SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.196 DEL 17/02/15

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.196 DEL 17/02/15

 

INDICE

  • Visite periodiche effettuate al di fuori dell’orario di lavoro
  • Sovraccarico biomeccanico: controllo rapido della postazione di lavoro
  • Cassazione: confermate le condanne per il crollo al Liceo Darwin
  • La valutazione del rischio sismico nei luoghi di lavoro
  • Cancro ai polmoni: a rischiare di più sono i muratori
  • INAIL: la sicurezza e la gestione dei rifiuti contenenti amianto
  • Le misure comportamentali in situazione di emergenza

 

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

 

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Medicina Democratica

Progetto “Sicurezza sul lavoro – Know your rights!”

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

https://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210

 

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VISITE PERIODICHE EFFETTUATE AL DI FUORI DELL’ORARIO DI LAVORO

 

Da Articolo 19

http://www.cittametropolitana.bo.it/lavoro/Engine/RAServePG.php/P/261611560408/T/Articolo-19

 

Articolo 19 Numero 4 Anno 2014

di Leopoldo Magelli

 

Nonostante la cosa dovrebbe essere ormai acquisita, ogni tanto ci pervengono ancora dai Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) quesiti sul fatto che, se i lavoratori vengono inviati a visita medica periodica presso il medico competente al di fuori del loro normale orario di lavoro o di sevizio, gli stessi abbiano o meno diritto a veder riconosciute le ore impegnate in queste visite come orario di lavoro, quindi come ore o da recuperare o da monetizzare come straordinario.

 

Evidentemente, quindi, alcuni datori di lavoro non si comportano in questo modo e ciò motiva il ripetersi di questi quesiti. Il Servizio Informativo per i Rappresentanti della Sicurezza (SIRS) si è sempre espresso chiaramente su questo problema, rifacendosi all’articolo 15 , comma 2, del D.Lgs.81/08: “Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori”.

Tra queste misure, analiticamente elencate al comma 1 dello stesso articolo, figura anche (voce l)) il “controllo sanitario dei lavoratori”.

 

A nostro avviso, l’essere costretti ad effettuare le visite mediche al di fuori dell’orario di lavoro o di servizio, senza possibilità di recupero o di retribuzione del tempo impegnato, si configurava a tutti gli effetti come un indiretto “onere finanziario”.

 

Questa nostra posizione è stata, pochi giorni fa, autorevolmente rinforzata e confermata, senza più spazio per equivoci o interpretazioni alternative, dalla risposta della Commissione degli Interpelli a un quesito relativo proprio a “visite mediche al di fuori degli orari di servizio”.

L’interpello è stato posto dall’Unione Sindacale di Base dei Vigili del Fuoco, chiedendo se “nell’effettuazione delle visite periodiche per il rinnovo dell’idoneità psicofisica all’impiego, come da articolo 41 del D.Lgs.81/08, detta visita va svolta in orario di lavoro o se il datore di lavoro ha facoltà di inviare il lavoratore a visita anche quando esso sia fuori dal normale orario di servizio. Inoltre se il tempo impiegato dal lavoratore per effettuare detta visita qualora si svolga al di fuori dell’orario di servizio deve o meno essere retribuito come ore di lavoro straordinario”.

 

La Commissione formula il suo parere ricordando, innanzitutto, che la sorveglianza sanitaria rientra tra gli obblighi del datore di lavoro (articolo 18, comma 1, lettera g)), ma, contestualmente il sottoporsi ai controlli sanitari (ai sensi dell’articolo 20, lettera i)) rientra altresì tra gli obblighi del lavoratore.

 

Osserva poi la Commissione che l’articolo 18 ha un contenuto tassativo, anche per quel che attiene alla sorveglianza sanitaria (volta alla tutela della integrità fisica e psichica del lavoratore) e non lascia spazi o deroghe circa l’osservanza dell’obbligo prescritto.

Afferma, letteralmente, che “le visite mediche in esame non possono, in considerazione della particolarità del bene tutelato [la salute del lavoratore], per nessun motivo essere omesse o trascurate dal soggetto obbligato [il datore di lavoro], di contro il lavoratore non può esimersi dal sottoporsi all’effettuazione della visita medica”.

 

E’ vero che l’articolo 41 non dice esplicitamente che la visita medica debba essere eseguita durante l’attività lavorativa, ma è “di tutta evidenza”, asserisce la Commissione, che “l’effettuazione della visita medica è funzionale all’attività lavorativa”. Quindi, di norma le visite mediche dovrebbero essere eseguite durante il normale orario di lavoro e di servizio.

La Commissione ammette comunque l’ipotesi che “per giustificate esigenze lavorative, il controllo sanitario avvenga in orari diversi” (anche se dovrebbe trattarsi di un’eccezione, non di una regola, in quanto la Commissione ricorda che i controlli sanitari dovrebbero essere strutturati tenendo ben presenti gli orari di lavoro e la reperibilità dei lavoratori), ma in questo caso conclude, con estrema chiarezza e senza lasciare spazio a equivoci : “il lavoratore dovrà comunque considerarsi in servizio a tutti gli effetti durante lo svolgimento di detto controllo anche in considerazione della tutela piena del lavoratore garantita dall’ordinamento”.

A questo proposito, la Commissione richiama anche l’articolo 15, comma 2, del D.Lgs.81/08, da noi sopra citato.

Quindi, in sintesi, il tempo impiegato per sottoporsi alle visite periodiche è da considerarsi a tutti gli effetti come tempo in cui il lavoratore è in servizio, con tutte le ricadute del caso (e ancora una volta il SIRS aveva ragione…).

 

Il parere della Commissione degli Interpello n.18 del 2014 relativo a “Risposta al quesito relativo alle visite mediche al di fuori dell’orario di lavoro” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.lavoro.gov.it/AreaLavoro/saluteSicurezza/Documents/Interpello%2018-2014.pdf

 

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SOVRACCARICO BIOMECCANICO: CONTROLLO RAPIDO DELLA POSTAZIONE DI LAVORO

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

04 febbraio 2015

 

E’ possibile fare un controllo rapido della postazione di lavoro e dell’attività per verificare il rischio di sovraccarico biomeccanico? Gli strumenti pubblicati da Suva con i fattori di rischio, le fasi del controllo e i fattori di disturbo.

