UNA MARATONA MOLTO VELOCE PER LA MINISTRA GRILLO

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Nell’ambito della definizione del “Patto per la salute” 2019-2021 la Ministra ha previsto La #MaratonaPattoSalute così presentata : “Per la prima volta il ministero della Salute ha avviato un percorso di condivisione partecipata attraverso l’ascolto dei rappresentanti dei tre pilastri del sistema salute: operatori, aziende, associazioni di pazienti.”
Per le associazioni la giornata dedicata era oggi, 10 luglio.
Come Medicina Democratica (e altre associazioni) senza aspettarci nulla di particolare da questo evento abbiamo ritenuto opportuno partecipare e dire la nostra (tempo di intervento concessi : 3 minuti) anche per confrontarci con altre associazioni.
Appunto, la ministra Grillo è comparsa per poco più di tre minuti ….
Abbiamo scelto tre temi (altri temi sono stati sviluppati da altre associazioni in accordo).
Questo il testo dell’intervento di Medicina Democratica presentato da Aida Trentalance (rappresentante anche del Forum Salute del Molise).
In successione, nei due allegati, ulteriori contributi presentati.

10 Luglio 2019
Medicina Democratica con questo breve documento vuole sollevare l’attenzione su alcuni degli argomenti affrontati nella bozza del Patto per la Salute 2019-2021.

LEA
L’obiettivo di assicurare l’uniformità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza per superare le differenze territoriali è definito fra i punti caratterizzanti. Questa finalità è in linea di principio condivisibile, tuttavia la nostra associazione è fortemente preoccupata dalla parallela proposta di legge relativa al cosiddetto “regionalismo differenziato” che andrebbe invece molto probabilmente ad approfondire le attuali differenze fra le regioni del nord e del sud del paese.
Già oggi, infatti, le regioni che non raggiungono dei punteggi ritenuti sufficienti fra gli indicatori della griglia per la valutazione del “mantenimento nell’erogazione dei LEA” sono concentrate nelle regioni meridionali. Se al riconoscimento di ulteriori competenze si dovrà prevedere un trasferimento di risorse necessarie per l’effettivo esercizio di tali autonomie e pertanto una maggiore responsabilità (e perciò possibilità di definire normative peculiari) temiamo che, partendo dalla attuale situazione concreta caratterizzata da importanti differenze, possano cristallizzarsi de facto 21 servizi sanitari differenti che difficilmente potranno essere omogenei.
Questa emanazione di regole non coerenti fra di loro, come sottolineeremo per gli altri argomenti che vogliamo affrontare, potrebbero fortemente ledere i principi alla base del servizio sanitario nazionale come ad esempio l’universalismo e pertanto aumentare le diseguaglianze fra le persone.

Equità nell’ accesso alle cure
Conseguentemente a quanto riportato relativamente alla questione della gestione dei LEA in un regionalismo differenziato, una delle preoccupazioni maggiori per la nostra associazione riguarda il perseguimento dell’ equità nell’ accesso alle cure.
Riteniamo che il progressivo ridisegno della geografia organizzativa sanitaria che si è sviluppata nel tempo aumentando l’aggregazione delle aziende sanitarie ha senza dubbio risposto all’esigenza
degli obiettivi di economie di scala ma nel contempo ha determinato una importante riduzione della partecipazione da parte della popolazione in ambito sanitario portando, anche fisicamente, i rappresentanti istituzionali più lontani dai territori periferici (solitamente quelli più penalizzati sotto vari aspetti).
La nostra associazione invece ritiene che la partecipazione e l’utilizzo dell’epidemiologia dovrebbero essere poste al centro delle politiche sanitarie per le positive ricadute a livello di focalizzazione degli interventi negli ambiti di maggiore sofferenza, migliorare il livello di salute generale ed ottenere anche ricadute positive in termini economici. Gli interventi devono considerare tutti i maggiori determinanti di salute, pertanto non solo quelli prettamente sanitari ma considerare con lo stesso peso anche quelli sociali. Non è possibile legare l’idea di salute semplicemente con il volume delle prestazioni erogate. Si dovrebbe rivedere la centralità dei comuni nella definizione delle politiche sanitarie legate alle politiche socio-sanitarie e sociali.
Esistono delle esperienze in tal senso come quella recente della Consulta di Napoli, la quale ha prodotto uno studio sullo stato di salute della popolazione, punto di partenza del Referto epidemiologico comunale (Rec). A questo fine, si è calcolato, quartiere per quartiere, il Rapporto standardizzato di mortalità (Smr) confrontando il numero di decessi “osservati”, cioè reali, con quelli “attesi” cioè quelli che si sarebbero verificati se la mortalità avesse seguito in modo uniforme l’andamento standard della città. I risultati hanno evidenziato una divisione del territorio in due con un differenziale di mortalità più elevato nei quartieri con un alto grado di vulnerabilità sociale e materiale,confermando che le condizioni sociali ed economiche rappresentano un determinante primario della salute.
Riteniamo inoltre di evidenziare un argomento non certo secondario per le sue potenziali conseguenze sull’equità del sistema sanitario nazionale, sui suoi principi fondanti quali la solidarietà e l’universalismo: la definizione di un secondo pilastro per la copertura dei servizi sanitari.
Con la collaborazione di altre associazioni, abbiamo presentato due documenti esplicativi (all.1 e all.2) che inseriamo per una più puntuale argomentazione. Vogliamo solo aggiungere che le proposte di regionalismo differenziato del Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna riportano nel loro articolato la volontà di poter creare anche a livello regionale dei fondi integrativi sanitari.
Questa eventuale ulteriore attribuzione di autonomia legislativa, amministrativa ed organizzativa in materia (anche per eventualmente ampliarne l’oggetto di applicazione) renderebbe ancora più frastagliato il sistema e molto più concreta la possibilità di opting out con la creazione di più sistemi di coperture che determineranno un aumento delle diseguaglianze all’accesso ai servizi.

