INSEGNAMENTI DA CORONAVIRUS : APPELLO DEL FORUM PER IL DIRITTO ALLA SALUTE DELL’EMILIA ROMAGNA

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Comunicato Stampa
Appello per il ritiro della proposta di regionalismo differenziato della Regione Emilia-Romagna con particolare riferimento alla sanità e il potenziamento strutturale del Servizio Sanitario Nazionale (non solo per l’emergenza Covid-19)

Il “Forum per il Diritto alla Salute”, nato nel 2017 e composto da cittadini e soggetti della società civile, politica e sindacale con lo scopo di rilanciare il Servizio Sanitario Nazionale nel suo carattere essenziale di servizio pubblico, sancito dalla 833/’78 in attuazione della Costituzione, CHIEDE al Presidente S. Bonaccini, alla vice Presidente E. Schlein ed alla Giunta dell’Emilia Romagna: ➢ Ritiro della proposta di regionalismo differenziato con particolare riferimento alla Sanità avanzata dalla precedente Assemblea Regionale;
➢ Ritornare alla dizione “Rapporti Stato Regioni” della delega che il presidente Bonaccini si è assegnato e abbandonare la dizione “Autonomia Regionale”;
➢ Rinunciare alla istituzione di fondi integrativi regionali, ed agli appalti e l’esternalizzazione dei servizi sanitari, non sanitari di supporto e socio-sanitari;
➢ Chiedere al Governo ed alla maggioranza parlamentare che lo sostiene di: ➢ Respingere le richieste di regionalismo differenziato già avanzate e di togliere tale tema dalla loro agenda politica
➢ Aprire un processo nuovo, non secessionista, che consenta di potenziare un servizio sanitario nazionale pubblico universalistico, equo e solidale, come previsto dalla 833/78, in tutte le regioni, tramite un regionalismo basato sul principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, e attuato tramite Patti per la Salute, senza alcuna modifica della Costituzione vigente né formale né di fatto. ➢ Definire un piano di potenziamento strutturale del Servizio Sanitario Nazionale Pubblico incrementando il Fondo Sanitario Nazionale di almeno 40 miliardi nei prossimi 4 anni e di assegnare i finanziamenti alle Regioni e in base alla rilevazione dei reali bisogni dei cittadini e non su stime derivanti da spese storicamente effettuate, come da anni si sta operando, eludendo le esigenze della popolazione. ➢ Abbandonare ed invertire il processo di privatizzazione in atto, a cominciare dalla eliminazione del “welfare fiscale”, cioè delle agevolazioni fiscali per la spesa sanitaria privata diretta ed intermediata dalle assicurazioni;
➢ Eliminare il numero chiuso a Medicina e Chirurgia ed a tutti i corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie e di interesse Sanitario;
➢ Finanziare con 20 miliardi nei prossimi 4 anni la ricerca e la attività di docenza in forma congiunta Università e Servizio Sanitario Nazionale
➢ Realizzare una Industria pubblica del Farmaco per liberarsi delle speculazioni e dei ricatti del settore privato in mano alla speculazione finanziaria
➢ Adottare il “modello Patto per la Salute” per tutte le materie a legislazione concorrente previste dall’art. 117 della Costituzione!
➢ Non regionalizzare la funzione legislativa per le materie, come l’istruzione, di competenza esclusiva del Parlamento

LE PRIME ADESIONI
– Medicina Democratica Onlus
– Cobas Pubblico Impiego – Emilia Romagna
– Coalizione Civica per Bologna
– Comitato bolognese Scuola e Costituzione
– Valsamoggia Valpanaro Sanità

ALCUNI PERCHE’

L’INSEGNAMENTO DELLA COVID-19
Un sistema sanitario efficace deve essere nazionale e mai come oggi, con l’epidemia da Coronavirus, ne abbiamo avuto la prova concreta. Nazionale sia sul piano del finanziamento che sul piano legislativo (e della normativa tecnica) e decentrato a livello regionale, solo, sul piano dei suoi momenti amministrativi, come del resto prevede la legge 833/’78 attuativa della Costituzione.
La caratteristica della epidemia di Covid-19 che ci interessa segnalare è che le conoscenze scientifiche e le tecnologie di prevenzione e di cura, necessarie per tutelare la salute non hanno confini regionali, e neppure nazionali, e che la conseguente attuazione dell’appropriato uso delle tecnologie disponibili in termini di efficacia tecnica e di sostenibilità
economica è possibile solo, come minimo, a livello nazionale. E talora anche questa dimensione nazionale, come dimostra la diffusione del virus, è insufficiente ed è necessaria una collaborazione internazionale globale e solidale.
La discrepanza tra la dimensione nazionale/globale e le potenzialità ridotta delle singole regioni che si va dimostrando con l’epidemia da Coronavirus è la stessa caratteristica che connota tutti gli ambiti per i quali Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, hanno concordato con il Governo Gentiloni nel 2018 e chiedono oggi la attribuzione di “ulteriori competenze legislative ed amministrative nella materia della “tutela della salute”.

