SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS – NEWSLETTER N.203 DEL 07/04/15

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SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS – NEWSLETTER N.203 DEL 07/04/15

 

INDICE

  • Obblighi relativi alla presenza di materiale contenente amianto negli edifici – Prima parte
  • “Ricerca autogestita”: la valutazione dei rischi vista, vissuta e gestita dai lavoratori
  • Decreto 81/08: i rischi di natura elettrica negli ambienti di lavoro
  • Gestione delle emergenze: risposte e chiarimenti sulla normativa
  • Gli interventi di manutenzione sugli apparecchi di sollevamento

 

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

 

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

https://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210

 

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OBBLIGHI RELATIVI ALLA PRESENZA DI MATERIALE CONTENENTE AMIANTO NEGLI EDIFICI – PRIMA PARTE

 

A seguito di varie richieste sulla gestione del materiale contenente amianto negli edifici, pubblici o privati, adibiti o meno ad attività lavorative, ho realizzato la seguente relazione relativa a tutti gli obblighi di legge finalizzati alla tutela della salute degli occupanti gli edifici.

 

Come sempre fatto in precedenti occasioni, riporto tale relazione all’interno della mia Newsletter per rendere edotti tutti coloro che la seguono su quelli che sono i loro diritti relativamente alla presenza di amianto.

 

Visto la vastità dell’argomento ho diviso la relazione in cinque parti.

La prima parte (che viene pubblicata nella presente Newsletter) è relativa a:

  • premessa;
  • normativa di riferimento;
  • localizzazione e caratterizzazione delle strutture edilizie.

La seconda parte (che verrà pubblicata nella Newsletter 204) è relativa a:

  • valutazione del rischio da presenza di amianto;
  • interventi di bonifica del materiale contenente amianto.

La terza parte (che verrà pubblicata nella Newsletter 205) è relativa a:

  • metodi di bonifica;
  • programma di controllo dei materiali di amianto negli edifici;
  • modalità di intervento su materiali contenenti amianto o in caso di bonifica.

La quarta parte (che verrà pubblicata nella Newsletter 206) è relativa a:

  • obblighi previsti dal D.Lgs.81/08 per i lavori di demolizione o rimozione di amianto;

La quinta parte (che verrà pubblicata nella Newsletter 207) è relativa a:

  • individuazione delle figure responsabili;
  • come tutelarsi.

 

Marco Spezia

 

 

  1. PREMESSA

 

A livello normativo occorre distinguere il caso di edifici privati all’interno dei quali non si svolge attività lavorativa (civili abitazioni), dal caso di edifici pubblici o privati all’interno dei quali si svolge un’attività lavorativa e/o che sono aperti al pubblico.

Parte della normativa citata è valida per entrambi i casi, parte si applica solo ad edifici che ospitano attività lavorative.

 

Nel primo caso gli obblighi citati sono a carico del proprietario o del legale rappresentante (amministratore di condominio), nel secondo caso essi sono a carico sia del datore di lavoro dell’azienda che svolge attività lavorativa, sia a carico del proprietari dell’edificio, se non coincide con il datore di lavoro.

Per gli edifici pubblici (scuole, ospedali, tribunali, ecc.) il datore di lavoro corrisponde alla figura del dirigente pubblico, mentre il proprietario corrisponde al Comune, alla Provincia, alla Regione.

 

La normativa attuale impone al datore di lavoro o proprietario di un edifico potenzialmente contenente amianto una valutazione preliminare della effettiva presenza di amianto, se necessario anche con campionamenti e analisi da eseguirsi da laboratori abilitati.

 

Una volta accertata in maniera sicura la presenza di amianto è necessario eseguire una specifica valutazione del rischio per la salute dei lavoratori e degli occupanti l’edificio, in funzione del tipo di amianto (compatto o friabile), del suo confinamento o meno, del suo stato, di condizioni particolari che potrebbero facilitare la dispersione delle fibre (correnti d’aria, vibrazioni, ecc.).

In esito a tale valutazione il proprietario dell’edifico e/o il datore di lavoro dovrà redigere un inventario dell’amianto per l’edifico in esame, contenenti tutti i dati necessari a individuare il rischio per gli occupanti dell’edificio. Tale inventario deve essere condotto mediante l’utilizzo di specifiche schede di censimento definite dalla normativa di riferimento e dovrà essere formalmente consegnato alla ASL competente per territorio.

 

La rimozione dell’amianto da edifici non adibiti a lavorazioni non è in prima battuta obbligatoria per legge, ma se a seguito della valutazione del rischio, si può ritenere (anche mediante campionamenti ambientali) che il rilascio di fibre di amianto nell’ambiente superi limiti fissati dalla normativa, il Sindaco del Comune di appartenenza, a seguito di parere della ASL (sulla base delle schede di censimento) o di denuncia degli abitanti, può disporre la bonifica.

Per edifici adibiti a lavorazioni invece, sulla base della valutazione del rischio e del reale livello di pericolo per gli occupanti, il datore di lavoro dovrà programmare ed eseguire, nei tempi tecnici strettamente necessari, interventi di bonifica dell’amianto responsabile del rilascio di fibre.

 

La bonifica dell’amianto non comporta necessariamente la sua rimozione, potendosi anche effettuare un incapsulamento o un confinamento del materiale contenente amianto. La scelta del criterio è demandata al proprietario dell’edifico e/o al datore di lavoro, in funzione dei rischi che la bonifica stessa può comportare per gli occupanti l’edificio.

 

Successivamente alla prima redazione della valutazione dei rischi, dell’inventario del materiale contenente amianto e dell’eventuale primo intervento di bonifica, se all’interno dell’edificio rimane materiale contenete amianto, il proprietario dell’edifico e/o il datore di lavoro, tramite il responsabile amianto da lui nominato, dovrà garantire un costante monitoraggio periodico (annuale) dello stato dei materiale contenenti amianto.

Quando a seguito di tale monitoraggio risultasse un degrado del materiale contenente amianto superiore ai limiti fissati, il proprietario dell’edifico e/o il datore di lavoro dovrà provvedere alla bonifica dell’amianto in forza rispettivamente di delibera del Sindaco o dei risultati della classificazione del rischio.

 

Le attività di bonifica dell’amianto possono essere realizzate solo da ditte specializzate e abilitate formalmente e a seguito di un piano di lavoro redatto da tecnico abilitato. Prima dell’inizio della rimozione, il committente dei lavori (proprietario dell’edifico e/o datore di lavoro) dovrà consegnare il piano di lavoro alla ASL competente per territorio, che si riserva la possibilità di eseguire ispezioni del cantiere.

