CORONAVIRUS, ITALIA-EUROPA E SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO

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Ci sembra utile mettere a disposizione questa nota a firma di Anna Tempia che precisa i termini dei rapporti tra Italia ed Unione Europea a fronte dell’emergenza corona virus.
La nota ci ricorda le responsabilità nazionali (e sottolineiamo nazionali) nell’affrontare queste situazioni nelle quali è fondamentale avere un servizio sanitario NAZIONALE in grado di rispondere in modo uniforme (dubitiamo che ciò potrà avvenire in futuro se verrà approvata la “autonomia differenziata” di cui abbiamo avuto un esemplare anticipo con le “varianti” regionali dei provvedimenti di contenimento e controllo dell’epidemia da coronavirus).
Vi è altrettanto da dubitare che un sistema sanitario basato su mutue e assicurazioni private – come molte forze politiche (con l’aiuto bipartisan anche dei sindacati abbagliati dalle sirene del “welfare aziendale”) – può essere in grado di rispondere ad un livello idoneo e uniforme (qualcuno ha notizie di reparti per pazienti infettivi presso ospedali privati o del ruolo che ha avuto la sanità privata in questa emergenza ??).

UE ITALIA AI TEMPI DEL CORONA VIRUS 26 2 2020 Tempia1

A tale proposito segnaliamo due passaggi dalla nota (invitiamo ovviamente alla sua lettura completa):

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Sappiamo infatti che la lotta contro la diffusione del coronavirus in Italia può essere resa difficile anche dal fatto che il nostro Servizio Sanitario Nazionale, nato in modo unitario nel 1978, è costituito da 20 Servizi Sanitari Regionali (SSR), che oggi hanno profili istituzionali e organizzativi non omogenei e specificità proprie. Dal punto di vista dell’offerta, si può dire che i cambiamenti che in gran parte “accomunano” i SSR si misurano sulla riduzione dei posti letto ospedalieri e sulla contrazione dei servizi sanitari territoriali pubblici, all’interno di un modello cosiddetto “misto pubblico/privato” che ha visto una crescente presenza di operatori privati su entrambi i fronti. Le “differenze” tra i SSR sono da attribuire non solo all’impatto della contrazione dei finanziamenti ai SSR (soprattutto nelle regioni in piano di rientro), ma anche ad importanti scelte di politica sanitaria. Esse hanno riguardato soprattutto: a) il grado di “aziendalizzazione” dell’impianto del SSR, b) l’ampiezza del ricorso agli accreditamenti e alla contrattualizzazione degli operatori privati e in parallelo il grado di depotenziamento degli operatori pubblici del SSR, c) l’impianto per realizzare la “Presa in carico dei malati cronici” che comporta un notevole impegno finanziario, d) l’incidenza del mercato assicurativo, e) la presenza di operatori privati non accreditati e non contrattualizzati dal SSR che operano direttamente sul mercato della salute. Questi sono i principali fattori che hanno concorso a ridisegnare la fisionomia di ogni SSR, fino a farla talvolta diventare un composito “sistema”, come del resto la Lombardia continua a denominare il suo Servizio sanitario regionale. Tutto ciò rende ancora maggiore l’esigenza di un coordinamento a livello nazionale.
Oggi, in presenza del coronavirus in Italia, assistiamo al fatto che sono le strutture pubbliche dei Servizi sanitari regionali ad essere in prima linea nella lotta contro questa emergenza. Non possiamo che essere riconoscenti per il lavoro e l’abnegazione con cui medici, infermieri e ricercatori delle strutture pubbliche si stanno adoperando in questa sfida. Ma auspichiamo anche che il settore pubblico riceva i riconoscimenti e gli aiuti che si merita, nonché tutte le misure necessarie per salvaguardare la salute di chi lavora per contrastare l’emergenza del coronavirus.>>
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