SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.195 DEL 09/02/15

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.195 DEL 09/02/15

 

INDICE

  • ILVA, la salute andata perduta: sparito dal Decreto il potenziamento dell’ARPA
  • Infortunio in itinere: la tutela delle deviazioni necessitate per portare i figli a scuola
  • Valutare il benessere fisico e psichico del lavoratore
  • La sicurezza elettrica nelle imprese metalmeccaniche
  • Rifiuti urbani: i compiti degli addetti alle emergenze
  • Gli effetti sulla salute dei campi elettrici e magnetici statici

 

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

 

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Medicina Democratica

Progetto “Sicurezza sul lavoro – Know your rights!”

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

https://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210

 

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ILVA, LA SALUTE ANDATA PERDUTA: SPARITO DAL DECRETO IL POTENZIAMENTO DELL’ARPA

 

Da: Inchiostro verde

http://www.inchiostroverde.it

 

Ha generato il solito ginepraio di polemiche, come era prevedibile che fosse, l’ultimo Decreto sull’ILVA e sulla città di Taranto approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 24 dicembre ed entrato in vigore il 5 gennaio. Un Decreto che deve ancora passare dalle varie commissioni, così come dalla Camera e dal Senato, dunque ancora passibile di varie modifiche (se migliorative o peggiorative non è ancora dato sapere). Un Decreto, se vogliamo, molto simile ai precedenti, specialmente per quanto attiene la questione ambientale e sanitaria. Ad esempio, ha generato stranamente perplessità il termine del 31 luglio 2015 per l’attuazione dell’80% delle prescrizioni AIA: ma lo stesso termine era stato già previsto nella Legge sulla “Terra dei Fuochi/ILVA” approvata nel febbraio del 2014. Dunque, nessuna novità.

 

Del resto, il Piano ambientale approvato dal Governo nel marzo dello scorso anno, aveva già rivisto nella tempistica di attuazione, la stragrande maggioranza delle prescrizioni dell’AIA del 2011 riesaminata in pochi mesi dalla commissione IPPC a cavallo tra l’estate e l’autunno del 2012: un continuo slittamento nel tempo, dovuto semplicemente al fatto che i soldi per attuarle non c’erano allora e non ci sono ancora oggi. Così come non ci sono mai stati al tempo dei Riva. Non è cambiato assolutamente nulla negli ultimi 20 anni. Con o senza Decreti del governo, il risanamento ambientale dell’area a caldo dell’ILVA è sempre stato un sogno, un’utopia. Niente di più. E a quanto ci è dato sapere, tale resterà.

 

Altre perplessità ha invece suscitato l’assenza nel testo del Decreto, dei 30 milioni di euro annunciati dal premier Renzi, per finanziare un progetto a Taranto di ricerca sui tumori, in particolar modo quelli infantili. In realtà, essendo la sanità materia regionale, il progetto dovrà essere studiato dalla Regione e, a detta del governo, sarà finanziato dallo Stato con 30 milioni di euro. Sinceramente però, prima di fare voli pindarici e gridare come al solito allo scandalo, sarebbe il caso di capire quando arriveranno e come si andranno a spendere i 50 milioni di euro che furono stanziati con la Legge “Terra dei Fuochi/ILVA”, precisamente nell’articolo 2 del Decreto approvato il 6 febbraio del 2014, per il controllo dello stato di salute della popolazione residente nei comuni di Taranto e di Statte e i territori campani “che risultino interessati da inquinamento”. Per queste attività fu autorizzata per il 2014, la spesa di 25 milioni di euro e, per il 2015, la spesa di 25 milioni di euro.

 

Dopo svariati mesi di silenzio, lo scorso 25 ottobre il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, a margine di un convegno dei Giovani di Confindustria sulla “Terra dei Fuochi”, dichiarò testualmente: “Ho stanziato la prima tranche dei fondi previsti dal Ministero e cioè i primi 25 milioni di euro poche settimane fa, una parte ingente per la Campania e un’altra minima parte per Taranto. Noi stiamo facendo, da un punto di vista sanitario, un lavoro enorme. A questo punto sono le Regioni che deve accelerare le procedure per attuare quello che è di sua competenza”. Non è dato sapere a quanto ammonti quella “minima parte per Taranto” di cui argomenta il Ministro Lorenzin.

 

A tal proposito, si attende di sapere qualcosa in più dall’assessore regionale alla Sanità Donato Pentassuglia, che il prossimo 19 gennaio terrà a Taranto una conferenza stampa presso l’Auditorium del Padiglione Vinci (Ospedale Santissima Annunziata) dal titolo “Centro Salute e Ambiente: lavori in corso”, nell’ambito dei provvedimenti legislativi nazionali sulla “Terra dei Fuochi”. Conferenza che in un primo momento si sarebbe dovuta svolgere a gennaio 2015. Magari sarebbe interessante che la politica e la società civile si occupassero anche e soprattutto di queste cose, invece di perdersi in elogi e polemiche del tutto futili e pretestuose sull’ultimo Decreto.

 

Inoltre, quasi nessuno si è accorto e ha posto l’accento su un altro dato, questo sì sul quale sarebbe oggettivamente giusto alzare le barricate: dal Decreto è infatti sparita la possibilità di implementare l’organico del dipartimento di Taranto di ARPA Puglia. Certo, l’esborso economico andrebbe comunque sul groppone della Regione, ma confermare il potenziamento di un’agenzia regionale tra le più povere in quanto a personale in tutta Italia (sono non più di 200 le unità attuali quando in altre Regioni superano addirittura le mille), sarebbe stato un gesto e un’indicazione di un’effettiva e parziale inversione di tendenza. Strano dunque che nessuno abbia denunciato questa “mancanza”. Sarà forse perché ARPA Puglia è oramai entrata a far parte di diritto da tempo nella lista dei nemici dei tanti “rivoluzionari” virtuali di Taranto? Chissà. Infine, desta stupore in noi, lo “stupore” di chi denuncia come l’ultimo Decreto preveda al comma 2 del’articolo 2 quanto segue: “Il rapporto di valutazione del danno sanitario non può unilateralmente modificare le prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale in corso di validità, ma legittima la regione competente a chiedere il riesame”.

 

La domanda che ci sorge spontanea è la seguente: ma sino ad oggi dove avete vissuto? Su Marte? O siete stati troppo su Facebook? Forse è il caso, ancora una volta, di riannodare i fili della storia. E per farlo dobbiamo addirittura tornare al 30 agosto del 2013, quando nel solito silenzio generale demmo notizia della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n.197 del 23 agosto 2013, del Decreto del 24 aprile 2013 “Disposizioni volte a stabilire i criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS)”, a firma dell’ex ministro della Salute Renato Balduzzi e dell’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini. Il tutto, traeva spunto dalla Legge “Norme a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per le aree pugliesi già dichiarate ad elevato rischio ambientale”, approvata all’unanimità il 17 luglio 2012 dal Consiglio regionale della Puglia. L’intento della Legge era quello di “prevenire ed evitare un pericolo grave, immediato o differito, per la salute degli esseri viventi e per il territorio regionale”. Il regolamento della stessa fu approvato il 3 ottobre 2012.

