassa rischio comunque di non individuare tempestivamente una situazione di pericolo, se è troppo alta può portare a aumento del carico mentale e a distrazioni).

Rimane in ogni caso non risolto, anche con l’ausilio di soluzioni tecniche, la possibilità di accesso da parte dei soccorsi esterni al luogo di lavoro e la immediata individuazione della posizione del lavoratore.

Queste ultime problematiche devono essere risolte dal datore di lavoro, ai sensi dell’obbligo di cui all’articolo 45, comma 1, lettera a) (“Il datore di lavoro […] prende i provvedimenti necessari in materia di primo soccorso e di assistenza medica di emergenza, […] stabilendo i necessari rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati”), fornendo ai soccorritori esterni, preventivamente informazioni su come accedere ai luoghi di lavoro e sulla possibile ubicazione dei lavoratori che operano in lavoro isolato.

E’ evidente che, a seguito di analisi condotta, nell’ambito del processo di valutazione del rischio, con particolare riferimento alle tipologie lavorative e ai rischi specifici e alle dimensioni e alla complessità dell’azienda, ove i sistemi di monitoraggio e allerta automatici, comportassero comunque un rischio residuo non accettabile per la salute e la sicurezza, il datore di lavoro deve considerare che il lavoro solitario sia un rischio non accettabile e modificare l’organizzazione del lavoro in modo da garantire sempre almeno la presenza nello stesso luogo di lavoro di due lavoratori.

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Ciao Marco,

lavoro in un impianto petrolchimico.

Alcune settimane fa è scoppiato un incendio in seguito alla rottura di una linea e conseguente fuoriuscita di prodotto infiammabile.

Solo la prontezza dei lavoratori ha fatto si che la situazione sia rientrata subito sotto controllo senza nessuna conseguenza per i lavoratori e l’impianto.

Anche noi abbiamo l’addetto antincendio, come previsto dal D.Lgs. 81/08, ma nulla può per prevenire i problemi su descritti.

In seguito si è scoperto che la linea in questione era bucata quindi probabilmente sotto spessore.

Ho scoperto che i controlli spessimetrici sulle linee e apparecchiature sono “random”.

Essendo il nostro un impianto a “rischio di incidente rilevante” mi sarei aspettato una sorta di controllo calendarizzato dello spessore delle linee e apparecchiature, allo scopo di abbassare il rischio sulle probabili fuoriuscite di prodotto infiammabili: insomma qualche cosa fatta con criterio e non affidato al caso.

Cosa prevede la normativa in materia?

Grazie per l’aiuto.

Ciao,

il D.Lgs. 81/08 impone al datore di lavoro di eseguire controlli e manutenzioni sulle “attrezzature di lavoro” intese come “qualsiasi macchina, apparecchio, utensile o impianto, inteso come il complesso di macchine, attrezzature e componenti necessari all’attuazione di un processo produttivo, destinato ad essere usato durante il lavoro” per garantirne nel tempo la rispondenza alle caratteristiche di progetto con le quali sono state installate.

Ciò si applica (“impianti”) quindi anche alle tubazioni da te citate.

Pertanto esse devono essere controllate e sottoposte a manutenzione, secondo norme di buona tecnica che sono poi sostanzialmente quelle pubblicate (in qualche caso come recepimento di Normative europee) dall’Ente di Normazione italiano UNI.

Non conosco in dettaglio tale normativa relativamente alle tubazioni di idrocarburi, ma ti posso assicurare che essa prevede controlli periodici non distruttivi (per esempio liquidi penetranti o ultrasuoni) da registrare e in base alle quali definire i necessari interventi di manutenzione.

Non conosco poi la normativa sulle aziende a rischio rilevante, ma posso solo immaginare che in tal caso si debbano applicare almeno i requisiti minimi dettati dal D.Lgs. 81/08.

In sintesi le tubazioni di impianti petrolchimici (come di qualunque impianto che preveda dei rischi per la sicurezza) devono essere sottoposto a controlli (i cui risultati devono essere formalizzati) e, di conseguenza, ai necessari interventi di manutenzione.

Fammi sapere.

Marco

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NOTA

Nel testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i seguenti acronimi e termini:

ASL = Azienda Sanitaria Locale

CCNL = Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro

DPI = Dispositivi di Protezione Individuali

DVR = Documento di Valutazione dei Rischi

DUVRI = Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori in appalto

OS = Organizzazioni Sindacali

RSPP = Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione

ASPP = Assistente al Servizio di Prevenzione e Protezione

RLS = Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza

RSA = Rappresentanze Sindacali Aziendali

RSU = Rappresentanze Sindacali Unitarie

D.Lgs. 81/08 o Decreto o TUSL: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro”)

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ECCO IL DIARIO DI DUE SETTIMANE SUGLI AUTOTRENI

Da: Repubblica.it

http://www.repubblica.it

31 marzo 2008

di Fabrizio Gatti

Autisti costretti dalle aziende a guidare per giorni senza dormire. Guidatori che si tengono su con la cocaina. E nessun rispetto delle leggi.

