
SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.192 DEL 26/01/15
INDICE
- La corretta illuminazione delle postazioni di lavoro con videoterminali – Seconda parte
- Il datore di lavoro e la tutela della salute mentale
- L’ABC dello stress: quali sono i fattori di rischio interni e esterni
- Interpello: il medico competente può essere subordinato all’RSPP?
- Macchine in edilizia: equipaggiamento elettrico delle macchine
Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.
La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.
L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Medicina Democratica
Progetto “Sicurezza sul lavoro – Know your rights!”
https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156
http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210
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LA CORRETTA ILLUMINAZIONE DELLE POSTAZIONI DI LAVORO CON VIDEOTERMINALI – SECONDA PARTE
LE CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.62
Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne fanno richiesta, su tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di richieste e devo dire che per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire con le mie risposte a fare chiarezza sui diritti del lavoratori.
Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che hanno la pazienza di leggere le mie newsletters, queste consulenze.
Esse trattano di argomenti vari sulla materia e possono costituire un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a che fare con casi simili o analoghi.
Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza ometterò il nome delle persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende coinvolte.
In questo caso, vista la lunghezza e la complessità dell’ argomento, ho diviso il documento in due parti.
La prima (pubblicata nella precedente newsletter) era relativa a:
- normativa di riferimento;
- obbligo generale di individuazione dei rischi e di attuazione di misure per l’eliminazione dei rischi;
- illuminazione degli ambienti di lavoro con videoterminali.
La seconda (questa) è relativa a:
- richieste dei lavoratori relative alla tutela della salute e della sicurezza;
- obbligo di intervento da parte degli organi di vigilanza;
Marco Spezia
QUESITO
Buon giorno.
Sono un videoterminalista/progettista/disegnatore di azienda privata.
Ti disturbo per avere un tuo parere in merito alla messa a norma del nostro ufficio di progettazione, riguardante l’illuminazione artificiale dello stesso.
Da tempo abbiamo fatto notare ai responsabili dell’azienda che le lampade al neon a soffitto non sono sufficientemente schermate, perché hanno solo delle alette di protezione e che quindi non diffondono la luce in modo omogeneo, ma riflettono direttamente sui nostri monitor.
Alcuni di noi (compreso il sottoscritto) sono stati costretti a spegnerle perché procuravano fastidio.
Nonostante il nostro invito e sollecito le lampade non sono mai state sostituite. Ci è stato risposto che l’azienda non ha soldi e che farà solo quanto la normativa impone.
Eppure sappiamo da linee guida lette su internet che una illuminazione non adeguata per lavoratori videoterminalisti può provocare sintomi di affaticamento visivo oltre a bruciore, fastidio visivo, bulbi oculari pesanti, secchezza e ammiccamenti frequenti.
Cosa ne pensi di tutto questo? Possiamo fare qualcosa o dobbiamo sottostare a quanto ci dice l’azienda? Possibile che le norme non impongano all’azienda di cambiare le lampade?
Abbiamo inviato questa stessa lettera anche alla ASL, ma a oggi non abbiamo ricevuto alcuna risposta.
Ti saluto e ti ringrazio cordialmente.
RISPOSTA
Ciao,
riguardo ai problemi che tu segnali (illuminazione dei luoghi di lavoro, con particolare riferimento a quelli con videoterminali), ti dico subito che tali problemi sono dovuti a un mancato adempimento della tua azienda dei dettati stabiliti dalla normativa vigente.
Una corretta illuminazione delle postazioni di lavoro con videoterminali, per evitare abbagliamenti dello schermo e garantire nel contempo livelli di luminosità adeguati sulla scrivania, è una caratteristica richiesta come obbligo dalla normativa.
Nel seguito esporrò cosa prevede la normativa vigente rispetto a come ogni azienda deve individuare a livello generale i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori e che azioni deve intraprendere in caso di presenza di rischi o di non conformità rispetto a quanto stabilito dalla normativa.
Esaminerò poi i requisiti specifici per l’illuminazione dei posti di lavoro con videoterminali.
Spiegherò infine come possono i lavoratori richiedere all’azienda il rispetto della normativa e quali passi possono fare nei confronti dell’autorità competente per pretendere l’applicazione della normativa stessa.
Marco Spezia
RICHIESTE DEI LAVORATORI RELATIVE ALLA TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA
I requisiti di salute e sicurezza sul lavoro sopra prescritti costituiscono obblighi a carico del datore di lavoro e/o dei dirigenti di ogni azienda e quindi, già secondo tale considerazione, dovrebbero essere ottemperati, pena le sanzioni sopra specificate.
Nel caso però che il datore di lavoro e/o i dirigenti di un’azienda risultino inadempienti, i lavoratori hanno la possibilità di richiedere formalmente l’ottemperanza agli obblighi di legge e di segnalare alla autorità di vigilanza il mancato adempimento.
Tale diritto, secondo il Decreto, viene esercitato per mezzi del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) che i lavoratori hanno la facoltà di eleggere, ai sensi dell’articolo 47, commi 2, 3, 4:
“2. In tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
- Nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è di norma eletto direttamente dai lavoratori al loro interno oppure è individuato per più aziende nell’ambito territoriale o del comparto produttivo secondo quanto previsto dall’articolo 48.
- Nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda. In assenza di tali rappresentanze, il rappresentante è eletto dai lavoratori della azienda al loro interno”.
Il RLS è colui che si fa portavoce delle esigenze dei lavoratori relativamente a tutto quanto attiene alle esigenze di salute e sicurezza sul lavoro.
Nel caso che il RLS non sia stato eletto o designato, le sue funzioni sono svolte dal Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale (RLST) stabilito dall’articolo 48, comma 1 del Decreto:
“Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale […], esercita le competenze del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di cui all’articolo 50 nei termini e con le modalità ivi previste con riferimento a tutte le aziende o unità produttive del territorio o del comparto di competenza nelle quali non sia stato eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.
Il RLS ha la possibilità di segnalare al datore di lavoro e/o ai dirigenti ogni mancato adempimento alla normativa vigente, chiedendo loro i necessari adeguamenti.
Tale possibilità è sancita dall’articolo 50, comma 1, lettere m) ed n):
“Fatto salvo quanto stabilito in sede di contrattazione collettiva, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza:
[…]
- m) fa proposte in merito alla attività di prevenzione;
- n) avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività;
[…]”.
