
SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS – NEWSLETTER N.202 DEL 31/03/15
INDICE
- Lavoro all’aperto e protezione dai fattori microclimatici – Seconda parte
- Visite mediche effettuate al di fuori dell’orario di lavoro
- Novità sulla formazione degli RSPP e di tutti i lavoratori
- Non ci sono attenuanti nel caso di adempimento delle prescrizioni
- Videoterminali: liste di controllo per ergonomia e illuminazione
Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.
La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.
L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul lavoro! Know Your Rights”
Medicina Democratica
https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156
http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210
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LAVORO ALL’APERTO E PROTEZIONE DAI FATTORI MICROCLIMATICI – SECONDA PARTE
LE CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.65
Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne fanno richiesta, su tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di richieste e devo dire che per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire con le mie risposte a fare chiarezza sui diritti del lavoratori.
Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che hanno la pazienza di leggere le mie newsletters, queste consulenze.
Esse trattano di argomenti vari sulla materia e possono costituire un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a che fare con casi simili o analoghi.
Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza ometterò il nome delle persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende coinvolte.
In questo caso, vista la lunghezza e la complessità dell’argomento, ho diviso il documento in due parti.
La prima (pubblicata nella precedente newsletter) era relativa a:
- riferimenti normativi;
- sistemazione degli ambienti di lavoro;
- la valutazione dei rischi dei parametri microclimatici;
La seconda (questa) è relativa a:
- la definizione delle misure di prevenzione e protezione;
- fattori di rischio , misure di prevenzione e protezione, procedure di lavoro per ambienti termici severi;
Marco Spezia
QUESITO
Ciao Marco,
sono operaio presso un’azienda chimica e sono Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza.
Nel mio reparto il lavoro si svolge in tre turni prevalentemente (quasi il 90%) all’aperto. Carichiamo camion e cisterne sempre alle intemperie, qualunque siano le condizioni meteorologiche.
Come RLS ho fatto presente all’azienda le condizioni critiche a cui sono sottoposti tutti i lavoratori di questo reparto, richiedendo tettoie mobili o fisse e indumenti termici. L’azienda non ha dato alcuna risposta.
Ti chiedo cortesemente se mi può indicare suggerimenti in materia; se esistono dei riferimenti di leggi o regolamenti da proporre all’azienda per risolvere questo problema e dare agli operai condizioni di lavoro più adeguate.
Ti ringrazio.
RISPOSTA
Ciao,
A seguito riporto le mie considerazioni sul problema da te citato.
La linea guida “Microclima, areazione e illuminazione nei luoghi di lavoro – Requisiti e standard – Indicazione operative e progettuali” citata nel testo la puoi scaricare al link:
http://www.ispesl.it/Linee_guida/tecniche/LGMicroClima062006.pdf
Se hai bisogno di ulteriori chiarimenti fammi sapere.
Marco
LAVORO ALL’APERTO E PROTEZIONE DAI FATTORI MICROCLIMATICI
LA DEFINIZIONE DELLE MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE
A seguito della valutazione dei rischi, il datore di lavoro deve definire quali misure di prevenzione e protezione adottare per eliminare o ridurre i rischi individuati e individuare il programma temporale di attuazione di tali misure.
Infatti l’articolo 28, comma 2, lettera b) del Decreto specifica che:
“Il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) deve contenere l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati”;
mentre l’articolo 28, comma 2, lettera c) specifica che:
“Il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) deve contenere il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza”.
Il mancato adempimento degli obblighi di cui sopra da parte del datore di lavoro è sanzionato penalmente dall’articolo 55, comma 3 del Decreto con l’ammenda 2.000 a 4.000 euro.
A seconda dei fattori di rischio individuati e delle possibili soluzioni tecniche il datore di lavoro dovrà adottare misure di prevenzione (eliminazione del rischio alla fonte), protezione collettiva (cioè di tutti i lavoratori esposti contemporaneamente), protezione individuale (cioè di ogni singolo lavoratore esposto, per mezzo dei DPI), con le priorità definite dall’articolo 15 del Decreto
Nel caso dei fattori microclimatici legati al lavoro all’aperto:
- le misure di prevenzione possono consistere nel far eseguire le lavorazioni nelle ore meno calde d’estate e meno fredde d’inverno;
- le misure di protezione collettiva possono consistere in opere provvisionali (tettoie, barriere);
- le misure di protezione individuale possono consistere in abbigliamento adeguato: leggero e traspirante d’estate e antifreddo l’inverno.
Nel seguito verranno indicate misure di prevenzione e protezione, come definite da linee guida e norme tecniche.
A seguito di quanto sopra specificato queste misure di prevenzione e protezione sono obbligatorie e la loro mancata attuazione costituisce reato penalmente perseguibile con le sanzioni citate.
Per una corretta valutazione del rischio da fattori microclimatici e una corretta individuazione delle misure di prevenzione e protezione, il datore di lavoro deve fare riferimento a linee guida e norme tecniche.
A tale proposito, trattandosi di fattori microclimatici, trova applicazione quanto contenuto all’interno del citato documento “Microclima, areazione e illuminazione nei luoghi di lavoro – Requisiti e standard – Indicazione operative e progettuali”.
In particolare con riferimento anche al lavoro all’aperto (d’estate o d’inverno) il documento specifica che
“Gli ambienti termici nei quali specifiche e ineludibili esigenze produttive o condizioni climatiche esterne in lavorazioni effettuate all’aperto determinano la presenza di parametri termoigrometrici stressanti e vengono definiti severi.
Un ambiente severo (tanto caldo quanto freddo), dati i rischi alla salute che comporta, trova una sua giustificazione soltanto quando esso permane tale a valle della adozione di tutte le possibili misure tecniche a protezione dei lavoratori”.
In altre parole ciò significa che nel caso di lavoro all’aperto, ove sicuramente le condizioni microclimatiche comportano la presenza di “ambienti termici severi”, il datore di lavoro deve adottare “tutte le possibili misure tecniche a protezione dei lavoratori”.
Infatti il documento aggiunge che:
“In tali ambienti i lavoratori vanno infatti tutelati con misure organizzative (ad esempio pause), con Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), con una specifica informazione e formazione e un adeguato controllo sanitario”.
In merito alla valutazione del rischio, il documento specifica poi che:
“Per i rischi che gli ambienti severi caldi o freddi comportano, è importante sottolineare come essi vadano sempre valutati anche sulla base di dati oggettivi, ottenuti con adeguati rilievi strumentali e non solo sulla base di semplici e generiche sensazioni del valutatore”.