 

In questi anni fortunatamente è sensibilmente aumentata la consapevolezza dei rischi da sovraccarico biomeccanico nei luoghi di lavoro. E questa maggiore sensibilizzazione si deve probabilmente sia ai dati sull’aumento delle malattie professionali correlate, sia all’attività di realtà come il centro EPM della Clinica del lavoro di Milano, sia all’attività divulgativa e informativa delle pubblicazioni INAIL sul tema. Tuttavia rimane nelle aziende la percezione che l’analisi di questa tipologia di rischio sia sempre difficile e dispendiosa. E’ possibile anche un controllo rapido per verificare il rischio di sovraccarico biomeccanico?

A rispondere a questa domanda sono disponibili alcune pubblicazioni di SUVA, istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni, che forniscono a verificatori, anche in assenza di particolari competenze o specifiche attrezzature, utili strumenti per operare un vero e proprio controllo rapido della postazione di lavoro e determinare le condizioni di lavoro che possono essere causa di un sovraccarico biomeccanico e quindi di eventuali disturbi muscoloscheletrici (DMS).

 

In particolare il controllo rapido della postazione di lavoro, operato con i strumenti forniti da SUVA, consente di verificare se ci sono situazioni di sovraccarico biomeccanico, connesse alla postazione di lavoro o all’attività che si sta svolgendo, con particolare riferimento a tre fattori di rischio:

  • posture forzate;
  • movimenti ripetitivi;
  • sforzo fisico.

Vengono poi presi in esame anche altri fattori di disturbo evidenti, che possono essere un ambiente di lavoro gravoso, attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione o tecniche di lavoro scomode e inadeguate.

Come si svolge il controllo?

Nel documento “Controllo rapido della postazione di lavoro – Istruzioni per l’uso” si indica che durante il controllo si esaminano i fattori di rischio e la loro durata nel tempo (senza interruzioni e pause) e ne risulta una matrice che mostra se è necessario intervenire con misure correttive:

  • il colore verde indica che non si è in presenza di situazioni di sovraccarico;
  • il colore giallo indica che si è in presenza di un sovraccarico, anche se di breve durata e che in concomitanza con ulteriori fattori negativi ci può essere un pericolo per la salute;
  • il colore rosso indica che l’individuo è sottoposto a una situazione di sovraccarico per un lungo periodo di tempo e che questo può pregiudicare gravemente la sua salute.

E se da questa analisi risulta che la salute del lavoratore è in pericolo, è necessario che un esperto svolga un’analisi approfondita mediante strumenti di valutazione specifici. Le misure correttive devono essere definite solo dopo aver svolto questa analisi.

Dunque il controllo avviene in tre tappe:

  • classificare ogni fattore: ogni fattore di rischio viene riportato sul foglio di lavoro “Controllo rapido della postazione di lavoro” in base alla sua frequenza nell’arco di una giornata di lavoro;
  • definire l’esposizione;
  • mettere una crocetta nella matrice: dalla combinazione dell’intensità di un fattore con la sua durata giornaliera risulta il probabile pericolo.

Il documento con le “Istruzioni per l’uso” riporta vari esempi pratici di controllo (ad esempio con riferimento al lavoro in posizione eretta o alle attività di laboratorio) e riporta diverse spiegazioni che possono guidare il verificatore in merito ai fattori di rischio.

Ad esempio in merito alle posture forzate si indica che per ognuno dei fattori sotto elencati bisogna chiarire se il soggetto riesce a lavorare prevalentemente con una postura naturale e non forzata.

  • Piegamento del busto, posizione eretta o seduta. A seconda del piegamento del busto la parte lombo-sacrale è sollecitata in modo più o meno marcato. Una postura dritta e naturale non dà alcun disturbo. Di solito si lavora in posizione eretta o seduta. In questo caso si prenderà in esame solo la posizione di lavoro dominante. Per ognuno dei fattori vengono riportati esempi di situazioni con colore verde (non si è in presenza di situazioni di sovraccarico) o di colore giallo e rosso. Ad esempio si ha il colore giallo quando la schiena è leggermente piegata, mentre la testa si trova ben oltre l’addome e il colore rosso quando la schiena è fortemente piegata in avanti (diritta o arcuata). Le spalle sono davanti al busto.
  • Direzione dello sguardo, in verticale e orizzontale. La direzione dello sguardo determina la posizione della testa. Questo fattore permette di valutare il sovraccarico sulla parte superiore della schiena e sul distretto collo e spalle. Bisogna tenere conto della direzione di sguardo verticale e orizzontale. Se entrambe rientrano nella fascia di colore verde, il fattore sarà di colore verde. Se una di queste fasce di colore rientra nel campo rosso, il fattore sarà di colore rosso. Ricordiamo che il campo rosso fa riferimento ad attività visive sopra l’altezza degli occhi o davanti all’addome: spesso si situano all’esterno di un angolo di 45° rispetto all’asse corporeo.
  • Luogo dell’attività manuale, distanza e torsione del busto rispetto alle gambe. La distanza della zona di presa davanti ai piedi determina la lunghezza del braccio di leva. Più è grande il braccio-leva, maggiore sarà il sovraccarico sul cingolo scapolare e sulla schiena. Uno scostamento laterale del campo di presa dalla direzione dominante dei piedi (ossia dall’asse corporeo) porta a una torsione del busto. In questo modo si destabilizza la parte lombo-sacrale che mal sopporta questa sollecitazione. Bisogna tener conto della posizione verticale e orizzontale.
  • Fianchi e gambe. Di solito gli arti inferiori sono più robusti e meno sensibili rispetto agli arti superiori. Se ci si muove poco, ossia se si mantiene sempre la stessa postura, l’apparato circolatorio ne risente. Le conseguenze possono essere fiacchezza e a lungo termine il soggetto può accusare anche disturbi di salute (patologie cardiocircolatorie).

Il documento si sofferma poi su:

  • attività ripetitive: attività manuali, ripetizione di movimenti ciclici; posizione del polso, prese tipiche delle mani;
  • sforzo fisico: percezione soggettiva dell’entità di sforzo; movimentazione di carichi, sollevare, trasportare, spostare, trascinare o spingere.

Infine si sofferma sui fattori ambientali e altri fattori di disturbo.

In questa categoria rientrano i fattori evidenti e che rappresentano un notevole sovraccarico (il singolo fattore viene indicato solo nella fascia rossa).