Scendiamo nella notte con il rimorchio che rimbalza sulle buche. Oltre il grande parabrezza, la superstrada sembra più stretta. Un camion bomba, ecco cos’è questo trasporto di scatoloni, pacchi e pacchettini da consegnare a Roma da parte di una famosa società di posta privata. Non serve diventare terroristi per fare una strage. Undici tonnellate di motrice, nove di rimorchio e quindici di merce sotto il telone sono un ordigno: trentacinque tonnellate in discesa a cento all’ora non le ferma nessuno. Basterebbe una coda invisibile dietro la prossima curva. Oppure una macchina in sosta a destra per un guasto. Lungo la E45 che da Cesena porta a sud non c’è nemmeno la corsia d’emergenza. Le crepe e i rattoppi nell’asfalto sarebbero la vergogna di qualunque amministrazione in Europa, ma non in Italia.

Il TIR sussulta e sfiora i guard-rail a destra e a sinistra come dentro una pista per bob. A cento all’ora si percorrono 27,8 metri ogni secondo: la lunghezza esatta di sette Fiat Punto messe in fila. Trentacinque tonnellate in un secondo e boom, sette auto e le vite a bordo disintegrate. Eppure il limite su tutta la superstrada è 70 all’ora. Luca, l’autista, 38 anni e tre ore di sonno in due notti e un giorno di lavoro senza sosta, non prova nemmeno a frenare. Appaiono due autotreni che a loro volta corrono a più di 90 orari. Luca prende la mira tra il paraurti del primo rimorchio che si avvicina e lo spartitraffico. Si butta dentro con la testa che gli ciondola più per la stanchezza che per i sobbalzi. Poco fa, in un altro sorpasso millimetrico, è andato così vicino all’altro camion che all’autista brillavano le otturazioni d’oro, lucidate dai fari riflessi dentro gli specchi retrovisori.

Nessuno rallenta. Nessuno cede il passo. Il mondo dei trasporti su strada in Italia è ormai una corrida. Una corsa senza scrupoli che riguarda l’85 per cento delle merci che produciamo, vendiamo, compriamo, consumiamo. Cioè l’85 per cento della nostra economia. E se continua così sarà guerra. Altri scioperi, blocchi stradali, barricate. Si comincia il 21 aprile con l’annunciata protesta degli autisti di bisarche, i camion che trasportano auto. Perché la resistenza fisica di dipendenti e padroncini è al collasso. I camionisti assunti dalle ditte che lavorano in conto terzi devono correre il più possibile o vengono licenziati. I padroncini che guidano il proprio camion devono adeguarsi o perdono i contratti. Qualcuno per non addormentarsi alla guida ha cominciato a sniffare cocaina. Altri, per salvarsi, sono fuggiti a lavorare in Francia. Molte attività sono scomparse: undicimila ditte di trasporto nel 2007 hanno chiuso. Gli orari di guida, i cronotachigrafi, i tempi di riposo riguardano norme europee da rispettare soltanto all’estero. Una volta rientrati in Italia è un tutti contro tutti. L’aumento del costo del gasolio c’entra solo in parte. Perché la deregulation che sta riempiendo strade e autostrade di camion bomba comincia prima della corsa del petrolio.

Parte dall’illegalità diffusa, dall’evasione di fisco e contributi previdenziali, dalla concorrenza sleale di imprenditori che costringono i dipendenti a ritmi massacranti con metodi da criminalità organizzata, anche perché a volte ne fanno parte. Uno sfruttamento che sale soprattutto dalle richieste sempre più frenetiche dei committenti: le grandi catene di distribuzione, i centri commerciali, la produzione industriale in tempo reale che non fa più scorte di magazzino.

Per mantenere i guadagni, molte aziende di trasporto del nord e della Toscana si sono adattate. Hanno aperto sedi nell’Europa dell’Est. Hanno licenziato gli autisti italiani e li hanno sostituiti con colleghi slovacchi, polacchi e romeni. Li pagano al massimo 700-900 euro al mese contro una base contrattuale italiana di 1.400 più le trasferte. Qualcuno prende anche meno. E se vivono sul camion, trattengono loro 150 euro dallo stipendio per l’affitto della cuccetta come casa. L’ultima frontiera sono i moldavi: cinque giorni di lavoro dichiarati in busta paga anche se guidano tutto il mese, 35 euro al giorno in nero. Trasferta, vitto e spese compresi. E poi gli stranieri hanno il vantaggio della patente estera: se vengono sorpresi dalla polizia a commettere irregolarità gravi, non perdono punti e non rischiano di rimanere a piedi.