La mancata esecuzione della valutazione del rischio da ambienti severi caldi o freddi, anche mediante rilievi strumentali, da parte del datore di lavoro, costituisce reato penale ai sensi dell’articolo 29, comma 1 del Decreto.
FATTORI DI RISCHIO , MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE, PROCEDURE DI LAVORO PER AMBIENTI TERMICI SEVERI
Nel seguito vengono riportati (a titolo esemplificativo e non esaustivo) i fattori di rischio, le misure di prevenzione e protezione, le procedure di lavoro per ambienti termici severi (caldi o freddi) come desunti da linee guida e norme tecniche di riferimento (primo tra tutti il documento “Microclima, areazione e illuminazione nei luoghi di lavoro – Requisiti e standard – Indicazione operative e progettuali” del Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Provincie autonome del giugno 2006”.
Con riferimento a ambienti termici severi caldi (lavorazioni eseguite d’estate) i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori sono tipicamente:
- disturbi dermatologici sotto forma di eruzioni cutanee e vescicole;
- sudorazione eccessiva con perdita di sali e conseguente spossatezza, vertigini, nausea, cefalea;
- sbalzi termici (soprattutto nel caso di utilizzo di mezzi di sollevamento e trasporto condizionati o accesso alle baracche di cantiere se condizionate) con conseguenti disturbi muscolari o del sistema respiratorio;
- congestioni da ingestione di bevande molto fredde;
- modificazioni delle attività psicosensoriali e psicomotorie, quali affaticamento e abbassamento del livello di attenzione;
- crampi muscolari da calore;
- instabilità del sistema cardiocircolatorio;
- sincope da calore con possibile ipossia cerebrale e perdita di coscienza;
- colpo di calore con possibile perdita di coscienza, coma.
In tale ambito le possibili misure di prevenzione e protezione definite da norme tecniche e linee guida sono:
- definire turni di lavoro solo nel periodo mattutino (dalle 6 alle 12) o serale (dalle 18 alle 24);
- programmare le lavorazioni più impegnative fisicamente nelle prime ore della mattina o nelle ultime ore della sera;
- prevedere adeguati periodi di riposo per le lavorazioni più impegnative fisicamente;
- evitare lavorazioni in aree con scarso ricambio di aria;
- predisporre ripari dal sole (teloni, ombrelloni);
- se possibile prevedere l’umidificazione periodica delle pareti e dei pavimenti in prossimità dei luoghi di lavoro;
- mettere a disposizione adeguati quantitativi di acqua minerale naturale con soluzioni saline e di acqua corrente per inumidirsi;
- fornire ai lavoratori indumenti di lavoro in tessuto naturale e non sintetico;
- fornire ai lavoratori adeguati copricapi (berretti in cotone con visiera o cappelli a larga falda in paglia);
- eseguire manutenzione preventiva dei sistemi di climatizzazione dei mezzi di sollevamento e trasporto e delle baracche di cantiere, con verifica dell’efficienza e pulizia dei filtri;
- sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria per rischio per la salute da ambiente severo caldo.
Possibili misure procedurali da definire da parte del datore di lavoro e da adottare da parte dei lavoratori sono:
- evitare l’esposizione prolungata ai raggi solare, alternando lavori al sole con lavori in zone d’ombra;
- evitare l’esposizione a zone fortemente ventilate, specie se molto sudati;
- bere regolarmente acqua minerale naturale non fredda;
- asciugarsi regolarmente il sudore;
- inumidirsi regolarmente il capo;
- se non obbligatorio indossare il casco antinfortunistico, indossare berretti in cotone con visiera o cappelli a larga falda in paglia;
- in caso di utilizzo di mezzi di sollevamento e trasporto condizionati, mantenere una temperatura non eccessivamente bassa e prevedere un periodo di acclimatazione con riduzione graduale della temperatura impostata;
- mantenere all’interno delle baracche, se dotate di condizionatore, temperature non inferiori di 5 °C rispetto alla temperatura esterna;
- durante il pasto evitare l’assunzione di alimenti ricchi di grassi, mentre è consigliabile l’assunzione di frutta e verdura;
- in caso di percezione di sintomi quali giramenti di testa, spossatezza, difficoltà di concentrazione, interrompere le attività e portarsi in zona all’ombra e moderatamente ventilata.
Con riferimento a ambienti termici severi freddi (lavorazioni eseguite d’inverno) i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori sono tipicamente:
- disturbi all’apparato respiratorio;
- sonnolenza, riduzione della vigilanza e della capacità decisionale;
- fattori aggravanti relativamente alla movimentazione manuale dei carichi e all’esposizione alle vibrazioni;
- malattie anche gravi all’apparato respiratorio;
- instabilità del sistema cardiocircolatorio;
In tale ambito le possibili misure di prevenzione e protezione definite da norme tecniche e linee guida sono:
- definire turni di lavoro solo nel periodo diurno (dalle 8 alle 17);
- predisporre ove possibile ripari dal vento e dalla pioggia;
- prevedere adeguati periodi di riposo per le lavorazioni in ambienti molto freddi;
- fornire ai lavoratori DPI antifreddo per il corpo e per il capo conformi alla norma UNI EN 342:2004 e per le mani conformi alla norma UNI EN 511:2006;
- fornire ai lavoratori DPI antifreddo per i piedi con grado di protezione CI per il freddo e WR per l’acqua secondo norma UNI EN 20345:2012 (e con protezione meccanica in funzione della tipologia di rischio);
- fornire ai lavoratori DPI per la protezione dalla pioggia conformi alla norma UNI EN 343:2008;
- eseguire manutenzione preventiva dei sistemi di riscaldamento dei mezzi di sollevamento e trasporto e delle baracche di cantiere, con verifica dell’efficienza e pulizia dei filtri;
- eseguire manutenzione sugli impianti idraulici di cantiere per evitare perdite di acqua nei luoghi di lavoro e di passaggio e in caso di gelata, causare formazione di ghiaccio;
- fornire ai lavoratori sale da spandere nei luoghi di lavoro e di passaggio a rischio formazione ghiaccio a terra;
- sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria per rischio per la salute da ambiente severo freddo.