Ad esempio tra i fattori ambientali si può annoverare l’illuminazione, il microclima dell’ambiente di lavoro o eventuali fonti di rumore che ostacolano le attività. Per capire se sono molto negativi vengono forniti dei semplici indicatori senza ricorrere a particolari strumenti di misurazione.

Inoltre con l’espressione “altri fattori di disturbo” si intendono i restanti fattori che aggravano in modo notevole il lavoro. Questi alcuni esempi:

  • attrezzi e ausili mancanti o inadeguati;
  • vibrazioni frequenti al corpo intero (ad esempio sui veicoli) o sistema mano-braccio (ad esempio martello pneumatico, smerigliatrice angolare, molatrice, contraccolpi, mano utilizzata come utensile a percussione, ecc.);
  • indumenti di lavoro o dispositivi di protezione individuale che causano un forte disagio (ad esempio respirazione affaticata, scarsa libertà di movimento, ristagno di calore sotto i vestiti, capacità visiva e uditiva fortemente limitata, presa difficoltosa, stabilità ridotta);
  • luogo difficilmente accessibile, soprattutto se vi si accede di continuo (ad esempio gradini alti più di 17 cm, scale a pioli invece di scale a gradini, accesso possibile solo in posizione china);
  • tecniche di lavoro complicate o difficoltose (ad esempio tecnica di sollevamento e trasporto gravosa, manipolazione di carichi a scatti, postura innaturale);
  • ulteriori limitazioni o fattori di disturbo che rallentano oppure ostacolano il lavoro (ad esempio concentrazione o precisione estrema, illuminazione con i colori sbagliati, superfici scivolose, oggetti molto freddi o molto caldi).

Il documento di SUVA “Controllo rapido della postazione di lavoro – Istruzioni per l’uso”, edizione giugno 2014 è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/140918_SUVA_controllo_rapido_postazione_lavoro.pdf

 

Il documento di SUVA “Controllo rapido della postazione di lavoro”, foglio di lavoro, edizione giugno 2014 è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/140918_SUVA_controllo_rapido_postazione_lavoro2.pdf

 

Nota Bene

I riferimenti legislativi contenuti nei documenti di SUVA riguardano la realtà svizzera. Ricordiamo che per la valutazione dei rischi da sovraccarico biomeccanico in Italia è necessario fare riferimento a quanto richiesto e indicato dal Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs.81/08).

 

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CASSAZIONE: CONFERMATE LE CONDANNE PER IL CROLLO AL LICEO DARWIN

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

05 febbraio 2015

di Tiziano Menduto

 

La sentenza della Corte di Cassazione relativa al crollo del 2008 nel Liceo Darwin di Rivoli conferma le condanne del 2013 relative ai funzionari della Provincia di Torino e agli insegnanti che hanno ricoperto i ruoli di Responsabile del Servizi odi Prevenzione e Protezione (RSPP).

 

E’ il 22 novembre 2008 e in un’aula del Liceo “Darwin” di Rivoli il crollo di un controsoffitto provoca non solo la morte dello studente di 17 anni Vito Scafidi, ma anche il ferimento di altre diciassette persone. Uno di questi, Andrea Macrì, compagno di classe di Vito, rimane paralizzato.

Negli anni successivi a quella vicenda e alle sue conseguenze processuali, più volte nel nostro giornale si è parlato di scuola, sia in relazione alla rilevanza del tema della sicurezza degli edifici scolastici (sottolineata anche dall’ormai ex Presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano) sia al tema della responsabilità dei dipendenti delle scuole che ricoprono l’incarico di RSPP, fino alla Sentenza del 3 febbraio 2015 della IV Sezione Penale della Corte di Cassazione che, come vedremo, conferma le condanne emesse dalla Corte d’Appello di Torino il 28 ottobre 2013 relative a tre funzionari della Provincia di Torino e a tre insegnanti che hanno ricoperto i ruoli di RSPP nella scuola.

Cerchiamo di dare qualche elemento per comprendere come si è arrivati a questa sentenza definitiva della Suprema Corte.

Dopo l’incidente il sostituto procuratore Raffaele Guariniello (coordinatore del pool di magistrati della Procura di Torino specializzato nei problemi relativi alla sicurezza sul lavoro) apre un’inchiesta per omicidio e disastro colposo.

Inchiesta che tuttavia porta (nel processo di primo grado con sentenza del 15 luglio 2011) alla sola condanna a 4 anni di un funzionario della Provincia di Torino, Michele Del Mastro, che negli anni ‘80 aveva diretto i lavori di ristrutturazione della scuola. Gli altri sei imputati al processo (tra cui tre delle cinque persone che a partire dal 2000 si erano succeduti nel ruolo di RSPP) sono assolti.

Passano altri due anni e si arriva alla sentenza di secondo grado del 28 ottobre 2013. Una sentenza che ribalta il giudizio precedente.

La Terza sezione della Corte d’Appello di Torino giudica colpevoli tutti gli imputati, tranne un addetto ai sopralluoghi che è considerato privo delle competenze tecniche necessarie.

Alla condanna di Michele Del Mastro si aggiunge dunque la condanna dei suoi successori (tutti architetti) per mancata preventiva valutazione dei rischi. Secondo la Corte d’Appello i tre imputati avevano le competenze idonee per effettuare un controllo e verificare e prevenire eventuali rischi di crolli.

Vengono condannati anche i tre RSPP nell’Istituto “Darwin”. E a questo proposito i magistrati spiegano che “se di fronte al tempo di un quarto di secolo qui trascorso, dal 1984 al 2008, si fosse verificato lo stato di quel controsoffitto conoscibile, ispezionabile e monitorabile con il sovrastante vano tecnico, si sarebbero potute evidenziare, valutare e fronteggiare le sue gravi anomalie”. Gli imputati “ne ignoravano l’esistenza: e ciò che non si conosce è, e non può che essere insicuro, e continuare a esserlo”.

Con il ricorso in Cassazione si arriva poi all’atto finale, alla sentenza del 3 febbraio 2015 della IV Sezione Penale della Corte di Cassazione, presieduta da Gaetanino Zecca.