Durante l’opera di bonifica dovranno essere attuate tutte le misure necessarie per impedire che gli occupanti dell’edificio siano sottoposti ad esposizione a fibre di amianto, mediante confinamento del cantiere da realizzare mediante precisi parametri tecnici o se necessario abbandono temporaneo dell’edificio.

Il personale incaricato della bonifica dovrà essere dotato di specifici Dispositivi di Protezione Individuali e seguire specifiche misure igieniche.

 

Al termine dell’opera di bonifica la ditta esecutrice dovrà presentare al proprietario dell’edifico e/o al datore di lavoro un attestato di riconsegna, da redigere sulla base di campionamenti ambientali, in cui assicuri che il contenuto di fibre di amianto nell’aria dell’ambiente sia assente o inferiore a limiti fissati dalla normativa.

 

 

  1. NORMATIVA DI RIFERIMENTO

 

Come specificato in premessa occorre distinguere tra il caso in cui l’edificio (pubblico o privato) contenente amianto sia destinato a ospitare luoghi di lavoro, con la presenza di eventuali visitatori (quindi stabilimenti, magazzini, scuole, ospedali, ecc.), e il caso in cui l’edificio non sia destinato alle attività lavorative (abitazioni private, condomini).

 

La normativa generale per la tutela dei lavoratori da rischi per la salute e la sicurezza è il Decreto Legislativo 9 aprile 08, n. 81 e successive modifiche e integrazioni (nel seguito “D.Lgs.81/08”).

In tale Decreto la protezione dei lavoratori dall’amianto è trattato dal Titolo IX Capo III “Protezione dai rischi connessi all’esposizione all’amianto” che però specifica subito all’articolo 246 che:

Fermo restando quanto previsto dalla legge 27 marzo 1992, n. 257, le norme del presente decreto si applicano a tutte le rimanenti attività lavorative che possono comportare, per i lavoratori, un’ esposizione ad amianto, quali manutenzione, rimozione dell’amianto o dei materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti, nonché bonifica delle aree interessate”.

Di conseguenza le norme contenute nel Titolo IX Capo III del D.Lgs.81/08 non si applicano a lavoratori che operano all’interno di strutture contenenti amianto, a meno che essi non siano addetti a manutenzione, rimozione, smaltimento dell’amianto.

Per i lavoratori che operano all’interno di strutture contenenti amianto, ma che non sono chiamati a intervenire direttamente sull’amianto, si applica, come specificato dall’articolo 246 del D.Lgs.81/08 sopra citato, la Legge 27 marzo 1992, n. 257Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto” (nel seguito “L.257/92”).

 

La L.257/92 si applica altresì ai visitatori (non lavoratori) di edifici che ospitano lavorazioni e agli occupanti di edifici non destinati a luoghi di lavoro (case private, condomini).

Tale legge è di carattere molto generale e rimanda per gli aspetti applicativi a successivi Decreti ministeriali.

 

In particolare per quanto riguarda la rilevazione della presenza di amianto all’interno di strutture e la pianificazione della rimozione dello stesso, la L.257/92, prevede all’articolo 12, comma 2 che:

Con decreto del Ministro della sanità, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le norme relative agli strumenti necessari ai rilevamenti e alle analisi del rivestimento degli edifici, nonché alla pianificazione e alla programmazione delle attività di rimozione e di fissaggio di cui al comma 3 e le procedure da seguire nei diversi processi lavorativi di rimozione”.

Per quanto riguarda invece le normative e metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l’amianto, la L.257/92, prevede all’articolo 6, comma 3 che:

Il Ministro della sanità, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, adotta con proprio decreto, da emanare entro trecentosessantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le normative e le metodologie tecniche di cui all’articolo 5, comma 1, lettera f)”.

 

Il relativo Decreto attuativo è il Decreto Ministeriale del 06/09/1994 “Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’articolo 6, comma 3, e dell’articolo 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto” (nel seguito “D.M.06/09/94”).

Per miglior comprensione delle osservazioni che verranno fatte nel seguito, occorre mettere in evidenza che nella Premessa al D.M.06/09/94 è specificato che:

Il documento fa riferimento a due tipi di indicazioni:

  1. a) norme prescrittive che compaiono nel testo in carattere grassetto;
  2. b) norme indicative, da intendersi come linee guida non prescrittive che vengono indicate nel testo in carattere corsivo”.

Tale distinzione è fondamentale come si vedrà nel seguito.

 

Il mancato adempimento degli obblighi di cui alle norme prescrittive del D.M.06/09/94 da parte dei proprietari degli edifici o dei gestori delle attività (a seconda dei casi) è sanzionato dall’articolo 15, comma 2 della L.257/92 con la sanzione amministrativa da lire 7 milioni a lire 35 milioni (attualmente da euro 3.615 a euro 18.675).

 

 

  1. LOCALIZZAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DELLE STRUTTURE EDILIZIE

 

Primo passo nella gestione dell’amianto all’interno degli edifici è la caratterizzazione in tal senso, cioè la verifica della effettiva presenza di amianto, la sua classificazione e la sua localizzazione.

Tale obbligo, a carico di qualunque proprietario, è valido per qualunque tipo di edificio, pubblico o privato, adibito o meno ad attività lavorative, nel quale è presumibile la presenza di amianto (sicuramente gli edifici costruiti antecedentemente al 1992, anno di entrata in vigore della L.257/92 che dispose il divieto di utilizzo dell’amianto in generale e, in particolare, nelle costruzioni).

 

La L.257/92 prevede a tal proposito uno specifico obbligo sanzionabile, quello definito all’articolo 12, comma 5:

Presso le unità sanitarie locali è istituito un registro nel quale è indicata la localizzazione dell’amianto floccato o in matrice friabile presente negli edifici. I proprietari degli immobili devono comunicare alle unità sanitarie locali i dati relativi alla presenza dei materiali di cui al presente comma”.

Il mancato adempimento di tale obbligo da parte dei proprietari degli edifici è sanzionato dall’articolo 15, comma 3 della medesima Legge con la sanzione amministrativa da lire 5 milioni a lire 10 milioni (attualmente da euro 2.582 a euro 5.164).

 

Per una corretta definizione dell’ambito di applicazione dell’articolo 12, comma 5 occorre fare riferimento alla definizione di materiale friabile, che viene data dal D.M.06/09/94 al punto 1a (testo in grassetto e quindi norma prescrittiva):

Friabili: materiali che possono essere facilmente sbriciolati o ridotti in polvere con la semplice pressione manuale;

Compatti: materiali duri che possono essere sbriciolati o ridotti in polvere solo con l’impiego di attrezzi meccanici (dischi abrasivi, frese, trapani, ecc.)”.