E’ già successo nell’edilizia, nell’agricoltura, nella cantieristica di Stato con l’introduzione di manodopera non qualificata e sottopagata. Schiavi moderni: in un Paese senza legalità vincono i più furbi o quelli che accettano le regole e non protestano. Solo così pesce e verdura arrivano in 24 ore ai banchi di vendita e a prezzi abbordabili, le fabbriche vengono rifornite in tempo di materie prime, gli scaffali dei supermercati restano pieni. Alla fine, in cima alla filiera ci siamo sempre noi: i consumatori. Ma il prezzo da pagare è un conto macchiato di sangue che può essere presentato in qualunque momento. Perché in città o in autostrada può capitare a tutti di incrociare la roulette russa di un autista troppo stanco per sopravvivere alla sfida.

Ecco il resoconto di due settimane in cabina di guida. Da Reggio Calabria a Parigi. Dall’Italia alla Francia. Dalla pirateria economica al rigoroso rispetto delle regole. E ritorno. Alcuni camionisti, per non essere licenziati, hanno chiesto l’anonimato. Per questo non vengono rivelati i nomi delle aziende per cui lavorano. Quelli come Luca, l’autista che stanotte sta guidando verso Roma, hanno deciso di stare al gioco. Sono pagati a cottimo: 250 euro a viaggio. Più viaggiano, più guadagnano. Tre viaggi a settimana da sud a nord rendono tremila euro al mese. “In busta ti danno 1.700 euro, il resto in nero”. Stasera non ha nemmeno cenato. Luca non cena mai. “Non ci fermeremo”, avverte, “cenare mi fa venire sonnolenza”. Si viaggia senza riscaldamento, mentre fuori la temperatura è vicina allo zero: “Fa freddo, sì, ma se accendo l’aria calda mi viene sonno”. Anche a pranzo ha mangiato pochissimo. Mezzo piatto di penne al pomodoro e una bottiglietta di acqua naturale. E’ finita l’epoca della trattoria del camionista, la garanzia di un pasto dignitoso e a buon mercato. Non c’è tempo per una sosta. Stanotte non ci si ferma nemmeno per andare in bagno.

Fare pipì è diventato un lusso che un autista non si può permettere. Soprattutto nei viaggi lunghi che trasportano primizie ai mercati all’ingrosso del nord. “Per ogni sosta se ne vanno almeno quindici minuti”, racconta Roberto, 44 anni, dipendente di una ditta campana che consegna verdura siciliana a Bologna, Milano e Torino: “Rallenti, cerchi posto all’autogrill, parcheggi, riparti. A Milano se ti presenti ai mercati generali dopo la mezzanotte non ti fanno nemmeno scaricare. Allora la pipì te la tieni. Oppure ti arrangi. C’è chi la fa dentro una bottiglia. Senza fermarsi, ovvio. Io mi porto sempre una bottiglia vuota, quelle da latte con l’imboccatura larga. Meglio così che perdere il lavoro”.

E le soste obbligatorie? Le Direttive europee prevedono 45 minuti di riposo ogni quattro ore e mezzo di guida, un massimo di nove o dieci ore al giorno, mai più di 47 a settimana o 90 ore ogni due settimane. Il viaggio di Luca dura dalle 21.30 di ieri sera. Si parte di domenica da Salerno con il camion blu della ditta per la quale lavora da qualche anno. Luca rivedrà sua moglie e suo figlio piccolo sabato, dopo una settimana in giro per l’Italia. Ci si ferma a Perugia che siamo già fuorilegge: 5 ore e 20 minuti di guida. Quasi sempre a 90 all’ora, 20 chilometri più del limite. Finalmente si dorme. Le sveglie di due telefonini puntate sulle 5: “Con una, rischio di non sentirla”. Due ore di sonno. Si riparte senza nemmeno scendere dal camion. La faccia di Luca è stravolta. Si vede che è in crisi. Dietro le lenti rotonde degli occhialini da vista le palpebre continuano a ondeggiare. Alle 6.33 sosta di 9 minuti all’autogrill per un caffè, una brioche e una rapida toilette. Nove minuti non contano come riposo. “Sì, è vero, ero in crisi”, ammette più tardi, “il risveglio è il momento peggiore per me. Anni fa ho avuto un colpo di sonno sull’Autosole. Con camion e rimorchio sono salito su un terrapieno di cemento armato. Mi ricordo tutto ma ero come un robot, continuavo ad andare”. Superata Cesena, anche in autostrada la velocità è sempre sopra il limite di 80. “Il camion è programmato a 90 all’ora. Se la polizia ci ferma, fanno la multa minima per eccesso di velocità: 72 euro e non ti tolgono punti. Dieci chilometri in più sono sempre minuti risparmiati. Solo in discesa, con il peso del carico, si riesce ad andare più forte”.

Bisogna arrivare prima degli altri. Scaricare prima degli altri. E ripartire prima degli altri. Alle 8.30 raggiungiamo la prima destinazione di scarico. Tolte le due ore di sonno, fanno già nove ore di guida: “Ci è andata bene oggi”, spiega, “perché se fossimo andati a Milano avremmo dovuto aggiungere altre due ore e mezzo di viaggio”. A questo punto Luca dovrebbe fermarsi per nove ore di riposo obbligatorio. Invece la sua giornata è solo all’inizio. La sua ditta lo obbliga a lavorare come facchino. E per un’ora deve scaricare il camion. Si riparte alle 9.40 per un’altra ora e mezzo di guida tra le campagne dell’Emilia. Ormai completamente fuorilegge. Ed è appena la mattina di lunedì. La giornata passa attraccati all’hangar di uno spedizioniere in provincia di Bologna. Il camion va ricaricato di “collettame”, pacchi e scatoloni da portare a Sud. Luca deve lavorare sul rimorchio, provvedere alla spiombatura e piombatura e rimanere a disposizione dei piazzalisti.

