IL “RITO” DELLA MORTE SUL LAVORO

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Riportiamo un trafiletto di cronaca sull’ennesimo omicidio sul lavoro.

Cremona, tragedia sul lavoro: operaio cade dal tetto di una cascina e muore

Durante i lavori di ristrutturazione: l’uomo, 48 anni, è precipitato da un’altezza di 10 metri, inutili i soccorsi

Tragico incidente sul lavoro a Camisano, nel cremonese. Un operaio di 48 anni di Mozzanica, nella Bergamasca, è morto dopo essere caduto da un tetto della cascina Torrianelli, dove stava lavorando. Nello stabile erano in corso lavori di ristrutturazione. L’operaio è precipitato da un’altezza di circa dieci metri ed è morto prima che arrivassero i soccorsi dall’ospedale maggiore di Crema. Sul posto sono intervenuti i carabinieri per le indagini di rito.

Quello che colpisce è la chiusura del pezzo, nella sua “neutralità” (figuriamoci se il cronista si interroghi sul come mai un lavoratore cade da una copertura nonostante le prescrizioni sulla sicurezza per lavori del genere siano rigorose e chiarissime) … “sul posto sono intervenuti i carabinieri per le indagini di rito”.
Le indagini su un infortunio sarebbero un “rito” quasi a simboleggiare, nel lapsus linguistico, la stanchezza e il “fastidio” di dover svolgere una indagine che va fatta per legge (e ci mancherebbe, davanti a quello che andrebbe sempre rubricato “di default” come omicidio sul lavoro) ma che ci si deve sbrigare a chiudere per passare ad altro. (Dal Devoto Oli, tra i significati di “rito” vi è quello di “conformità con una consuetudine prescritta o una prassi abituale generalmente sentita come inderogabile o inevitabile”).
Ma il termine “rito”, in quanto legata anche ai culti religiosi, richiama anche quello di “sacrificio”, è facile, per il lettore distratto che non ha più (se mai l’ha avuta) la forza di indignarsi di fronte a questi eventi, associare l’evento con qualcosa di ineluttabile e, in qualche modo, richiesto dal culto (in questo caso del profitto a scapito della sicurezza).
Le parole sono importanti e denotano anche il rispetto che ognuno di noi (a maggior ragione chi scrive su un giornale come su un “social”) deve nei confronti degli altri soprattutto quando sono colpiti da eventi funesti tutt’altro che imprevedibili e più che prevenibili.

Marco Caldiroli

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