LA QUESTIONE REGIONALE: EMILIA ROMAGNA, VENETO, LOMBARDIA
Il limite di queste pretese riguardanti la tutela della salute è proprio in una caratteristica comune a tutte le materie per le quali sono state richieste: l’essere, tutte, ambiti di politica sanitaria a dimensione nazionale e cioè comuni sia alle 3 regioni a statuto ordinario (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna) che a tutte le altre.
Infatti le richieste si riferiscono a:
1. Personale con rimozione di vincoli di spesa (il Veneto anche libera professione!)
2. Scuole di specializzazione, borse di studio, contratti di formazione lavoro per medici, inserimento nelle attività assistenziali;
3. Sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione alla spesa;
4. Sistema di governance con riferimento ad integrazione e continuità ospedale territorio;
5. Equivalenza terapeutica fra medicinali con differenti principi attivi, in luogo dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA),
6. Distribuzione diretta dei Farmaci ai pazienti che richiedono un controllo ricorrente, in assistenza domiciliare, residenziale e semiresidenziale, per il periodo immediatamente successivo alla dimissione dal ricovero
ospedaliero o alla visita specialistica ambulatoriale;
7. Patrimonio edilizio e tecnologico: propri percorsi autorizzativi e risorse certe;
8. Fondi integrativi regionali: misure di semplificazione, agevolazione e ampliamento.
Proprio queste regioni attualmente sono le più colpite dall’epidemia Covid-19 e bisognose dell’intervento dello Stato centrale, del suo governo e del suo Parlamento, e quindi la validità delle loro richieste di autonomia o regionalismo differenziato viene smentita dalle vicende che si svolgono in questi giorni nei rispettivi territori ed a carico dei rispettivi
servizi sanitari regionali.
Lo ha riconosciuto relativamente al “sistema tariffario”, ai farmaci ed alla formazione degli specialisti lo stesso ministro Speranza nel novembre scorso di fronte alla Commissione Parlamentare per le regioni!

LA PRIVATIZZAZIONE DEL SERVIZIO PUBBLICO TRAMITE FONDI SANITARI REGIONALI
Francamente inaccettabile è la richiesta di autonomia legislativa per procedere a costituire fondi sanitari assicurativi regionali, parzialmente pubblici poiché necessiterebbero di riassicurazioni con i grandi gruppi finanziari ed assicurativi italiani, a cominciare da Intesa San Paolo, che nello scorso dicembre è diventato il più importante player del mondo
assicurativo sanitario avendo acquistato “RBM Assicurazione Salute”, e da Unipol.
Questi fondi regionali sono da rigettarsi per quattro ragioni almeno:
● la prima perché costituirebbero un esborso aggiuntivo alle tasse che, da quanti non evadono o non eludono, già vengono pagate per il SSN
● la seconda perché non sarebbero accessibili ai più socialmente ed economicamente deboli,
● la terza perché sfruttando le agevolazioni fiscali, intorno al 19% per la spesa privata diretta ed intermediata già
oggi in vigore, consentirebbero a chi vi accede di ridurre il proprio contributo al Fondo Sanitario Nazionale,
definanziandolo ulteriormente a scapito di tutti, non solo dei meno abbienti, di norma i più bisognosi.
● la quarta perché andrebbero ad integrarsi a quel sistema definito di welfare aziendale e territoriale finanziato a scapito dei salari e delle pensioni future dei lavoratori e dei dipendenti che li accettano.

I TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA
Tutti i problemi citati, inoltre, sono generati dalle politiche di austerity (tagli della spesa pubblica) e dalla privatizzazione strisciante e progressiva del SSN, comprese le agevolazioni fiscali per i fondi sanitari integrativi privati e regionali, adottate dai governi e dalle maggioranze parlamentari che si sono alternate negli anni e mai contestate decisamente dai presidenti e dalle assemblee regionali.
L’impatto delle politiche di austerity è stato quantificato nel dicembre 2019 dallo stesso Ufficio Parlamentare di Bilancio in una riduzione del Fondo Sanitario Nazionale, tra il 2010 ed il 2019, di ben 37 miliardi di euro.
La maggior voce di spesa tagliata, naturalmente, è stata quella del personale con una riduzione di ben 8.000 medici e di oltre 40.000 altre figure professionali, avviata con il blocco del turn over iniziato dalla finanziaria del 2006 che impone a regioni, enti locali e al SSN di non superare nella spesa per il personale “il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1 per cento”, solo lievemente attenuato sino ad oggi.
E ciò senza tener conto delle esigenze di maggior personale legate allo sviluppo delle tecnologie assistenziali, della giusta legislazione europea a tutela del lavoro in sanità che comporta più personale a parità di attività assistenziali, della sottodotazione storica rispetto agli altri paesi europei, del blocco per circa dieci anni dei contratti, del precariato e delle esternalizzazioni dei servizi di supporto all’assistenza diretta (vitto, pulizie, trasporti).
Il recente decreto del governo per le assunzioni di 20.000 tra medici e personale sanitario per l’epidemia Covid-19 ne è la prova.

Qui il documento integrale

2020.03.10 Richiesta ritiro proposta di regionalismo differenziato

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