I tempi di scarico e carico sono un incubo per gli autisti. Franco Feniello ha appena fondato l’associazione Italia Truck per raccogliere le proteste dei colleghi che non si sentono difesi dai sindacati ufficiali. “Non riusciamo a farci rappresentare come i colleghi francesi”, dice, “e quando protestiamo la gente ci è contro. Vogliamo che la nostra attività sia riconosciuta come lavoro usurante. Non possiamo guidare a questi ritmi fino a 65 anni”. Il record nazionale di ore di guida è di un iscritto dell’associazione, 54 anni, autista dipendente di una società che rifornisce di materia prima le vetrerie di mezza Italia. “Dal 10 al 15 marzo”, racconta, “ho percorso 4.600 chilometri suddivisi in tre viaggi per un totale di 107 ore di guida. In sei giorni ho quasi finito il monte ore di tutto il mese. Questo per 1.400 euro comprese le trasferte”. Una media di 18 ore di guida al giorno. Feniello mostra una bolla di accompagnamento su carta intestata dell’Auchan di Rescaldina, un deposito alle porte di Milano della catena francese. C’è scritto: “Si rifiuta la merce perché l’autista non scarica”. “Questo è quanto pretende la grande distribuzione”, protesta il fondatore di Italia Truck, “dopo 12 ore di viaggio vogliono che diventiamo i loro facchini. Quel tempo dovrebbe servire al nostro riposo”. Un altro esempio è la catena tedesca Lidl: “I camion tedeschi non appena arrivano avvertono la loro ditta via fax”, spiega Franco Feniello, “perché superate le quattro ore di attesa i tedeschi si fanno rimborsare il fermo del camion. Noi invece dobbiamo aspettare anche sei ore e gratis prima di scaricare”.

Gli autisti che sniffavano per rimanere svegli sono stati scoperti durante un’indagine su un traffico di cocaina a Nocera Inferiore, in Campania. E’ al Sud che i camionisti che tentano di migliorare le proprie condizioni di lavoro vengono ripagati con ritorsioni. Ai carabinieri della Regione Campania sono arrivati gli esposti di dipendenti contro i loro principali. Un autista che protestava per le ore di lavoro non pagate è stato licenziato con le minacce: “Ti faccio uccidere in casa”, è scritto nella denuncia.

Al Nord si usano metodi più subdoli. Come il caso della ditta di Bologna che obbliga i suoi autisti a trasportare merci pericolose senza abilitazione, in autostrada fino a Torino: “Trasportiamo bidoni di olio per motore, cartucce da sparo nascosti sotto i teloni”, rivela un autista: “Per pagare meno l’autostrada, ci fanno agganciare rimorchi a due assi invece di tre che quasi si piegano sotto il peso. Se mi ferma la polizia, mi arresta. Per 1.500 euro al mese. Il capo me l’ha già detto: se hai paura, vai via. Ne trova altri come me”. Qualcuno è proprio scappato dall’Italia. Pietro Spataro, 45 anni, di Torino, da oltre un anno lavora per una ditta francese. Viaggia con il suo computer in cabina e nelle soste serali ha il tempo di aggiornare il blog della sua associazione (unionecamionisti.com). “In Francia se sgarri su ore e velocità”, spiega, “è la tua ditta a licenziarti. Perché le multe non le pagano gli autisti, ma i trasportatori e i committenti”. A Lione si ricordano ancora quando nel piazzale di un’azienda che produce parti per auto sportive arrivò un camion carico di alluminio da Avellino. Il trasportatore italiano aveva deciso di mettere il carico di due TIR su un unico rimorchio. Un sovraccarico di qualche tonnellata rispetto al massimo previsto. Quel giorno l’autista era convinto di poter presentare le due bolle di accompagnamento senza problemi. Invece prima gli hanno chiesto dove fosse il secondo camion. Poi non lo hanno nemmeno lasciato scaricare. Hanno chiamato la gendarmeria. E tra trasportatore e autista si sono presi 8.000 euro di multa.