Possibili misure procedurali da definire da parte del datore di lavoro e da adottare da parte dei lavoratori sono:
- evitare l’esposizione a zone fortemente ventilate;
- in caso di sforzo fisico, asciugarsi regolarmente il sudore;
- indossare berretti antifreddo (se necessario al di sotto del casco antinfortunistico);
- in caso di utilizzo di mezzi di sollevamento e trasporto condizionati, mantenere una temperatura non eccessivamente alta e prevedere un periodo di acclimatazione con aumento graduale della temperatura impostata;
- mantenere all’interno delle baracche, se dotate di condizionatore, temperature non inferiori di 5 °C rispetto alla temperatura esterna;
- in caso di percezione di sintomi quali giramenti di testa, spossatezza, difficoltà di concentrazione, intorpidimento agli arti, bruciore alla pelle interrompere le attività e portarsi all’interno delle baracche di cantiere;
- non lasciare aperte manichette o rubinetti che potrebbero bagnare i luoghi di lavoro e di passaggio e in caso di gelata, causare formazione di ghiaccio;
- in caso di possibile presenza di ghiaccio spargere il sale nei luoghi di lavoro e di passaggio;
- in caso di ghiaccio già presente porre attenzione nel camminare, provvedere a rimuovere il ghiaccio con mezzi manuali i meccanici e spargere il sale.
La mancata applicazione da parte del datore di lavoro delle misure tecniche e procedurali sopra richiamate, costituisce reato penale, ai sensi del citato articolo 28, comma 2, lettere b) e c) del Decreto.
CONCLUSIONI
Tra gli obblighi definiti dalla normativa vigente a carico del datore di lavoro vi è quello di proteggere i lavoratori dai rischi microclimatici nel caso di lavoro all’aperto.
Tali obblighi impongono che gli ambienti di lavoro all’aperto siano protetti dalla intemperie e dagli agenti atmosferici.
Tali obblighi più in generale impongono che il datore di lavoro valuti tutti i rischi derivanti da condizioni atmosferiche e microclimatiche per i lavori che devono essere eseguiti all’aperto.
La valutazione dei rischi deve essere eseguita secondo linee guida e norme tecniche di riferimento, anche mediante rilievi strumentali.
La valutazione del rischio da parametri microclimatici derivanti dal lavoro all’aperto deve essere obbligatoriamente eseguita e formalizzata dal datore di lavoro, pena reato penale,
A seguito della valutazione dei rischi da fattori microclimatici per lavoro all’aperto, il datore di lavoro deve formalizzare all’interno del documento di valutazione dei rischi, le misure di prevenzione e di protezione collettiva e individuale con le quali eliminare o ridurre i rischi individuati.
A seguito della valutazione dei rischi, i lavori all’aperto comportano sicuramente ambienti severi caldi d’estate e freddi d’inverno.
Le misure di prevenzione e protezione da adottare devono essere di tipo organizzativo (turni di lavoro, periodo di riposo), tecnico (barriere e tettoie di protezione, consegna ai lavoratori di DPI confortevoli d’estate e antifreddo d’inverno, sorveglianza sanitaria) procedurali (modalità di lavoro).
Le misure di prevenzione e protezione devono essere obbligatoriamente adottate dal datore di lavoro, pena reato penale,
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VISITE MEDICHE EFFETTUATE AL DI FUORI DELL’ORARIO DI LAVORO
Da Articolo 19
http://www.cittametropolitana.bo.it/lavoro/Engine/RAServePG.php/P/261611560308/T/Articolo-19
di Leopoldo Magelli
Nonostante la cosa dovrebbe essere ormai acquisita, ogni tanto ci pervengono ancora dai RLS quesiti sul fatto che, se i lavoratori vengono inviati a visita medica periodica presso il medico competente al di fuori del loro normale orario di lavoro o di sevizio, gli stessi abbiano o meno diritto a veder riconosciute le ore impegnate in queste visite come orario di lavoro, quindi come ore o da recuperare o da monetizzare come straordinario.
Evidentemente, quindi, alcuni datori di lavoro non si comportano in questo modo e ciò motiva il ripetersi di questi quesiti. Il SIRS (Servizio Informativo Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza) si è sempre espresso chiaramente su questo problema, rifacendosi all’articolo 15, comma 2, del D.Lgs.81/08: “Le misure relative alla sicurezza, all’igiene e alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori”.
Tra queste misure, analiticamente elencate al comma 1 dello stesso articolo, figura anche (voce “l”) il “controllo sanitario dei lavoratori”.
A nostro avviso, l’essere costretti a effettuare le visite mediche al di fuori dell’orario di lavoro o di servizio, senza possibilità di recupero o di retribuzione del tempo impegnato, si configurava a tutti gli effetti come un indiretto “onere finanziario”.
Questa nostra posizione è stata autorevolmente rinforzata e confermata, senza più spazio per equivoci o interpretazioni alternative, dalla risposta della Commissione degli Interpelli a un quesito relativo proprio a “visite mediche al di fuori degli orari di servizio”.
L’interpello è stato posto dall’Unione Sindacale di Base dei Vigili del Fuoco, chiedendo se “nell’effettuazione delle visite periodiche per il rinnovo dell’idoneità psicofisica all’impiego, come da articolo 41 del D.Lgs.81/08, detta visita va svolta in orario di lavoro o se il datore di lavoro ha facoltà di inviare il lavoratore a visita anche quando esso sia fuori dal normale orario di servizio. Inoltre se il tempo impiegato dal lavoratore per effettuare detta visita qualora si svolga al di fuori dell’orario di servizio deve o meno essere retribuito come ore di lavoro straordinario”.
La Commissione formula il suo parere ricordando, innanzitutto, che la sorveglianza sanitaria rientra tra gli obblighi del datore di lavoro (articolo 18, comma 1, lettera g)), ma, contestualmente il sottoporsi ai controlli sanitari (ai sensi dell’articolo 20, lettera i)) rientra altresì tra gli obblighi del lavoratore.
Osserva poi la Commissione che l’articolo 18 ha un contenuto tassativo, anche per quel che attiene alla sorveglianza sanitaria (volta alla tutela della integrità fisica e psichica del lavoratore) e non lascia spazio a deroghe circa l’osservanza dell’obbligo prescritto. Esso afferma, letteralmente, che “le visite mediche in esame non possono, in considerazione della particolarità del bene tutelato [N.B. la salute del lavoratore], per nessun motivo essere omesse o trascurate dal soggetto obbligato [N.B. il datore di lavoro], di contro il lavoratore non può esimersi dal sottoporsi all’effettuazione della visita medica”.
E’ vero che l’articolo 41 non dice esplicitamente che la visita medica debba essere eseguita durante l’attività lavorativa, ma è “di tutta evidenza”, asserisce la Commissione, che “l’effettuazione della visita medica è funzionale all’attività lavorativa”.