In risposta alla richiesta del Procuratore Generale di “rigettare i ricorsi degli imputati”, la Corte di Cassazione conferma la condanna dei funzionari della Provincia di Torino responsabili per l’edilizia scolastica Michele Del Mastro (4 anni), Sergio Moro (3 anni e 4 mesi) ed Enrico Marzilli (3 anni e 4 mesi). E conferma la condanna dei tre insegnanti che avevano ricoperto il ruolo di RSPP al liceo Darwin: Paolo Pieri (2 anni e 6 mesi), Diego Sigot (2 anni e 2 mesi), Fulvio Trucano (2 anni e 9 mesi).

Uno dei primi commenti entusiasti, raccolti dai media accorsi nell’aula per la sentenza, è proprio quello di Raffaele Guariniello che ritiene la sentenza “estremamente importante per il futuro” e aggiunge “Al di là del fare giustizia, è di grande importanza perché pone un problema quanto mai drammatico, quello della sicurezza nelle scuole. Noi lo vediamo quasi ogni giorno nella nostra città e un po’ in tutto il Paese. Il problema deve essere affrontato in maniera adeguata e invece ancora oggi non lo è. Oltre al Darwin, ancora oggi ci sono molte tragedie sfiorate in scuole pubbliche e private”.

Tuttavia un commento più articolato non solo sul tema del crollo al Liceo di Rivoli, ma più generale sui problemi della sicurezza e delle responsabilità nelle scuole, lo possiamo ritrovare nelle risposte che il magistrato Guariniello dà nel giugno 2013 ai microfoni di PuntoSicuro e che riportiamo a seguire.

“La scuola mi sembra che sia al momento attuale un nodo di diversi problemi che toccano diverse istituzioni. […] Il problema più denso di difficoltà è nella scuola pubblica, dove non c’è un datore di lavoro che ci guadagna, che svolge un’attività economica privata. E’ un datore di lavoro che svolge un servizio pubblico che non si può far cessare. In questo caso vengono fuori un insieme di problemi. La sicurezza della scuole è la risultante di una duplice posizione di garanzia che è quella della scuola, da una parte, ma dall’altra dell’ente proprietario della scuola. Che non è la scuola stessa, ma può essere la Provincia, il Comune e altri enti pubblici. Ora l’indicazione che ci dà la legge è molto netta: sia tu Provincia, sia tu scuola dovete valutare tutti i rischi per vedere quali sono gli interventi strutturali di manutenzione che devono essere eseguiti. Questo ognuno di propria iniziativa. Poi tu scuola, una volta che fai questa valutazione, ti liberi dagli obblighi degli interventi strutturali di manutenzione facendo una segnalazione di questa necessità all’ente proprietario. Dall’altra poi l’ente proprietario che già per conto suo deve valutare i rischi, poi deve far conto anche di questa segnalazione”.

Con due avvertenze. La prima è che “la Provincia, o altro ente proprietario, ha in questo momento grandi problemi di natura economica”. La seconda è che “abbiamo una scuola e un dirigente scolastico che a sua volta è un datore di lavoro un po’ per modo di dire, perché non ha autonomi poteri decisionali di spesa. Tuttavia deve anche tener conto che se non ha questi poteri di spesa ha dei poteri che possono arrivare ad esempio all’interdizione dall’uso di determinati locali nella stessa scuola, in accordo naturalmente con le istituzioni scolastiche e le altre istituzioni pubbliche”.

In conclusione di questo breve articolo di presentazione della nuova sentenza, di cui si attendono le motivazioni, e con riferimento indiretto alle parole di Guariniello, proviamo infine a dare forma ad alcune domande già apparse, in modi più o meno sfumati, nei nostri articoli sul tema della sicurezza nelle scuole.

La prima è una domanda che cominciano a porsi alcune associazioni nel mondo della scuola, come ad esempio l’ASASI, l’Associazione delle Scuole Autonome della Sicilia: chi avrà in futuro il coraggio di assumere un incarico di RSPP?

La seconda domanda ha a che fare con i continui ritardi dei decreti attuativi del D.Lgs.81/08 ed è stata già posta, in un intervento ad un convegno, da Antonietta Di Martino, Dirigente Scolastico e membro dell’Osservatorio Regionale per la Sicurezza nelle Scuole del Piemonte. Se i vari incidenti che si sono succeduti nelle scuole hanno giustamente aumentato l’attenzione verso i problemi della sicurezza nella scuola, perché siamo ancora in attesa del Decreto che regolamenterà l’applicazione del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (articolo 3, comma 2) nelle istituzioni scolastiche?

 

Tiziano Menduto

 

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LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO SISMICO NEI LUOGHI DI LAVORO

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

10 febbraio 2015

 

Un documento si sofferma sull’importanza di avviare un percorso di valutazione della sicurezza per tutti gli edifici che ospitano luoghi di lavoro realizzati senza l’adozione di criteri di progettazione antisismica. Metodi e percorsi operativi.

 

I vari eventi sismici che hanno colpito in questi anni il nostro paese, al di là delle vittime e dei danni provocati, hanno messo in evidenza l’elevata vulnerabilità delle costruzioni a uso produttivo, costruite prima della classificazione sismica.

Diventa quindi rilevante valutare la sicurezza di tali costruzioni e individuare precisi interventi di prevenzione e protezione per garantire l’incolumità dei lavoratori e per contenere i danni umani e materiali di un eventuale terremoto.

Per affrontare questo tema dal punto di vista della tutela della sicurezza, in relazione a quanto richiesto dal D.Lgs.81/08, possiamo presentare un intervento, pubblicato sul sito dell’ASL di Reggio Emilia, di Daniela Malvolti (Servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro, ASL Reggio Emilia), dal titolo “Il rischio sismico nei luoghi di lavoro. Il Documento di Valutazione dei Rischi”.