 

La prima relazione redatta congiuntamente dall’Agenzia Regionale dei Servizi Sanitari (AReS), da ARPA e ASL Taranto, che la Legge regionale prevede sia prodotta almeno con cadenza annuale, oltre a basarsi sul registro tumori regionale e mappe epidemiologiche sulle principali malattie a carattere ambientale, inglobò anche i dati del registro tumori di Taranto (valido per gli anni 2006-07-08) e quelli dello studio Sentieri (dal 2003 al 2009), realizzato dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore della Sanità. Presentata durante la riunione della V commissione regionale il 29 maggio e lunga ben 99 pagine, la conclusione della relazione della VDS (lo ricordiamo per l’ennesima volta) fu la seguente: “I miglioramenti delle prestazioni ambientali, conseguiti con la completa attuazione della nuova AIA (prevista per il 2016), comporteranno un dimezzamento del rischio cancerogeno nella popolazione residente intorno all’area industriale”.

 

Quando pubblicammo l’articolo in merito alla VDS il 30 maggio del 2013, per settimane la vicenda rimase sotterrata come al solito da strati di indifferenza totale. Per tirarla fuori, servì la relazione che l’ex commissario ILVA Enrico Bondi allegò ad una lettera del 29 giugno dello stesso anno, redatta da alcuni consulenti di vecchia data dell’ILVA Spa, che contestarono quella relazione addebitando i fenomeni di malattia e morte registrati a Taranto ai presunti “vizi” dei tarantini, un “classico” delle città portuali: tabacco e alcool. Attorno al caso si scatenò la solita infinita e futile polemica tutta tarantina, alimentata anche dal Fatto Quotidiano, che si concluse nell’ennesima bolla di sapone.

 

Un mese dopo, il 26 luglio, il dottor Agostino Di Ciaula (ISDE Medici per l’Ambiente) fu ascoltato dalla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati. Di Ciaula sottolineò come il calcolo espresso nella relazione sulla VDS, fosse “parziale” e il dato sul rischio “fortemente sottostimato”. L’analisi, infatti, prendeva in considerazione i rischi tumorali legati alla sola inalazione di sostanze inquinanti, escludendo le altre vie di assunzione delle sostanze tossiche emesse dall’ILVA per ingestione. Il rapporto ARPA, sostenne Di Ciaula, “calcola i rischi che quelle concentrazioni di inquinanti causano in soggetti adulti di peso medio. Non considera che a parità di concentrazioni il rischio è decine di volte più alto per i feti e per i bambini”.

 

Sei mesi dopo l’approvazione del Decreto e a due dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ARPA e Regione presentarono ricorso al TAR del Lazio conto il Decreto interministeriale. Un ricorso che è stato perso. Ma di cui nessuno ha mai parlato o per il quale non vi è stata alcuna indignazione. Tre, fra le altre, le principali contestazioni che vennero mosse nei confronti del Decreto Clini-Balduzzi. In primo luogo che anche ad AIA attuata, permarrà comunque un rischio cancerogeno per via inalatoria “residuo” nella popolazione; che una procedura basata sui dati misurati non può essere utile, se non alla fine di tutti gli interventi AIA, ovvero ad agosto 2016, e considerando che “i dati consolidati per il 2016 non saranno disponibili prima del 2017” – rilevava l’ARPA – “ne deriva che il primo rapporto VDs ILVA non potrà essere disponibile prima di quattro anni”. Se invece si effettuasse la VDS “sui dati misurati attuali si avrebbe” – rilevava sempre l’ARPA – la “descrizione di un quadro sanitario compromesso e un esito del rapporto VDS rassicurante e comunque in nessun modo indicativo dell’efficacia delle prescrizioni AIA”.

 

Il Ministero della Salute rigettò però sin da subito quest’impostazione, affermando che proprio l’analisi dei dati misurati permette di vedere cosa stanno determinando, in termini di impatto sulla popolazione, l’attuazione delle prescrizioni AIA nell’ILVA. Il tutto fu “documentato” il 9 dicembre 2013 con una nota di tre pagine firmata dal Direttore generale del Ministero della Salute, Giuseppe Ruocco (inviata anche al Ministero dell’Ambiente, all’Istituto Superiore di Sanità e all’ASL di Taranto), in cui si contestava la valutazione di ARPA secondo cui effettuata oggi, la Valutazione del danno sanitario, “si avrebbe un quadro critico che poi diventa migliore ad AIA attuata. Considerando la latenza di alcune patologie” – affermava Ruocco – “un quadro sanitario compromesso è certamente in relazione con la contaminazione pregressa che lo ha generato, ma non necessariamente incompatibile con un ambiente ormai risanato”.

 

Già nell’agosto del 2013 entrammo nel merito del Decreto interministeriale e ponemmo alcune domande rimaste del tutto inevase e che hanno finito per perdersi nel tempo. Perché, ad esempio, si scelse di separare l’epidemiologia dalla valutazione del rischio, visto che proprio l’epidemiologia è la disciplina utilizzata per la misura dello stesso? La separazione tra la valutazione di cosa è successo fino adesso e la previsione di cosa può succedere in futuro, è di fatto incomprensibile. Inoltre, il Decreto prevedeva due procedure indipendenti senza prevedere che le stesse interagissero tra loro.

 

Come spiega sin troppo bene la letteratura scientifica ancora oggi, senza una buona epidemiologia non ci può essere una valida misura del rischio, e viceversa senza quest’ultima sarà difficile se non impossibile la gestione del rischio stesso. Inoltre, in merito all’esposizione degli inquinanti, ultimamente nella letteratura scientifica, a fronte dell’approccio valutativo per singolo inquinante, si sta facendo sempre più strada un approccio basato sulla misurazione della dose interna assorbita di più inquinanti. La possibilità di esaminare l’impatto sanitario di una singola sostanza, viene anche nel Decreto Balduzzi-Clini vincolata al superamento o meno dei valori di riferimento di legge. In altre parole, se la sostanza tossica in questione non supera, sulla base dei dati ambientali disponibili, i valori stabiliti per legge la valutazione non viene eseguita.

 

Il risultato è una sottostima del rischio sanitario: perché da una parte i valori di riferimento per le sostanze tossiche sono in continua rivalutazione, dall’altra l’esposizione di quote grandi di popolazione a livelli anche molto bassi può comportare effetti sanitari importanti, e, in aggiunta, gruppi più suscettibili possono essere vulnerabili a livelli anche molto inferiori alle soglie. Inoltre non possono essere trascurati gli effetti sinergici tra varie sostanze. Dunque, la “censura” significa ignorare tali possibili impatti. La separazione non è quindi scientificamente giustificata. Né è chiaro cosa accadrebbe in caso di esito negativo per la salute della popolazione.

 

Dunque, come si può facilmente evincere, nulla è cambiato in questi ultimi anni. E difficilmente cambierà. Ma alla stragrande maggioranza delle persone che ancora oggi poco o nulla si interessano di queste cose, fa da contraltare una politica culturalmente e umanamente del tutto inadeguata per gestire una vicenda del genere, e una società civile troppo presa dalle sue polemiche virtuali e dal suo “troppo piacersi”, per nulla interessata a costruire dal basso una presa di coscienza civile collettiva che possa interessare e soprattutto parlare ed essere accessibile a tutti. Si è troppo “naif” e “radical chic” per abbassarsi al livello della gente comune. Che poi altro non è che il popolo. Ovvero la stragrande maggioranza delle persone.

 

Gianmario Leone

TarantoOggi

08/01/15

 

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INFORTUNIO IN ITINERE: LA TUTELA DELLE DEVIAZIONI NECESSITATE PER PORTARE I FIGLI A SCUOLA

 

Da Studio Cataldi

http://www.studiocataldi.it

 

L’INAIL sta rileggendo vari istituti dell’assicurazione infortuni sul lavoro (i “punti caldi” in definitiva) per fornire un prezioso riscontro amministrativo all’evoluzione del relativo sistema normativo in sintonia con l’evoluzione della coscienza sociale e da ultimo ha messo mano, nuovamente, ai criteri guida per la trattazione dei casi d’infortunio in itinere e degli avverbi con i quali fare i conti. Avverbi e aggettivi micidiali non tanto di per sé, quanto perché offrono lo spunto per dibattiti interpretativi mai concludenti una volta per tutte, sempre riproponibili con il mutare di presupposti logici o di politica legislativa rispetto a sistemi che, di fatto, sono orientati verso il “diritto pretorio”.

 

Nel caso di specie, così, l’INAIL, accende i riflettori sull’infortunio in itinere e sulle varie sfaccettature dell’aggettivo “necessitato” tramite la circolare 62/201 e amplia gli originari confini della tutela affermando l’indennizzabilità di infortuni occorsi durante deviazioni dall’ordinario percorso rese necessaria da esigenze familiari, fra l’altro per accompagnare i figli a scuola.

 

Il riconoscimento è soluzione eccellente non solo nel merito ma soprattutto perché, a fronte della granitica non volontà politica di riordinare in modo organico la disciplina assicurativa, cresce il rischio che proprio le questioni più delicate restino alla mercé di dibattiti scientifici, di interpretazioni giudiziarie di volte in volta estemporanee, lasciando nella perenne incertezza i lavoratori interessati. Costretti, magari, a intraprendere la via giudiziaria, lunga, incerta e oltretutto sempre più costosa.

Una scelta eccellente anche se, è ovvio, non risolutiva perché inevitabilmente sposta il dibattito sull’interpretazione delle esigenze familiari, dal comprare medicine indispensabili, ad accompagnare il coniuge “che è di strada”, all’acquisto (perché no?) di vettovaglie ecc..

 

Resta, però, un aspetto di stridente ingiustizia a conferma che ogni apertura, ogni ampliamento di tutela realizzato in via interpretativa diventa esso stesso fonte di squilibri, d’ingiustizie sostanziali (come, per esempi recenti, la disposizione che estende la tutela per patologie da amianto a familiari di lavoratori che siano esposti all’azione di detta sostanza).

 

Nel caso che stiamo esaminando, così, emerge secondo me la disparità di trattamento con la situazione delle “casalinghe”: quelle lavoratrici di cui tutti esaltano la funzione e il legislatore ha previsto una tutela sociale per gli infortuni sul lavoro, ma non l’ha resa automatica (il premio poteva essere ben posto a carico della famiglia datrice di lavoro) e soprattutto l’ha limitata alle attività “manuali” in casa, per le faccende domestiche essenzialmente; non certo per le attività rientranti nella funzione di cura della azienda familiare.

Sicché oggi la donna che lavora fuori casa è coperta anche per il rischio attinente alla cura della famiglia (e non della casa familiare); la casalinga, a parità di rischio no. Ma, si badi, questa disparità fa il paio con quella che vede la casalinga full time protetta per gli infortuni domestici legati alla sua professione a tempo pieno, mentre la donna che lavora fuori casa non è coperta per il rischio del lavoro casalingo, che pure svolge come altri operatori part time sempre tutelati. Un groviglio inestricabile di affannoso tener dietro alla sensibilità sociale, cercando di non disturbare le assicurazioni private, di contentare molti scontentando tutti.

 

Su questo punto in generale e per lo specifico tema, rinvio a ripetuti interventi cercando su google con le parole “acconcia assicurazione infortuni delle casalinghe” ove si sottolinea come la via maestra resta un riforma dell’assicurazione infortuni che recepisca l’evoluzione di mezzo secolo dal Testo unico D.P.R.1124/65, saldandosi con quella del Decreto Legislativo 81/08 e consideri in modo adeguato le esigenze di tutte le persone che lavorano, di là dalla percezione o meno di un salario, spesso in nero. Questo, anzi, è un altro elemento critico poiché con l’affannarsi nel sommerso le donne guadagnano poco, perdono in sicurezza e non essere indennizzate per infortuni in deviazione necessitata per portare i figli a scuola.

 

Pasquale Acconcia

pasquale.acconcia@gmail.com

 

La circolare INAIL 62/201 è consultabile all’indirizzo:

http://www.inail.it/…ucm_161063.pdf

 

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VALUTARE IL BENESSERE FISICO E PSICHICO DEL LAVORATORE

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

29 gennaio 2015

 

Sul numero di settembre/ottobre 2014 di “Articolo 19” si ricorda che il medico competente nel valutare lo stato di salute dei lavoratori deve tener conto anche delle malattie e dei disturbi psichici e/o comportamentali.

 

Pubblichiamo un articolo tratto da “Articolo 19” n.05/2014, bollettino di informazione e comunicazione per la rete di RLS delle aziende della Provincia di Bologna realizzato dal SIRS (Servizio Informativo per i Rappresentanti dei lavoratori per la Sicurezza) con la collaborazione di vari soggetti istituzionali provinciali (Provincia di Bologna, AUSL, INAIL, DPL, organizzazioni sindacali).

 

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NEL VALUTARE LO STATO DI SALUTE DEI LAVORATORI SI DEVE TENER CONTO ANCHE DELLE MALATTIE E DEI DISTURBI PSICHICI E/O COMPORTAMENTALI?

 

Quel che segue non è una vera e propria risposta a un quesito, ma è una risposta a diverse (anche se in verità non troppo numerose) sollecitazioni poste da lavoratori e RLS sul problema citato nel titolo. In effetti sembra che una certa parte di medici competenti abbiano una visione un po’ troppo meccanicistica del lavoratore, valutando soprattutto (se non esclusivamente) solo le problematiche legate a patologie o disturbi fisici e rimuovendo in modo inspiegabile le problematiche legate a disturbi o patologie comportamentali e psichiche.

Vale la pena anzitutto ribadire che, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la salute non è solo l’assenza di malattia, ma è il pieno benessere fisico e psichico (nonché sociale) della persona.

Questo approccio globale è ovviamente ripreso dal D.Lgs.81/08, che all’articolo 25, comma 1, lettera a), così si esprime: il medico competente “collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori”.

Quindi, chiaro e preciso è il richiamo all’integrità psico-fisica come bene da tutelare. Ciò impone quindi che nella valutazione del medico competente in ordine all’ idoneità o meno del lavoratore alla mansione specifica tutti gli elementi relativi allo stato di salute della persona siano presi in esame, e così pure nel valutare eventuali conseguenze sfavorevoli sul lavoratore delle condizioni di lavoro e di esposizione al rischio.

Da ciò derivano alcune importanti conseguenze:

1) Sia in sede di visita preventiva che di visita periodica che di visita per cambio mansione la valutazione deve essere completa ed eventuali problematiche di ordine psichico e/o comportamentale che il lavoratore dichiari e che il medico accerti (e le può accertare in molti casi anche se il lavoratore non le dichiara) devono entrare a far parte dei criteri con cui valuta l’idoneità.

2) Il lavoratore può richiedere l’accertamento ai sensi dell’articolo 41, comma 2, lettera c) (visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica) anche per problemi di ordine psichico e/o comportamentale, e il medico deve affrontare queste situazioni al pari di tutte le altre (ricordando sempre che può accedere alla collaborazione, se lo ritiene necessario, di uno specialista, vedi articolo 39, comma 5 “Il medico competente può avvalersi, per accertamenti diagnostici, della collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro che ne sopporta gli oneri”).

3) Un aspetto molto particolare è quello legato alla lettera e-ter) dell’articolo 41, comma 2, ovvero la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione. Infatti, visto che un’assenza della durata di almeno due mesi corrisponde certamente ad uno stato morboso di una notevole importanza (un grosso intervento chirurgico, un infarto del miocardio, ecc.) è tutt’altro che improbabile che un tale evento possa aver avuto ripercussioni sullo stato di salute psichica del lavoratore che ne è stato colpito. Pertanto il medico competente dovrebbe accertarsi del pieno recupero della persona che rientra al lavoro non solo dal punto di vista meramente fisico e valutare le eventuali menomazioni residuate alla malattia.

Naturalmente, le problematiche di ordine comportamentale e/o psichico dovranno anche essere prese in esame e valutate in occasione dell’esposizione a fattori stressanti in ambiente di lavoro: esse sono infatti annoverate tra le possibili conseguenze sullo stato di salute dei lavoratori dell’azione di condizioni organizzative (o di errori organizzativi) capaci di indurre stress lavoro-correlato. Bisogna quindi che i medici competenti (o almeno quella quota non certo marginale che ancora non lo fa) si attrezzino delle competenze professionali in materia, individuino supporti specialistici per eventuali consulenze nel merito, ma soprattutto inizino a prestare la dovuta attenzione al problema.

 

di Leopoldo Magelli

 

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LA SICUREZZA ELETTRICA NELLE IMPRESE METALMECCANICHE

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

30 gennaio 2015

 

Un progetto si sofferma sulla sicurezza elettrica nell’industria metalmeccanica. Gli impianti, il quadro e le condutture elettriche, la messa a terra, le prese a spina, gli apparecchi illuminanti e la valutazione del rischio elettrico.

 

Come riporta l’articolo 80 del D.Lgs.81/08 il datore di lavoro è tenuto a prendere le misure necessarie affinché i lavoratori siano salvaguardati dai tutti i rischi di natura elettrica connessi all’impiego dei materiali, delle apparecchiature e degli impianti elettrici messi a loro disposizione con particolare riferimento ai rischi connessi a:

  • contatti elettrici diretti;
  • contatti elettrici indiretti;
  • innesco e propagazione di incendi e di ustioni dovuti a sovratemperature pericolose, archi elettrici e radiazioni;
  • innesco di esplosioni;
  • fulminazione diretta ed indiretta;
  • sovratensioni;
  • altre condizioni di guasto ragionevolmente prevedibili.

 

Per affrontare il tema della sicurezza elettrica nei luoghi di lavoro, ci soffermiamo oggi sul documento “Impresa Sicura Metalmeccanica” dedicato al comparto metalmeccanico e presentato nei mesi scorsi dal nostro giornale.

Il documento (distribuito gratuitamente per diffondere la cultura della sicurezza all’interno delle imprese) è correlato a Impresa Sicura, un progetto multimediale (elaborato da Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e INAIL) che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e la sicurezza come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013.

Il capitolo sulla sicurezza elettrica riporta gli obblighi di legge e le principali caratteristiche legate agli impianti elettrici dei locali che ospitano le lavorazioni oggetto della pubblicazione.

Si indica in particolare che in questi ambiti lavorativi gli impianti elettrici sono composti principalmente da:

  • una fornitura dell’energia elettrica;
  • da uno o più quadri elettrici;
  • dalle condutture elettriche; compresi gli accessori per la loro posa;
  • da sottoquadri e da apparecchiature elettriche generali quali per esempio: prese a spina, apparecchi illuminanti, ecc.

A quadri elettrici, condutture elettriche, apparecchiature elettriche generali, prese a spina, apparecchi illuminanti, il capitolo dedica specifici approfondimenti.

Rimandando il lettore ad un lettura integrale del documento, riprendiamo alcune indicazioni generali:

  • in presenza di ambienti umidi o bagnati e dove si utilizzano utensili elettrici portatili si devono applicare specifiche norme impiantistiche;
  • è vietato eseguire lavori sotto tensione; sono consentiti solo quando i lavori sono eseguiti nel rispetto di specifiche condizioni;
  • non possono essere eseguiti lavori in prossimità di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non protette, o che per circostanze particolari si debbano ritenere non sufficientemente protette, e comunque a distanze inferiori a specifici limiti (riportati nella tabella “Distanza da linee o parti elettriche non isolate”), salvo che vengano adottate disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai rischi conseguenti.

In merito agli obblighi di legge generali (altri obblighi di legge specifici riguardano gli impianti di messa a terra, gli impianti di protezione da scariche atmosferiche e gli impianti elettrici installati in luoghi con pericolo di esplosione) si segnala che il datore di lavoro a seguito della valutazione del rischio elettrico:

  • adotta le misure tecniche ed organizzative necessarie ad eliminare o ridurre al minimo i rischi presenti;
  • individua i dispositivi di protezione collettivi ed individuali necessari alla conduzione in sicurezza del lavoro;
  • predispone le procedure di uso e manutenzione atte a garantire nel tempo la permanenza del livello di sicurezza raggiunto;
  • integra il documento della valutazione del rischio con la valutazione del rischio elettrico.

Inoltre provvede affinché gli edifici, gli impianti, le strutture, le attrezzature, siano protetti:

  • dagli effetti dei fulmini con sistemi di protezione realizzati secondo le norme di buona tecnica;
  • dai pericoli determinati dall’innesco elettrico di atmosfere potenzialmente esplosive per la presenza o sviluppo di gas, vapori, nebbie o polveri infiammabili.

Saltando gli approfondimenti dedicati alla dichiarazione di conformità, al grado di protezione IP e agli obblighi di legge specifici, ci soffermiamo brevemente sul quadro elettrico e sulle condutture elettriche.

Il quadro elettrico, che deve essere scelto anche in funzione dei rischi caratteristici del locale di installazione, è un componente dell’impianto che deve rispondere alle relative norme di prodotto. Inoltre i quadri elettrici di reparto devono essere equipaggiati con i dispositivi di protezione scelti in funzione delle singole utenze da servire. Per quanto possibile è bene garantire la selettività di intervento dei dispositivi di protezione di reparto (o delle singole utenze) per impedire che il guasto di una singola macchina determini un disservizio generale.

Il documento indica che l’accesso alle apparecchiature presenti all’interno dei quadri elettrici, senza sezionare a monte l’energia, deve essere possibile solo in una delle condizioni seguenti:

  • le parti in tensione sono protette con ripari fissi rimovibili solo per mezzo di un attrezzo;
  • con serratura: l’accesso é consentito solo a persone esperte o avvertite in possesso delle chiavi;
  • con interblocco: consente l’accesso solo a persone addestrate.

I soggetti che possono accedere a quadri elettrici con apparecchiature in tensione, per effettuare lavori elettrici ‘a contatto’ sono: persone idonee; persone avvertite o esperte ma solo per manovre semplici come riarmo di termiche o sostituzione di fusibili.

Dal quadro generale vengono poi alimentati i singoli quadri di reparto tramite un sistema di condutture; le condutture di un impianto in cavo comprendono anche i tubi protettivi, i canali e gli accessori di sostegno. La scelta fra cavi isolati e cavi isolati con guaina deve essere effettuata tenendo conto del tipo di posa, dei rischi di natura meccanica, chimica, presenti nell’ambiente e dell’eventuale esposizione agli agenti atmosferici. I collegamenti e le giunzioni di conduttori devono essere eseguite con appositi sistemi (morsetti) all’interno di involucri (cassette di derivazione) ispezionabili.

Queste altre indicazioni riportate nel documento in merito alla sicurezza elettrica:

  • tutte le parti elettriche di un impianto che possano offrire pericoli di contatti diretti con parti in tensione devono essere racchiuse in involucri; gli involucri hanno il compito di limitare la penetrazione di corpi solidi e di acqua, il livello di protezione si identifica tramite il grado di protezione IPXX;
  • negli impianti elettrici industriali in genere si devono utilizzare le prese a spina previste per usi industriali (prese CEE); le prese a spina per uso domestico e similare possono essere utilizzate solo per piccole apparecchiature dove non sia previsto un servizio gravoso con forti sollecitazioni (come urti o vibrazioni);
  • per gli apparecchi illuminanti degli ambienti di lavoro è necessario individuare un corretto grado di protezione IP in funzione dell’eventuale presenza di polveri, liquidi e vapori; generalmente quando vi è la presenza degli elementi sopra citati è bene scegliere apparecchi illuminanti almeno con un grado di protezione IP55.

Il documento, che si sofferma anche sui guasti dovuti a sovracorrenti o cortocircuiti e sui guasti all’isolamento elettrico, dedica molto spazio all’impianto di messa a terra, impianto formato da idonei dispersori metallici posati a intimo contatto con il terreno, al quale devono essere collegate tutte le apparecchiature metalliche facenti parte dell’impianto elettrico o delle utenze (macchinari) che in modo diretto o indiretto possono andare in tensione a seguito di un guasto dell’impianto elettrico. Il fine dell’impianto di terra è quello di ridurre il rischio di fulminazione in caso di guasto all’isolamento di un qualsiasi componente del circuito elettrico. E’ comunque necessaria la contemporanea presenza dei dispositivi di protezione (automatici-magnetotermici, fusibili, differenziali) in grado di interrompere il circuito nel più breve tempo possibile. Riguardo all’impianto di messa a terra il documento riporta indicazioni specifiche per la progettazione, costruzione, installazione e manutenzione.

Concludiamo questa breve presentazione del capitolo segnalando che la valutazione dei rischi elettrici comprende:

  • le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro, ivi comprese eventuali interferenze;
  • un censimento dei pericoli a carattere elettrico e delle situazioni di pericolo che si possono verificare nell’ambiente di lavoro, sia nella normale conduzione sia in caso di guasti prevedibili;
  • una analisi delle persone esposte al rischio elettrico, quindi rivolta non solo ai manutentori elettrici ma a tutte le possibili figure esposte;
  • i criteri e i mezzi adottati per evitare i rischi elettrici, tra i quali: dispositivi di protezione collettivi e individuali; procedure interne formalizzate ; contratti di manutenzione; formazione del personale; le qualifiche attribuite al personale addetto alla manutenzione elettrica.

L’accesso via internet al sito “Impresa Sicura” è gratuito e avviene tramite una registrazione al sito.

 

Il documento “Impresa Sicura – Buone Prassi” approvato nella seduta del 27 novembre 2013 della Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro è scaricabile all’indirizzo:

http://www.lavoro.gov.it/SicurezzaLavoro/MS/BuonePrassi/Documents/IMPRESA_SICURA.pdf

 

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RIFIUTI URBANI: I COMPITI DEGLI ADDETTI ALLE EMERGENZE

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

02 febbraio 2015

 

Le attività dell’addetto alle emergenze, evacuazioni, pronto soccorso e antincendio nella filiera dei rifiuti. I compiti e i principi generali d’intervento, le dotazioni tecnico/sanitarie e le emergenze nei vari ambienti di lavoro.

 

Ricordando che si può definire emergenza della sicurezza sul lavoro ogni accadimento improvviso in grado di arrecare rapidamente danni gravi e immediati a una o più persone presenti in un determinato ambiente lavorativo, ci soffermiamo oggi sui compiti degli addetti all’emergenza che lavorano nella filiera dei rifiuti.

E lo facciamo presentando i contenuti del documento elaborato dalla FP CGIL, Pesaro Urbino e dal Patronato INCA CGIL di Pesaro dal titolo “Manuale della sicurezza nella filiera dei rifiuti urbani e dei servizi ambientali connessi”.

 

Riguardo all’addetto alle emergenze, evacuazioni, pronto soccorso e antincendio il documento presenta innanzitutto indicazioni generali sui compiti:

  • intervenire, in caso di emergenza grave non più controllabile con le sole risorse aziendali, per favorire l’evacuazione di tutte le persone secondo quanto previsto dal piano di emergenza concordato; l’evacuazione avviene utilizzando le vie di fuga, i luoghi sicuri e i punti di incontro previsti;
  • intervenire, in caso di incidente che ha causato infortunio, per mantenere l’infortunato il più possibile stabile nei suoi parametri vitali, in attesa dei soccorsi professionali specializzati; per prestare un primo soccorso e registrare/relazionare, per quanto possibile, circa la storia, le cause e la gravità dell’incidente, le condizioni dell’infortunato dal momento dell’assistenza fino alla consegna ai soccorritori finali o ai medici;
  • intervenire, in caso di emergenza o incidente appena innescati (eventualmente in collaborazione con chi ha dato l’allarme), per eliminarne o minimizzarne o controllarne lo sviluppo e il propagarsi; in caso di insuccesso delle manovre di contenimento, l’addetto alle emergenze abbandona e fa abbandonare il posto di lavoro;
  • conoscere in modo approfondito la dotazione antinfortunistica e antincidentale e i dispositivi aziendali collettivi di protezione, allarme e contenimento;
  • collaborare con i responsabili della sicurezza a verificare l’idoneità, l’aggiornamento, lo stato di manutenzione dei Dispositivi di Protezione Collettiva (DPC) aziendali e la propria e altrui capacità di usarli in condizioni di emergenza, anche eseguendo prove pratiche ed esercitazioni.

Vengono presentati i diritti e doveri dell’addetto alle emergenze (ad esempio riguardo a informazione e formazione, mezzi di intervento, potestà gerarchica, orario di lavoro, ecc.) e vengono fornite informazioni relative alle dotazioni necessarie:

  • dotazione tecnica: è l’insieme di dispositivi, attrezzature, materiali di soccorso che consentono una corretta risposta alle prevedibili esigenze urgenti di controllo dei pericoli imminenti o degli incidenti in fase iniziale; è costituita non solo dai mezzi, strumenti e impianti previsti dalle leggi antinfortunistiche e antincendio, ma anche dai Dispositivi di Protezione Individuali (DPI) necessari all’addetto stesso e dai DPC a disposizione dei lavoratori esposti a una situazione di emergenza; la dotazione può essere prevista per legge, per prescrizione delle autorità competenti, per standard e procedure aziendali ed è molto variabile in funzione sia dell’offerta tecnologica, sia delle esigenze di sicurezza specifiche delle lavorazioni e dei posti di lavoro;
  • dotazione sanitaria: è l’insieme di medicamenti, presidi e ausili sanitario-farmaceutici previsti dalle leggi e integrati dalle prescrizioni del medico competente per rendere possibile il primo soccorso all’assicurato; può andare da una cassetta di pronto soccorso portatile fino a un’infermeria di pronto soccorso attrezzata.

Ricordando che l’addetto alle emergenze è un lavoratore addestrato al mantenimento minimo delle condizioni vitali del collega infortunato fino all’arrivo dei soccorsi professionali vengono presentati alcuni principi generali d’intervento:

  • intervenire tempestivamente e correttamente solo in situazioni di emergenza su cui si è stati addestrati e per cui si è adeguatamente attrezzati;
  • non fare “gli eroi” e non permettere ad altri di farlo: sono necessari prudenza, calma, professionalità, e saper abbandonare al momento giusto;
  • in caso di infortunio, non tentare di diagnosticare, curare e guarire, ma solo di stabilizzare le condizioni della vittima, cercando di mantenere almeno i minimi livelli vitali;
  • quando si è chiamati per un’urgenza, informarsi sulla dinamica, informare gli assistiti sulle regole di evacuazione, registrare ogni fase dell’emergenza per essere poi pronti a riferire;
  • non consentire ai lavoratori evacuati di abbandonare il posto di ritrovo o il luogo sicuro stabilito fino a che non sia conclusa l’emergenza o non siano arrivati i soccorritori professionali;
  • dare ordini e disposizioni di evacuazione o intervento semplici, chiari, non contraddittori; essere determinati, ma tranquilli.

Vengono poi fornite informazioni sulle emergenze nei vari ambienti di lavoro.

Nei Centri servizi (i centri di deposito e coordinamento solitamente comprendono automezzi in autorimesse, piazzali di manovra, rampe di scarico, locali di preparazione per gli operatori, percorsi stradali di uscita e rientro, ecc.) l’addetto all’emergenza è soprattutto tenuto a concentrarsi sulla tempestività e la qualità del primo intervento o soccorso. Non è richiesto altro particolare comportamento che non sia la capacità di collaborazione e relazione con gli altri lavoratori, colleghi e soccorritori ufficiali.

 

Queste le principali emergenze e incidenti prevedibili:

  • traumi da investimento o schiacciamento provocati dalla movimentazione interna di automezzi e rimorchi;
  • traumi da intrappolamento e cesoiamento provocati dalla manovra o dal sollevamento di rimorchi, scarrabili, parti pesanti mobili;
  • traumi da contusioni gravi, fratture da cadute dal basso o dall’alto, e di oggetti da automezzi e mezzi speciali;
  • danni da intossicazione, ustione e misti per incendio di mezzi, autorimesse, zone di stoccaggio temporaneo di rifiuti pericolosi;
  • danni da folgorazione, elettrocuzione da ricarica mezzi elettrici, maneggio quadri elettrici o altra apparecchiatura sotto tensione.

Riguardo invece al lavoro su strada si indica che è poco probabile che durante le operazioni lavorative che si svolgono in strada l’addetto alle emergenze abbia occasione di intervenire, perché gli eventuali interventi su chiamata sarebbero, quasi sempre, effettuati da soccorritori istituzionali. Nel caso un addetto all’emergenza facesse parte di una squadra operativa sul campo, le attenzioni principali da tenere presenti sono:

  • addestramento all’uso di materiale tecnico-sanitario presente a bordo dei mezzi;
  • disponibilità di un mezzo di comunicazione a distanza, portatile o a bordo, per la chiamata SOS e l’allarme;
  • utilizzo, in ore notturne o antelucane, di mezzi d’illuminazione della scena dell’incidente e dell’infortunato.

Queste le principali emergenze e incidenti prevedibili per il lavoro su strada:

  • traumi da investimento o schiacciamento con mezzi propri o altrui (da circolazione stradale diurna o notturna);
  • traumi da intrappolamento e cesoiamento provocati da parti pesanti mobili in movimento;
  • traumi da contusioni gravi, fratture da cadute dal basso (sede stradale scivolosa, gradini, marciapiedi) o dall’alto (discesa-salita dai mezzi di carico), e di oggetti da automezzi e mezzi speciali o da cataste di rifiuti o contenitori;
  • traumi da taglio, puntura, morsicatura, lacerazione, aggressione, da rifiuti pericolosi e da animali aggressivi, da persone squilibrate o malavitose;
  • danni da intossicazione e ustione per incendio di mezzi, rifiuti, contenitori, o da incendi esterni;
  • danni da colpi di calore o freddo da condizioni meteorologiche estreme.

Diamo qualche informazione su emergenze nei siti di smaltimento, ricordando tuttavia che i siti di stoccaggio intermedio e di smaltimento presentano caratteristiche molto simili a quelle dei centri di deposito e coordinamento.

Gli addetti all’emergenza devono:

  • conoscere e addestrarsi a fondo su tutti i sistemi, impianti di sicurezza, macchine fisse e mobili, allarme e antincendio;
  • prepararsi in particolare sugli incidenti-infortuni causati dal movimento e dalle manovre interne dei mezzi pesanti;
  • acquisire elementi di conoscenza e competenza propri della protezione civile per il caso di catastrofi naturali che coinvolgano il piano e le pendici della discarica all’aperto.

Questi le principali emergenze e incidenti prevedibili:

  • traumi da investimento o schiacciamento provocati dalla movimentazione interna di automezzi, rimorchi, mezzi speciali di trasporto, spianamento, sollevamento, e dal crollo o caduta di rifiuti sciolti o imballati;
  • traumi da intrappolamento e cesoiamento provocati da parti pesanti mobili di mezzi e impianti fissi: portelloni, saracinesche, nastri trasportatori, benne e pale;
  • traumi da contusioni gravi, fratture da cadute dal basso o dall’alto, e di oggetti da fosse, sopraelevazioni, rifiuti e contenitori sollevati, tramogge, pavimenti o terreni scivolosi;
  • danni da intossicazione, ustione e misti per incendio di mezzi, edifici, rifiuti o da catene incidentali di incidenti esterni;
  • danni da folgorazione di quadri elettrici, ricarica mezzi elettrici e altre apparecchiature sotto tensione o da fulminazione da scariche atmosferiche sul piano della discarica o sulle superfici aperte adiacenti.

Concludiamo ricordando che il documento riporta per ogni ambiente di lavoro anche informazioni sulla preparazione agli interventi e sulla necessaria dotazione tecnico/sanitaria.

Il documento di FP CGIL, Pesaro Urbino, Patronato INCA Cgil di Pesaro “Manuale della sicurezza nella filiera dei rifiuti urbani e dei servizi ambientali connessi” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/131106_CGIL_manuale_sicurezza_rifiuti_urbani.doc

 

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GLI EFFETTI SULLA SALUTE DEI CAMPI ELETTRICI E MAGNETICI STATICI

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

03 febbraio 2015

di Tiziano Menduto

 

Un intervento sul tema dei campi elettromagnetici si sofferma sugli effetti dei campi statici, dei campi ELF e delle radiofrequenze. Focus sugli effetti per la salute dei lavoratori correlata all’esposizione ai campi statici.

 

La pubblicazione prima della direttiva 2012/11/UE e successivamente della direttiva 2013/35/UE del 26 giugno 2013 ha modificato i termini di entrata in vigore delle disposizioni relative al Titolo VIII (Agenti Fisici), capo IV (Protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici) del D.Lgs.81/08.

Tuttavia in relazione ai rischi di esposizione professionale e alla complessità tecnica delle operazioni di valutazione dei rischi e di misurazione dei campi elettromagnetici (CEM), è importante raccogliere e fornire nuove informazioni per i nostri lettori.

L’occasione ce la offre un convegno che si tenuto a Treviso il 22 gennaio 2014 dal titolo “La protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici”.

Il convegno partiva dal presupposto che il tema dei campi elettromagnetici richieda conoscenze e competenze specifiche alle figure aziendali della sicurezza che con i consulenti tecnici collaborano ad attuare le azioni preventive. Durante l’incontro sono state presentate le conoscenze legate alla fisica dei campi elettromagnetici, con particolare riferimento agli effetti sulla salute e agli aspetti prevenzionistici.

 

In particolare ci soffermiamo sull’intervento “Campi elettromagnetici: gli effetti sulla salute”, a cura del dottor Roberto Agnesi, direttore SPISAL dell’ Azienda ULSS 9 di Treviso.

Il relatore ricorda che quando il corpo umano si trova in un campo elettromagnetico si verifica un’interazione tra le forze del campo e le cariche e le correnti elettriche presenti nei tessuti dell’organismo. Il risultato dell’interazione è una perturbazione che può determinare un effetto biologico, non necessariamente un danno, di tipo morfologico o funzionale.

E indica, con riferimento ad un promemoria dell’OMS, che il modo in cui le onde elettromagnetiche influenzano i sistemi biologici è determinato in parte dall’intensità del campo e in parte dalla quantità di energia di ogni fotone.

In particolare:

  • un effetto biologico si verifica quando l’esposizione alle onde elettromagnetiche provoca qualche variazione fisiologica notevole o rilevabile in un sistema biologico;
  • un effetto di danno alla salute si verifica quando l’effetto biologico è al di fuori dell’intervallo in cui l’organismo può normalmente compensarlo, e ciò porta a qualche condizione di detrimento della salute.

Dopo aver parlato di effetti, con riferimento agli effetti deterministici (quelli in cui l’incidenza e la gravità variano con la dose e per i quali è individuabile una dose-soglia) e di effetti stocastici (in cui non è rilevabile una soglia), vengono presentate alcune “incertezze”:

  • molti studi suggeriscono effetti a medio-lungo termine per esposizione a campi elettromagnetici;
  • in molti casi le evidenze non raggiungono il livello della significatività con studi metodologicamente corretti e per questo viene detto che “non vi è evidenza che…” (solo in pochi casi si è raggiunta una ragionevole certezza che l’effetto nocivo può essere escluso);
  • tuttavia la mancanza di evidenza certa non significa esclusione certa del pericolo;
  • è sempre necessario mantenersi aggiornati (medico competente) sugli effetti ipotizzati e sulle dosi (al di sotto dei limiti per gli effetti acuti) che potrebbero determinare un rischio per i lavoratori al fine di mantenere l’esposizione a livelli più bassi possibile.

Con particolare riferimento allo stato dell’arte secondo le monografie OMS, la relazione si sofferma dettagliatamente sui possibili effetti dei campi elettrici e magnetici statici, dei campi ELF (frequenze estremamente basse) e delle radiofrequenze.

Rimandando i lettori ad una lettura integrale delle slide dell’intervento, focalizziamo brevemente la nostra attenzione sui campi statici.

I campi elettrici statici sono presenti naturalmente nell’atmosfera. Valori fino a 3 kV/m possono presentarsi sotto le nuvole temporalesche, con tempo sereno, i livelli sono dell’ordine di 100 V/m (V/m, volt su metro, è l’unità di misura dei campi elettrici).

Dopo questa, la causa più comune di esposizione per l’uomo è dovuta ad una separazione di cariche per effetto dell’attrito. Ad esempio, camminando su un tappeto isolante si possono accumulare potenziali di carica di diversi kilovolt, che generano campi elettrici locali fino a 500 kV/m. Inoltre le linee elettriche in corrente continua possono produrre campi elettrici statici fino a 20 kV/m, i sistemi ferroviari in corrente continua campi fino a 300 kV/m all’interno dei treni e i videoterminali campi di circa 20-30 kV/m a una distanza di 30 cm.