Quindi, di norma le visite mediche dovrebbero essere eseguite durante il normale orario di lavoro e di servizio.
La Commissione ammette comunque l’ipotesi che, “per giustificate esigenze lavorative, il controllo sanitario avvenga in orari diversi” (anche se dovrebbe trattarsi di un’eccezione, non di una regola, in quanto la Commissione ricorda che i controlli sanitari dovrebbero essere strutturati tenendo ben presenti gli orari di lavoro e la reperibilità dei lavoratori), ma in questo caso conclude, con estrema chiarezza e senza lasciare spazio ad equivoci che “il lavoratore dovrà comunque considerarsi in servizio a tutti gli effetti durante lo svolgimento di detto controllo anche in considerazione della tutela piena del lavoratore garantita dall’ordinamento”.
A questo proposito, la Commissione richiama anche l’articolo 15, comma 2, del D.Lgs.81/08, da noi sopra citato.
Quindi, in sintesi, il tempo impiegato per sottoporsi alle visite periodiche è da considerarsi a tutti gli effetti come tempo in cui il lavoratore è in servizio, con tutte le ricadute del caso (e ancora una volta il SIRS aveva ragione…).
A seguire il testo della risposta della Commissione degli Interpelli.
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Ministero del Lavoro delle Politiche Sociali
Commissione degli interpelli (articolo 12 del Decreto Legislativo 9 Aprile 2008 n. 81 Interpello N. 18/2014)
Alla Unione Sindacale di Base dei Vigili del Fuoco
Roma, 06/10/2014
Oggetto: Articolo 12, D.Lgs.81/08 e successive modifiche ed integrazioni risposta al quesito relativo alle visite mediche al di fuori degli orari di servizio.
L’unione Sindacale di Base dei Vigili del Fuoco, ha inoltrato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Commissione in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 41 del D.Lgs.81/08.
In particolare l’istante chiede di sapere “se nell’effettuazione delle visite periodiche per il rinnovo dell’idoneità psicofisica all’impiego, come da articolo 41 del D.Lgs.81/08, detta visita va svolta in orario di lavoro o se il datore di lavoro ha facoltà di inviare il lavoratore a visita anche quando essa sia fuori dal normale orario di servizio. Inoltre se il tempo impiegato dal lavoratore per effettuare detta visita qualora si svolga al di fuori dell’orario di servizio deve o meno essere retribuito come ore di lavoro straordinario”.
Al riguardo si osserva che la sorveglianza sanitaria rientra fra gli obblighi del datore di lavoro di cui all’articolo 18 del D.Lgs.81/08 con l’obiettivo della tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori attraverso la valutazione della compatibilità tra condizioni di salute e compiti lavorativi.
Come previsto dall’articolo 20 lettera i) del D.Lgs.81/08, il sottoporsi ai controlli sanitari rientra fra gli obblighi del lavoratore quale soggetto attivo del processo di sicurezza.
Tutto ciò premesso la Commissione fornisce le seguenti indicazioni.
Il contenuto tassativo e la “ratio” dell’articolo 18, comma 1, lettera a), del Decreto in parola volto alla tutela delta integrità fisica e psichica del lavoratore, non lasciano spazi a deroghe circa la osservanza dell’obbligo prescritto dalla norma di salute e sicurezza. Le visite mediche in esame non possono, in considerazione della particolarità del bene tutelato, per nessun motivo essere omesse o trascurate dal soggetto obbligato, di contro il lavoratore non può esimersi dal sottoporsi all’effettuazione della visita medica.
Se è pur vero che l’articolo 41 non indica espressamente che la visita medica debba essere eseguita durante l’attività lavorativa, è di tutta evidenza che l’effettuazione della visita medica è funzionale all’attività lavorativa e pertanto il datore di lavoro dovrà comunque giustificare le motivazioni produttive che determinano la collocazione temporale della stessa fuori dal normale orario di lavoro.
Nel contempo non si può ignorare quanto previsto dall’articolo 15, comma 2, che espressamente prevede che “Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori”.
Ciò posto, la Commissione ritiene che, in attuazione al disposto normativo sopra richiamato, i controlli sanitari debbano essere strutturati tenendo ben presente gli orari di lavoro e la reperibilità dei lavoratori. Laddove, per giustificate esigenze lavorative, il controllo sanitario avvenga in orari diversi, il lavoratore dovrà comunque considerarsi in servizio a tutti gli effetti durante lo svolgimento di detto controllo, anche in considerazione della tutela piena del lavoratore garantita dall’ordinamento.
Il Presidente della Commissione
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NOVITA’ SULLA FORMAZIONE DEGLI RSPP E DI TUTTI I LAVORATORI
Da: PuntoSicuro
19 marzo 2015
di Tiziano Menduto
La revisione dell’accordo sulla formazione del RSPP porta anche rilevanti modifiche per la formazione di tutti i lavoratori.
RSPP, e-learning, docenti: sono alcuni temi trattati nell’intervista a Donato Lombardi del Coordinamento Tecnico interregionale.
Era ormai da tempo chiaro, che attraverso la tanto attesa revisione degli Accordi sulla formazione dei Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e degli Addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione (ASPP) del 26 gennaio 2006 si preparassero rilevanti modifiche non solo per la formazione per gli appartenenti al Servizio di Prevenzione e Protezione, ma per tutti i lavoratori.
PuntoSicuro ne aveva dato già notizia nel mese di ottobre con le interviste realizzate ad Ambiente Lavoro di Bologna e ci siamo resi conto che queste modifiche seguivano e si adattavano al percorso di semplificazione dettato da vari Decreti, non ultimo il “Jobs Act”, e in particolare all’altrettanto atteso Decreto attuativo che dovrebbe individuare i settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali (come previsto dal “Decreto del Fare” Legge 98/2013). Evoluzione di cui non tenevano conto le varie bozze di testo che cominciavano a girare in rete sulla “nuova” formazione futura, bozze che rischiavano di rimanere solo ipotesi modificate dall’incrocio istituzionale di Decreti e Accordi.
La formazione avrebbe dovuto continuare a seguire un percorso a tre fasce di rischio? Nel nuovo accordo sarebbe rientrata la divisione a due fasce (rischi bassi e non bassi)? E come questo si sarebbe integrato con il futuro decreto “rischi bassi”?
