SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS – NEWSLETTER N.205 DEL 17/04/15

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SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS – NEWSLETTER N.205 DEL 17/04/15

 

INDICE

  • Obblighi relativi alla presenza di materiale contenente amianto negli edifici – Terza parte
  • Febbraio mese tragico per le morti sul lavoro in Italia: una media di quasi 2 vittime al giorno
  • No all’uomo di vetro !!!
  • Prevenzione incendi: obiettivi e contenuti dei piani di emergenza
  • Decreto Legislativo 81 del 2008: gli obblighi per datore di lavoro, dirigenti e preposti
  • Cantiere edile: rischi, infortuni e contratti d’appalto

 

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

 

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

https://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210

 

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OBBLIGHI RELATIVI ALLA PRESENZA DI MATERIALE CONTENENTE AMIANTO NEGLI EDIFICI – TERZA PARTE

 

A seguito di varie richieste sulla gestione del materiale contenente amianto negli edifici, pubblici o privati, adibiti o meno ad attività lavorative, ho realizzato la seguente relazione relativa a tutti gli obblighi di legge finalizzati alla tutela della salute degli occupanti gli edifici.

 

Come sempre fatto in precedenti occasioni, riporto tale relazione all’interno della mia Newsletter per rendere edotti tutti coloro che la seguono su quelli che sono i loro diritti relativamente alla presenza di amianto.

 

Visto la vastità dell’argomento ho diviso la relazione in cinque parti.

La prima parte (che è stata pubblicata nella Newsletter 203) è relativa a:

  • premessa;
  • normativa di riferimento;
  • localizzazione e caratterizzazione delle strutture edilizie.

La seconda parte (che è stata pubblicata nella Newsletter 204) è relativa a:

  • valutazione del rischio da presenza di amianto;
  • interventi di bonifica del materiale contenente amianto.

La terza parte (che viene pubblicata nella presente Newsletter) è relativa a:

  • metodi di bonifica;
  • programma di controllo dei materiali di amianto negli edifici;
  • modalità di intervento su materiali contenenti amianto o in caso di bonifica.

La quarta parte (che verrà pubblicata nella Newsletter 206) è relativa a:

  • obblighi previsti dal D.Lgs.81/08 per i lavori di demolizione o rimozione di amianto;

La quinta parte (che verrà pubblicata nella Newsletter 207) è relativa a:

  • individuazione delle figure responsabili;
  • come tutelarsi.

 

Marco Spezia

 

 

  1. METODI DI BONIFICA

 

Secondo il punto 3 del D.M.06/09/94 (carattere corsivo e quindi norma non prescrittiva), a seguito della rilevazione di materiale contenente amianto, in funzione dello stato del materiale stesso:

I provvedimenti possibili possono essere:

– restauro dei materiali: l’amianto viene lasciato in sede senza effettuare alcun intervento di bonifica vera e propria, ma limitandosi a riparare le zone danneggiate e/o ad eliminare le cause potenziali del danneggiamento (modifica del sistema di ventilazione in presenza di correnti d’aria che erodono il rivestimento, riparazione delle perdite di acqua, eliminazione delle fonti di vibrazioni, interventi atti ad evitare il danneggiamento da parte degli occupanti) […];

– intervento di bonifica mediante rimozione, incapsulamento o confinamento dell’amianto: la bonifica può riguardare l’intera installazione o essere circoscritta alle aree dell’edifici o alle zone dell’installazione in cui si determina un rilascio di fibre”.

 

Il D.M.06/09/94 ha individuato tre tecniche di bonifica dell’amianto in matrice fibrosa o compatta:

  • incapsulamento;
  • confinamento;

 

L’incapsulamento è una verniciatura con apposite speciali sostanze che, spruzzate nei manufatti, inglobano le fibre non consentendo loro di liberarsi nell’aria.

Il confinamento dei manufatti con amianto è una tecnica che ha l’obiettivo di evitare la dispersione mediante l’incameramento del manufatto all’interno di un nuovo manufatto o con l’installazione di una barriera a tenuta di polvere che separi l’amianto dalle aree occupate dell’edificio.

Nel caso dell’ incapsulamento e del confinamento, visto che il materiale contenente amianto rimane all’interno dell’edifico deve essere prevista, da parte del proprietario dell’edifico, una analisi periodica al fine di valutare i rischi derivanti dalla presenza dell’amianto (vedi dopo “Programma di controllo”.

 

La rimozione dei materiali contenenti amianto permette di eliminare il problema dell’amianto in modo definitivo, ma è anche quella più complessa da realizzare da un punto di vista tecnico ed è quella che presenta la maggiore possibilità di fibre di amianto in atmosfera, se non correttamente eseguita.

Inoltre la rimozione dell’amianto, per i pericoli di dispersione di fibre in atmosfera, deve essere eseguita solo da ditte specializzate e autorizzate secondo procedure ben determinate, definite dal D.Lgs.81/08.

 

 

  1. PROGRAMMA DI CONTROLLO DEI MATERIALI DI AMIANTO NEGLI EDIFICI

 

Dal momento in cui viene rilevata la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio, è necessario che sia messo in atto un programma di controllo e manutenzione al fine di ridurre al minimo l’esposizione degli occupanti.

La finalità del piano di controllo e manutenzione è di ridurre al minimo la possibile esposizione ad amianto degli occupanti dell’edificio, indipendentemente dai tempi e modi previsti per un eventuale intervento di bonifica.

Il piano è quindi costituito da una serie di misure di natura tecnica, ma soprattutto organizzativa e procedurale, nonché di informazione, atte a tenere sotto controllo i potenziali fattori di deterioramento e danneggiamento, attraverso la verifica periodica delle condizioni dei materiali e attraverso il corretto comportamento di tutti gli occupanti dell’edificio.

Gli obiettivi del programma sono mantenere in buone condizioni i materiali contenenti amianto, prevenire il rilascio di fibre, intervenire correttamente quando accada un rilascio e verificare periodicamente le condizioni dei materiali contenti amianto (a seguito di incapsulamento o confinamento).

Il piano deve a tal fine individuare una figura responsabile con sufficiente competenza che coordini tutte le attività previste del piano.

 

Il punto 4a del D.M.06/09/94 specifica che (carattere grassetto e quindi norma prescrittiva):

Il proprietario dell’immobile e/o il responsabile dell’attività che vi si svolge dovrà:

  • designare una figura responsabile con compiti di controllo e coordinamento di tutte le attività manutentive che possono interessare i materiali di amianto;
  • tenere un’idonea documentazione da cui risulti l’ubicazione dei materiali contenenti amianto; sulle installazioni soggette a frequenti interventi manutentivi (ad esempio caldaia e tubazioni) dovranno essere poste avvertenze allo scopo di evitare che l’amianto venga inavvertitamente disturbato;
  • garantire il rispetto di efficaci misure di sicurezza durante le attività di pulizia, gli interventi manutentivi e in occasione di qualsiasi evento che possa causare un disturbo dei materiali di amianto; a tal fine dovrà essere predisposta una specifica procedura di autorizzazione per le attività di manutenzione e di tutti gli interventi effettuati dovrà essere tenuta una documentazione verificabile;
  • fornire una corretta informazione agli occupanti dell’edificio sulla presenza di amianto nello stabile, sui rischi potenziali e sui comportamenti da adottare;
  • nel caso siano in opera materiali friabili provvedere a far ispezionare l’edificio almeno una volta all’anno, da personale in grado di valutare le condizioni dei materiali, redigendo un dettagliato rapporto corredato di documentazione fotografica; copia del rapporto dovrà essere trasmessa alla ASL competente la quale può prescrivere di effettuare un monitoraggio ambientale periodico delle fibre aerodisperse all’interno dell’edificio”.

Anche in tal caso, in esito ai controlli eseguiti sui materiali contenente amianto il sindaco potrà disporre la loro bonifica oppure il datore di lavoro dovrà predisporre un piano di interventi, definendone il programma di attuazione.

 

 

  1. MODALITA’ DI INTERVENTO SU MATERIALI CONTENENTI AMIANTO O IN CASO DI BONIFICA

 

Qualunque intervento su materiali contenente amianto (sostanzialmente opere di manutenzione o attività di rimozione) o in prossimità degli stessi, deve essere attuato con tutte le cautele possibili per evitare la dispersione di fibre di amianto nell’ambiente.

 

Il D.M.06/09/94 specifica come devono essere eseguite eventuali attività di manutenzione dell’edificio o dei suoi impianti, suddividendo tali attività in tre categorie:

  • interventi che non comportano contatto diretto con l’amianto;
  • interventi che possono interessare accidentalmente i materiali contenenti amianto;
  • interventi che intenzionalmente disturbano zone limitate di materiali contenenti amianto.

Lo stesso D.M.06/09/94 dà al Punto 3d), comma v) indica poi che (carattere grassetto e quindi norma prescrittiva):

Interventi di ristrutturazione o demolizione di strutture rivestite di amianto devono sempre essere preceduti dalla rimozione dell’amianto stesso”.

Inoltre lo stesso Decreto specifica al punto 4b) che (carattere corsivo e quindi norma non prescrittiva):

Operazioni che comportino un esteso interessamento dell’amianto non possono essere consentite, se non nell’ambito di progetti di bonifica”.

A seguire il D.M.06/09/94 fornisce i criteri generali per l’esecuzione di interventi su materiali contenenti amianto o in caso di bonifica (carattere grassetto e quindi norma prescrittiva):

Durante l’esecuzione degli interventi non deve essere consentita la presenza di estranei nell’area interessata.

L’area stessa deve essere isolata con misure idonee in relazione al potenziale rilascio di fibre: per operazioni che non comportano diretto contatto con l’amianto può non essere necessario alcun tipo di isolamento; negli altri casi la zona di lavoro deve essere confinata e il pavimento e gli arredi eventualmente presenti, coperti con teli di plastica a perdere.

L’impianto di ventilazione deve essere localmente disattivato. Qualsiasi intervento diretto sull’amianto deve essere effettuato con metodi a umido. Eventuali utensili elettrici impiegati per tagliare, forare o molare devono essere muniti di aspirazione incorporata. Nel caso di operazioni su tubazioni rivestite con materiali di amianto vanno utilizzati quando possibile gli appositi glove bags.

Al termine dei lavori, eventuali polveri o detriti di amianto caduti vanno puliti con metodi ad umido o con aspiratori portatili muniti di filtri ad alta efficienza. I lavoratori che eseguono gli interventi devono essere muniti di mezzi individuali di protezione. Per la protezione respiratoria vanno adottate maschere munite di filtro P3 di tipo semimaschera o a facciale completo, in relazione al potenziale livello di esposizione. E’ sconsigliabile l’uso di facciali filtranti, se non negli interventi del primo tipo. Nelle operazioni che comportano disturbo dell’amianto devono essere adottate inoltre tute intere a perdere, munite di cappuccio di copriscarpe, di tessuto atto a non trattenere le fibre. Le tute devono essere eliminate dopo ogni intervento.

Tutto il materiale a perdere utilizzato (indumenti, teli, stracci per pulizia, ecc.) deve essere smaltito come rifiuto contaminato, in sacchi impermeabili chiusi ed etichettati. I materiali utilizzati per la pulizia a umido vanno insaccati finché sono ancora bagnati. Procedure definite devono essere previste nel caso di consistenti rilasci di fibre: evacuazione e isolamento dell’area interessata (chiusura delle porte e/o installazione di barriere temporanee); affissione di avvisi di pericolo per evitare l’accesso di estranei; decontaminazione dell’area da parte di operatori muniti di mezzi individuali di protezione con sistemi ad umido e/o con aspiratori idonei; monitoraggio finale di verifica. In presenza di materiali di amianto friabili esposti, soprattutto se danneggiati, la pulizia quotidiana dell’edificio deve essere effettuata con particolari cautele, impiegando esclusivamente metodi a umido con materiali a perdere e/o aspiratori con filtri ad alta efficienza. La manutenzione e il cambio dei filtri degli aspiratori sono operazioni che comportano esposizione a fibre di amianto e devono essere effettuate in un’area isolata, da parte di operatori muniti di mezzi individuali di protezione. Ai sensi delle leggi vigenti, il personale addetto alle attività di manutenzione e di custodia deve essere considerato professionalmente esposto ad amianto”.

 

Sempre il D.M.06/09/94 contiene anche al Punto 5 norme dettagliate sulle misure di sicurezza da rispettare durante gli interventi di bonifica (carattere grassetto e quindi norme prescrittive):

Tali misure di sicurezza sinteticamente possono essere così riassunte:

  • confinamento dell’ambiente della bonifica da quello esterno;
  • ispezioni periodiche per accertare la tenuta del confinamento;
  • aspirazione e filtraggio dell’aria dall’interno dell’area confinata;
  • collaudo del confinamento dell’ambiente;
  • approntamento di sistema di decontaminazione del personale addetto alla bonifica, munito di locale di equipaggiamento, locale doccia, chiusa d’aria, locale incontaminato;
  • informazione, formazione e addestramento del personale addetto alla bonifica;
  • protezione del personale addetto alla bonifica mediante tuta con cappuccio e facciale filtrante a perdere (da sostituire a ogni turno lavorativo e smaltire al termine dei lavori);
  • divieto di mangiare, bere e fumare sul luogo di lavoro;
  • definizione di procedure sicure di accesso e di uscita dall’area da bonificare;
  • definizione di procedure sicure di rimozione dei materiali contenenti amianto, in modo da eliminare o ridurre al minimo la dispersione di fibre (ad esempio rimozione a umido);
  • imballaggio e sigillatura dei materiali contenenti amianto (compresi i teli utilizzati per il confinamento), in modo da eliminare la dispersione di fibre;
  • etichettatura degli imballaggi dei materiali contenenti amianto;
  • periodica pulizia mediante aspiratori a filtri assoluti delle superfici delle aree da bonificare;
  • monitoraggio periodico delle fibre di amianto aerodisperse negli ambienti confinati con l’area da bonificare.

 

Il punto 6 del D.M.06/09/94 indica poi i criteri per la certificazione della restituibilità dell’ambiente una volta bonificato dall’amianto, specificando che (carattere grassetto e quindi norma prescrittiva):

Le operazioni di certificazione di restituibilità di ambienti bonificati dall’amianto, effettuate per assicurare che le aree interessate possono essere rioccupate con sicurezza, dovranno essere eseguite da funzionari della ASL competente interessate.

Le spese relative al sopralluogo ispettivo ed alla determinazione della concentrazione di fibre aerodisperse sono a carico del committente i lavori di bonifica”.

Inoltre il punto 6 del D.M.06/09/94 specifica che (carattere corsivo e quindi norme non prescrittive):

I principali criteri da seguire durante la certificazione sono:

  • assenza di residui di materiali contenenti amianto entro l’area bonificata;
  • assenza effettiva di fibre di amianto nell’atmosfera compresa nell’area bonificata.

Per la verifica di questi criteri occorre seguire una procedura che comporta l’ispezione visuale preventiva e quindi il campionamento dell’aria che deve avvenire operando in modo opportuno per disturbare le superfici nell’area interessata (campionamento aggressivo). Il campionamento dell’aria può avvenire solo se l’area è priva di residui visibili di amianto

e specifica i criteri finali di restituibilità dell’ambiente bonificato (carattere grassetto e quindi norme prescrittive):

I locali dovranno essere riconsegnati a conclusione dei lavori di bonifica con certificazioni finali attestanti che:

  1. sono state eseguite, nei locali bonificati, valutazioni della concentrazione di fibre di amianto aerodisperse mediane l’uso della microscopia elettronica in scansione;
  2. è presente, nei locali stessi, una concentrazione media di fibre aerodisperse non superiore alle 2 fibre a litro”.

 

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FEBBRAIO MESE TRAGICO PER LE MORTI SUL LAVORO IN ITALIA: UNA MEDIA DI QUASI 2 VITTIME AL GIORNO

 

Da: Diario Prevenzione

http://www.diario-prevenzione.it

sabato 04 aprile 2015

 

MORTI SUL LAVORO: CONTINUA A NON CAMBIARE NULLA E IL GOVERNO TACE

NESSUN DECREMENTO RISPETTO ALLO SCORSO ANNO

SI REGISTRA INVECE UN AUMENTO DELLA MORTALITA’: A FINE FEBBRAIO 2014 INFATTI LE VITTIME DEL LAVORO ERANO 119, MENTRE QUEST’ANNO SONO 121

 

La media è a dir poco drammatica e parla di quasi due vittime sul lavoro per ogni giorno del mese di febbraio. Per un totale di 49 infortuni mortali.

E sale a 121 il numero di persone che hanno perso la vita nel corso della loro attività lavorativa nel primo bimestre del 2015; con 80 decessi registrati in occasione di lavoro (erano 81 nel 2014) e 41 in itinere.

Complessivamente, rispetto al primo bimestre del 2014 si rilevano due vittime in più: 121 a febbraio 2015 contro le 119 dello scorso anno.

 

E’ questa la prima proiezione elaborata dall’Osservatorio Sicurezza sul lavoro Vega Engineering di Mestre a seguito dell’ultima indagine condotta sul fenomeno delle morti bianche (sulla base di dati INAIL).

“Continua a non cambiare nulla, dunque, nelle analisi del nostro Osservatorio. Anzi, la situazione peggiora. E il Governo non accenna a intervenire con nuovi strumenti su questa piaga sociale che è una vergogna per un paese che si dice civilizzato” commenta il Presidente Mauro Rossato.

 

Un pericoloso immobilismo del Governo sovrastato, purtroppo, dal dinamismo dei grafici delle morti bianche.

E ad emergere con i risultati maggiormente sconfortanti in termini di numero di vittime registrate in occasione di lavoro (escludendo quelle in itinere) sono: la Lombardia (11 infortuni mortali), il Veneto (10) e il Lazio (9). Seguono: Puglia e Campania (7), Sicilia (6), Piemonte ed Emilia Romagna (5), Umbria e Toscana (4), Abruzzo, Liguria, Marche (3), Trentino, Friuli e Calabria (1).

Sul fronte delle classifiche provinciali, poi, è Roma a indossare la maglia nera con 8 morti bianche, seguita da Milano (5), Perugia e Bari (4), Benevento, Varese e Treviso (3).

Mentre il rischio di mortalità più elevato rispetto alla popolazione lavorativa viene rilevato in Umbria (11,2 contro una media nazionale di 3,6), seguito da Abruzzo e Puglia (6,1).

 

Il 12,5 per cento degli incidenti mortali si è verificato nel settore delle attività manifatturiere, l’11,3 per cento in quello delle costruzioni, il 10 per cento nel commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione autoveicoli e motocicli e il 7,5 per cento nei trasporti e magazzinaggi.

La fascia d’età più colpita è quella compresa tra i 45 e i 54 anni con 31 vittime su 80. Le donne che hanno perso la vita nei primi due mesi dell’anno in occasione di lavoro sono state 5. Gli stranieri deceduti sul lavoro sono 9 pari all’11,3 per cento del totale.

 

Tutti i dati sono disponibili sul sito www.vegaengineering.com.

 

Il documento “Statistiche morti sul lavoro – Osservatorio sicurezza lavoro Vega Engineering 31/01/15” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.vegaengineering.com/nhtml-allegati/397/23963/1/0/Statistiche-morti-lavoro-Osservatorio-sicurezza-lavoro-Vega-Engineering-28-2-2015.pdf

 

Il documento “Incidenze delle morti sul lavoro sulla popolazione occupata Province italiane – Osservatorio sicurezza lavoro Vega Engineering 31/01/15” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.vegaengineering.com/nhtml-allegati/397/23963/2/0/Incidenze-morti-lavoro-popolazione-occupata-Province-Osservatorio-Vega-Engineering-28-2-15.pdf

 

Ci auguriamo che il comunicato e le tabelle statistiche possano diventare un utile strumento di lavoro per voi e che possano trovare diffusione al fine di contribuire a diffondere la cultura della sicurezza tramite una diffusa sensibilizzazione.

 

Annamaria Bacchin

 

Nota Bene

Le nostre elaborazioni rilevano gli incidenti mortali verificatisi in luogo di lavoro ordinario e quindi sono esclusi quelli in itinere e quelli dovuti alla circolazione stradale.

 

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NO ALL’UOMO DI VETRO !!!

 

Da: Diario Prevenzione

http://www.diario-prevenzione.it

mercoledì 08 aprile 2015

I lavoratori non sono uomini e donne di vetro, trasparenti e scrutabili all’interno per misurarne la conformità alle esigenze aziendali.

Questo desiderio malsano di potere di controllo è stato in qualche misura bloccato da una raccomandazione del Consiglio d’Europa che pone dei limiti al potere delle aziende di “monitorare” i lavoratori.

La disinvoltura del governo nel concedere alle aziende, nel Jobs Act, i controlli a distanza sui lavoratori tramite gli strumenti di lavoro elettronici (personal computer, smartphone, sistemi di geolocalizzazione nei trasporti, bracciali elettronici e chip inseriti nelle scarpe da lavoro e altro ancora) ha subito, sia pure indirettamente, una censura severa da parte del Consiglio d’Europa

 

La raccomandazione del Consiglio d’Europa non mette in discussione le strumentazioni di controllo “difensive” ai fini della sicurezza aziendale, mette invece in discussione, come si evince dal documento, tutte quelle azioni di “monitoraggio” che consentono all’impresa di costruire un “profilo” del lavoratore che va ben oltre la relazione di lavoro.

Le tecniche di controllo dei comportamenti sono ora accessibili con software a basso costo e possono divenire strumenti di violazione della privacy della persona per aspetti che poco hanno a che fare con la prestazione lavorativa.

Il rischio di una violazione di massa della privacy è stata la preoccupazione che verosimilmente ha mosso il Consiglio dei ministri europei. Una preoccupazione che ha origine dalla cultura liberale classica (non neoliberista) in questo caso è tornata utile ai lavoratori.

 

Una cultura liberale che pare non essere patrimonio dei nostri governanti. L’equazione che i lavoratori italiani sono anche cittadini europei portatori di diritti, tra i quali quello della privacy, non ha neppure sfiorato la mente di Renzi e Poletti e dei loro illustri consulenti giuridici.

Il Jobs Act apriva le porte a un uso disinvolto delle nuove tecnologie per il controllo a distanza dei lavoratori.

Dal Consiglio d’Europa è arrivato uno stop con un chiaro divieto ai datori di lavoro di monitorare e raccogliere dati sensibili dei loro dipendenti.

 

Questo non è l’unico limite che le aziende dovranno rispettare per non invadere la vita privata dei loro dipendenti.

Nella raccomandazione del Consiglio dei ministri europei vi sono poi una serie di paletti sia rispetto al controllo della corrispondenza sia rispetto all’utilizzo di queste informazioni raccolte tramite le nuove tecnologie di tracciamento presenti in molte macchine elettroniche.

E’ probabile che i decreti attuativi del Jobs Act in materia di controlli a distanza subiscano un forte ritardo se non un prudenziale accantonamento: sarebbe saggio e sarebbe auspicabile che il governo desse ascolto alla raccomandazione del Consiglio d’Europa.

 

Oltre il lavoro, su questa tematica dei controlli a distanza o meglio sulle potenzialità di controllo delle persone tramite i comportamenti in rete, in particolare sui social network, sarebbe opportuna una campagna d’informazione preventiva che suggerisse alle persone di non consegnare inconsapevolmente un insieme di dati che organizzati divengono un profilo che può essere giocato contro di loro.

Sono troppi i giovani che raccontano i propri fatti privati in rete e sono molti gli addetti degli uffici del personale delle aziende che vanno a ricercare informazioni in rete sui candidati ad un’assunzione e a volte qualcuno viene escluso proprio in ragione dell’immagine che ha dato di sé su Facebook o Twitter.

 

Gino Rubini

 

Il documento “Lavoro e privacy: Strasburgo frena sull’uso della tecnologia per monitorare i dipendenti” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.repubblica.it/economia/2015/04/03/news/lavoro_e_privacy-111153028

 

Il documento “Jobs Act, l’occhio della Ue su microchip e braccialetti per controllare i lavoratori” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/06/jobs-act-locchio-ue-microchip-braccialetti-per-controllare-i-lavoratori/1567013

 

Il commento del professor Meucci sui controlli a distanza è scaricabile all’indirizzo:

http://www.er.cgil.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/f%252F1%252Fc%252FD.9a5a3f4f161e77643da6/P/BLOB%3AID%3D141/E/pdf

 

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PREVENZIONE INCENDI: OBIETTIVI E CONTENUTI DEI PIANI DI EMERGENZA

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

02 aprile 2015

 

Le indicazioni per l’elaborazione dei piani di emergenza ed evacuazione nelle aziende. Gli obiettivi, i contenuti del piano, gli scenari emergenziali, la formazione, le criticità e le indicazioni procedurali e comportamentali.

 

Con la valutazione del rischio di incendio e l’adozione delle conseguenti misure preventive e protettive è possibile ridurre, ma non eliminare del tutto, il rischio di incendio. E per questo motivo devono essere prefigurati i possibili eventi incendio e per ognuno bisogna pianificare le misure gestionali da attuare per fronteggiarli. Questo sistema organizzato di eventi che possono verificarsi nel luogo di lavoro, insieme alla pianificazione delle azioni di risposta agli eventi, è il piano di emergenza.

 

Per parlare di piani di emergenza ed evacuazione nel mondo del lavoro, presentiamo l’ultimo capitolo del documento “Sicurezza antincendio e datori di lavoro – Linee guida per la valutazione dei rischi”, una pubblicazione correlata a un progetto realizzato dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile, in collaborazione con il FEI (Fondo Europeo per l’Integrazione dei Paesi Terzi).

Nel capitolo dedicato ai piani di emergenza, si indica che il principale obiettivo del piano di emergenza è quello di minimizzare i danni dovuti all’incendio la cui possibilità di verificarsi è dovuta alla parte residua di esposizione al rischio che non è stato possibile eliminare con le misure di prevenzione e protezione adottate. Per raggiungere lo scopo prefissato, il piano deve saper rappresentare scenari possibili di incendio e per ognuno organizzare un sistema di azioni di risposta che, i lavoratori e i soccorritori esterni, metteranno in campo per fronteggiare l’evento in atto. E l’esame dell’efficacia del piano potrà essere condotto attraverso simulazioni, il più possibile realistiche, dell’emergenza. La fase di simulazione permette di testare effettivamente se quello che è stato pianificato, in termini di procedure di allarme, tempi di esodo, compiti svolti dagli addetti alla gestione dell’emergenza, risponde alle emergenze ipotizzate e, al verificarsi dell’evento incendio, potrà effettivamente ridurre i danni che seguirebbero.

Se l’identificazione dei pericoli presenti nel luogo di lavoro è stata effettuata correttamente, il documento di valutazione dei rischi permetterà di determinare gli eventi incidentali sulla base degli ambienti, dei materiali e delle attività lavorative a rischio di incendio presi in esame nel documento stesso. Il datore di lavoro dovrà quindi prefigurare gli scenari emergenziali e valutarli considerando gli aspetti particolari che caratterizzano quel luogo di lavoro.