Dopo 19 ore continue di lavoro, due ore di sonno nella notte e un’ora nel pomeriggio, Luca porta il suo camion al secondo piazzale di carico a Bologna. Ci lasciano ripartire alle dieci di sera. Con due fogli di viaggio. Da uno risulta una partenza alle 18.50 e l’arrivo obbligatorio a Roma entro le 3 di notte. Nell’altro la partenza alle 21.20 e l’arrivo sempre alle 3 di notte. Ovviamente alla polizia andrebbe consegnato il primo. Perché il secondo richiederebbe una media lungo l’autostrada A14, la superstrada E45 e le strade provinciali di oltre 79 chilometri all’ora. Ma sono già le dieci di sera e restano soltanto cinque ore per percorrere i 436 chilometri Bologna-Roma via Perugia, con un peso complessivo di 35 tonnellate. Luca firma e compila il nuovo disco del cronotachigrafo. Quello appena chiuso viene nascosto. In caso di controlli dirà che l’ha perso, come ogni ditta insegna ai suoi autisti. La polizia italiana non è severa come quella francese. E nessun agente ha voglia di perquisire un camion per tutta la notte. Sono infiniti i trucchi per cancellare le ore di guida. Dall’amico fantasma: il secondo autista che non c’è, mentre quello alla guida risulta a riposo. Ai fogli di ferie: così sembra che l’autista abbia cominciato il viaggio a metà percorso. Ma anche stanotte Luca non ha bisogno di stratagemmi. Non ci sono controlli. Entriamo nel piazzale di scarico a Roma alle 3.07, sette minuti appena di ritardo. Alla media di 87 chilometri all’ora. “Visto che ce l’abbiamo fatta?”, esclama. Alle 6.32 si riparte per Milano. E’ solo l’inizio di un’altra giornata.

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INCIDENTI NEL SOLLEVAMENTO CON FUNI DI ACCIAIO

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

21/06/18

di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni correlati all’utilizzo di funi di acciaio in attività di sollevamento, movimentazione e imbracatura. Incidenti in un cantiere edile, nel trasporto di tronchi e su un mezzo semovente. Le verifiche e analisi delle funi.

Come abbiamo rilevato anche in altre puntate della nostra rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, sono diversi i rischi nella movimentazione dei carichi correlati all’idoneità delle imbracature utilizzate e allo stato di accessori di sollevamento come funi e catene.

In particolare oggi ci soffermiamo sull’utilizzo delle funi di acciaio, con particolare attenzione all’eventuale utilizzo di funi sottodimensionate, danneggiate o usurate, con l’obiettivo di fornire anche alcuni suggerimenti sulla corretta verifica del loro stato.

Le dinamiche infortunistiche presentate sono tratte dall’archivio di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il primo caso riguarda il trasporto di tronchi con gru a cavo da valle verso monte all’interno di un’area boscata.

A valle un collega del lavoratore che si infortunerà aggancia/avvolge i tronchi con una braca in fune di acciaio (provvista di tirante “choker”) vincolata al verricello della gru.

Nel frattempo a monte il lavoratore conduce l’impianto accatastando i tronchi nell’area antistante la torretta (fine corsa) della gru stessa.

Un tronco in abete della massa stimabile di 900 kg viene sollevato e trasportato avvolto dalla braca metallica con fune del diametro di 10 mm. Giunta a fine corsa a monte la braca, che tiene il tronco sollevato, si spezza e nella caduta il tronco colpisce il lavoratore nella regione temporale sinistra del cranio ed alla spalla sinistra.

L’infortunato era addetto al controllo delle brache e poteva deciderne la sostituzione, cosa non avvenuta. Inoltre, operava in vicinanza della gru in zona pericolosa.

Questi i fattori causali rilevati dalla scheda di INFOR.MO.:

  • l’infortunato operava in vicinanza della gru in posizione pericolosa;
  • rottura braca di sollevamento perché usurata.

Nel secondo caso l’incidente avviene in un cantiere edile.

Nel cantiere edile un operatore, come di consueto a fine giornata, solleva un cassone metallico per lasciarlo in quota.

Un lavoratore si porta sotto il cassone sospeso per rimuovere alcune guaine dai detriti depositate a terra. Improvvisamente la fune metallica che sostiene il carico si spezza, provocando la caduta del cassone che colpisce sulla schiena l’infortunato.

La fune si era logorata a causa dello sfregamento della stessa contro la struttura portante e la puleggia, a causa di una manomissione ai comandi della gru.

L’infortunato ha riportato lesioni da schiacciamento in sedi multiple.

I fattori causali rilevati dalla scheda:

la gru aveva i comandi manomessi e ciò ha portato al logorio della fune di sollevamento che si è spezzata;

l’infortunato si portava in una zona pericolosa.

Riportiamo, infine, un terzo caso con un incidente in attività di imbracatura.

Un operatore, mentre era alla guida di un mezzo semovente, accorgendosi che la fune di acciaio per l’imbracatura del lato sinistro del ritaglio di marmo, messa dal collega di lavoro, si è spostata, scende dal mezzo per sistemarla nel modo migliore.

Si precisa che il collega di lavoro intanto si trova sul lato del ritaglio che era stato imbracato e che l’infortunato gli dice di non muoversi in quanto la fune l’avrebbe sistemata lui stesso. Mentre avviene la sistemazione della fune una parte della crosta cede colpendolo alla gamba destra. Il lavoratore viene trasportato in ospedale con trauma da schiacciamento del ginocchio destro e ferita lacero contusa dello stesso e sanguinamento per tranciamento di un grosso vaso.

I fattori causali rilevati dalla scheda:

l’infortunato cerca di sistemare la fune che si era spostata;

cedimento di parte di crosta del marmo lavorato.

Dopo aver ricordato che la movimentazione dei carichi deve essere svolta correttamente, imbracando e accatastando idoneamente i carichi, controllando gli ancoraggi e i vari accessori di movimentazione e sollevamento, ci soffermiamo brevemente su un documento che fornisce utili informazioni e prassi per la verifica delle funi di acciaio per gru.

In un documento, elaborato da FAS, Funi e Attrezzature per il Sollevamento, relativo a un corso di formazione e con riferimento a “Funi di acciaio per gru – Verifiche e analisi dei punti critici”, si ricorda la norma tecnica ISO 4309 per la cura, manutenzione, installazione, ispezione e scarto delle funi di acciaio per gru e si segnala che per la periodicità esistono due livelli di controllo previsti dalla legge:

  • trimestrale: è la verifica di cui bisogna tenere traccia grazie alla compilazione e conservazione di appositi registri di controllo (livello di controllo alto);
  • giornaliera: sono i controlli ordinari che vanno effettuati primo di ogni operazione, cambio turno, cambio operatore, ecc. (livello di controllo base).

E ad ogni controllo viene emesso un verbale di verifica.

Questi i dati contenuti nel verbale:

  • dati gru;
  • dati fune;
  • controllo fune;
  • controllo terminali.

Il documento si sofferma nel dettaglio sulle varie parti del verbale di verifica.

Si indica, tuttavia, che prima di procedere al controllo bisogna tuttavia sapere dove ricercare i difetti, ovvero l’analisi dei punti critici:

  • la zona vicino ai terminali;
  • la parte di fune che passa su bozzelli o pulegge;
  • i punti in prossimità delle pulegge mentre la gru è in posizione di sollevamento;
  • la fune sulla puleggia di compensazione;
  • la parte che può essere soggetta ad abrasione;
  • analisi interna per verifica corrosione o fatica.

Il corso si sofferma poi sul come procedere al controllo (visivo, dimensionale, analisi interna, ecc.) e su cosa cercare:

  • fili rotti;
  • riduzione del diametro;
  • abrasione;
  • corrosione;
  • danneggiamento e deformazioni.

Riguardo ai fili rotti, per fare questo tipo di verifica bisogna analizzare: la natura della rottura (le cause); il numero dei fili rotti; la posizione delle rotture, eventuali raggruppamenti. Un altro parametro da tenere in considerazione è la classe della Federazione Europea della Manutenzione della gru.

Il documento si sofferma poi nel dettaglio anche su riduzione del diametro, abrasione, corrosione, danneggiamento o deformazioni e riporta molte immagini esemplificative dei difetti delle funi. E sottolinea che non bisogna controllare solo la fune: è buona norma verificare anche:

  • i meccanismi su cui si avvolge la fune;
  • l’ambiente di lavoro in cui si opera;
  • il numero di cicli a cui è sottoposta.

Riguardo ai meccanismi, occorre controllare:

  • tamburo: se usurato può essere causa di rapido danneggiamento della fune; è un elemento da tenere sotto osservazione;
  • pulegge: quando si sostituisce la fune controllare ed eventualmente revisionare le pulegge; pulegge con gole strette o larghe sono causa di danneggiamento delle funi occorre anche verificare la presenza di impronte.

Si conclude poi ricordando che l’ambiente di lavoro è determinante per la vita della fune. E’ un parametro importante da tenere in considerazione per la scelta della fune più idonea e durante il controllo.

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo sono state presentate le schede numero 2864, 1895 e 4887, è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

Il documento “Funi di acciaio per gru – Verifiche e analisi dei punti critici”, è scaricabile all’indirizzo:

http://www.overtec.it/images/download/Funi_di_acciaio_per_gru.pdf

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STORIE DI INFORTUNIO: LA BUONA VOLONTA’ NON BASTA

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

03/07/18

Un lavoratore è rimasto infortunato mentre stava sistemando delle pedane in legno su cui appoggiare alcune rotoballe: l’incidente e le raccomandazioni di prevenzione.

Pubblichiamo la storia “La buona volontà non basta” tratta dal repertorio delle “Storie d’infortunio” rielaborate dagli operatori dei Servizi PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, e raccolte nel sito del Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte (DORS).

ESITO

Un lavoratore ha subito una frattura alla gamba sinistra e alcune contusioni al torace.

DOVE E’ AVVENUTO

In un capannone di un’azienda agricola.

COSA SI STAVA FACENDO

Giovanni, il lavoratore infortunato, era seguito dal Servizio Socio Assistenziale della ASL che gli ha trovato un’occupazione presso l’azienda agricola, in cui doveva occuparsi di mantenere puliti i vialetti delle pertinenze aziendali e dell’area uffici. Quel giorno due colleghi gli hanno chiesto una mano per stoccare le rotoballe di fieno all’interno di un capannone.