Per rispondere a queste domande e per dare ai nostri lettori delle indicazioni sicure abbiamo scelto di aspettare e di intervistare Donato Lombardi (Provincia Autonoma di Trento), coordinatore, assieme a una collega, del Gruppo di Lavoro del Coordinamento tecnico delle Regioni che lavora alla revisione dell’Accordo del 26 gennaio 2006, solo quando si fosse arrivato a un testo definitivo concordato con il Ministero del Lavoro. Attenzione: non un testo che non potrà essere soggetto a modifiche (dell’iter ci parlerà ampiamente Lombardi), ma almeno un testo che parte da una condivisione forte e che contiene una “mediazione” con le conseguenze del futuro decreto “rischi bassi”.
L’intervista, oltre a riassumere i punti essenziali del documento concordato con il Ministero, affronta diversi temi.
Innanzitutto abbiamo fatto una fotografia della proposta di Accordo ad oggi, dopo le recenti riunioni del gruppo di lavoro.
Queste alcune domande poste a Donato Lombardi: a che punto siamo con l’iter per arrivare al futuro Accordo Stato/Regioni? Quali passaggi mancano prima di arrivare alla méta? Quali potranno essere i tempi? E quali potrebbero essere le modifiche del testo nei successivi passaggi istituzionali?
Il coordinatore del gruppo di lavoro ci racconta di come si sia partiti dal tentativo di realizzare, in ambito formativo, una nuova classificazione a due livelli, rischi bassi e non bassi. L’idea iniziale era quella di uniformare l’accordo sulla formazione, in termini di classificazione dei rischi, alle tabelle del decreto “rischi bassi” previsto dal Decreto del Fare. Ma il lento percorso del Decreto, e altri aspetti che Lombardi racconta, non lo hanno permesso.
Ci soffermiamo poi sulle novità della formazione di RSPP e ASPP che prevede un percorso unico, scollegato dalle fasce di rischio e diviso in tre moduli: Modulo A (il corso base di 28 ore), Modulo B (relativo alla natura dei rischi e di 48 ore per tutti più un integrazione di 4 moduli di specializzazione: Agricoltura-Pesca; Cave-Costruzioni; Sanità residenziale; Chimico-Petrolchimico) e Modulo C (solo per le funzioni di RSPP) di 24 ore.
A Donato Lombardi abbiamo inoltre chiesto: quali novità ci sono rispetto all’Accordo del 2006? Quali cambiamenti sono intervenuti in questi mesi? Quali le nuove indicazione per i requisiti dei docenti nei corsi di formazione?
Un altro aspetto su cui si sofferma ampiamente l’intervista é la proposta di estensione della modalità e-learning. Se questa proposta diventasse operativa l’utilizzo dell’e-learning sarebbe possibile ad esempio per il modulo A del corso RSPP, per il modulo giuridico dei coordinatori di cantiere e, ancor più importante, per la formazione specifica dei lavoratori in aziende a rischio basso.
Quali potranno essere le caratteristiche del nuovo e-learning? Quali sono i criteri qualitativi richiesti riguardo a questa modalità di formazione? Quali sono le modifiche in merito alla formazione dei coordinatori? Che ne sarà dei progetti sperimentali avviati dalle Regioni per l’erogazione della formazione specifica attraverso la modalità e-learning?
E non si poteva non parlare di crediti formativi, anche perché su questo tema sono sorte in queste settimane, in relazione all’evoluzione di questo Accordo, alcune polemiche.
Si è arrivati a una definizione definitiva dei crediti formativi? Come rispondere a chi ritiene che il riconoscimento dei crediti sia troppo ampio?
L’intervista si conclude con l’auspicio (che troppe volte ci troviamo a fare di fronte alla lentezza della normativa nostrana) che la prossima intervista con il coordinatore del gruppo di lavoro sia finalmente ad accordo approvato e vigente.
Dopo questa lunga, ma necessaria premessa, veniamo all’intervista.
Punto Sicuro: Abbiamo chiesto a Donato Lombardi di darci qualche informazione sullo stato della revisione dell’Accordo del 2006 e su quello che sarà il futuro della formazione alla sicurezza in Italia. In queste settimane il testo uscito dal gruppo di lavoro ha avuto una continua evoluzione. Prima di tutto facciamo la fotografia del documento: a che livello siamo? Cosa manca prima di arrivare alla méta?
Donato Lombardi: Intanto volevo precisare che i lavori di confronto tecnico con il Ministero, come gruppo di lavoro, si sono praticamente conclusi. E siamo riusciti a trovare una quadra nel merito della maggioranza, della totalità dei punti che erano nell’Accordo. A questo punto però i passaggi successivi dell’Accordo sono quelli di un confronto dovuto con le parti sociali e di un passaggio anche nei Coordinamenti salute formazione prima dell’approvazione ai fini della Conferenza. Come diceva lei l’accordo RSPP non parla solo di formazione ai sensi dell’articolo 32 rivisitata (poi entreremo nel merito), ma ha anche una serie di interventi in particolare sulla disciplina dei crediti, con riferimento a quanto previsto dal Decreto del Fare di due anni fa, ovvero la possibilità di riconoscere l’equivalenza tra percorsi formativi. L’accordo in parte interviene anche con delle semplificazioni in particolar modo sul rischio basso. Ha delle novità sull’e-learning e novità anche sui requisiti dei formatori.
P.S.: Non si può tuttavia non parlare anche dell’incrocio tra il Decreto attuativo richiesto dal Decreto del Fare che avrebbe dovuto indicare le attività a rischio basso e il vostro tentativo di indicare già nell’accordo, a livello di formazione, una suddivisione in rischi bassi e non bassi.
D.L.: Quello di uniformare l’Accordo sulla formazione, uniformarlo in termini di classificazione dei rischi, al decreto basso rischio, era uno dei punti che il gruppo di lavoro aveva come indicazione da parte del Ministero. E’ quindi è un argomento che ci ha impegnato per diverse riunioni. Per capire se potesse essere realizzabile da subito questa nuova classificazione a due livelli [bassi e non bassi]. Il decreto basso rischio dovrebbe riprendere il lavoro per l’approvazione, quindi in questo momento sia per l’RSPP, sia per l’eventuale classificazione a due livelli in questo Accordo non se ne parla. Non se ne parla perché alla fine partendo dalla necessità di formulare la formazione per RSPP, si è deciso di prevedere per esempio per gli RSPP un unico percorso formativo.
P.S.:Prima di parlare della formazione dei lavoratori in genere, vediamo di raccontare la formazione degli RSPP. Quali sono i cambiamenti nel modulo A, nel modulo B e nel modulo C? Qualcosa è cambiato rispetto all’intervista che avevamo fatto ad Ambiente Lavoro?