Dopo aver dato informazioni sugli eventi sismici in Emilia Romagna del 20 e 29 maggio 2012, in un territorio non classificato sismico fino al 23 ottobre 2005 e dunque con costruzioni progettate senza norme sismiche, e del quadro normativo di riferimento post sisma, l’intervento riporta alcuni significativi articoli del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs.81/08), con riferimento anche agli “infortuni significativi”, ai lavoratori morti sotto i crolli dei capannoni industriali a causa del sisma del maggio 2012:

  • articolo 17, comma 1, lettera a): “Il datore di lavoro deve effettuare la valutazione di tutti i rischi.”;
  • articolo 29, comma 3: “La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata a seguito di infortuni significativi. A seguito di tale rielaborazione il documento di valutazione dei rischi deve essere rielaborato nel termine di 30 giorni dalle rispettive causali.”;
  • articolo 63, comma 1: “I luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell’Allegato IV.” e Allegato IV, punto 1.1.1: “Gli edifici che ospitano i luoghi di lavoro o qualunque altra opera e struttura presente nel luogo di lavoro devono essere stabili e possedere una solidità che corrisponda al loro tipo d’impiego ed alle caratteristiche ambientali.”;
  • articolo 64 comma 1, lettera c): “Il datore di lavoro provvede affinché i luoghi di lavoro vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori.”.

Fatte queste premesse l’intervento sottolinea quanto sia quindi importante:

  • valutare la vulnerabilità/sicurezza sismica della struttura e degli elementi non strutturali, eventualmente programmare interventi idonei in caso di criticità riscontrate e integrare il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) con il rischio sismico;
  • redigere specifiche procedure di intervento in caso di emergenza sismica e integrare i Piani di Emergenza.

Si ricorda, a questo proposito, che anche le “procedure standardizzate” per la valutazione dei rischi e per la elaborazione del DVR, tra i pericoli presenti in azienda (elencati nel modulo 2) riportano i terremoti.

Riguardo dunque alla valutazione del rischio sismico nei luoghi di lavoro l’intervento si sofferma su alcune importanti “componenti del problema”.

Ad esempio:

  • pericolosità sismica (sismicità): “probabilità che si verifichino terremoti di una data entità, in una data zona e in un prefissato intervallo di tempo”;
  • vulnerabilità sismica: “predisposizione di una costruzione a subire danni per effetto di un sisma di prefissata entità”;
  • esposizione: “complesso di beni e attività che possono subire perdite per effetto del sisma”;
  • rischio sismico: “misura dei danni attesi in un dato intervallo di tempo, in base al tipo di sismicità, di resistenza delle costruzioni e di antropizzazione (natura, qualità e quantità dei beni esposti)”; è determinato dalla combinazione della pericolosità (P), della vulnerabilità (V) e dell’esposizione (E).

L’intervento, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma poi sui metodi di valutazione.

Infatti esistono diversi metodi di valutazione della vulnerabilità sismica di edifici esistenti, a seconda della scala territoriale di indagine.

Ad esempio:

  • metodi basati sul giudizio di esperti: un possibile strumento per effettuare tale valutazione è costituito dalle Schede di vulnerabilità di I e II livello redatte dal Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT) del CNR; tali schede si basano sulla possibilità di attribuire a un edificio un indice di vulnerabilità determinato sulla base di parametri che rappresentano l’idoneità dell’edificio a sopportare il sisma e richiedono una certa perizia per il rilevamento dei dati (vengono presentate una serie di linee guida e linee di indirizzo che possono supportare la valutazione e si ricorda poi che per una valutazione esaustiva del rischio sismico nei luoghi di lavoro è importante indagare anche la vulnerabilità di elementi non strutturali, arredi e impianti: l’eventuale danneggiamento di tali elementi può costituire infatti una grave minaccia per l’incolumità dei lavoratori oltre a determinare l’ostruzione delle vie di fuga);
  • metodi meccanici/analitici: sono basati su modellazioni numeriche che rappresentano il comportamento sismico delle costruzioni e sono finalizzati a stabilire se l’edificio è in grado o meno di resistere alla combinazione sismica di progetto; in particolare per una valutazione analitica delle sicurezza-vulnerabilità sismica delle costruzioni si deve fare riferimento al D.M.14/01/08 e relativa Circolare 617/09, mentre per edifici storici si deve fare riferimento alla Direttiva P.C.M. 12/10/07 “Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale allineate alle Norme Tecniche delle Costruzioni 2008”.

In ogni caso al di là degli obblighi (riportati nell’intervento) della valutazione della sicurezza sismica di edifici esistenti, si indica che in un’ottica di prevenzione è comunque importante avviare un percorso di valutazione della sicurezza per tutti gli edifici che ospitano luoghi di lavoro progettati e realizzati prima della classificazione sismica e quindi senza l’adozione di criteri di progettazione antisismica.

 

In tali casi è pertanto opportuno:

  • nel breve periodo rilevare eventuali criticità presenti e risolverle con interventi locali;
  • nel medio-lungo periodo programmare interventi di miglioramento sismico.

Il documento riporta poi un breve percorso operativo per la valutazione del rischio sismico nei luoghi di lavoro.

Un percorso operativo che comprende:

  • fase 1: esame dati e documenti di progetto;
  • fase 2: rilievo geometrico;
  • fase 3: rilievo quadro fessurativo–degrado–vulnerabilita;
  • fase 4: analisi numeriche-modellazione strutturale e analisi numeriche per indagare e quantificare la sicurezza strutturale (verifica nei confronti dei carichi statici, analisi dei meccanismi locali e globali) o, in alternativa, una valutazione qualitativa della vulnerabilità, ottenuta attraverso la compilazione di schede o tabelle di rilievo della vulnerabilità;
  • fase 5: sintesi della valutazione del rischio che potrà indicare se è presente un rischio basso, moderato o elevato.

Per concludere ricordiamo che nel DVR devono essere riportati:

  • parametri valutativi considerati (dati di input);
  • risultati della valutazione della sicurezza (dati di output);
  • programmazione degli interventi di miglioramento dei livelli di sicurezza degli elementi strutturali e non strutturali.

 

Il documento della ASL di Reggio Emilia “Il rischio sismico nei luoghi di lavoro. Il Documento di Valutazione dei Rischi”, intervento a cura dell’ingegner Daniela Malvolti del Servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/150210_AUSL_valutazione_rischio_sismico.pdf

 

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CANCRO AI POLMONI: A RISCHIARE DI PIÙ SONO I MURATORI

 

Da: Rassegna.it

http://www.rassegna.it

 

Una ricerca rivela che questi lavoratori hanno maggiori probabilità di sviluppare il tumore. Sotto accusa la silice cristallina. Per Boni (FILLEA CGIL) è necessaria più collaborazione con i medici e avviare un percorso per il riconoscimento della malattia professionale.