DESCRIZIONE INFORTUNIO

Mentre stava sistemando le pedane in legno su cui appoggiare le rotoballe è stato investito da una di queste caduta da una pila già stoccata.

COME PREVENIRE

prendendo spunto da questa storia si potrebbero fare una serie di raccomandazioni ritenute fondamentali per prevenire eventi infortunistici tipici della movimentazione delle rotoballe che si attestano su masse di circa 300 kg ognuna:

  • evitare l’uso delle pedane sotto le pile di rotoballe e nel caso di necessità, utilizzare solo pedane integre, resistenti e con caratteristiche idonee per tale uso;
  • predisporre sistemi di trattenuta, della fila più alta delle rotoballe, con cavi e tiranti (linee di indirizzo regione Piemonte per la costruzione di edifici destinati all’allevamento bovino e suino del 2016) e rotoballe perfettamente legate e impilate correttamente con utilizzo di trattrice agricola senza presenza di lavoratori a piedi (articolo 63 e allegato IV del D.Lgs. 81/08);
  • utilizzare trattrici agricole conformi, ossia con protezione del posto di guida (articolo 71 del D.Lgs. 81/08);
  • predisporre moduli formativi adeguati all’assunzione del lavoratore (4+8 ore per il rischio medio previsto in agricoltura dall’accordo Stato – Regioni) con supporto di opuscoli illustrati e specifici per l’ambito agricoltura a rinforzo delle riunioni formative da parte di personale competente (articolo 37 del D.Lgs. 81/08);
  • redigere un Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) dettagliato e corrispondente alla realtà produttiva valutata (articoli 17, 28 e 29 del D.Lgs. 81/08);
  • chiarire gli obblighi e le mansioni dei singoli lavoratori con documentazione aziendale esaustiva, consultabile e di facile accesso a tutti gli interessati (articoli 18, 19 e 20 del D.Lgs. 81/08).

Il documento “La buona volontà non basta” del Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte (DORS) è scaricabile all’indirizzo:

https://www.dors.it/documentazione/testo/201806/storia58_costanzo.pdf

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QUANDO SI MANOMETTONO I DISPOSITIVI DI SICUREZZA

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

di Tiziano Menduto

05/07/18

Esempi di infortuni correlati alla manomissione dei dispositivi di sicurezza nelle macchine. L’attività di pulizia di un silos, la manutenzione di un carro automatico porta pezze e il rifacimento dell’impianto elettrico. La normativa.

Come ricordato dal nostro giornale, anche attraverso specifiche interviste, in troppi luoghi di lavoro viene effettuata e tollerata la neutralizzazione dei dispositivi di sicurezza delle macchine.

Ad esempio ci può essere:

  • una manomissione: azione operata all’interno del dispositivo per modificarne il comportamento;
  • una manipolazione: azione operata generalmente sul dispositivo di sicurezza e facilmente rilevabile;
  • una elusione: un’azione che rende inefficaci i dispositivi di sicurezza senza operare sugli stessi.

In ogni caso una neutralizzazione (“defeating”) può tradursi in infortuni gravi e mortali per lavoratori, installatori e manutentori che operano sulle macchine.

Proprio per migliorare la prevenzione di questi rischi la nostra rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, inizia oggi un breve viaggio attorno al tema della manomissione dei dispositivi di sicurezza.

Ricordiamo che le dinamiche infortunistiche presentate sono tratte dall’archivio di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il primo caso riguarda l’attività di pulizia di un silos.

Un lavoratore effettua la pulizia del silos di carico dei granuli plastici per il cambio produzione. Dopo aver spento la macchina apre lo sportello inferiore a protezione della coclea e inserisce la mano sinistra all’interno per effettuare la rimozione del materiale presente.

Mentre effettua questa operazione, la macchina improvvisamente si avvia e la coclea in movimento cattura il braccio sinistro, causando lesioni che portano alla parziale amputazione dello stesso.

Veniva accertata successivamente la manomissione dell’interruttore interbloccato sullo sportello apribile. L’operatore non ha immediatamente arrestato la macchina.

Questi i fattori causali rilevati:

  • manomissione riparo apribile interbloccato;
  • mancato arresto di emergenza macchina.

Nel secondo caso l’incidente riguarda le attività di un addetto alle operazioni di manutentore di un carro automatico porta pezze, situato all’interno di un magazzino automatizzato.

Dopo avere ultimato le operazioni di manutenzione e avere riattivato l’impianto in ciclo automatico, l’addetto sale a recuperare un oscilloscopio lasciato in cima al carro.

Mentre si trova in elevazione sul carro in ciclo automatico, lo stesso carro, si sposta sul suo asse e lo schiaccia tra la parte superiore dello stesso e una trave ribassata del soffitto del magazzino.

Si è poi accertato che l’infortunato ha potuto entrare nel magazzino operante in ciclo automatico per la manomissione e la rimozione delle protezioni perimetrali (fotocellule) che non risultavano più funzionanti forse già alla loro installazione.

I fattori causali rilevati:

  • l’infortunato accedeva in una zona pericolosa;
  • mancanza protezioni con fotocellula.

Il terzo caso riguarda un incidente nell’installazione/rifacimento dell’impianto elettrico del magazzino.

L’evento si è verifica mentre l’infortunato si trova all’interno della piattaforma sviluppabile semovente (utilizzata per l’esecuzione dei lavori in quota). La piattaforma era stata portata all’altezza necessaria: in particolare, il lavoro che stava svolgendo consiste nel passaggio dei cavi elettrici all’interno di una canalina, utilizzando una sonda “tira-cavi”.

Per fare ciò, mentre i suoi colleghi lavorano presso altre parti del magazzino, l’infortunato si trova a un’altezza di circa otto metri da terra e opera dall’interno della piattaforma: a causa di una manovra errata dell’infortunato, e per la manomissione di protezioni sensibili effettuate in precedenza, la piattaforma si solleva improvvisamente, causando in tal modo lo schiacciamento del capo del malcapitato tra il parapetto della piattaforma sviluppabile ed il soffitto interno (copertura costituita da pannelli in cemento armato), causandogli le gravi lesioni al cranio che ne causano il decesso.

Per offrire informazioni e spunti per la prevenzione della manomissione dei dispositivi di sicurezza possiamo fare riferimento a un intervento dal titolo “La manomissione dei circuiti di sicurezza nelle macchine” a cura di Federico Dosio.

Nell’intervento si ricordano alcuni passaggi della Direttiva Macchine 2006/42/CE.

In particolare il punto 1.1.2 comma c) dell’allegato I della Direttiva indica che “in sede di progettazione e di costruzione della macchina, nonché all’atto della redazione delle istruzioni il fabbricante, o il suo mandatario, deve prendere in considerazione non solo l’uso previsto della macchina, ma anche l’uso scorretto ragionevolmente prevedibile”. E si sottolinea che se la riduzione del pericolo alla fonte avviene con l’adozione di protezioni, le “protezioni includono i circuiti di comando per applicazioni di sicurezza”.

E’ sempre la Direttiva Macchine 2006/42/CE a indicare che (punto 1.2.1 dell’allegato I):

I sistemi di comando devono essere progettati e costruiti in modo da evitare l’insorgere di situazioni pericolose.

In ogni caso devono essere progettati e costruiti in modo tale che:

  • resistano alle previste sollecitazioni di servizio e agli influssi esterni,
  • un’avaria nell’hardware o nel software del sistema di comando non crei situazioni pericolose
  • errori della logica del sistema di comando non creino situazioni pericolose,
  • errori umani ragionevolmente prevedibili nelle manovre non creino situazioni pericolose.

Particolare attenzione richiede quanto segue:

  • la macchina non deve avviarsi in modo inatteso,
  • i parametri della macchina non devono cambiare in modo incontrollato, quando tale cambiamento può portare a situazioni pericolose.

Si indica poi che in caso di manomissione di tali circuiti si può avere una:

  • manomissione volontaria: alterazione di una parte del circuito di sicurezza per ottenere vantaggi in termini di produttività;
  • manomissione involontaria: sostituzione di parti guaste del circuito di sicurezza con altre incompatibili con il progetto del circuito o alterazione delle condizioni in cui opera il circuito di sicurezza.

Sono riproposti alcuni esempi di manomissione involontaria:

  • sostituzione di un interruttore di sicurezza con un interruttore di minore caratteristica di MTTFd (Tempo Medio dei Guasti Pericolosi) o B10;
  • aggiunta di un ulteriore elemento di sicurezza nel circuito causando il decadimento del PL o il SIL (Livello di integrità della sicurezza) originale;
  • sostituzione di un variatore di velocità completo di funzione STO, SLS o SS1 con altro variatore con funzioni di sicurezza che garantiscono un PL o SIL inferiore;
  • sostituzione di un contattore con altro di marca diversa e diverso parametro B10;
  • modifica delle condizioni in cui opera il circuito.

Riportiamo, infine, alcuni esempi di manomissione volontaria:

  • elusione di un interruttore di sicurezza;
  • manomissione del circuito elettrico nel quadro di comando e controllo per escluderne il funzionamento permanentemente o temporaneamente;
  • modifica del software di sicurezza;
  • esecuzione del by-pass delle uscite di sicurezza;
  • smontaggio o orientazione in modo diverso delle barriere di sicurezza per consentire l’ingresso in zona pericolosa senza il loro intervento.

Segnaliamo che nell’intervento sono riproposti, in conclusione, anche alcuni esempi di errori di progettazione dei circuiti di sicurezza.

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo sono state presentate le schede numero 1481, 1652 e 8220 è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

Il documento “La manomissione dei circuiti di sicurezza nelle macchine” a cura di Federico Dosio è scaricabile all’indirizzo:

https://www.snop.it/attachments/article/332/Dosio-Manomissionecircuitodisicurezza-Assolombarda.pdf

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