Liste d’attesa
La problematica delle liste d’attesa è divenuta emergenziale in quanto si inserisce in un quadro generale molto complesso, con diversi interessi in gioco.
Non vi è dubbio che il progressivo sottofinanziamento subito dal sistema sanitario in questi ultimi anni, come rilevato dai maggiori osservatori italiani, la riduzione del personale, una sovraprescrizione dovuta anche alla cosiddetta medicina difensiva hanno contribuito notevolmente all’esplosione del fenomeno.
Nondimeno questa situazione, che di fatto genera ulteriore iniquità, disagio e diffusa diffidenza rispetto al servizio sanitario pubblico, può essere utile a coloro i quali puntino semplicemente all’introduzione del “secondo pilastro” non intervenendo a monte del problema.
Lo scorso mese di febbraio è stato varato il nuovo Piano nazionale per il governo delle liste di attesa (PNGLA) che avrebbe dovuto essere recepito da tutte le regioni.
Al suo interno vi sono delle misure anche interessanti come il blocco dell’attività libero professionale in caso di superamento dei tempi di attesa massimi previsti. Successivamente a questo documento si è assistito ad una levata di scudi contraria da parte di alcune associazioni mediche di
categoria.
Ricordiamo che la legge 3/8/07 n.120 (Disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria ed altre norme in materia sanitaria) già indicava “il progressivo allineamento dei tempi di prestazione delle erogazioni nell’ambito dell’attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, al fine di assicurare che il ricorso a quest’ultima sia conseguenza di libera scelta del cittadino e non di carenza dell’organizzazione dei servizi resi
nell’ambito dell’attività istituzionale”. Crediamo che il ministero debba intervenire direttamente per definire in maniera chiara l’argomento.
Anche la considerazione dell’abbattimento delle liste d’attesa come criterio principale per le conferma dei Direttori Generali può senza dubbio essere una modalità per indurre un allineamento
dei tempi.
A questo deve anche essere aggiunto l’abbattimento dei tetti di spesa che attualmente, in diverse realtà, determina la paradossale saturazione dei posti disponibili già nei mesi estivi.
Ovviamente dovrebbe essere innanzitutto varata una legislazione che favorisca la prescrizione delle sole procedure con supportate evidenze di reale efficacia per la salute, riducendo pertanto i volumi
di attività non utili alle persone malate e procedere con la formazione e l’assunzione di personale sanitario in numero utile per raggiungere gli scopi del servizio sanitario.

Finanziamento
In conclusione, esprimiamo la nostra contrarietà all’ inserimento della clausola di salvaguardia finale che avvolgerebbe tutto il Piano in un ambito di quasi aleatorietà mettendo in dubbio ogni capitolo di finanziamento. Crediamo che il sistema sanitario nazionale, già sottofinanziato da
diversi anni, debba poter invece godere di una programmazione, anche economica, certa se si desiderano realmente superare diverse delle problematiche che abbiamo in precedenza brevemente ricordato.

Si aggiungono, nei due allegati, un focus sulla questione dei fondi sanitari e una proposta di emendamento all’ attuale articolo 11 dell’utlima bozza del Piano per la Salute 2019-2021 a nostra conoscenza, sottoscritti con altre associazioni.

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