Riguardo invece ai campi magnetici statici la relazione dà alcune informazioni sul campo geomagnetico presente sulla superficie terrestre e ricorda che campi magnetici statici artificiali sono generati ovunque si utilizzino correnti continue, come ad esempio in alcuni sistemi di trasporto a trazione elettrica ed in processi industriali quali la produzione di alluminio e la saldatura a gas. Induzioni magnetiche fino a 2 mT (il flusso di induzione magnetica può essere espresso in T, in Tesla, e nei suoi sottomultipli) sono state misurate all’interno di treni elettrici e in prototipi di sistemi a levitazione magnetica (Maglev). Nei processi di riduzione dell’allumina i lavoratori sono esposti a livelli più alti, fino a circa 60 mT, mentre la saldatura elettrica ad arco produce induzioni magnetiche di circa 5 mT a 1 cm dai cavi di saldatura.

L’avvento dei superconduttori negli anni ‘70 e ‘80 ha facilitato l’impiego di campi magnetici molto più elevati nella diagnosi medica, con lo sviluppo delle tecniche di diagnostica per immagini con risonanza magnetica e di spettroscopia con risonanza magnetica. Esposizioni professionali fino a 1 T ed oltre possono verificarsi durante la costruzione e le prove di queste apparecchiature, o durante le procedure di intervento medico assistito dalla risonanza magnetica. Anche in varie ricerche di fisica delle alte energie e nelle relative tecnologie si utilizzano magneti superconduttori e i lavoratori possono essere esposti, regolarmente e per tempi prolungati, a campi di intensità fino a 1,5 T.

Dopo aver dato informazioni sulle interazioni fisiche dei campi elettrici e dei campi magnetici statici e ricordato che per i campi magnetici statici si segnala l’interferenza con apparecchiature elettroniche impiantate (pacemaker, pompe insulina ecc.), vengono riportati vari esempi di studi sugli animali e sull’uomo.

Ad esempio per i campi magnetici statici le funzioni che sono state esaminate negli studi di laboratorio su soggetti umani comprendono quelle del sistema nervoso periferico, attività cerebrali, funzioni neurocomportamentali e cognitive, percezione sensoriale, funzioni cardiache, pressione sanguigna, ritmo cardiaco, proteine del siero e livelli ormonali, temperatura corporea e cutanea ed effetti terapeutici.

E i risultati non indicano che l’esposizione a campi magnetici statici produca effetti sulle risposte neurofisiologiche e sulle funzioni cognitive in volontari fermi, ma non permettono nemmeno di escludere questi effetti. Sono state riscontrate sensazioni di vertigine e nausea, dipendenti dalla dose, indotte in lavoratori, volontari e pazienti quando questi si muovevano entro campi statici superiori a 2 T. E’ verosimile che questi effetti dipendano dal gradiente del campo e dal movimento del soggetto.

In alcuni studi si è osservato un piccolo cambiamento della pressione sanguigna e del ritmo cardiaco, ma questi rientravano negli intervalli di normale variabilità fisiologica. Non vi è alcuna evidenza di effetti dei campi magnetici statici su altri aspetti della fisiologia cardiovascolare, o su proteine del siero e ormoni. L’esposizione a campi di intensità fino a 8 T non sembra indurre variazioni di temperatura nell’uomo.

 

Vengono poi riportati esempi di studi epidemiologici effettuati specialmente su lavoratori esposti a campi magnetici statici generati da apparati che utilizzavamo alte correnti continue.

Veniamo dunque ad un breve sunto dei rischi dei campi statici.

Non vi sono studi sull’esposizione a campi elettrici statici dai quali si possa trarre una qualsiasi conclusione su effetti cronici o ritardati. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC, 2002) ha osservato che non vi erano dati sufficienti per determinare la cancerogenicità di questi campi. Sono stati effettuati pochi studi sugli effetti acuti dei campi elettrici statici. Nel complesso i risultati suggeriscono che gli unici effetti acuti nocivi per la salute sono associati alla percezione fisica dei campi e ai fastidi conseguenti alle microscosse.

Riguardo poi ai campi magnetici statici i dati epidemiologici e degli studi di laboratorio a oggi disponibili non sono sufficienti per poter trarre delle conclusioni in merito a effetti cronici o ritardati. La IARC ha concluso che, per quanto riguarda la cancerogenicità dei campi magnetici statici, vi erano dati inadeguati per l’uomo, mentre non vi erano dati rilevanti per gli animali da laboratorio. La cancerogenicità di questi campi non è perciò, al momento, classificabile.

Tuttavia l’esposizione a breve termine a campi magnetici statici dell’ordine del Tesla e ai gradienti di campo a questi associati induce diversi effetti acuti.

Risposte cardiovascolari, come variazioni della pressione sanguigna e del ritmo cardiaco, sono state occasionalmente osservate in studi su volontari e su animali. Comunque, per esposizioni a campi magnetici statici fino a 8 T, queste variazioni rientravano nei normali intervalli fisiologici.

Sebbene non sia stato sperimentalmente verificato, è importante notare che i calcoli suggeriscono tre possibili effetti dovuti a potenziali di flusso indotti. Questi sono: piccole variazioni del battito cardiaco (che si può ritenere non abbiano conseguenze per la salute), induzione di battiti cardiaci ectopici (che possono essere più significativi dal punto di vista fisiologico) e maggiore probabilità di aritmia rientrante (che potrebbe portare alla fibrillazione ventricolare). Si pensa che i primi due effetti presentino soglie superiori a 8 T, mentre i livelli di soglia per il terzo sono attualmente difficili da stabilire per la complessità del modello.

Da 5 a 10 persone su 10.000 sono particolarmente suscettibili all’aritmia rientrante e il loro rischio potrebbe aumentare in caso di esposizione a campi magnetici statici e a campi gradienti. Il movimento fisico all’interno di un gradiente di campo statico induce, nel caso di campi statici superiori a 2-4 T, sensazioni di vertigine, nausea e talvolta fosfeni e sapore metallico in bocca. Sebbene siano solo transitori, questi effetti possono essere negativi per le persone. Oltre a possibili effetti sulla coordinazione occhi-mani, potrebbe verificarsi una riduzione della capacità in lavoratori impegnati in procedure delicate (ad esempio i chirurghi), con un conseguente impatto sanitario.

Concludiamo segnalando che sono stati riportati anche effetti su altre funzioni fisiologiche, ma è difficile giungere a conclusioni solide senza replicazioni indipendenti dei risultati.

Il documento “Campi elettromagnetici: gli effetti sulla salute”, a cura del dottor Roberto Agnesi, direttore SPISAL dell’Azienda ULSS 9 di Treviso è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/150203_ULSS9_campi_elettromagnetici_effetti_sulla_salute.pdf

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