D.L.: La formazione degli RSPP non muta rispetto alla sequenza dei tre moduli, il modulo A quello normativo giuridico, il modulo B tecnico e quello C più legato alle capacità gestionali dell’RSPP. Tutti e tre i moduli hanno comunque subito delle modifiche in termini di contenuti, sia per adeguarli all’accordo del 2006, sia per adeguarli al mutato quadro normativo. Ma anche per adeguarli rispetto ai rischi. Il modulo A rimane sostanzialmente di 28 ore ed è stato rivisto solo nei contenuti, così come anche il modulo C e anche in questo caso nel modulo C sono stati rivisti i contenuti portando ad esempio alcuni argomenti di tipo tecnico, della parte tecnica (argomenti ad esempio legati alla valutazione dello stress lavoro correlato o sui principi ergonomici) nel modulo B. Il modulo B è quello che invece ha subito una modifica sostanziale rispetto al 2006. Non si parla più di nove macrosettori, non si parla più di quella ipotesi di un livello basso, di un livello alto, poi di varie variabili su questi due moduli. Alla fine si è concertato di prevedere un unico modulo B comune a tutti gli addetti e responsabili, comune a tutti i settori. Ed eventualmente da integrare con moduli specialistici, qualora l’RSPP vada a operare in ambienti che presentino caratteristiche particolari in termini di ambiente di lavoro, di attrezzature, di rischi di tipo tecnico e igienistico. Le quattro specializzazioni dovrebbero essere agricoltura, cave e costruzioni, sanità residenziale e petrolchimico.
P.S.: Per quanto riguarda il modulo A mi pare che sia stata prevista la possibilità di seguirlo in modalità e-learning.
D.L.: Sì. Mi aggancio a questa riposta per dare altre anticipazioni e possibili novità. L’e-learning viene in questo momento introdotto per il Modulo A, come possibilità. Fino ad adesso non era possibile. Nell’Accordo viene precisato che laddove, come principio generale, l’e-learning non sia espressamente previsto da norme, da Accordi o da Decreti, questa modalità non sarà possibile praticarla per la formazione. Peraltro anche per la figura del coordinatore [della sicurezza per i cantieri] l’accordo interviene con delle modifiche: per il modulo giuridico, iniziale del corso Coordinatore, e per l’aggiornamento, l’e-learning sarà possibile. In più viene rivisitato nel merito anche l’allegato che riguarda i requisiti dell’e-learning.
P.S.: Requisiti che ora credo prevedano, per garantire la qualità della formazione, anche la corrispondenza a standard internazionali.
D.L.: Nell’allegato sull’e-learning vengono stabiliti criteri tecnici, ad esempio rispetto all’uso di piattaforme e agli standard SCORM che consentono di tracciare i contenuti della formazione. Vengono previsti dei requisiti più stringenti, di qualità rispetto agli elementi tecnici.
P.S.: E’ previsto anche un obbligo di mutuo riconoscimento dei progetti sperimentali avviati dalle Regioni per l’erogazione della formazione specifica attraverso la modalità e-learning?
D.L.: Sì, certo era una questione affrontata dalle Regioni. Quindi attraverso un protocollo, una serie di documenti di tipo amministrativo, le varie Regioni potranno riconoscere reciprocamente la formazione specifica fatta in e-learning. Sempre riguardo all’e-learning nel documento viene prevista anche la possibilità per i lavoratori di ricorrere all’e-learning per la formazione specifica, laddove i lavoratori sono inseriti in aziende a basso rischio. A basso rischio rispetto agli accordi del 2011. Oltre ovviamente alla possibilità di ricorrere all’e-learning per i lavoratori che non accedono a parti produttive e che quindi possono fare la formazione di rischio basso.
P.S.: Nel nuovo accordo si fa poi riferimento al Decreto del 6 marzo 2013 in merito ai requisiti dei docenti.
D.L.: Certo, anche questo era un altro mandato per semplificare la vita alle aziende. E per esempio sui requisiti dei formatori visto che nei vari documenti il requisito era differente (due anni per l’RSPP nell’accordo del 2006, tre anni per lavoratori, dirigenti, preposti, nessun riferimento per coordinatori o per rappresentanti della sicurezza) il Decreto del 6 marzo 2013 diventa l’elemento minimo per la definizione dei requisiti dei docenti per tutta quella formazione non diversamente normata. Laddove ad esempio l’accordo sulla formazione delle attrezzature richiede dei requisiti specifici ulteriori, in quel caso si applicheranno i requisiti dell’Accordo attrezzature.
P.S.: E’ possibile che nell’iter futuro dell’Accordo si torni alla previsione iniziale di suddividere i rischi in sole due categorie, rischi bassi e non bassi?
D.L.: Questa è un’ipotesi che abbiamo percorso in tutto l’iter e credo che sia un’ipotesi che rimanga ancora in piedi. Ovviamente a questo punto attenderemo il Decreto “bassi rischi”. Di conseguenza sarà opportuno non avere documenti con tre classi di rischio, altri con due, e uniformare su una stessa linea i documenti che si occupano di semplificazioni per la sicurezza.
P.S.: Ma che possibilità ci sono, realistiche, che l’accordo torni alla suddivisione di due categorie?
D.L.: Sara molto probabile. Anche perché questo è stato sempre uno dei capisaldi che abbiamo tenuto in considerazione per l’accordo. Il motivo che non si sia applicato da subito è perché il Decreto basso rischio è ancora in fase di stesura.
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NON CI SONO ATTENUANTI NEL CASO DI ADEMPIMENTO DELLE PRESCRIZIONI
Da: PuntoSicuro
23 marzo 2015
di Gerardo Porreca
L’adempimento delle prescrizioni in materia di salute e sicurezza impartite dall’organo di vigilanza, non essendo un ravvedimento spontaneo, non integra i requisiti per la concessione della circostanza attenuante comune.
La Corte di Cassazione Penale Sezione III si è espressa in questa sentenza (Sentenza n. 37166 del 5 settembre 2014) sulla possibilità di concedere un’attenuante comune allorquando un datore di lavoro abbia provveduto ad adempiere alle prescrizioni impartite dagli ispettori dell’organo di vigilanza in materia di salute e di sicurezza sul lavoro.