Da tale definizione appare evidente come, all’interno dei materiali friabili contenenti amianto vanno ricompresi non solo l’amianto in fiocco o in matrice fibrosa, ma anche l’amianto in lastre o in tubazioni (cemento amianto) se, a causa della degradazione derivante da agenti atmosferici, vibrazioni, urti, lavorazioni, ecc., esso presenta la possibilità di rilasciare fibre in ambiente per il semplice contatto, per interventi di manutenzione o addirittura per effetti ambientali (vento, correnti d’aria, vibrazioni, infiltrazioni di acqua, ecc.).

 

Secondo il punto 1b del D.M.06/09/94 il programma di ispezione dei materiali contenenti amianto all’interno degli edifici può avvenire secondo quanto segue (carattere corsivo e quindi norma non prescrittiva):

1) ricerca e verifica della documentazione tecnica disponibile sull’edificio, per accertarsi dei vari tipi di materiali usati nella sua costruzione, e per rintracciare, ove possibile, l’impresa edile appaltatrice;

2) ispezione diretta dei materiali per identificare quelli friabili e potenzialmente contenenti fibre di amianto;

3) verifica dello stato di conservazione dei materiali friabili, per fornire una prima valutazione approssimativa sul potenziale di rilascio di fibre nell’ambiente;

4) campionamento dei materiali friabili sospetti, e invio presso un centro attrezzato, per la conferma analitica della presenza e del contenuto di amianto;

5) mappatura delle zone in cui sono presenti materiali contenenti amianto;

6) registrazione di tutte le informazioni raccolte in apposite schede, da conservare come documentazione e da rilasciare anche ai responsabili dell’edificio”.

 

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“RICERCA AUTOGESTITA”: LA VALUTAZIONE DEI RISCHI VISTA, VISSUTA E GESTITA DAI LAVORATORI

 

Da: Lavoro e Salute

http://www.lavoroesalute.org

 

Queste note non propongono niente di nuovo, ma rappresentano una particolare sistemazione sintetica di osservazioni che possono essere utili a coloro che sono chiamati a rappresentare e costruire il punto di vista del lavoro umano all’interno dell’impresa.

La costruzione del punto di vista del lavoro è elemento essenziale per creare una identità individuale, collettiva e solidale del soggetto lavoro che nel contesto produttivo crea il valore aggiunto con il quale è possibile realizzare una contrattazione d’insieme delle condizioni di lavoro e in particolare di quelle che riguardano la salute e la sicurezza nel posto di lavoro.

 

Gli adempimenti solo formali non sono solo inutili, ma dannosi perché radicano la convinzione che la prevenzione sia inutile.

Purtroppo sono pochissimi i datori di lavoro che si assumono la responsabilità di tutelare il benessere dei loro dipendenti, addirittura alcuni imprenditori non sanno neppure di avere l’obbligo morale e spesso legale di proteggere i lavoratori.

Quando il benessere dei lavoratori non viene tutelato nei luoghi di lavoro, non è solo il singolo lavoratore a soffrire, ma tutti.

 

La valutazione dei rischi, un obbligo non delegabile che la normativa assegna al datore di lavoro, affonda le sue radici nelle prime inchieste sulla nocività nell’ambiente di lavoro che dalla fine degli anni Sessanta videro i lavoratori e il sindacato protagonisti delle lotte per la salute e la creazione di un modello di analisi che fu al centro della scena della prevenzione nel nostro Paese per quasi vent’anni e che ispirò i principi alla base della riforma sanitaria del 1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale.

 

La definizione accettata a livello comunitario di valutazione dei Rischi è “procedimento di valutazione della possibile entità del danno quale conseguenza del rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori nell’espletamento delle loro mansioni derivante dal verificarsi di pericolo sul luogo di lavoro”.

 

I cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, in particolare le modalità più flessibili di organizzazione dell’orario di lavoro e una gestione delle risorse umane più individuale e maggiormente orientata al risultato hanno un’incidenza profonda sui problemi legati alla salute sul luogo di lavoro o, più in generale, sul benessere sul luogo di lavoro.

 

I lavoratori sanno cosa li danneggia o minaccia il loro benessere. Può darsi che non conoscano i meccanismi fisiologici o biologici all’ordine del problema o non siano abituati a parlarne, ma la loro esperienza è una fonte inestimabile di informazioni e di conoscenze di cui tenere assolutamente conto.

 

La partecipazione dei lavoratori è uno dei mezzi più efficaci per migliorare la sicurezza sul lavoro, dovranno essere sempre più coinvolti nel stabilire quali siano i problemi reali; nel definire le proprie priorità; nel promuovere una consapevolezza collettiva; dovranno insieme insistere per la realizzazione dei cambiamenti.

Nessuno conosce meglio l’ambiente di lavoro di coloro che vi operano. Non sarebbe quindi utile coinvolgere maggiormente i lavoratori? E come?

 

Con lo strumento alternativo della “ricerca autogestita”, fatta dagli stessi lavoratori che si trasformano in ricercatori, senza bisogno di attrezzature sofisticate e di tecnici esperti o risorse onerose, una “valutazione dei rischi” senza l’approccio scientifico di un ricercatore esterno, può essere, in materia di salute e sicurezza, uno strumento che offre grandi vantaggi ai lavoratori, alle loro famiglie, e alla comunità intera.

 

Si pensi poi che è un diritto dei lavoratori controllare, mediante le loro rappresentanze, l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e integrità fisica. A tal proposito esistono in internet tantissime check-list già proposte per i vari settori lavorativi (un elenco abbastanza esaustivo si trova nel sito dell’INAIL nella sezione “documenti”). Può essere utile cercare di costruirsi la propria seguendo uno schema generale inserendo i vari rischi presenti sul proprio luogo di lavoro (per ciascuna mansione e/o postazione) e consultando i compagni di lavoro.

 

Effettuare la “ricerca autogestita”, utilizzando metodi semplici per proteggere i lavoratori attribuisce dignità e rispetto per la vita, il saper organizzare la sicurezza sul lavoro fornisce ai lavoratori una maggior forza contrattuale per introdurre cambiamenti e aumentare il loro livello di salute e sicurezza.

I lavoratori sono in grado di richiamare l’attenzione su alcuni pericoli che, per la loro stessa natura, risultano di difficile identificazione.

Si tratta di problemi che possono derivare dall’organizzazione del lavoro, dal tipo di attività svolte o dalle caratteristiche del posto di lavoro. Sono altrettanti aspetti che talvolta si prendono per scontati o che determinano una riduzione anche tacitamente accettata delle condizioni normali di confort.

 

E’ importante sottolineare come una “ricerca autogestita” correttamente implementata sia estremamente utile nel rendere aggiornato e più efficace l’ufficiosissimo Documento di Valutazione dei Rischi, che peraltro contribuisce anche a creare con una serie di procedure ad hoc.

 

Tramite la “ricerca autogestita” si raccolgono informazioni che poi verranno utilizzate per:

  • individuare i problemi;
  • sviluppare tra i lavoratori una coscienza collettiva;
  • trovare delle soluzioni;
  • contrattare con il datore di lavoro la realizzazione di obiettivi fondamentali per la sicurezza sul lavoro.

 

I lavoratori possono porre in rilievo il fatto che il modo in cui si presenta il lavoro comporta varie difficoltà o perché è troppo rapido e quindi comporta stress, oppure perché il lavoratore deve adottare una posizione scomoda e innaturale che alla lunga gli causerà dolori acuti e lesioni derivanti da sollecitazioni ripetute.

 

Se si cercasse di dare possibilità e disponibilità di mezzi necessari, i lavoratori, sarebbero in grado di:

  • migliorare la loro sicurezza socio-economica di base;
  • migliorare le condizioni di lavoro;
  • aumentare la capacità di far sentire la loro voce;
  • acquisire, attraverso l’organizzazione, maggior potere per affrontare anche altri argomenti, quali il reddito e l’occupazione.

Operando collettivamente per il diritto a un reddito e a un posto di lavoro adeguati, i lavoratori possono inoltre acquistare la forza necessaria ad affrontare i problemi relativi alle condizioni di lavoro e alla protezione fondamentale del lavoratore.

La “ricerca autogestita” non è certo un esercizio accademico, ma un umile approccio pratico per il miglioramento delle garanzie di base dei lavoratori e soprattutto delle loro condizioni di lavoro. La mancanza di garanzie fondamentali può far si che i lavoratori, per paura di non ottenere, o peggio di perdere il posto di lavoro o un reddito, accettino qualunque condizione di lavoro. La ricerca può contribuire a superare questo problema, ad esempio:

  • trasmettendo informazioni che i datori di lavoro, gli ispettori, o agli organismi preposti all’applicazione, difficilmente possono ignorare;
  • fornendo una certa protezione contro forme di rappresaglia, dal momento che è molto più difficile screditare o rimproverare un’intera forza lavoro che poche persone isolate;
  • facendo in modo che i lavoratori acquisiscano consapevolezza e fiducia nelle loro capacità, dal momento che l’elemento partecipativo del processo di ricerca valorizza i loro interessi, facendoli sentire protagonisti e autori del processo e dei relativi esiti;
  • aumentando la forza della contrattazione sindacale attraverso l’azione collettiva da parte dei lavoratori;
  • pubblicizzando i risultati, in quanto un azione di rappresaglia contro i lavoratori che stanno promuovendo la sicurezza nella loro realtà lavorativa non è certamente un bel biglietto da visita per un’azienda;
  • organizzando i lavoratori attorno ai problemi relativi alla salute, al benessere, e alle garanzie di base, laddove non esista un organismo collettivo, come un sindacato.

 

Una “ricerca autogestita” se capillarmente diffusa può portare a individuare e a ottenere le seguenti garanzie di base:

  • sicurezza del mercato del lavoro, l’opportunità di posti di lavoro adeguati, attraverso una piena occupazione garantita dallo Stato;
  • sicurezza dell’occupazione, protezione contro i licenziamenti arbitrari, e norme che regolino le assunzioni e i licenziamenti, i cui costi vanno addebitati ai datori di lavoro;
  • sicurezza del posto di lavoro, la protezione del posto di lavoro, delle competenze o della “carriera”, protezione contro il dimensionamento, la dequalificazione e pratiche lavorative restrittive, tutela delle competenze personali, in termini di attitudini, capacità, conoscenze e riconoscimento dei sindacati dei lavoratori;
  • sicurezza di acquisire e aggiornare le proprie competenze, le opportunità, attraverso l’apprendistato e la formazione, di acquisire e conservare le competenze necessarie;
  • sicurezza sul lavoro, la protezione contro gli infortuni e le malattie professionali attraverso norme in materia di salute e sicurezza, imposizioni di limiti per quanto riguarda gli orari di lavoro, l’orario extralavorativo e di lavoro notturno;
  • sicurezza della rappresentanza, la garanzia di avere voce in capitolo nel mercato del lavoro, attraverso sindacati indipendenti e associazioni datoriali, insieme al diritto di sciopero;
  • sicurezza del reddito, la protezione del reddito, ricorrendo al salario minimo, all’indicizzazione del salario, alla previdenza sociale globale, alla tassazione progressiva.

Una strategia per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro dovrà avere come obiettivo il continuo miglioramento del benessere, sia esso fisico, morale e sociale, sul luogo di lavoro.

 

Se l’azione legislativa è necessaria per stabilire delle norme, lo sviluppo di altri strumenti è indispensabile per promuovere la spinta al miglioramento, incoraggiare i soggetti ad avanzare maggiormente e coinvolgere le parti interessate nella realizzazione degli obiettivi “globali” della strategia, in particolare nei nuovi settori che difficilmente si prestano ad un approccio normativo.

Si potrà poi valutare l’efficacia delle azioni tese a realizzare l’obiettivo finale, cioè il cambiamento, quando saranno intraprese azioni mirate il cui impatto potrà essere misurato.

 

Questa è sicuramente una strada da percorrere per risvegliare la fiducia dei lavoratori a dare vita anche a un sindacato che si batta per i loro interessi che sono: lavorare bene, in salute e sicurezza e guadagnare.

 

Luca

 

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DECRETO 81/08: I RISCHI DI NATURA ELETTRICA NEGLI AMBIENTI DI LAVORO

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

25 marzo 2015

di Tiziano Menduto

 

Un intervento si sofferma sui rischi di natura elettrica negli ambienti di lavoro con riferimento alla normativa sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. I requisiti di sicurezza, la valutazione dei rischi e le attività specifiche.

 

Gli infortuni di lavoro dovuti al contatto elettrico diretto, pur essendo diminuiti in questi anni, rappresentano ancora una porzione significativa rispetto alla totalità del fenomeno degli infortuni professionali. Infatti secondo un’analisi degli infortuni mortali accaduti tra il 2002 e il 2012 e presenti nella banca dati di INFOR.MO., si evidenzia che il contatto elettrico diretto (si ha quando un soggetto viene a contatto con una parte dell’impianto normalmente in tensione) è al settimo posto nella graduatoria delle varie tipologie di incidente, con 168 casi su un totale di oltre 4.000.

Per parlare di rischio elettrico e di prevenzione dei non pochi infortuni che i contatti elettrici, diretti o indiretti, provocano annualmente, presentiamo un intervento a un incontro del 9 ottobre 2014 che si è tenuto a Frosinone sui temi della tutela della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro.

 

Nell’intervento “I rischi di natura elettrica negli ambienti di lavoro”, a cura del dottor Maurizio Sordilli (Tecnico della Prevenzione della Azienda ASL, Servizio PreSAL di Frosinone), viene innanzitutto riportato l’inquadramento normativo relativo ai rischi elettrici con particolare riferimento al Decreto Legislativo 81/2008, Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Ad esempio con riferimento ai requisiti di sicurezza dell’impianto elettrico, all’articolo 70 e all’allegato V del Testo Unico si indica che le macchine e gli apparecchi elettrici devono portare l’indicazione della tensione, dell’intensità e del tipo di corrente e delle altre eventuali caratteristiche costruttive necessarie per l’uso.

Inoltre le macchine e gli apparecchi elettrici mobili o portatili devono essere alimentati solo da circuiti a bassa tensione. Può derogarsi per gli apparecchi di sollevamento, per i mezzi di trazione, per le cabine mobili di trasformazione e per quelle macchine e apparecchi che, in relazione al loro specifico impiego, debbono necessariamente essere alimentati ad alta tensione. E gli utensili elettrici portatili e gli apparecchi elettrici mobili devono avere un isolamento supplementare di sicurezza fra le parti interne in tensione e l’involucro metallico esterno.

L’allegato VI, sempre del Testo Unico, ricorda poi che le attrezzature di lavoro debbono essere installate in modo da proteggere i lavoratori dai rischi di natura elettrica e in particolare dai contatti elettrici diretti e indiretti con parti attive sotto tensione. In particolare nei luoghi a maggior rischio elettrico, come individuati dalle norme tecniche, le attrezzature di lavoro devono essere alimentate a tensione di sicurezza secondo le indicazioni delle norme tecniche.

Il relatore si sofferma anche sugli obblighi relativi alla manutenzione, agli obblighi dei coordinatori per la progettazione e alla prevenzione degli infortuni correlati ai lavori in prossimità di parti attive nel comparto edile.

Veniamo agli obblighi del datore di lavoro contenuti nell’articolo 80 del D.Lgs.81/08.

Secondo quanto richiesto dalla normativa il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché i lavoratori siano salvaguardati dai tutti i rischi di natura elettrica connessi all’impiego dei materiali, delle apparecchiature e degli impianti elettrici messi a loro disposizione e, in particolare, da quelli derivanti da: contatti elettrici diretti; contatti elettrici indiretti; innesco e propagazione di incendi e di ustioni dovuti a sovratemperature pericolose, archi elettrici e radiazioni; innesco di esplosioni; fulminazione diretta e indiretta; sovratensioni; altre condizioni di guasto ragionevolmente prevedibili.

E a tale fine il datore di lavoro esegue una valutazione dei rischi tenendo in considerazione:

  • le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro, ivi comprese eventuali interferenze: ad esempio l’uso comune di impianto elettrico (cantiere); uso di attrezzature elettriche in quota; luoghi con conduttori ristretti; lavori sotto tensione, ecc.;
  • i rischi presenti nell’ambiente di lavoro: ad esempio presenza di impianti sotto traccia interrati; presenza di ATEX (atmosfere esplosive); ambienti umidi/bagnati; vibrazioni su impianti e apparecchiature; polvere ed agenti chimici aggressivi; luoghi MARCI (a maggior rischio di incendio); ecc.;
  • tutte le condizioni di esercizio prevedibili: ad esempio usi ordinari; manutenzione ordinaria e straordinaria; sistemi di funzionamento (manuali o automatici); continuità delle masse metalliche, ecc..

 

A seguito della valutazione del rischio elettrico il datore di lavoro adotta le misure tecniche e organizzative necessarie a eliminare o ridurre al minimo i rischi presenti, a individuare i dispositivi di protezione collettivi e individuali necessari alla conduzione in sicurezza del lavoro e a predisporre le procedure di uso e manutenzione atte a garantire nel tempo la permanenza del livello di sicurezza raggiunto.

La relazione riporta un’utile tabella con alcuni casi di infortuni elettrici, gravi e mortali, nella provincia di Frosinone e ricorda che non esiste una norma tecnica di riferimento per la valutazione dei rischi di natura elettrica. Esistono invece:

  • norme tecniche per la valutazione del rischio a fulminazione;
  • norme tecniche per la gestione del rischio in attività specifiche (lavori elettrici);
  • norme tecniche per la manutenzione.

La relazione si sofferma sulla valutazione dei rischi di natura elettrica riportando esempi e diverse utili tabelle e diagrammi di flusso.

Vengono riportate ad esempio indicazioni sulle:

  • misure di salvaguardia per prevenire il rischio elettrico per lavoratori e utenti di impianti elettrici;
  • misure di salvaguardia per prevenire il rischio elettrico per lavoratori e utenti di apparecchiature elettriche;
  • misure di salvaguardia per prevenire il rischio elettrico per lavoratori e utenti per esposizione a fulminazione.

Si indica poi che il valutatore potrà suddividere la realtà aziendale classificandola in aree omogenee per il rischio elettrico, per esempio in riferimento all’uso di un impianto elettrico (norma CEI 64/08) si possono avere:

  • luoghi ordinari;
  • luoghi a maggior rischio in caso d’incendio;
  • luoghi conduttori ristretti;
  • luoghi con pericolo di esplosione;
  • cabine di trasformazione Media Tensione/bassa tensione;
  • locali ad uso medico;
  • ambienti in cui si svolgono attività di zootecnia;
  • cantieri;

L’intervento si sofferma anche sull’esposizione dei lavoratori al rischio elettrico in attività specifiche, con riferimento a:

  • lavori sotto tensione: il Testo Unico indica che è vietato eseguire lavori sotto tensione: tali lavori sono tuttavia consentiti nei casi in cui le tensioni su cui si opera sono di sicurezza, secondo quanto previsto dallo stato della tecnica o quando i lavori sono eseguiti nel rispetto di specifiche condizioni riportate;
  • lavori in prossimità di parti attive: il D.Lgs.81/08 indica che non possono essere eseguiti lavori non elettrici in vicinanza di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non protette, o che per circostanze particolari si debbano ritenere non sufficientemente protette, e comunque a distanze inferiori ai limiti di cui alla tabella 1 dell’ Allegato IX salvo che vengano adottate disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi;
  • protezione da fulmini: il datore di lavoro provvede affinché gli edifici, gli impianti, le strutture, le attrezzature, siano protetti dagli effetti dei fulmini realizzati secondo le norme tecniche;
  • presenza di atmosfere esplosive: il datore di lavoro provvede affinché gli edifici, gli impianti, le strutture, le attrezzature, siano protetti dai pericoli determinati dall’innesco elettrico di atmosfere potenzialmente esplosive per la presenza o sviluppo di gas, vapori, nebbie infiammabili o polveri combustibili infiammabili, o in caso di fabbricazione, manipolazione o deposito di materiali esplosivi.

Con riferimento alle misure di salvaguardia per prevenire il rischio elettrico e la sua gestione per lavoratori esposti in attività specifiche, il relatore ricorda poi che per gestire il rischio elettrico nei lavori vicino a parti attive non protette è fondamentale effettuare:

  • la valutazione dei rischi;
  • la pianificazione degli interventi;
  • la stesura di procedure di lavoro applicabili;
  • la formazione e l’addestramento di figure professionali;
  • l’idoneità (se prevista);
  • l’adozione di protezioni collettive;
  • la scelta di DPI e attrezzature necessarie.

Concludiamo segnalando che la relazione si sofferma in conclusione anche sulle verifiche e controlli di impianti e apparecchiature elettriche con riferimento a quanto indicato nel D.Lgs.81/08 e nel D.P.R.462/01.

Il documento “I rischi di natura elettrica negli ambienti di lavoro”, a cura del dottor Maurizio Sordilli (Tecnico della Prevenzione della Azienda ASL, Servizio PreSAL di Frosinone) è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.it/_resources/files/141009_I%20Rischi%20di%20natura%20elettrica_seminario.pdf

 

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GESTIONE DELLE EMERGENZE: RISPOSTE E CHIARIMENTI SULLA NORMATIVA

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

25 marzo 2015

 

Una raccolta di FAQ (Frequently Asked Questions) dell’ASL 9 Treviso raccoglie le risposte a quesiti formulati sui temi della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Focus sulla gestione delle emergenze con riferimento alla normativa e alla formazione e aggiornamento degli addetti.

 

Tra i compiti assegnati agli SPISAL, i Servizi Prevenzione Igiene e Sicurezza in Ambienti di Lavoro, delle ASL c’è anche quello di sviluppare attività di informazione, formazione e promozione in materia di sicurezza e salute e fornire assistenza alle aziende per l’attuazione delle misure di prevenzione. Proprio partendo da questi compiti l’ASL 9 Treviso ha pubblicato sul proprio sito alcune risposte ai quesiti formulati dagli utenti sui temi della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e inoltrate allo sportello informativo dello SPISAL dell’ASL 9.

Riportiamo oggi i quesiti e le risposte pubblicate in materia di gestione delle emergenze.

 

DOMANDA

Con la presente vorrei richiedere delle delucidazioni in merito alla formazione degli addetti al primo soccorso. La nostra è un’azienda che opera nel settore dei sistemi di sicurezza (installazione e manutenzione di impianti antifurto, rilevazione incendio, videocontrollo, etc.), quindi ricade nel codice ATECO F43 che ha un indice percentuale di infortuni classificato come superiore al 4% e quindi ricadente nelle attività ad alto rischio. Abbiamo circa 10 dipendenti, muniti di cellulare aziendale e formati come preposti, che possono lavorare in squadre composte da 2 o più persone, ma anche da soli in caso di manutenzione degli impianti o durante interventi di service presso il committente; nella maggior parte dei casi non ricadiamo nella Direttiva cantieri, ma in condizione di semplice appalto diretto; le interferenze avvengono solo con le attività normalmente svolte dal cliente, il quale, prima dell’instaurazione del rapporto di lavoro, ci fornisce tutta la documentazione sulla sicurezza (DUVRI, piano di emergenza, struttura e recapiti per il primo soccorso, ecc.). che viene divulgata, sottoposta per presa visione e consegnata a tutti i nostri lavoratori coinvolti. La mia domanda è se devo procedere alla formazione al primo soccorso per azienda ad alto rischio di:

  • un numero minimo dei lavoratori impiegati, in quanto posso usufruire del servizio e strutture di primo soccorso organizzate dal committente?
  • almeno uno per squadra allo scopo di avere una copertura sufficiente per il primo soccorso?
  • tutti i dipendenti in quanto a volte possono svolgere tali mansioni da soli ? (ma in caso di necessità si autosoccorre?)

RISPOSTA

La normativa non precisa il numero degli addetti da formare, ma prevede che venga sempre garantita la presenza di un addetto al Primo Soccorso adeguatamente formato (ciò tenendo conto anche di malattie, ferie, turni ecc.); la responsabilità della scelta del numero di persone da formare è del datore di lavoro. La soluzione più pratica, anche per comporre le squadre, è che siano tutti formati (e almeno uno di quelli che restano in sede, se ci sono impiegati) e dotati dei materiali previsti dal Decreto Ministeriale 388/03.

Se lavorano in cantieri esterni presso un committente, possono fruire del servizio di primo soccorso del committente purché sia chiaramente previsto dal contratto e sia garantita la costante presenza di un addetto (adeguatamente formato e dotato dei materiali, in questo caso per la tipologia A delle aziende, con un corso di 16 ore e cassetta di pronto soccorso).

Quanto all’auto soccorso, è una questione delicata; dipende anche dal luogo ove ci si trova a operare. Finché si resta in ambiente urbano o in presenza di altre persone, si può sempre fare conto su un’assistenza, almeno per far intervenire il soccorso pubblico. Il caso è diverso quando si opera in ambienti isolati; in questi casi (ricordiamo che è obbligatorio disporre di un mezzo di comunicazione) bisogna studiare e valutare bene ciò che può succedere e organizzarsi (sorveglianza, sistemi automatici di chiamata, ecc.) nel modo più opportuno e funzionale per allertare tempestivamente chi può intervenire (vedi anche normativa sui luoghi confinati) in caso di eventi gravi in cui non è possibile l’autosoccorso.

DOMANDA

In merito all’incarico di personale per la gestione delle emergenze antincendio, evacuazione e primo soccorso ai sensi del D.Lgs.81/08 in una azienda composta da tre addetti (titolare, dipendente, collaboratore familiare) può essere designato e partecipare ai corsi di formazione il collaboratore familiare?

RISPOSTA

Specifichiamo che il collaboratore familiare non è il familiare assunto con formale contratto, nel qual caso vi sarebbe vincolo di subordinazione e la piena equiparazione a lavoratore dipendente. Altresì, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08, il lavoratore è una “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro […], con o senza retribuzione […]”.

Conseguentemente l’articolo 18, comma 1, lettera b) del Decreto, che stabilisce l’obbligo del Datore di lavoro di “designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio […]”, formalmente può essere soddisfatto anche con la nomina di un collaboratore familiare.

E’ però indispensabile che la persona designata presti attività lavorativa, garantisca la sua presenza durante tutto l’orario di lavoro e abbia frequentato gli specifici corsi di formazione previsti agli articoli 45 e 46 del D.Lgs.81/08. Spetterà quindi al datore di lavoro valutare, in assenza di un’effettiva subordinazione e dell’obbligo del rispetto di un orario di lavoro, l’opportunità di orientarsi in tal senso.