Inoltre, nel caso che a seguito di tali segnalazioni e proposte, l’azienda non provveda a ottemperare ai relativi articoli del Decreto, il RLS ha la facoltà di segnalare i mancati adempimenti all’organo di vigilanza (gli ispettori dell’Unità operativa di prevenzione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro della ASL competente territorialmente), richiedendone l’intervento, secondo quanto stabilito dall’articolo 50, comma 1, lettera o):
“Fatto salvo quanto stabilito in sede di contrattazione collettiva, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza:
[…]
- o) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro”.
Nel caso invece che il RLS o il RLST non ritengano di avvalersi delle facoltà previste dall’articolo 50, qualunque lavoratore può segnalare alla autorità di vigilanza (ASL) i mancati adempimenti (cioè i reati) riscontrati relativamente alla protezione della salute e della sicurezza.
Tale facoltà, del tutto generica, è data dall’articolo 333, commi 1 e 2 del Codice di Procedura Penale:
“Ogni persona che ha notizia di un reato perseguibile di ufficio può farne denuncia. La legge determina i casi in cui la denuncia è obbligatoria. La denuncia è presentata oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria; se è presentata per iscritto, è sottoscritta dal denunciante o da un suo procuratore speciale”.
Le richieste di intervento degli ispettori della ASL da parte dei RLS o dei lavoratori deve essere fatta in maniera formale, cioè con lettera scritta di denuncia di reato, inviata tramite Raccomandata RR, sia alla ASL, che, per conoscenza, al Pubblico Ministero della Procura della Repubblica di competenza, che ha il compito di verificare il corretto operato degli ispettori (vedi dopo).
OBBLIGO DI INTERVENTO DA PARTE DEGLI ORGANI DI VIGILANZA
Va osservato che gli ispettori ASL sono Ufficiali di Polizia Giudiziaria.
Infatti l’articolo 19, comma 1, lettera b) del Decreto Legislativo n.758 del 19 dicembre 1994 definisce come “organi di vigilanza” relativamente ai reati relativi alla salute e alla sicurezza sul lavoro:
“il personale ispettivo di cui all’articolo 21, terzo comma, della legge 23 dicembre 1978, n.833, fatte salve le diverse competenze previste da altre norme”.
A sua volta l’articolo 21 della Legge 23 dicembre 1978, n.833 stabilisce che:
“In applicazione di quanto disposto nell’ultimo comma dell’articolo 27, D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, spetta al prefetto stabilire su proposta del presidente della regione, quali addetti ai servizi di ciascuna unità sanitaria locale, nonché ai presidi e servizi […] assumano ai sensi delle leggi vigenti la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, in relazione alle funzioni ispettive e di controllo da essi esercitate relativamente all’applicazione della legislazione sulla sicurezza del lavoro”.
In quanto Ufficiali di Polizia Giudiziaria gli ispettori ASL ai quali è stato formalmente comunicato il reato devono intervenire obbligatoriamente ai sensi dell’articolo 55, comma 1 del Codice di Procedura Penale:
“La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant`altro possa servire per l`applicazione della legge penale”;
per impartire al datore di lavoro la prescrizione per l’adempimento dell’obbligo, secondo la procedura fissata dall’articolo 20 del D.Lgs.758/94:
“1. Allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all’articolo 55 del codice di procedura penale, impartisce al contravventore un’apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario. Tale termine è prorogabile a richiesta del contravventore, per la particolare complessità o per l’oggettiva difficoltà dell’adempimento. In nessun caso esso può superare i sei mesi. Tuttavia, quando specifiche circostanze non imputabili al contravventore determinano un ritardo nella regolarizzazione, il termine di sei mesi può essere prorogato per una sola volta, a richiesta del contravventore, per un tempo non superiore ad ulteriori sei mesi, con provvedimento motivato che è comunicato immediatamente al pubblico ministero.
- Copia della prescrizione è notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell’ente nell’ambito o al servizio del quale opera il contravventore.
- Con la prescrizione l’organo di vigilanza può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro.
- Resta fermo l’obbligo dell’organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell’articolo 347 del codice di procedura penale”.
Gli ispettori ASL devono inoltre verificare che la prescrizione sia ottemperata nei tempi impartiti dalla prescrizione stessa, secondo l’articolo 21 del D.Lgs.758/94:
“1. Entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione.
- Quando risulta l’adempimento alla prescrizione, l’organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo di vigilanza comunica al pubblico ministero l’adempimento alla prescrizione, nonché l’eventuale pagamento della predetta somma.
- Quando risulta l’inadempimento alla prescrizione, l’organo di vigilanza ne dà comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione”.
Di tutti questi passi, come si evince dal testo degli articoli, l’ASL come organismo di vigilanza deve dare comunicazione al Pubblico Ministero, come anche disposto dall’articolo 347 comma 1 del Codice di Procedura Penale:
“Acquisita la notizia di reato, la Polizia Giudiziaria, senza ritardo, riferisce al Pubblico Ministero, per iscritto, gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione”.
In caso di adempimento e di pagamento della sanzione il reato penale è estinto. In caso contrario (mancato adempimento o mancato pagamento della sanzione) viene avviato dal Pubblico Ministero nei confronti del datore di lavoro il procedimento penale.
Se a seguito di denuncia formale, i funzionari ASL non intervengono, commettono a loro volta reato penale, secondo l’articolo 328 del Codice Penale:
“Il pubblico ufficiale o l`incaricato di un pubblico servizio , che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”.
In questo caso occorre denunciare il fatto alla Procura della Repubblica (cioè al Pubblico Ministero), allegando la lettera inviata alla ASL corredata della cartolina di RR e segnalando da parte dei funzionari ASL il mancato adempimento degli obblighi di cui all’articolo 20 del D.Lgs.758/94 e dell’articolo 55, comma 1 del Codice di Procedura Penale sopra citati.
Inoltre si può richiedere al Pubblico Ministero la richiesta di intervento da parte della ASL ai sensi dell’articolo 22, comma 1 del D.Lgs.758/94:
“Se il pubblico ministero prende notizia di una contravvenzione di propria iniziativa ovvero la riceve da privati o da pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio diversi dall’organo di vigilanza, ne dà immediata comunicazione all’organo di vigilanza per le determinazioni inerenti alla prescrizione che si rende necessaria allo scopo di eliminare la contravvenzione”.
CONCLUSIONI
Il datore di lavoro di qualunque azienda è obbligato dal D.Lgs.81/08 (“Decreto”) a individuare ed eliminare o ridurre tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, attraverso la redazione e applicazione del Documento di Valutazione dei Rischi.