L’adempimento delle prescrizioni, ha sostenuto la suprema Corte nella sentenza, non essendo un ravvedimento spontaneo diretto ad attenuare o elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato, ma essendo invece imposto in applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 20 e seguenti del D.Lgs. 758/94, non costituisce un requisito per la concessione di una circostanza attenuante comune prevista dall’articolo 62, punto 6, seconda ipotesi del Codice Penale. Tale concessione, infatti, è di natura soggettiva e trova fondamento allorquando il colpevole, dopo la consumazione del reato, ma prima del giudizio, si adoperi spontaneamente ed efficacemente per eliminare o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato medesimo.
LE CONTRAVVENZIONI E IL RICORSO IN CASSAZIONE
La Corte di Appello ha parzialmente riformato una sentenza emessa dal Tribunale nei confronti del titolare di una impresa edile nonché responsabile di cantiere rideterminando la pena in cinque mesi di arresto.
Al datore di lavoro erano stati contestati i reati previsti dagli articoli 17, 18 e 96 del D.Lgs.81/08 per avere omesso di provvedere alla nomina di un Responsabile del Servizio di Protezione e Prevenzione e di affidare mansioni ai lavoratori adeguate alle loro capacità e alle condizioni relative alla loro sicurezza e per avere omesso di redigere il piano operativo di sicurezza e di valutare i rischi connessi all’attività svolta nell’impresa.
L’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso in Cassazione per l’annullamento della sentenza adducendo come prima motivazione quella di non avere assunto la qualifica di datore di lavoro, presupposto indispensabile per l’applicabilità della normativa antinfortunistica, per cui lo stesso non poteva essere dichiarato responsabile in ordine ai reati contestati.
L’imputato ha lamentato, altresì, la mancata concessione delle attenuanti richieste, considerata la buona condotta dallo stesso tenuta susseguente alla notifica delle contestazioni per avere prontamente adempiuto alle prescrizioni impartite dagli ispettori della ASL, così come risultato dal verbale acquisito agli atti del processo, nonché per la minima offensività delle violazioni contestate, consistenti in rilievi di carattere formale che non avrebbe giustificato l’irrogazione della pena detentiva a scapito di quella pecuniaria e per la pendenza ancora a suo carico di un unico precedente, datato nel tempo.
LE DECISIONI DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione ha considerato infondato il ricorso presentato. Per quanto riguarda il primo motivo la suprema Corte ha fatto osservare che era emersa chiaramente dal testo della sentenza impugnata che lo stesso aveva rivestito la qualifica giuridica soggettiva di datore di lavoro, elemento non oggetto di alcuna specifica doglianza ed emerso persino dalla documentazione allegata al ricorso, e che comunque lo stesso aveva adempiuto alle prescrizioni impartite durante la visita ispettiva. La Sezione III ha posto, altresì, in evidenza che l’Ispettore del lavoro, escusso come teste in dibattimento, aveva riferito che nel corso del sopralluogo erano stati identificati tre operai che, alle dipendenze della ditta facente capo all’imputato, stavano espletando le proprie mansioni in un cantiere del tutto privo dei requisiti di sicurezza.
Circa la gravità delle contestazioni la Sezione III ha fatto osservare che la Corte territoriale aveva stimato di non lieve entità la pluralità delle violazioni riscontrate in danno della sicurezza del lavoratori e tanto in considerazione della precarietà e dell’assoluta inadeguatezza della struttura allestita dal ricorrente per l’esecuzione dei lavori consistiti nel rifacimento della facciata di un edificio su cui gli operai lavoravano in condizioni di estremo pericolo per la loro incolumità.
E ciò è bastato per il diniego della concessione delle attenuanti generiche, tanto più che la Corte territoriale stessa aveva comunque ritenuto di rimodulare in meglio il trattamento sanzionatorio rideterminando la pena complessiva in mesi cinque di arresto rispetto a quella di mesi quindici (cinque mesi di arresto per ogni violazione contestata) stabilita dal primo Giudice.
La Corte di Cassazione ha poi messo in evidenza “come l’adempimento delle prescrizioni impartite dagli organi ispettivi non implichi affatto l’integrazione dei requisiti per la concessione della circostanza attenuante comune prevista dall’articolo 62, capoverso 6, seconda ipotesi del Codice Penale, che, essendo di natura soggettiva, trova fondamento, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, nella minore capacità a delinquere del colpevole il quale, per ravvedimento, dopo la consumazione del reato, ma prima del giudizio, si adoperi per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose dell’illecito penale sicché l’attenuante è ravvisatale solo quando l’azione diretta ad attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato sia spontanea ed efficace, sia cioè determinata da motivi interni all’agente e non ispirata o imposta da fattori esterni che operino come pressione, anche solo psicologica, sul comportamento tenuto dall’agente stesso”.
Il D.Lgs.758/94, ha ricordato la suprema Corte, con l’articolo 20 prescrive tassativamente al contravventore di adempiere alle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza il quale, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, fissa per la regolarizzazione un termine, prorogabile, potendo anche impartire prescrizioni aggiuntive costituite da specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro.
Ne consegue quindi che “per difetto del requisito della spontaneità dell’adempimento, non è applicabile la circostanza del ravvedimento attivo prevista dall’articolo 62, capoverso 6, seconda parte del Codice Penale, al datore di lavoro che abbia ottemperato alle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza ai sensi dell’articolo 20 del D.Lgs.758/94”.
Nessun rilievo inoltre può essere mosso nei confronti dell’impugnata sentenza in punto di motivazione sulla negata sospensione condizionale della pena, ha così concluso la Sezione III, avendo la Corte territoriale giustificato il diniego del beneficio in considerazione della non trascurabile entità delle violazioni, fondando pertanto il giudizio negativo, ostativo al beneficio richiesto, su concreti elementi di valutazione.
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VIDEOTERMINALI: LISTE DI CONTROLLO PER ERGONOMIA E ILLUMINAZIONE
Da: PuntoSicuro
24 marzo 2015
Due liste di controllo si soffermano sulle modalità idonee di lavoro al videoterminale e sull’illuminazione corretta. La regolazione della sedia, del tavolo, dello schermo e della luce. Il problema delle finestre e delle superfici riflettenti.
I pericoli per i lavoratori che utilizzano videoterminali spesso vengono sottovalutati. E tuttavia non mancano, specialmente tra coloro che li utilizzano in modo più continuativo, problemi come l’ affaticamento agli occhi e i disturbi muscolo-scheletrici.
Per parlare dei problemi di chi lavora al videoterminale e per dare qualche informazione sulla prevenzione dei rischi, ci soffermiamo brevemente su due liste di controllo prodotte da SUVA, istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni.