DOMANDA

L’obbligatorietà dell’aggiornamento della formazione dei lavoratori addetti al servizio antincendio è indicata nel DLgs.81/08, ma non viene definito un termine temporale di validità della “abilitazione”. Finché non sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale un provvedimento che ne definisca la periodicità di aggiornamento e in assenza di modifiche aziendali sostanziali, si può ritenere la formazione acquisita valida a prescindere da quando essa sia stata conseguita?

RISPOSTA

Il comma 9 dell’articolo 37 del D.Lgs.81/08, che pone l’obbligo di somministrare “adeguata e specifica formazione […] ai lavoratori incaricati dell’attività di prevenzione incendi e lotta antincendio” e un aggiornamento periodico, in effetti non ne stabilisce la periodicità, ma rimanda alle disposizioni che verranno emanate da un successivo Decreto Ministeriale.

Sempre il comma 9 dell’articolo 37 recita che fino a tale emanazione “continuano a trovare applicazione le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’interno in data 10 marzo 1998”, che non prevede alcun esplicito obbligo di aggiornamento. In assenza di una norma specifica il mancato aggiornamento non è sanzionabile; tuttavia ricordiamo che i programmi di formazione sono in generale dei “minimi” e spetta sempre al datore di lavoro verificare che la formazione sia “adeguata”.

DOMANDA

In qualità di nuovo RSPP trovo che i lavoratori incaricati al primo soccorso hanno ricevuto la prima formazione secondo Decreto Ministeriale 388/03, ma non hanno poi ripetuto l’aggiornamento nel termine di 3 anni previsto dall’articolo 3, comma 5 del predetto Decreto. Per tali lavoratori è possibile avvalersi dell’aggiornamento (4 o 6 ore) oppure è necessario ripartire con l’intero corso da 12/16 ore previsto dal D.M.388/ in base al gruppo di appartenenza (A, B o C)?

RISPOSTA

Secondo quanto indicato dall’articolo 3, comma 5 del D.M.388/03, ogni tre anni la formazione deve essere ripetuta, almeno nella sua componente pratica; la scadenza dei 3 anni decorrere a partire dalla data di svolgimento. Pertanto, in caso di mancato aggiornamento, si ritiene necessario provvedere alla formazione degli addetti al primo soccorso aziendale per quanto concerne la parte pratica; fino a completamento di tale formazione l’incaricato al primo soccorso aziendale non potrà svolgere il suo incarico. Inoltre nel D.Lgs.81/08 all’articolo 37 si precisa che il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione adeguata e sufficiente; ciò è ribadito anche dagli accordi Stato regioni in tema di formazione che assegnano al datore di lavoro l’obbligo di valutare se la formazione pregressa è sufficiente.

Il link relativo allo sportello informativo dello SPISAL della ASL 9 Treviso è il seguente:

http://www9.ulss.tv.it/Minisiti/spisal/sportello.html

 

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GLI INTERVENTI DI MANUTENZIONE SUGLI APPARECCHI DI SOLLEVAMENTO

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

30 marzo 2015

 

La manutenzione degli apparecchi di sollevamento è importante per garantire nel tempo efficienza e sicurezza. Strutture portanti, sistemi di traslazione, argani, funi e catene. Le verifiche periodiche e la sicurezza nelle operazioni di manutenzione.

 

Che sia ordinaria, programmata o che sia straordinaria (nel caso, ad esempio di anomalie e ed eventi accidentali), la manutenzione degli apparecchi di sollevamento è necessaria per garantire l’efficienza del mezzo, ma specialmente per assicurarne la sicurezza durante l’uso.

E la registrazione puntuale degli interventi di manutenzione di una macchina permette agli operatori di poterne ripercorrere in ogni momento la vita.

Analizzando ad esempio quali siano i guasti più frequenti, è possibile attuare tutte le misure migliorative in grado di diminuire i tempi di fermo e, soprattutto, di mantenere elevati standard di sicurezza. Ricordando però che gli interventi di manutenzione (che possono avere pesanti ricadute sulla funzionalità e sulla sicurezza) devono essere eseguiti solo da personale adeguatamente formato e addestrato.

 

Per parlare di manutenzione degli apparecchi di sollevamento riprendiamo la presentazione della pubblicazione INAIL “Movimentazione merci pericolose. Carico, scarico, facchinaggio di merci e materiali. Manuale sulla sicurezza destinato agli addetti al carico, scarico, facchinaggio di merci e materiali pericolosi”, realizzata dalla Direzione Centrale Prevenzione dell’INAIL.

Il documento offre una panoramica degli elementi, degli aspetti da verificare, dei possibili interventi manutentivi in relazione ai vari apparecchi di sollevamento utilizzabili nelle attività di movimentazione delle merci.

Ricordando che abbiamo già affrontato il tema della manutenzione dei carrelli elevatori, i suggerimenti sono utili in particolare per paranchi, gru a bandiera, gru su monorotaia, gru a ponte, gru a torre, argani a cavalletto.

Il documento sottolinea che una struttura portante che sia, ad esempio, aggredita dalla ruggine, oltre che brutta, è anche pericolosa; la ruggine diminuisce, infatti, la resistenza dei materiali, delle giunzioni (saldature, bulloni, chiodature) e, conseguentemente, la vita operativa della struttura e, soprattutto, la sua sicurezza.

In questo senso la manutenzione di una attrezzatura di lavoro rappresenta quindi una fase importante per la vita della sua struttura, sempre che sia fatta in tempi non tardivi, con modalità idonee e compatibili con il binomio materiale/ambiente e, nello stesso tempo, attuata con investimenti commisurati al valore dell’opera.

Si indica che la perdita dell’azione protettiva delle vernici può essere attribuita al degrado promosso dall’atmosfera sulla superficie del rivestimento, alla perdita di adesione al substrato metallico, all’azione di agenti aggressivi. E le modalità di ripristino della funzione protettiva di un rivestimento dipendono dal tipo e dalle condizioni del vecchio rivestimento, oltre che dalla possibilità che la struttura possa eventualmente essere smontata e poi rimontata. E’ comunque buona norma attenersi alle indicazioni contenute nel manuale di uso e manutenzione o, se non presenti, contattare il costruttore.

 

Il documento ricorda che in particolare le gru che operano all’aperto o in ambienti aggressivi vanno controllate con maggiore attenzione e con cadenze più ravvicinate. Senza dimenticare che anche la segnaletica di sicurezza va periodicamente verificata e, se deteriorata, sostituita.

I componenti dei sistemi di traslazione devono essere verificati con attenzione.

E in particolare deve essere periodicamente verificata la funzionalità dei microinterruttori di:

  • fine corsa traslazione della gru;
  • fine corsa traslazione del carrello.

Inoltre vanno periodicamente lubrificate le parti in movimento con periodicità e utilizzando i prodotti indicati dal costruttore. Le ruote vanno sostituite quando presentano un eccessivo grado di usura, soprattutto del labbro antideragliamento; in quest’occasione, è buona norma verificare lo stato dell’albero e dei supporti, per verificare la presenza di eventuali usure anomale, deformazioni o cricche.

E degli alberi su cui scorrono ruote e pulegge, vanno controllati in particolare:

  • sedi di chiavette (attenzione a sedi slabbrate o gioco eccessivo);
  • usura;
  • punti di riscontro.

Il documento si sofferma poi sulla possibilità di riparare o di sostituire delle parti, sulla verifica delle vie di scorrimento, sulla verifica delle pulegge e dei vari organi mobili e di sicurezza (ad esempio paracadute del carrello per le gru a torre).

Essendo gli argani il cuore del sistema di sollevamento, bisogna prestare particolare attenzione a vari componenti:

  • fine corsa salita – fine corsa discesa: dei fine corsa, è sufficiente testare il corretto funzionamento a macchina scarica e in condizioni operative; il fine corsa di discesa, in particolare, deve intervenire quando sul tamburo ci sono ancora almeno due giri morti;
  • limitatore di carico (se presente);
  • limitatore di momento (se presente);
  • tamburo di avvolgimento delle funi: del tamburo di avvolgimento funi, occorre controllare la sede di avvolgimento delle funi e il funzionamento del sistema di guida;

 

Il documento ricorda che devono essere verificati con attenzione i punti di attacco della fune all’argano e alla trave di sostegno verificando: corretto posizionamento delle redance; assenza di difetti del manicotto o corretto posizionamento e serraggio dei singoli morsetti (parte a U disposta nel tratto morto della fune).

Il documento si sofferma ampiamente sulle funi e le catene metalliche che meritano un discorso un po’ più approfondito, in quanto oggetto di precise disposizioni di legge. Funi e catene di apparecchi di sollevamento vanno, infatti, verificate almeno ogni tre mesi e l’esito della verifica deve essere obbligatoriamente registrato, così come deve essere annotata la loro eventuale sostituzione. Questo perché il loro degrado avviene normalmente per cause meccaniche, a causa dei carichi normalmente applicati (statici e dinamici), della flessione e dell’usura cui sono sottoposte durante l’avvolgimento attorno al tamburo e alle pulegge di rinvio. Per le gru che operano all’aperto, l’usura è maggiore, in conseguenza dell’esposizione agli agenti atmosferici, ed è consigliabile prevedere ispezioni abbastanza frequenti. Nelle funi metalliche, il degrado si manifesta con la riduzione di sezione di fili elementari (spiattellamento), con la graduale rottura di fili elementari dello strato più esterno e con l’insorgere di fenomeni di ossidazione. Un’attenta verifica trimestrale, oltre che l’ispezione visiva da parte degli operatori eseguita quotidianamente, permette di tenere sotto controllo l’usura e programmare la sostituzione delle funi per tempo.

 

Inoltre si indica che solitamente la fune viene sostituita quando, su un determinato tratto di lunghezza, viene riscontrato un certo numero di fili elementari esterni rotti; la lunghezza del tratto da esaminare e il numero di trefoli sono funzione del diametro della fune. E’ comunque necessario sostituire immediatamente la fune quando si riscontra la rottura di un intero trefolo, o quando vengono riscontrate sulla fune ammaccature, strozzature, riduzioni di diametro, oppure, peggio ancora, la presenza di asole o nodi di torsione.

Le operazioni di manutenzione e verifica sono un elemento chiave nella sicurezza di tutte le apparecchiature (delle gru in particolare), e gli apparecchi di sollevamento non manuali di portata superiore a 200 kg devono essere verificati, all’atto della messa in esercizio e annualmente, per verificare il mantenimento dei livelli di sicurezza.

Durante tali verifiche, oltre agli aspetti documentali, vengono eseguite una serie di prove in campo che riguardano soprattutto:

  • fine corsa traslazione della gru;
  • fine corsa traslazione del carrello;
  • fine corsa salita;
  • fine corsa discesa;
  • limitatore di carico (se presente);
  • limitatore di momento (se presente);
  • tamburo di avvolgimento delle funi;
  • funi;
  • sistemi di segnalazione e segnaletica;
  • sistemi di comando.

Inoltre gli apparecchi di sollevamento vengono sottoposti a prove di carico, durante le quali viene applicato un carico pari al carico massimo di lavoro maggiorato del:

  • 20% per le gru a torre;
  • 10% per gru a ponte, a cavalletto, ecc.

E nelle gru a ponte o a cavalletto, viene inoltre verificato il mantenimento delle caratteristiche meccaniche della gru, verificando che la flessione che subisce la struttura portante rispetto alla posizione di riposo, quando viene applicato un carico, resti entro la tolleranza prevista (freccia di deformazione elastica).

Nelle operazioni di manutenzione è buona norma vietare l’accesso alla parte sottostante gli apparecchi di sollevamento durante le attività di manutenzione, in quanto interessate da un’eventuale caduta di oggetti dalle parti soprastanti. Prima di intraprendere qualsiasi attività di manutenzione, è necessario mettere in sicurezza la gru e tutte le apparecchiature a essa interconnesse.

Inoltre se occorre accedere alle parti sopraelevate degli apparecchi (ad esempio per manutenzione degli argani), e non vi sono opere provvisionali fisse che consentano di accedere in sicurezza (ad esempio scale alla marinara con gabbia di sicurezza, piani di lavoro dotati di parapetto normale su tutti i lati), è necessario utilizzare, in aggiunta ai Dispositivi di Protezione Individuali (DPI) normalmente utilizzati, specifici DPI anticaduta (imbracatura e ammortizzatori di caduta) e prevedere idonei punti di vincolo mobili o fissi alle strutture della gru. Si sottolinea che è da evitare assolutamente l’esecuzione di attività che comportano rischio di caduta senza l’utilizzo di DPI!

 

Al termine degli interventi di manutenzione devono poi essere verificate tutte le funzioni di sicurezza dell’apparecchio e devono essere rimossi attrezzi e materiali di risulta che, a causa del movimento e delle vibrazioni, potrebbero cadere.

Il documento “Movimentazione merci pericolose. Carico, scarico, facchinaggio di merci e materiali. Manuale sulla sicurezza destinato agli addetti al carico, scarico, facchinaggio di merci e materiali pericolosi”, pubblicazione realizzata dalla Direzione Centrale Prevenzione dell’INAIL è scaricabile all’indirizzo:

http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_portstg_103512.pdf

 

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