Per quanto riguarda gli ambienti di lavoro con videoterminali, il Decreto stesso stabilisce i requisiti per una corretta illuminazione di tali ambienti, tale da non abbagliare gli utilizzatori, da non creare riflessi sullo schermo dei videoterminali e da garantire una sufficiente luminosità della scrivania.
Il datore di lavoro è obbligato ad adottare sistemi di illuminazione degli ambienti di lavoro con videoterminali che rispettino i requisiti dettati dal Decreto. Nel caso che il datore di lavoro non adotti sistemi adeguati a quanto richiesto dalla normativa, egli commette un reato penale, perseguibile dalla autorità di vigilanza (ASL).
Nel caso l’ASL rilevi una mancata applicazione della normativa, essa dovrà richiedere al datore di lavoro l’adeguamento alla normativa tramite una prescrizione e successivamente, una volta ottemperata la prescrizione, dovrà erogare una sanzione amministrativa al datore di lavoro.
Se il datore di lavoro non adempie alla prescrizione impartita dalla ASL o, pur adempiendo, non paga la sanzione, nei sui confronti il Pubblico Ministero apre una procedura di procedimento penale.
Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, eletto dai lavoratori, ha la facoltà, a seguito di quanto stabilito dal Decreto, di richiedere al datore di lavoro l’adempimento degli obblighi normativi e, nel caso che egli non attui quanto richiesto, ha la facoltà di segnalare il non adempimento (cioè il reato) alla ASL.
Se il RLS non si avvale delle attribuzioni previste dal decreto, qualunque cittadino può formalizzare alla ASL denuncia di reato (mancato adempimento degli obblighi previsti dal Decreto.
Gli ispettori ASL sono Ufficiali di Polizia Giudiziaria e come tali hanno il dovere di intervenire a seguito di richiesta del RLS o di un lavoratore. In caso contrario commettono reato di omissioni di atti d’ufficio e possono essere denunciati per tale reato dal Pubblico Ministero.
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IL DATORE DI LAVORO E LA TUTELA DELLA SALUTE MENTALE
Da Diario per la prevenzione
http://www.diario-prevenzione.it
Il tema della salute e sicurezza dei lavoratori è uno di quelli che più si presta ad essere letto emotivamente e spesso retoricamente.
Il datore di lavoro è responsabile della salute mentale e sociale dei propri dipendenti e deve adeguare la propria competenza, accrescendo le proprie conoscenze in materia, alla luce del nuovo “bene giudico da proteggere”.
Il D.Lgs.81/08, all’articolo 2, comma 1, lettera b) definisce come “datore di lavoro”:
“il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa […]”.
Lo stesso Decreto introduce una novità, quella di una specifica definizione di “salute” (articolo 2, comma 1, lettera o)), alla quale il datore di lavoro dovrà prestare interesse particolare poiché, essa è d’ora in poi da intendere come uno “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità”.
I profili di “innovazione” insiti in tale formula sono numerosi e di grande interesse, non solo sul piano giuridico.
Un primo fondamentale aspetto di novità, rilevante, specificatamente, sul piano della salute sul lavoro, è che, per la prima volta, viene individuato, in modo esplicito, il bene giuridico da proteggere attraverso quanto previsto nello stesso Decreto 81, cioè “l’oggetto” da proteggere con la disciplina citata è rappresentato, d’ora in poi e fino a nuove modifiche normative, proprio da quanto espresso nell’articolo 2, comma 1, lettera o): la “salute”.
Una seconda novità concerne la pluralità dei contenuti espressi nella nozione stessa. La formula, infatti, include vari elementi rilevanti giuridicamente:
- la salute, presa in considerazione nella recente formula, è, infatti, uno stato, vale a dire una situazione personale sul lavoro che deve permanere;
- tale stato, come chiarisce la definizione in esame, non consiste “solo in un’assenza di malattia o d’infermità”. Viene così superata la nozione, molto radicata nell’interpretazione giuridica precedente, di una salute intesa, “in senso minimalista”, come semplice mancanza di malattia o di infortunio.
Il mantenimento anche di tale condizione è, evidentemente, pur sempre rilevante, ma non sufficiente a rendere il datore di lavoro esente da eventuali responsabilità;
- lo stato di salute considerato è, altresì, quello del “completo benessere”. Il grado della salute, che il legislatore chiede che sia perseguito, è quindi qualitativamente elevato, in quanto corrispondente all’appagamento e alla soddisfazione piena del lavoratore, stati pur sempre considerati relativamente alla sola vita lavorativa;
- tale benessere deve essere tenuto presente nel profilo fisico.
Il lato fisico della salute continua a rappresentare una dimensione essenziale (quanto, peraltro, ancora spesso “negata” nelle prassi lavorative) da proteggere. Esso, tuttavia, è da perseguire, secondo la nuova nozione, a un livello elevato, rappresentato, come detto, da pieno appagamento.
E’ evidente qui il “rimando” implicito del Diritto, ad esempio, all’ergonomia nel senso più moderno del termine:
- lo stato di salute deve essere tale, anche, dal punto di vista mentale; il profilo psichico era già richiesto dal legislatore nell’articolo 2087 del Codice Civile:
- la novità è che esso, come discende implicitamente da quanto detto, va ora realizzato, non solo in termini di assenza di patologie psichiatriche, ma in positivo come situazione psichica pienamente soddisfacente (benessere, appunto);
- la situazione personale di soddisfacimento da perseguire riguarda anche il profilo sociale: tale lato è certamente il più “impervio”, anche, dal punto di vista giuridico, perché introduce in primo piano nella cura da realizzare nell’ambito lavorativo, il rapporto del lavoratore con gli altri individui e nei gruppi; un profilo, evidentemente, più complesso da oggettivizzare, più mutevole e, quindi, più difficile da mantenere nel tempo e più da verificare.
Nel complesso, la definizione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera o) del D.Lgs.81/08, pur non essendo da considerare del tutto innovativa, impone ai soggetti destinatari un ampliamento della nozione di salute, comprensiva non solo dei profili medici tradizionali della salute, ma anche di profili di qualità della vita lavorativa che determinano, da un lato, un innalzamento del grado di tutela da mettere in atto e che, dall’altro lato, comportano, anche negli enti locali, un’azione organizzativa ben più complessa.
Un secondo profilo di cambiamento organizzativo, sempre per quanto concerne l’azione organizzativa del datore di lavoro per la sicurezza deve riguardare una sorta di ri-orientamento (e in parte anche una ri-modulazione) della specifica organizzazione dell’ente (si che questo sia pubblico o che sia privato), per la sicurezza sul lavoro.
Il datore di lavoro, senza pretesa di esaurire qui le implicazioni, nello svolgimento della propria attività dovrà, ad esempio, procedere a:
- individuare adeguatamente, rispetto al bene da proteggere, i titolari dei ruoli in materia di sicurezza: il vertice gestionale della sicurezza deve individuare i ruoli gestionali (dirigenti e preposti) in grado di gestire adeguatamente le tematiche del benessere del lavoratore, in primo luogo, essendo sicuro che essi siano consapevoli dei varie tipologie di rischio che la salute può correre in ambito lavorativo;
- designare staff effettivamente competenti in materia.
Lo stesso soggetto deve prestare particolare attenzione nel designare un responsabile (e degli addetti) del servizio di prevenzione e protezione che sia capace di supportarlo tecnicamente proprio in merito alle più attuali tematiche della salute, recentemente valorizzate dal legislatore delegato. Come stabilisce l’articolo 31, comma 2 del D.Lgs.81/08 il datore deve attentamente scegliere il responsabile proprio in relazione alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative.
Diviene, altresì, sempre essenziale nominare un medico competente in grado di non sottovalutare le eventuali problematiche psichiche del lavoratore:
- dare informazione agli staff, ma effettivamente su tutti i rischi;
- rivedere il documento di valutazione dei rischi;
- informare adeguatamente anche il lavoratore.
Il datore di lavoro deve assicurare (articolo 18, comma 2), sia al servizio di prevenzione e protezione sia al medico competente, un’informazione di base relativa alla natura dei rischi (non solo incidenti sul benessere fisico, ma anche su quello psichico e sociale) esistenti nella propria impresa, ritenuta dal diritto essenziale presupposto logico per lo svolgimento dei compiti da parte degli stessi staff.
La redazione del documento, divenuto nel nuovo testo legislativo un obbligo maggiormente gravato di sanzioni, dovrà prendere in adeguata considerazione i criteri per valutare i rischi psico-sociali, individuando le misure di prevenzione e protezione da mettere in campo per tutelare (oltre al benessere fisico) anche il benessere psichico e sociale;
Il datore dovrà quindi procedere a informare sui rischi di natura psichica e sociale connessi all’attività dell’ente, sulle misure adottate (evidentemente anche in relazione ai rischi psichici e sociali). Egli dovrà formare i lavoratori anche su rischi e danni e sulle misure-procedure di prevenzione, anche in relazione ai profili di natura psichica e sociale della salute.
Data l’accresciuta pervasività del concetto di salute, appare, inoltre, opportuno anche se non strettamente necessario, sul piano giuridico, coinvolgere nel processo di analisi/valutazione dei rischi, e, in specie, nell’individuazione degli effettivi rischi lavorativi, anche gli stessi lavoratori.
Questa recente nozione di salute valorizza, implicitamente, tali contributi e, soprattutto, deve motivare i datori di lavoro e i servizi di prevenzione e protezione ad analizzare, con sempre maggiore cura, gli “altri” rischi (quali quelli psico-sociali definiti come “aspetti relativi alla progettazione, alla organizzazione e gestione del lavoro, nonché nei rispettivi contesti ambientali sociali, che dispongono del potenziale per dar luogo a danni di tipo fisico, sociale, psicologico”).
Tali rischi alla salute:
- si sviluppano nel rapporto tra l’individuo e l’organizzazione e possono nascere nell’ambito delle relazioni lavorative dell’azienda, ad esempio, nel rapporto tra lavoratore e colleghi, tra lavoratore e superiori;
- derivano, oggettivamente, dal sistema dei ruoli, dalla struttura organizzativa, dalle procedure organizzative, dai sistemi di direzione in genere e persino dal luoghi di lavoro (e dal loro stato, talvolta, degradato).
Come già accennato in precedenza è il datore di lavoro (articolo 18, comma 2 del D.Lgs.81/08) a dover innescare il processo “virtuoso” di protezione integrale del lavoratore fornendo al servizio di prevenzione e protezione e al medico competente le informazioni in merito alla natura dei rischi e all’attuazione misure preventive correttive.
Una “pre-analisi” e una “pre-valutazione” di tali tipologie di rischi va, quindi, realizzata, innanzitutto, dal datore di lavoro, che poi deve sapere utilizzare, adeguatamente, il contributo del servizio di prevenzione e protezione, chiamato a svolgere, tenendo presente la formula di legge sulla salute, il lavoro tecnico e specialistico sui fronti:
- dell’individuazione dei fattori di rischio e della valutazione dei rischi e dell’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro;
- dell’elaborazione delle misure preventive e correttive e dei sistemi di controllo di tali misure;
- della proposta di programmi di informazione e formazione dei lavoratori.
E’ da ricordare che proprio il D.Lgs.81/08 ha rafforzato, in generale, l’importanza di tale fase della gestione della sicurezza imponendo pesanti sanzioni in relazione proprio alla mancata valutazione di tutti i rischi presenti nello specifico ambito lavorativo.
Il benessere fisico, mentale e sociale dei singoli lavoratori può essere, infatti, realmente perseguito solo qualora tutto il sistema organizzativo aziendale, comprensivo ad esempio, della funzione specializzata sulla persona, dei dirigenti e dei “capi-ufficio-reparto” e della generalità dei lavoratori che fanno parte della singola organizzazione lavorativa, sia mobilitato, nel mentre realizza i propri compiti, a preservare, allo stesso tempo, il benessere, in ambito lavorativo, di tutti coloro che collaborano nell’azienda.
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L’ABC DELLO STRESS: QUALI SONO I FATTORI DI RISCHIO INTERNI E ESTERNI
Da: PuntoSicuro
12 gennaio 2015
Quali sono i fattori di rischio stress nei luoghi di lavoro? Come riconoscerli? Quali sono i comportamenti inaccettabili? Quanto incidono i fattori di rischio esterni? A queste domande risponde la guida elettronica sulla gestione dello stress.
Anni di ricerche e il costante aumento dell’attenzione dell’Unione Europea verso il tema dello stress lavoro correlato hanno reso ormai sufficientemente conosciuti i principali fattori lavorativi che possono portare ai cosiddetti rischi psicosociali, al rischio stress e a vari altri problemi di salute negli ambienti di lavoro.
Tuttavia una recente “Guida elettronica sulla gestione dello stress e dei rischi psicosociali”, correlata alla campagna europea “Ambienti di lavoro sani e sicuri per la gestione dello stress”, ci permette di approfondire e riflettere su questi fattori di rischio per poterli meglio riconoscere e prevenire.
Il primo fattore di rischio su cui la guida si sofferma è la presenza di richieste eccessive a cui non si riesce a far fronte.
Se alcune persone sono in grado di gestire lavori molto impegnativi nell’ambito dei quali sono sottoposte a molte sfide e pressioni, queste richieste possono causare stress se una persona sente di non riuscire a farvi fronte o di non avere abbastanza controllo su di esse. Ciò potrebbe essere dovuto a diversi fattori, tra cui:
- capacità e abilità non commisurate al lavoro richiesto. Ricordando che non ricevere sufficienti richieste può essere un problema tanto quanto averne troppe (lavoro sottoqualificato e sovraqualificato);
- elevato carico di lavoro;
- richiesta di essere sempre disponibili a lavorare;
- alta pressione emotiva;
- scadenze non rispettabili entro il tempo a disposizione;
- percepire che le preoccupazioni su tali fattori non siano riconosciute o affrontate nell’ambiente di lavoro.
Non bisogna poi dimenticare che a volte una pianificazione del lavoro o una comunicazione insufficiente possono esacerbare queste richieste tanto quanto frequenti ritardi, scadenze o interruzioni. L’ambiente di lavoro fisico può anche peggiorare le cose poiché può essere difficile concentrarsi in presenza di temperature elevate o in ambienti rumorosi.
Negli ambienti di lavoro spesso le persone hanno difficoltà ad ammettere di avere problemi a causa delle eccessive richieste, forse perché lo vedono come un segno di debolezza o inadeguatezza. Per questo motivo è bene monitorare e gestire le richieste e le risorse lavorative con attenzione.
Un altro fattore spesso rilevato riguardo ai rischi psicosociali è la mancanza di controllo personale, cioè il non avere sufficiente influenza su come viene svolto il lavoro.
Bisogna ricordare che:
- avere il controllo è positivo: il livello di controllo che una persona ha sul modo in cui lavora può influenzare la misura in cui sperimenta lo stress; questo spesso riflette un equilibrio tra la quantità di controllo che ha e la quantità di controllo che gli altri esercitano su ciò che fa: quando una persona si aspetta di avere controllo e influenza su come pianificare ed eseguire il lavoro (e li ottiene) ciò la aiuta ad affrontare le sfide a cui viene sottoposta;
- non avere il controllo è negativo: se una persona non ha il controllo che si attende, se sono gli altri a determinare il ritmo o la modalità di svolgimento del lavoro, ciò può aumentare la sensazione di stress; anche non avere il controllo su altri pericoli può contribuire ad aumentare lo stress: per esempio, una scarsa attitudine alla sicurezza all’interno di un’organizzazione può causare stress in una persona che non può farci niente, soprattutto se sente che la sua sicurezza è a rischio; la mancanza di flessibilità nelle richieste e nelle esigenze di lavoro può inoltre contribuire ad accrescere lo stress ed impedire che una persona sviluppi e utilizzi nuove competenze.
La presenza di stress è poi a volte correlata alla mancanza di un supporto adeguato da parte di dirigenti o dai colleghi.
Ciò può essere dovuto all’inadeguatezza delle informazioni e delle risorse fornite dall’organizzazione al lavoratore per svolgere il suo lavoro, oppure al mancato riconoscimento altrui delle richieste da affrontare e dei requisiti per affrontarle o del lavoro svolto. Supporto e feedback positivo, sia da colleghi sia da chi li dirige, possono aiutare le persone ad affrontare le richieste lavorative. Se ricevono supporto, le persone hanno maggiori probabilità di essere in grado di far fronte a elevati livelli di pressione o di richieste. Il supporto può assumere la forma del sostegno sociale o del sostegno diretto nello svolgimento del lavoro.
Un evidente fattore di stress sono poi i comportamenti inaccettabili sul luogo di lavoro, comprese molestie e violenza.
A questo proposito la guida ricorda che sebbene le differenze di opinione siano normali in un ambiente di lavoro, le relazioni sul lavoro possono causare stress quando le persone sono soggette a discriminazione, a conflitti irrisolti con gli altri o se subiscono un comportamento inaccettabile di natura fisica o morale. A volte un lavoratore può sentirsi trattato in modo non equo rispetto ai colleghi o può pensare che le sue preoccupazioni sulle questioni di lavoro (per esempio problemi di sicurezza) non vengano prese sul serio arrivando così a un possibile conflitto.
Le molestie (che possono essere visti di volta in volta anche come bullismo, mobbing o violenza psicologica) sono ampiamente riconosciute come un rischio psicosociale sul luogo di lavoro. Si parla di molestie come di un comportamento ripetuto e irragionevole contro un lavoratore o un gruppo di lavoratori, volto a perseguitare, umiliare, intimidire e minacciare le persone prese di mira. Le molestie possono comprendere sia attacchi verbali che fisici, nonché atti più impercettibili come l’isolamento sociale. Esse includono anche le molestie sessuali, un termine che indica qualsiasi forma di condotta indesiderata (verbale, non verbale o fisica) di natura sessuale.
In certi casi è una persona specifica ad essere responsabile delle molestie. In altre occasioni un ambiente di lavoro carente dal punto di vista psicosociale favorisce il tipo di atteggiamento e di comportamento che permette lo sviluppo delle molestie. In questi casi, altri lavoratori potrebbero essere più propensi a partecipare e a unirsi al comportamento molesto. Senza dimenticare che il lavoratore può essere sottoposto al rischio di violenze o molestie anche da parte del pubblico con cui viene in contatto nel corso della sua attività lavorativa.
La guida sottolinea che le segnalazioni di molestie da parte dei lavoratori devono sempre essere prese sul serio. A volte una persona può sentirsi stressata perché pensa che i suoi problemi e le sue preoccupazioni non siano presi in considerazione. Anche se gli altri non vedono il proprio comportamento come molestia, è la percezione della persona interessata che deve essere affrontata.
Un altro fattore di rischio è relativo al conflitto di ruolo o assenza di trasparenza, al non comprendere ruoli e responsabilità.
Infatti spesso lo stress insorge quando vi è mancanza di chiarezza sui diversi ruoli e sulle responsabilità che hanno le persone, oppure quando tali ruoli e responsabilità portano a un conflitto. Ad esempio, una persona con una serie di responsabilità potrebbe scoprire che queste alle volte sono in conflitto con i colleghi, con i dirigenti o con altre persone (ad esempio clienti), e che le impongono richieste diverse che trova difficile risolvere o gestire. Oppure potrebbe essere chiesto a una persona di svolgere mansioni che non vede come parte del suo lavoro (o che considera compito di qualcun altro). Questo potrebbe accadere perché gli altri non sono chiari sulle proprie competenze, o perché nessuno sa chi dovrebbe svolgere il compito in questione.
Inoltre un’altra potenziale fonte di stress si configura quando una persona sente che il suo ruolo non è commisurato alle proprie capacità e abilità: può sentirsi stressata sia perché le vengono affidati ruoli superiori alle sue capacità, oppure perché le viene chiesto di assumersi responsabilità che ritiene degradanti o non stimolanti. E’ importante garantire che tutte le persone coinvolte abbiano chiari i propri ruoli e quelli delle altre persone che lavorano con loro.
Fattore di rischio è anche la scarsa gestione del cambiamento, cioè il non essere sufficientemente coinvolti o informati dei cambiamenti organizzativi.
Infatti (soprattutto se gestito o comunicato male) il cambiamento all’interno di un’organizzazione può portare a incertezza e dubbi, e a sua volta ciò può far sentire le persone stressate. In qualche modo, l’incertezza del futuro può essere peggiore della conoscenza stessa.
Si è già accennato al fattore correlato alla violenza perpetrata da terzi, che può essere violenza fisica, violenza verbale o anche solo minaccia di violenza.
Le situazioni in cui potrebbe verificarsi violenza riguardano in particolare i casi in cui si deve lavorare a contatto con il pubblico, gestire denaro e lavorare da soli. Le misure per ridurre tali rischi (per esempio attraverso il ripensamento degli ambienti di lavoro e delle mansioni) serviranno a ridurre la minaccia di tale violenza, nonché l’effettivo rischio.
L’ultimo tra i più importanti fattori di rischio è quello relativo all’eccessivo turn-over e alle scarse prospettive di carriera. Cioè l’essere soggetti a un ricambio molto veloce di personale e intravedere scarse prospettive di crescita professionale nell’ambito della organizzazione lavorativa.
Concludiamo questa breve rassegna sui fattori di rischio ricordando che vi sono anche fattori di rischio esterni al lavoro.
Benché un datore di lavoro non ha controllo sulla vita dei suoi lavoratori fuori dal lavoro, è importante essere consapevoli dei fattori non lavorativi, in quanto possono ridurre le prestazioni di un lavoratore. Un datore di lavoro può anche aiutare i propri lavoratori a trovare un supporto professionale per lavorare in modo più efficace.
Ad esempio i fattori di rischio stress esterni al lavoro possono essere:
- problemi di equilibrio vita-lavoro, difficoltà a destreggiarsi tra le esigenze lavorative e personali: il raggiungimento di un adeguato equilibrio tra lavoro e vita personale (comprensiva sia dell’ambiente domestico che della vita in generale nella comunità), è importante;
- affrontare eventi importanti della vita (matrimonio, gravidanza e cura dei figli, divorzio, trasloco): non solo gli eventi negativi (lutti, malattie, separazioni) possono essere molto impegnativi per chi ne è coinvolto;
- problemi personali e sociali, ad esempio problemi di stile di vita, alcol e droghe, condizioni di vita: una persona potrebbe ricorrere al fumo, all’alcol o all’assunzione di droghe come un modo per cercare di “staccare” e far fronte allo stress, altre volte l’uso di alcool o di droghe può essere una concausa dei problemi, soprattutto quando inizia a incidere sulla “capacità di funzionamento” di una persona;
- conflittualità, molestie, mancanza di supporto;
- problemi economici: problemi economici come contrarre un mutuo, debiti che aumentano, confrontarsi con possibili licenziamenti al lavoro o problemi di soldi in generale, possono essere stressanti e causare ansia; come con le altre richieste, la mancanza di controllo sulla propria situazione economica può contribuire allo stress di una persona;
- malattie/lutti: una malattia personale o quella di una persona cara, soprattutto se la persona è responsabile della sua cura, possono causare stress, gestire una malattia o un lutto può essere stressante mentre si cerca di affrontare e accettare la malattia o la perdita e questo può portare a un aumento dei sentimenti di tristezza o di rabbia, con potenziali implicazioni per la salute mentale; anche altre richieste, ad esempio organizzare il funerale o altre attività, oltre alle eventuali implicazioni economiche, possono contribuire allo stress.
Il link della Campagna “Ambienti di lavoro sani e sicuri per la gestione dello stress” è:
https://www.healthy-workplaces.eu/it
La versione on-line della “Guida elettronica sulla gestione dello stress e dei rischi psicosociali” è consultabile all’indirizzo:
http://eguides.osha.europa.eu/stress/IT-IT
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INTERPELLO: IL MEDICO COMPETENTE PUÒ ESSERE SUBORDINATO ALL’RSPP?
Da: PuntoSicuro
13 gennaio 2015
di Tiziano Menduto
Un interpello si sofferma sul tema dell’autonomia del medico competente: il datore di lavoro può subordinare gerarchicamente il medico competente al responsabile del servizio di prevenzione e protezione?
Non sono in realtà molti gli interpelli che in questi anni hanno riguardato il ruolo del medico competente e l’attività di sorveglianza sanitaria in relazione alla normativa sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Ne riepiloghiamo brevemente alcuni prodotti dopo l’istituzione della Commissione per gli interpelli prevista dall’articolo 12 comma 2 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro:
- Interpello n. 5/2014 sul ruolo attivo della collaborazione dei medici competenti all’effettuazione della valutazione dei rischi;
- Interpello n. 8/2013 sulle visite preventive alla ripresa del rapporto di lavoro;
- Interpello n. 1/2013 sulle visite mediche per stagisti e tirocinanti minorenni.
Tuttavia la Commissione ha recentemente licenziato ben due nuovi interpelli che riguardano non solo i medici competenti, ma anche il delicato problema della presenza di eventuali conflitti di interessi nel loro lavoro e di una reale autonomia decisionale nelle attività svolta. Attività che potrebbe, ad esempio, richiedere provvedimenti a danno dello stesso datore di lavoro che li nomina e retribuisce.
L’Interpello n. 28/2014 del 31 dicembre 2014, si sofferma sul tema dell’autonomia del medico competente e nasce da una diversa istanza della stessa Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri.
Un’istanza che ha per oggetto la corretta applicazione del comma 4 dell’articolo 39 del D.Lgs.81/08.
Ricordiamo innanzitutto integralmente il suddetto articolo del Testo Unico:
Articolo 39 – Svolgimento dell’attività di medico competente
- L’attività di medico competente è svolta secondo i principi della medicina del lavoro e del Codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale.
- Il medico competente svolge la propria opera in qualità di:
- a) dipendente o collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata, convenzionata con l’imprenditore;
- b) libero professionista;
- c) dipendente del datore di lavoro.
- Il dipendente di una struttura pubblica, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di medico competente.
- Il datore di lavoro assicura al medico competente le condizioni necessarie per lo svolgimento di tutti i suoi compiti garantendone l’autonomia.
- Il medico competente può avvalersi, per accertamenti diagnostici, della collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro che ne sopporta gli oneri.
- Nei casi di aziende con più unità produttive, nei casi di gruppi d’imprese nonché qualora la valutazione dei rischi ne evidenzi la necessità, il datore di lavoro può nominare più medici competenti individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento.
Il quesito si sofferma in particolare sulla corretta interpretazione del comma 4 secondo cui “il datore di lavoro assicura al medico competente le condizioni necessarie per lo svolgimento di tutti i suoi compiti garantendone l’autonomia”.
In particolare l’interpellante fa presente che in alcune situazioni organizzative di Aziende Sanitarie Locali, ma anche presso alcune grandi aziende private, il medico competente risulta funzionalmente collocato in Unità Operativa Complessa (UOC) di cui il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione è il direttore.
Partendo da questa premessa la Federazione FNOMCeO chiede di sapere se si può ritenere rispettata la succitata norma quando il datore di lavoro subordina gerarchicamente, funzionalmente e organizzativamente il medico competente al responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
A questo riguardo l’interpello si interroga anche sulla eventuale preminenza di una figura sull’altra.
E, a questo proposito, osserva che sebbene l’articolo 17 del D.Lgs.81/08 preveda la non delegabilità della designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e non anche della nomina del medico competente, ciò non può far presumere una preminenza di una figura rispetto all’altra. Tali figure, infatti, sono funzionalmente autonome, con attribuzioni di specifiche aree di responsabilità nettamente distinte, anche se complementari tra loro.
Veniamo alle risposte della Commissione, risposte che appaiono da un lato un po’ evasive (anche se probabilmente in coerenza con le funzioni assegnate alla Commissione) e dall’altro abbastanza prevedibili.
La Commissione preliminarmente evidenzia come il suo compito sia quello di fornire risposte su quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro (articolo 12, comma 1 del D.Lgs.81/08) non potendo, pertanto, affrontare questioni legate alle singole problematiche applicative della normativa di salute e sicurezza sul lavoro, proprie delle diverse organizzazioni aziendali.
Dunque, rimanendo su un quadro generale, la Commissione indica che il D.Lgs.81/08 delinea in modo chiaro i compiti del servizio di prevenzione e protezione e gli obblighi del medico competente, lasciando al datore di lavoro ogni scelta organizzativa, a condizione che sia garantita l’autonomia delle rispettive funzioni senza limitazioni o condizionamenti.
E ne consegue che, laddove a livello organizzativo vi sia coincidenza tra ruolo di dirigente con lo svolgimento da parte del dirigente stesso anche delle funzioni di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, la subordinazione gerarchica di un medico inserito nella stessa struttura, incaricato di svolgere le funzioni di medico competente, può riguardare i soli aspetti che esulano da tale incarico, stante la condizione di piena autonomia organizzativa e funzionale che deve essere garantita dal datore di lavoro al medico competente per lo svolgimento delle proprie funzioni.
E si potrebbe concludere, come giustamente fa il Dott. Cristiano Ravalli in un post sul suo blog dedicato alla Medicina del Lavoro, che l’autonomia del medico competente non è facilmente tutelabile da un articolo (l’articolo 39) che tra l’altro non prevede alcuna sanzione.
Al medico competente che si vede ridurre la propria autonomia o la propria indipendenza intellettuale non rimane che fare un bel sorriso, salutare e rinunciare all’incarico.
Il testo dell’interpello n. 28/2014 della Commissione per gli interpelli con risposta del 31 dicembre 2014 a un quesito della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri è scaricabile all’indirizzo:
http://www.lavoro.gov.it/AreaLavoro/saluteSicurezza/Documents/Interpello%2028-2014.pdf
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MACCHINE IN EDILIZIA: EQUIPAGGIAMENTO ELETTRICO DELLE MACCHINE
Da: PuntoSicuro
14 gennaio 2015
Indicazioni sui rischi di natura elettrica correlati all’utilizzo delle macchine nel comparto edile. La normativa nazionale sui rischi elettrici, i sistemi di comando, le cose da non fare e le istruzioni prima, durante e dopo l’uso della macchina.
Se nei cantieri edili non sono pochi i percoli correlati all’uso delle varie tipologie di macchine ed è aumentata la consapevolezza dei rischi relativi, ad esempio, al ribaltamento del mezzo, agli investimenti, agli errori di manovra, a volte si sottovalutano i problemi e i pericoli correlati all’equipaggiamento elettrico delle macchine.
Per poter affrontare il tema della sicurezza delle macchine anche dal punto di vista dei rischi elettrici, torniamo a presentare la pubblicazione realizzata in collaborazione dall’INAIL Piemonte e dal CPT Torino, dal titolo “Le macchine in edilizia. Caratteristiche e uso in sicurezza”.
Una pubblicazione che dedica un intero capitolo, il Capitolo III, alla protezione dei lavoratori dai contatti elettrici diretti ed indiretti con parti attive sotto tensione e alla protezione dell’equipaggiamento elettrico e dei comandi.
Il manuale prima di affrontare i temi tecnici della sicurezza, con particolare riferimento alla norma armonizzata CEI EN 60204-1 (la principale norma relativa alle caratteristiche costruttive generali dell’equipaggiamento elettrico delle macchine non portatili), richiama le principali indicazioni fornite dalla normativa nazionale in materia di sicurezza (D.Lgs.81/08.).
Infatti riguardo alle macchine elettriche, il D.Lgs.81/08 prescrive che siano progettate e costruite a regola d’arte; inoltre, fermo restando le disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, i macchinari si considerano costruiti a regola d’arte se sono realizzati secondo le pertinenti norme tecniche.
Anche due allegati del D.Lgs.81/08 sono importanti per l’ equipaggiamento elettrico delle macchine.