Nel documento “Lista di controllo: Lavorare correttamente al videoterminale” si ricorda che la postazione al videoterminale (VDT) deve essere confortevole. Infatti una delle cause più frequenti di disturbi alla salute per chi lavora al videoterminale risiede nella scarsa adattabilità degli arredi e dello schermo alle esigenze dell’utente. E spesso i lavoratori al VDT accusano vari disturbi per mancanza di movimento.
La lista segnala che i problemi principali sono dovuti a:
- schermo posizionato male o troppo in alto;
- altezza del tavolo e della sedia non corretta;
- tastiera e mouse posizionati non correttamente.
Riguardo ad esempio alla regolazione della sedia e del tavolo in base alla costituzione fisica, la lista indica che:
- al di sotto del tavolo ci deve essere abbastanza spazio per muovere liberamente e in qualsiasi direzione le gambe, le ginocchia e i piedi;
- l’altezza della sedia deve essere regolata in modo da avere i piedi completamente appoggiati sul pavimento e le cosce leggermente inclinate verso il basso;
- tra il bordo anteriore della sedia e l’incavo del ginocchio ci deve essere una distanza di almeno due dita.
Inoltre il tavolo si deve trovare all’incirca all’altezza dei gomiti tenendo le spalle rilassate e gli avambracci appoggiati sul piano di lavoro. E deve essere possibile regolare al meglio le singole componenti della vostra postazione di lavoro (schermo, scrivania, sedia).
Riguardo poi alla regolazione dell’altezza e della distanza dello schermo si indica che il bordo superiore dello schermo deve trovarsi come minimo a 5–10 cm al di sotto della linea dello sguardo, in modo da guardare la metà dello schermo con lo sguardo leggermente rivolto in basso. E la distanza visiva rispetto allo schermo deve essere di 70– 90 cm. Almeno con riferimento specifico agli schermi da 19 e 21 pollici: per gli schermi più grandi la distanza va regolata individualmente.
Inoltre lo schermo deve essere correttamente regolato anche riguardo ad altri parametri.
Ad esempio lo schermo deve essere leggermente inclinato (nella parte inferiore verso l’operatore), la luminosità e il contrasto dei caratteri devono essere impostati correttamente (con tutti gli schermi è possibile regolare separatamente il contrasto e la luminosità a seconda delle esigenze dell’operatore) e la dimensione dei caratteri selezionata deve essere correttamente leggibile (minimo 3 mm).
Concludiamo la presentazione della prima scheda parlando della posizione dei singoli elementi.
Ad esempio è bene che lo schermo sia:
- posizionato a 90 gradi rispetto alla finestra (fonte luminosa a lato, ossia parallela alla direzione di sguardo);
- posizionato di fronte all’operatore in modo da non obbligare a girare continuamente la testa.
Inoltre, come vedremo anche più avanti, il posto di lavoro deve essere disposto in modo tale che sullo schermo non possano riflettersi fonti luminose (finestre, lampade) e occorre verificare la presenza di riflessi anche a schermo spento.
Altre indicazioni sono le seguenti:
- tra il bordo anteriore del tavolo e lo schermo ci deve essere uno spazio minimo di 60 cm per la tastiera e il documento di lavoro;
- la tastiera deve trovarsi immediatamente davanti all’operatore (non davanti allo schermo);
- i documenti di lavoro devono trovarsi tra la tastiera e lo schermo;
- accanto alla tastiera deve esserci abbastanza spazio per il mouse.
Concludiamo questo approfondimento delle misure di prevenzione per chi lavora ai videoterminali con un non recente, ma ancora utile, documento di SUVA, la “Lista di controllo; L’illuminazione al videoterminale”.
Il documento ricorda che una buona illuminazione inizia già in fase di progettazione. E che l’illuminazione artificiale e naturale sono molto importanti per la qualità della postazione di lavoro al videoterminale e se ne deve tener conto già in fase di progettazione del luogo di lavoro.
I problemi principali sono i seguenti:
- riflessi sullo schermo dovuti alla luce naturale o artificiale;
- abbagliamento dovuto a fonti luminose artificiali;
- eccessivo contrasto chiaro-scuro.
Riguardo all’illuminazione artificiale si indica che è bene che i valori di illuminamento orizzontale al videoterminale siano compresi tra 300 e 500 lux e che l’illuminazione non produca sfarfallii e si possa adattare alle esigenze dell’operatore.
Inoltre:
- la luminanza delle lampade deve essere corretta (nessun abbagliamento);
- le lampade devono essere disposte parallelamente alle finestre (si segnala che particolari problemi si possono avere con le lampade disposte a griglia a forma di croce, poiché creano riflessi sullo schermo);
- deve essere possibile accendere/spegnere una singola fila di lampade indipendentemente dalle altre;
- le lampade devono illuminare almeno in parte anche il soffitto;
- se il personale lo richiede, deve essere messa a disposizione una lampada da ufficio.
La lista si sofferma anche sui problemi correlati alle finestre e alle superfici riflettenti:
i mobili e le pareti devono essere fatti in modo tale da non causare riflessi fastidiosi;
le finestre devono essere dotate all’esterno di veneziane;
se vi sono due fronti di finestre ad angolo, deve essere possibile coprirne uno o oscurarlo completamente;
se necessario, vi devono essere dei pannelli mobili per suddividere in modo funzionale il locale.
L’ultima parte della lista riguarda l’ambiente di lavoro e lo schermo.
Ad esempio è bene posizionare lo schermo:
- in modo che dietro di esso (nel campo visivo dell’utente) non vi siano finestre;
- in modo che dietro di esso (nel campo visivo dell’utente) non vi sia uno sfondo eccessivamente chiaro;
- in modo che stia tra due file di lampade (ossia non immediatamente sotto una fila di lampade) in modo che la direzione principale dello sguardo risulti parallela alle lampade;
- in modo che l’illuminamento del locale non provochi un abbagliamento diretto.
Bisogna infine verificare che sullo schermo, sulla tastiera, sui documenti e sulla scrivania non vi siano immagini riflesse create da lampade e finestre. E deve essere garantito il contatto visivo con i posti di lavoro e con gli schermi contigui e la possibilità di guardare all’esterno (in una direzione qualsiasi).
Il documento di SUVA “Lista di controllo: Lavorare correttamente al videoterminale”, versione dicembre 2011 è scaricabile all’indirizzo:
Il documento di SUVA “Lista di controllo: L’illuminazione al videoterminale”, versione settembre 2003 è scaricabile all’indirizzo: