RIFIUTO O NON RIFIUTO E’ QUESTO IL DILEMMA ?

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Riporto sotto delle mie note sulla questione che sta infiammando (anche) alcune associazioni ambientaliste (v. http://www.lexambiente.com/materie/rifiuti/179-dottrina179/14482-rifiuti-%E2%80%9Criforma%E2%80%9D-end-of-waste-brutta-lex,-sed-lex-per-ora.html?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook ) su cui mi chiedo (con le considerazioni aggiuntive qui sotto) se, alla fine, il problema principale sia una corretta individuazione delle tecniche e delle condizioni autorizzative per gli impianti che nobilitano i rifiuti a materie prime (EOW) oppure solo una questione di forma autorizzativa (di costi relativi e tempi di ottenimento).

Premetto che non sono neppure io soddisfatto della “soluzione” sul blocco autorizzativo degli impianti EOW che, principalmente, rimanda al DM 5.02.1998 ma occorre anche considerare quanto segue.

1) un rifiuto può essere recuperato come rifiuto, non è indispensabile che debba passare alla condizione EOW.

2) se il DM 5.02.1998, per suoi intrinseci limiti, fosse così “bloccante” avremmo oggi dei problemi ben più estesi : per esempio per la carta, per la quale non esiste regolamento UE su EOW e neanche un Decreto nazionale.

3) la proposta che le regioni si facciano carico di attuare le norme EOW quando mancano regolamenti/decreti nazionali ha un suo fondamento. Ma siamo sicuri che le regioni sono adeguatamente attrezzate e abbiamo finora attuato correttamente questo aspetto di cui si sono fatto carico fino alla sentenza 1229/2018 ?

Per esperienza ho visto autorizzazioni (ordinarie) in cui veniva “implicitamente” riconosciuto la qualifica di EOW a dei trattamenti che erano delle semplici attività di miscelazione di rifiuti (cosa che può starci in casi ben precisi e limitati).

Queste autorizzazioni su cosa comunque erano basate ? Sugli “anacronistici” criteri del DM 5.02.1998 che ha surrogato finora proprio la mancanza di regolamenti/decreti EOW.

In altri termini quello che doveva valere solo per le procedure semplificate è stato esteso alle procedure ordinarie, ed è questo utilizzo esteso del DM 5.02.1998 che è stato “bloccato” dalla sentenza 1229/2018 sicuramente discutibile. Questa estensione viene risbloccata, nelle intenzioni, nel provvedimento in questione.

4 ) Non dimentichiamoci il DM 23/2013 sul CSS EOW, unico decreto emesso prima di quello sul fresato del marzo 2018 (e unico decreto del genere in Europa) : forme semplificate per aggiornare autorizzazioni di cementifici e centrali a carbone per incenerire rifiuti

Non dimentichiamoci (anche se il tema è diverso) il petcoke di Gela classificato come sottoprodotto nel 2004 anche dalla Corte Europea.

Non dimentichiamoci le comunicazioni in semplificata di rifiuti di scorie per rilevati stradali che poi contenevano ben altro (Brebemi, Valdastico): vi sono ecocriminali che hanno sfruttato le procedure semplificate per fare danni (e anche autorizzazioni in via ordinaria con riconoscimento di EOW).

Non dimentichiamoci che la procedura semplificata significa saltare ogni “filtro” conoscitivo e di intervento pubblico (niente VIA, niente autorizzazione esplicita, nessuna pubblicizzazione della procedura).

5) Non voglio fare il fine interprete del legislatore, ma se vi è una colpa nel provvedimento governativo è che ha voluto solo confermare che – nell’ambito delle autorizzazioni ordinarie – valgono i criteri del DM 5.02.1998 per il riconoscimento EOW, ovvero quello che hanno fatto regioni e province fino alla sentenza in questione. L’unica “novità” è il generico DM “guida” che potrebbe (il condizionale è effettivamente scandaloso) introdurre linee guida sul tema.

6) mi viene, infine, il dubbio che la contrapposizione sul tema non sia sulla validità dei trattamenti per nobilitare un rifiuto a EOW e quindi a nuova materia prima ma sulla forma autorizzativa (aspetto che sembra essere implicito nei commenti come quello sotto richiamato) : autorizzazione semplificata (semplice comunicazione) anziché ordinaria (e sui relativi costi e tempi per l’ottenimento), autorizzazione nel chiuso dell’ufficio di un dirigente anziché in procedure (parzialmente) di evidenza pubblica.

7) Le proposte di innovazioni nel campo dei rifiuti vanno valutate seriamente (a questo dovrebbero servire i decreti per filiera, non ne servono centinaia), caso per caso, altrimenti una iniziativa come quella di ENI (Livorno) in cui propone una “bioraffineria” che in realtà altro non è che un pirogassificatore di CSS (EOW ovviamente) e di plasmix (EOW ovviamente) finirà per essere approvata con una comunicazione in procedura semplificata (al momento, non per la norma in esame ma per le norme previgenti, fortunatamente non può essere così). Ma non è un caso che tale iniziativa (come quella di un gassificatore per rifiuti in Garfagnana) vengono presentate (con la sottoscrizione della Regione Toscana) come iniziative di “economia circolare”.