L’allegato VI si applica a tutte le macchine e per quanto riguarda i “Rischi per energia elettrica” dispone che:
- le attrezzature di lavoro siano installate in modo da proteggere i lavoratori dai rischi di natura elettrica ed in particolare dai contatti elettrici diretti ed indiretti con parti attive sotto tensione;
- nei luoghi a maggior rischio elettrico (es. luoghi conduttori ristretti) le attrezzature di lavoro devono essere alimentate a tensione di sicurezza secondo le indicazioni delle norme tecniche.
Inoltre l’allegato V del D.Lgs.81/08, applicabile alle macchine costruite in assenza di disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, fornisce una serie di indicazioni in merito ai comandi e ad altre caratteristiche relative alla parte elettrica delle macchine.
Ad esempio i sistemi di comando devono essere sicuri ed essere scelti tenendo conto dei guasti, dei disturbi e delle sollecitazioni prevedibili nell’ambito dell’uso progettato dell’attrezzatura.
Inoltre i dispositivi di comando devono:
- essere chiaramente visibili, individuabili ed eventualmente contrassegnati in maniera appropriata, se aventi un’incidenza sulla sicurezza;
- essere ubicati al di fuori delle zone pericolose, eccettuati, se necessario, taluni dispositivi di comando, quali ad esempio gli arresti di emergenza, le consolle di apprendimento dei robot, ecc., e disposti in modo che la loro manovra non possa causare rischi supplementari;
- essere predisposti in modo da non comportare rischi derivanti da una manovra accidentale;
- essere bloccabili, se necessario in rapporto ai rischi di azionamento intempestivo o involontario.
Riportiamo anche alcune indicazioni relative a specifiche tipologie di comandi.
Riguardo al comando di avviamento, la messa in moto di un’attrezzatura deve poter essere effettuata soltanto mediante un’azione volontaria su un organo di comando concepito a tal fine; il concetto è da applicare anche:
- per la rimessa in moto dopo un arresto, indipendentemente dalla sua origine;
- per il comando di una modifica rilevante delle condizioni di funzionamento (ad esempio, velocità, pressione, ecc.), salvo che questa rimessa in moto o modifica di velocità non presenti nessun pericolo per il lavoratore esposto.
Inoltre ogni attrezzatura di lavoro deve essere dotata di un dispositivo di comando di arresto che ne permetta l’arresto generale in condizioni di sicurezza. Ogni postazione di lavoro deve essere dotata di un dispositivo di comando che consenta di arrestare, in funzione dei rischi esistenti, tutta l’attrezzatura di lavoro, oppure soltanto una parte di essa, in modo che l’attrezzatura si trovi in condizioni di sicurezza. L’ordine di arresto dell’attrezzatura di lavoro deve essere prioritario rispetto agli ordini di messa in moto. Ottenuto l’arresto dell’attrezzatura di lavoro, o dei suoi elementi pericolosi, l’alimentazione degli azionatori deve essere interrotta.
Riguardo al comando di arresto di emergenza, nell’allegato si indica che un’attrezzatura di lavoro deve essere munita di un dispositivo di arresto di emergenza, se ciò è appropriato e funzionale rispetto ai pericoli dell’attrezzatura di lavoro e del tempo di arresto normale.
Fermo restando che qualunque intervento sull’impianto elettrico delle macchine e del cantiere deve essere eseguito solo da personale competente autorizzato, concludiamo questa breve presentazione del capitolo riportando alcune misure di prevenzione e istruzioni per gli addetti che hanno lo scopo di illustrare gli elementi di base per l’uso corretto delle macchine alimentate da energia elettrica.
Innanzitutto presentiamo alcuni divieti:
- non si devono aprire le custodie delle apparecchiature elettriche senza prima avere tolto tensione;
- non si devono rimuovere i collegamenti di messa a terra;
- non si devono estrarre le spine dalle prese tirandole per il cavo;
- non si devono dirigere getti d’acqua contro le apparecchiature elettriche in genere, neppure in caso di incendio;
- non si devono effettuare interventi su apparecchiature sotto tensione;
- non si devono spostare le utenze trasportabili (ad esempio betoniere) senza prima avere tolto tensione, aprendo l’interruttore che si trova a monte del cavo di alimentazione;
- non si devono reinserire gli interruttori di protezione (magnetotermici e differenziali) senza aver prima posto rimedio alla anomalia che ne ha determinato l’intervento;
- evitare il contatto dei cavi elettrici con acqua, cemento o calce.
Questo sono invece le istruzioni prima dell’uso:
- verificare l’idoneità dell’impianto elettrico di cantiere (dichiarazione di conformità rilasciata da impiantista abilitato);
- verificare l’idoneità della macchina/attrezzatura alla specifica lavorazione (ad esempio grado di protezione IP in ambiente bagnato);
- verificare il corretto collegamento della macchina/attrezzatura alla linea di alimentazione (cavi, interruttori, quadri, ecc.);
- verificare l’integrità delle parti elettriche visibili;
- verificare che il collegamento elettrico avvenga tramite giunto maschio fisso su parte stabile della macchina;
- verificare la presenza di dispositivi contro il riavviamento della macchina in caso di interruzione e successiva ripresa dell’alimentazione elettrica (nelle macchine per cui questo dispositivo “di minima tensione” sia previsto).
Queste poi sono le istruzioni durante l’uso:
- segnalare al responsabile del cantiere eventuali anomalie nell’ impianto elettrico;
- disporre con cura i conduttori elettrici, evitando che intralcino i passaggi, che corrano per terra o che possano comunque essere danneggiati;
- verificare, prima di effettuare l’allacciamento, che gli interruttori di manovra dell’apparecchiatura e quello posto a monte della presa siano “aperti” (macchina ferma e presa non in tensione);
- informare immediatamente il responsabile del cantiere, senza cercare di risolvere il problema autonomamente, qualora la macchina, dopo che sia stata alimentata e sia stato azionato il comando di avvio, non funzioni regolarmente o sia intervenuta una protezione elettrica (valvola, interruttore automatico o differenziale);
- tenere puliti e asciutti gli spinotti delle spine, così come gli alveoli delle prese in assenza di tensione.
E queste sono infine le istruzioni dopo l’uso:
- lasciare l’attrezzatura in regolari condizioni di funzionamento;
- in caso di riscontrata anomalia informare immediatamente il responsabile di cantiere o mettere fuori servizio in maniera permanente la macchina/attrezzatura.
Il documento di INAIL Piemonte e del CPT di Torino “Le macchine in edilizia. Caratteristiche e uso in sicurezza”, edizione settembre 2013 è scaricabile
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/131220_CPT_TO_macchine_in_edilizia.zip