 

I muratori sono i più esposti al cancro ai polmoni. Precisamente, hanno il 50 per cento di probabilità in più di sviluppare un tumore polmonare rispetto a tutti gli altri lavoratori. Questo a causa dell’esposizione a numerosi agenti cancerogeni, come la silice cristallina (sotto forma di polvere di quarzo), l’amianto e i composti cromo-nickel.

A rilevare quest’associazione è il progetto Synergy dell’International Agency for Research on Cancer, una ricerca internazionale che raccoglie numerosi studi di caso sul tumore polmonare realizzati in 16 paesi, tra cui l’Italia (con indagini effettuate a Roma, Torino, Lombardia e Veneto), con l’obiettivo di analizzare la possibile relazione tra la patologia e i cosiddetti cancerogeni occupazionali.

 

“Lo studio” – commenta il segretario nazionale FILLEA CGIL Dario Boni – “pone l’attenzione su questo fenomeno, che non abbiamo mai sottovalutato, ma che ci impone maggiormente di essere promulgatori di una campagna di informazione non solo nei luoghi di lavoro, ma in stretto collegamento con i medici competenti e i medici di famiglia. Il loro ruolo è fondamentale, ma va detto che spesso non collegano l’origine della malattia alla professione”.

Lo stretto collegamento con il fumo, infatti, può “distogliere l’attenzione dalla correlazione con il lavoro edile, anche se fumare è una concausa rilevante. Come sempre la conoscenza, quindi la formazione, e la prevenzione, quindi l’utilizzo dei dispositivi di protezione, giocano un ruolo significativo”.

 

Lo studio ha dimostrato una forte associazione tra questa mansione e l’insorgere o sviluppo del carcinoma a cellule squamose e del carcinoma a piccole cellule, con una “correlazione positiva chiara” con la lunghezza del rapporto di lavoro. Un’associazione che potrebbe rivelarsi di grande importanza, considerato che nella maggior parte dei paesi il cancro ai polmoni non è riconosciuto come malattia professionale dei muratori. Venendo ai dati, i lavoratori con diagnosi di tumore polmonare inclusi nello studio sono stati 15.608: di questi, il 4,5 per cento (pari a 695 persone) ha lavorato sempre come muratore. Rispetto agli altri soggetti, precisa la ricerca, i muratori fumano un po’ di più degli altri e hanno un livello di istruzione mediamente più basso.

 

Sotto accusa sono diversi agenti cancerogeni. Il più pericoloso, perché ancora presente e diffuso, è la silice cristallina, conosciuta nella forma di polvere di quarzo, classificata come cancerogena per l’uomo dall’International Agency for Research on Cancer (IARC) già nel 1997. A entrare in contatto con questa sostanza, spiega la ricerca, è circa “il 20 per cento della forza lavoro impiegata nell’industria delle costruzioni”, e l’esposizione avviene “frequentemente durante diversi compiti, come betonaggio, taglio, perforazione, sabbiatura, demolizione e pulizia”. I risultati, afferma la ricerca, suggeriscono di adottare tutte le precauzioni possibili per ridurre l’esposizione a queste polveri, oltre a indicare la necessità di riconoscere il tumore polmonare come malattia professionale dei muratori.

 

“La silice cristallina libera” – riprende Boni – “è presente nei mattoni, in prodotti simili fatti di cemento, nella pietra, nella roccia, in altre sostanze abrasive. La polvere viene rilasciata nell’ambiente quando questi prodotti vengono lavorati, tagliati a secco, molati, scheggiati, puliti”.

 

Purtroppo queste lavorazioni non sempre sono condotte prestando attenzione, utilizzando le dovute precauzioni, come l’uso di aspiratori, mascherina, bagnatura adeguata. Sono molti i lavoratori che eseguono questi compiti in diversi settori industriali, rimanendo per molti anni a rischio di contrarre le malattie che vengono causate da queste polveri, che non sono soltanto il cancro ai polmoni, ma anche la tubercolosi e la silicosi.

 

In conclusione, il segretario nazionale FILLEA CGIL ricorda l’assistenza offerta: “tramite il nostro patronato, per la denuncia e le richieste di risarcimento per i lavoratori edili colpiti dal cancro ai polmoni, quale malattia di origine professionale, per la quale valuteremo con l’INCA CGIL percorsi che conducano al riconoscimento”.

 

L’articolo “Lung cancer risk among bricklayers in a pooled analysis of case–control studies”, realizzato da vari autori e pubblicato a cura del International Journal of Cancer, è scaricabile all’indirizzo:

http://www.rassegna.it/userdata/articoli/allegati/2015/01/cancro-muratori1_439136.pdf

 

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INAIL: LA SICUREZZA E LA GESTIONE DEI RIFIUTI CONTENENTI AMIANTO

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

11 febbraio 2015

 

Informazioni sulla classificazione e gestione dei Rifiuti Contenenti Amianto (RCA) ai fini della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e degli ambienti di vita. I siti contaminati da bonificare, i rifiuti e le attività economiche con RCA.

 

L’amianto è una sostanza minerale naturale con struttura fibrosa caratterizzata da una notevole resistenza meccanica e un’alta flessibilità. Una sostanza che per la sua resistenza al fuoco, al calore e all’azione di vari agenti chimici e biologici è stata utilizzata in passato per la costruzione di diversi prodotti. E che è ormai assodato essere cancerogena: l’amianto è stato classificato come sostanza cancerogena di categoria I con i codici R 45 T (Tossico: può provocare il cancro) ed R 48/23 (Tossico: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata per inalazione).

In questi anni l’INAIL si è occupato spesso della prevenzione dei problemi correlati all’esposizione alle fibre di amianto, ad esempio con riferimento alla presenza di amianto nelle scuole, alla prevenzione dell’esposizione a fibre di amianto aerodisperse nell’ambito delle Forze Armate, alla pubblicazione di prodotti informativi sulle discariche che accettano Rifiuti Contenenti Amianto (RCA) o comunque sulle problematiche nella gestione dei rifiuti da amianto.

 

E proprio in relazione ai RCA, L’INAIL ha recentemente pubblicato sul suo sito un nuovo volume dal titolo “Classificazione e Gestione dei Rifiuti Contenenti Amianto. Istruzioni operative INAIL ai fini della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e degli ambienti di vita”; un volume realizzato dal Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (DIT) dell’INAIL con il supporto del Gruppo Amianto e Aree ex-Estrattive Minerarie. Una pubblicazione con un ricco compendio documentale che fornisce varie indicazioni per l’avvio a idonea discarica degli RCA.