Marco Caldiroli

Rifiuto o non rifiuto, è questo il dilemma ?
In questi giorni le associazioni delle aziende che recuperano rifiuti e i relativi “politici di riferimento” sono sul piede di guerra”. Parliamo di un “mercato” che riguarda il 65 % delle 135 milioni di tonnellate (2016) di rifiuti speciali e il 48 % dei 29,5 milioni di rifiuti urbani raccolti (2017). Cosa è successo ? Dai primi anni ’90 in Italia sono stati introdotti diversi provvedimenti (non sempre lineari) per favorire il recupero dei rifiuti. In particolare il DM 5.02.1998 sulle “materie prime seconde” (MPS) ha previsto forme semplificate di autorizzazione degli impianti definendo le tipologie dei rifiuti in entrata, il tipo di trattamento e le caratteristiche delle MPS prodotte. Con le normative europee è stato introdotto prima il “sottoprodotto” e poi il “rifiuto che ha cessato la qualifica di rifiuto – end of waste” (EOW). Mentre il sottoprodotto è un “residuo” di una produzione ma che non diviene mai un rifiuto (sul pet-coke della raffineria di Gela vi fu una diatriba giudiziaria che nel 2004 venne risolta dalla Corte Europea a favore dell’impresa) la MPS come pure l’EOW “nasce” come rifiuto ma può “nobilitarsi” a materia prima. Dalla “gerarchia nella gestione dei rifiuti” alla “economia circolare” su cui tutti sono concordi (a parole) quale passaggio per modificare il rapporto produzioni/merci/ambiente (e salute). Tra le condizioni per il riconoscimento delle EOW vi è il rispetto di “standard” tecnici, che sono di origine europea (regolamenti) o, in assenza, norme nazionali. In Europa l’iniziativa “langue”: pochi i regolamenti emanati (metalli, rame, vetro), per importanti frazioni merceologiche contenute nei rifiuti (carta, legno, materie plastiche, gomma) non si è ancora quagliato per veti incrociati. In Italia, fino a poco tempo fa, l’unica norma EOW esplicita (unici in Europa) è stata quella sul combustibile solido secondario (CSS) (DM 32/2013). L’obiettivo era un altro : bruciare rifiuti anche in cementifici e in centrali a carbone. Non è stato accolto bene, non sicuramente dalla associazione che rappresento. Una seconda norma (marzo 2018) ha introdotto regole EOW per il granulato di conglomerato bituminoso (partendo dal “fresato d’asfalto”). A fronte di questo semivuoto normativo, le regioni e le province hanno “surrogato”: ogni qual volta autorizzavano impianti di trattamento rifiuti al di fuori dei casi già previsti dalle norme esistenti o accettavano comunicazioni in regime semplificato. Si è trattato di decisioni non sempre condivisibili e tecnicamente fondate. Comunque sia, una sentenza del Consiglio di Stato (1229/2018) ha bloccato questa prassi, partendo dal caso di un impianto del Consorzio Contarina (tra i più avanzati nella riduzione, raccolta differenziata e recupero dei rifiuti urbani) per il recupero dei pannolini (sottoforma di fiocco di cellulosa e plastica in foglia). L’interpretazione è restrittiva: chi può regolare gli EOW è solo l’Europa e il singolo Stato e non gli enti locali. Ciò ha prodotto un impasse che l’ultimo provvedimento, nello sblocca cantieri … non ha sbloccato in quanto non fa altro che richiamarsi all’ormai vecchio e limitato DM 5.09.1998 (MPS) che doveva essere via via sostituito dai provvedimenti EOW. Paradosso recentissimo è la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale pochi giorni fa del decreto sulle condizioni di riconoscimento dell’EOW proprio per i pannolini risolvendo la questione che aveva determinato la sentenza “bloccante”. Il passo indietro al decreto del 1998 ha scontentato tutti. Particolarmente chiassosi sono stati gli industriali metallurgici che vedevano nell’EOW applicato alle loro scorie (utilizzabili anche nei rilevati stradali) come il modo più agevole per sbarazzarsene nella presunzione delle loro innocuità. Il caso delle scorie, in realtà, non è quello migliore da far valere, perché sono numerose le vicende giudiziarie (BREBEMI, Valdastico ecc) in cui l’utilizzo di scorie per realizzare autostrade o altro è stato fatto in modo scorretto e anche con pesanti effetti ambientali. Il motivo ? Nella maggior dei casi le scorie erano solo una componente di una miscela con altri rifiuti problematici. E’ questo un pericolo reale, in assenza di una rigorosa regolamentazione (e controllo) si può far passare per EOW quelli che sono (e rimangono) rifiuti pericolosi per l’ambiente se utilizzati senza limiti. La diatriba relativa al “passo indietro” (alla norma del 1998) si concentra sul livello di oneri connessi con le diverse attuali forme autorizzative (semplificate/ordinarie), in sostanza gli industriali ritengono che l’utilizzo dei criteri del vecchio decreto anche per le autorizzazioni ordinarie non permetterebbe innovazione nel settore ed un maggiore recupero dei rifiuti (ma soprattutto danneggerebbe il loro fatturato). Se fare un passo indietro non è il modo migliore per innovare (occorrono i decreti EOW per questo) è pur vero che il chiasso appare esagerato: chiunque conosce il vecchio DM sa che i criteri contenuti sono meno restrittivi di un decreto EOW, e nulla vieta di recuperare un rifiuto correttamente anche quando rimane tale (per la carta lo si fa tutti i giorni anche senza un decreto EOW). Utilizzare il decreto del 1998, momentaneamente, quale fonte di criteri per l’estensione degli EOW non è affatto precluso dalla norma, quello che cambia è che gli enti locali devono prendersi esplicitamente la responsabilità di queste scelte, quindi studiare bene le proposte e validarle con coscienza e rigore. Il problema non è il dilemma “rifiuto o non rifiuto” ma la validità delle tecniche di recupero e il livello di tutela che gli impianti possono fornire concretamente.

Marco Caldiroli

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