In particolare nel documento si ricorda che l’Italia è stata fino agli anni ‘90 tra i maggiori produttori mondiali di amianto. E che nel 1992 è stata tra le prime nazioni a bandire tale sostanza a scala internazionale, stabilendo con la Legge n.257 del 27/3/92 il divieto di estrazione, importazione, esportazione, commercializzazione, produzione di amianto, di prodotti di amianto, di prodotti contenenti amianto. Legge che non impone però l’obbligo di dismissione di tale sostanza o dei materiali che la contengono. Pertanto ancor oggi risultano numerosi i siti contaminati da bonificare con rilevanti quantitativi di RCA da smaltire.

Dopo aver riportato la normativa nazionale ed europea, il volume segnala incongruità significative tra quanto previsto dalla normativa e quanto avviene con la sua applicazione reale. E’ dunque per questo motivo che nel lavoro, sono stati integrati i dati con ulteriori informazioni in merito alla classificazione dei manufatti contenenti amianto “ab origine” e ai principali prodotti industriali e relativi settori di impiego.

I RCA generati dalle attività di bonifica sono stati dunque oggetto di una attenta classificazione con indicazione degli specifici codici del Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER) da utilizzare e segnalazione della tipologia di discarica in cui essi dovrebbero essere smaltiti. Ciò al fine di agevolare l’attività dei soggetti coinvolti a vario titolo nella gestione di tali rifiuti, ed evitare smaltimenti impropri o volutamente illegali in siti non idonei.

Attribuire ai rifiuti contenenti amianto i giusti codici CER e avviarli all’idonea tipologia di discarica è tra l’altro importante per tutelare la salute e la sicurezza degli operatori del settore, come gli addetti alle attività di bonifica o coloro che gestiscono i rifiuti negli impianti di smaltimento definitivo. Una corretta attribuzione del CER al rifiuto permette infatti la consapevolezza della tipologia di rifiuto da gestire e favorisce l’utilizzo di buone procedure e di appropriati dispositivi di protezione individuali.

Il documento si sofferma ampiamente sui prodotti contenenti amianto e sul loro settore di impiego.

Infatti le caratteristiche tecniche di tale sostanza, unitamente ad un costo contenuto, hanno portato alla lavorazione e produzione di diverse miscele (amiantite nota commercialmente anche come sirite, eternite, marinite, syndanio, ecc.) e di oltre 3.000 tipologie di prodotti contenenti amianto, con ampia diffusione su tutto il territorio nazionale. La percentuale di amianto contenuta in tali prodotti, per usi “tradizionali”, varia tra il 10 e il 98% in peso.

Dopo aver riportato alcune tabelle con la classificazione delle principali tipologie di prodotti contenenti amianto, il documento riporta anche un elenco delle principali attività economiche in cui essi sono stati impiegati e le relative “categorie” di riferimento.

Concludiamo questa breve presentazione ricordando che in Italia i RCA, classificati sulla base delle indicazioni ricavabili dal documento, possono essere smaltiti in discariche (secondo le modalità indicate dai D.Lgs.36/03 e D.M.27/9/10) o avviati a recupero (secondo le modalità indicate dal D.M.248/04).

In particolare la normativa prevede che i rifiuti di amianto o contenenti amianto possono essere conferiti a smaltimento definitivo in discarica:

  1. per rifiuti pericolosi, dedicata o dotata di cella dedicata;
  2. per rifiuti non pericolosi, dedicata o dotata di cella monodedicata:
  • per i rifiuti individuati dal CER 17.06.05;
  • per le altre tipologie di rifiuti contenenti amianto, purché sottoposti a processi di trattamento ai sensi di quanto previsto dal D.M.248/04 e con valori conformi alla Tabella 1 del D.M.248/04, verificati con periodicità stabilita dall’autorità competente presso l’impianto di trattamento.

Tenuto conto di quanto sopra esposto, possono essere conferiti in discariche per rifiuti non pericolosi solo i “Materiali da costruzione contenenti amianto” classificati con il CER 17.06.05 o altri RCA trattati con valori conformi alla Tabella 1 del D.M.248/04. Si evidenzia che da studi condotti dall’INAIL, non risultano attualmente operanti impianti di trattamento di cui al citato Decreto. Le restanti tipologie di RCA, devono essere tutte smaltite in discariche per rifiuti pericolosi ad eccezione di quelle classificate con il codice 15.02.02.

Il Documento dell’INAIL, Dipartimento Innovazioni Tecnologiche “Classificazione e Gestione dei Rifiuti Contenenti Amianto. Istruzioni operative INAIL ai fini della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e degli ambienti di vita” a cura di Federica Paglietti, Sergio Malinconico, Beatrice Conestabile della Staffa, Elisa Santurri, con il supporto del Gruppo Amianto ed Aree ex-Estrattive Minerarie, edizione 2014 è scaricabile all’indirizzo:

http://www.INAIL.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_168859.pdf

 

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LE MISURE COMPORTAMENTALI IN SITUAZIONE DI EMERGENZA

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

16 febbraio 2015

 

Tre schede riportano utili informazioni su idonee procedure e misure comportamentali in caso di emergenza. La procedura per l’intervento su un principio di incendio e le misure comportamentali da tenere in caso di emergenze varie e di allarme evacuazione.

Sui siti web dei principali atenei italiani sono presenti diversi documenti relativi alla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, a volte contenenti specifiche indicazioni procedurali. Sono documenti generalmente pubblicati come materiale informativo per i lavoratori dell’Università, secondo la definizione di “informazione” data dal D.Lgs.81/08: complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro.

 

E’ il caso di una serie di schede prodotte dall’Ufficio Speciale Prevenzione e Protezione (USPP) dell’ Università degli Studi di Roma “La Sapienza” sulle buone prassi e le misure comportamentali idonee in situazioni di emergenza; le schede si aggiungono a un altro documento informativo dell’Università sulle procedure da adottare in caso di incendio.

Ricordiamo che l’Ufficio speciale Prevenzione e Protezione svolge la funzione di Servizio di Prevenzione e Protezione (articolo 31 del D.Lgs.81/08) nell’Università ed è costituito da un responsabile e da addetti in possesso delle capacità e dei requisiti professionali adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative svolte.

La prima scheda che presentiamo è dedicata all’emergenza incendio e si tratta della “Scheda PE003 – Procedura per l’intervento su un principio di incendio”.

La scheda indica che chiunque individui un principio d’incendio o rilevi qualche altro fatto anomalo che possa far presumere un’imminente situazione di pericolo (presenza di fumo, scoppi, incendio, ecc.), in attesa dell’intervento degli addetti, e qualora ne abbia avuto sufficiente addestramento, può cercare di spegnere le fiamme con gli estintori ubicati ai piani, seguendo comunque attentamente le norme per il loro utilizzo.

Inoltre il personale non compreso nei quadri degli Addetti alla gestione delle emergenze, può attivarsi per tentare un intervento per il contenimento e la riduzione del pericolo, purché si reputi in grado di affrontare l’emergenza senza mettere a rischio la propria ed altrui incolumità.

 

E’ riportato l’esempio dell’incendio di un cestino.

In questo caso le metodologie di intervento sono essenzialmente due:

  • fuoriuscita di fumo: estrarre le carte parzialmente accese spegnendo il tutto con i piedi;
  • presenza di fiamme: domare le fiamme con acqua, utilizzando ad esempio una bottiglia, oppure utilizzare un estintore a polvere puntando il getto estinguente alla base delle fiamme facendo in modo di non rovesciare il cestino con conseguente rischio di propagazione dell’incendio.

Nella scheda che vi invitiamo a visionare è presente una sequenza fotografica sull’uso dell’estintore per lo spegnimento del principio di incendio.

Passiamo ora a un’altra scheda relativa alle procedure di evacuazione a seguito di un’emergenza.

Nella “Scheda PE004 – Misure comportamentali da tenere in caso di allarme evacuazione” vengono date ai lavoratori queste indicazioni da seguire alla diramazione dell’ allarme evacuazione:

  • mantenere la calma;
  • interrompere immediatamente ogni attività;
  • lasciare il proprio posto di lavoro curando di mettere tutte le attrezzature in uso in condizione di sicurezza fermando i macchinari, sconnettendo l’energia elettrica e sezionando gli impianti di alimentazione di eventuali combustibili (gas metano);
  • allontanarsi ordinatamente dai locali avendo cura di chiudere, non a chiave, le finestre e le porte degli ambienti di lavoro, dopo aver accertato che questi siano stati completamente evacuati;
  • non usare in alcun caso ascensori e montacarichi;
  • abbandonare la zona senza indugi, ordinatamente e con calma (senza correre), e senza creare allarmismi e confusione, non spingere, non gridare;
  • seguire il percorso di fuga, contrassegnato da apposita segnaletica (pittogramma bianco su fondo verde), e dirigersi verso la più vicina uscita di sicurezza;
  • non portare al seguito ombrelli, bastoni, borse o pacchi voluminosi, ingombranti, pesanti e che possano costituire intralcio;
  • non tornare indietro per nessun motivo;
  • non ostruire gli accessi permanendo in prossimità di questi dopo l’uscita;
  • recarsi ordinatamente, presso i punti di raccolta, facilitare la conta di tutti i presenti e attenersi alle eventuali ulteriori istruzioni;
  • rimanere nel punto di raccolta fino al cessato allarme.

Concludiamo questa breve rassegna di esempi di procedure nelle situazioni di emergenza con la “Scheda PE005 – Misure comportamentali da tenere in caso di emergenze varie”.

Nella scheda sono riportate indicazioni sulle misure comportamentali da tenere in caso di incendio e/o esplosione, di terremoto, di incidente o di persone in preda a crisi.

In caso di incendio e/o esplosione, se l’incendio si sviluppa all’interno di un ambiente la scheda indica di:

  • mantenere la calma e dare l’allarme;
  • uscire subito chiudendo la porta.

Se l’incendio si sviluppa all’esterno dell’ambiente e il fumo rende impraticabili scale e corridoi:

  • chiudere bene la porta;
  • se possibile sigillare tutte le fessure con panni bagnati;
  • aprire la finestra e chiedere aiuto.

Se il fumo rende irrespirabile l’aria:

  • respirare attraverso un fazzoletto bagnato, e camminare tenendosi curvi o, se necessario, strisciare sul pavimento.

In caso di terremoto la scheda propone due indicazioni generali:

  • evitare di scendere le scale e di uscire su i balconi;
  • ripararsi sotto tavoli o mobili.

Se ci si trova in un luogo chiuso:

  • mantenere la calma;
  • non precipitarsi fuori;
  • restare nel locale e ripararsi vicino ai muri portanti o sotto i tavoli e banchi;
  • allontanarsi da finestre, porte vetrate o armadi;
  • in seguito al terremoto, all’ordine di evacuazione, abbandonare l’edificio senza usare l’ascensore e raggiungere il punto di raccolta esterno assegnato.

Se ci si trova all’aperto:

  • allontanarsi dai lampioni, edifici, alberi e linee elettriche aeree;
  • trovare un posto sicuro in cui non ci sia pericolo di essere investiti da materiali;
  • non avvicinarsi ad animali spaventati;
  • recarsi al punto di raccolta e attendere eventuali soccorsi.

Nel caso di incidente e/o persone in preda a crisi occorre:

  • mantenere la calma e dare l’allarme;
  • contattare immediatamente il centralino al fine di far intervenire gli addetti al primo soccorso e il pronto soccorso dall’esterno (118).

 

La “Scheda PE003 – Procedura per l’intervento su un principio di incendio” a cura dell’Ufficio Speciale Prevenzione e Protezione (USPP) dell’Università degli Studi di Roma è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/150216_UniRo_scheda_intervento_principio_incendio.pdf

La “Scheda PE004 – Misure comportamentali da tenere in caso di allarme evacuazione” a cura dell’Ufficio Speciale Prevenzione e Protezione (USPP) dell’Università degli Studi di Roma è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/150216_UniRo_scheda_comportamento_allarme_evacuazione.pdf

La “Scheda PE005 – Misure comportamentali da tenere in caso di emergenze varie” a cura dell’Ufficio Speciale Prevenzione e Protezione (USPP) dell’Università degli Studi di Roma è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/150216_UniRo_scheda_comportamento_emergenza.pdf

 

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