 

Ad esempio tra i principali vanno considerate le caratteristiche tipologiche e distributive dei luoghi interessati dall’evento ipotizzato che, nella gestione emergenziale, sono direttamente collegabili all’evacuazione dell’edificio e al contenimento dell’incendio. Gli effetti indotti dalle caratteristiche tipiche del luogo di lavoro e del sito sono, ad esempio, quelle relative alla geometria: altezza, numero di piani fuori terra, aperture e il layout interno. Queste caratteristiche influiscono sulla possibilità che i Vigili del Fuoco riescano a raggiungere l’ambiente in cui si è sviluppato l’incendio, sia per l’idoneità degli automezzi, come l’altezza di sviluppo dell’autoscala, sia per l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale.

Inoltre anche il sito nel quale è ubicato il luogo di lavoro influenza il piano di emergenza: trovarsi in un centro urbano piuttosto che in un’area industriale o in campagna riflette una condizione di viabilità e accesso dei mezzi di soccorso molto differente.

In ogni caso per ogni scenario emergenziale previsto dovrà essere pianificato il sistema di risposta all’emergenza, individuando una sequenza di azioni che riguarderà l’allarme, l’evacuazione, i punti di raccolta, l’attivazione degli addetti e il supporto alle squadre dei Vigili del Fuoco.

Il datore di lavoro, dovrà quindi valutare per ogni scenario previsto nel piano, quale sia il numero dei lavoratori da destinare alla gestione dell’emergenza. Per attuare efficacemente le indicazioni del piano saranno, identificate, individualmente e con chiarezza, le persone alle quali affidare i diversi ruoli delle procedure pianificate.

Dovranno poi essere individuate le persone che potrebbero essere presenti durante l’evento incendio. Questa caratteristica si riflette, durante l’emergenza, sulla capacità di riconoscere i pericoli e la disposizione degli ambienti e sulla prontezza nel mettere in atto comportamenti predefiniti.

Chiaramente la redazione del piano di emergenza deve tenere conto del tipo di attività e delle dimensioni del luogo di lavoro.

Ad esempio:

  • per i luoghi di lavoro di piccole dimensioni il piano può limitarsi a degli avvisi scritti contenenti norme comportamentali;
  • per luoghi di lavoro, ubicati nello stesso edificio e ciascuno facente capo a datori di lavoro, il piano deve essere elaborato in collaborazione tra i vari datori di lavoro.

E per i luoghi di lavoro di grandi dimensioni, o complessi, il piano deve includere anche una planimetria nella quale riportare:

  • le caratteristiche distributive del luogo, con particolare riferimento alla destinazione delle varie aree, alle vie di esodo ed alla compartimentazioni antincendio;
  • il tipo, numero ed ubicazione delle attrezzature e impianti di estinzione;
  • l’ubicazione degli allarmi e della centrale di controllo;
  • l’ubicazione dell’interruttore generale dell’alimentazione elettrica, delle valvole di intercettazione delle adduzioni idriche, del gas e di altri fluidi combustibili.

 

Ricordiamo che, secondo quanto indicato all’articolo 5, comma 2 del Decreto Ministeriale del 10 marzo 1998 a eccezione delle aziende soggette a controllo da parte dei Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco, per i luoghi di lavoro ove sono occupati meno di 10 dipendenti, il datore di lavoro non è tenuto alla redazione del piano di emergenza, ferma restando l’adozione delle necessarie misure organizzative e gestionali da attuare in caso d’incendio.

Questi possono essere in sintesi i contenuti del piano:

  • azioni, che i lavoratori devono mettere in atto in caso di incendio;
  • procedure per l’evacuazione del luogo di lavoro, che devono essere attuate dai lavoratori e dalle altre persone presenti;
  • disposizioni per chiedere l’intervento dei vigili del fuoco e per fornire le necessarie informazioni al loro arrivo;
  • misure per assistere le persone disabili.

Il documento riporta anche in particolare alcune indicazioni procedurali e comportamentali da riportare per iscritto nel piano:

  • doveri del personale di servizio incaricato di svolgere specifiche mansioni con riferimento alla sicurezza antincendio, quali per esempio: telefonisti, custodi, capi reparto, addetti alla manutenzione, personale di sorveglianza;
  • doveri del personale cui sono affidate particolari responsabilità in caso di incendio;
  • provvedimenti necessari per assicurare che tutto il personale sia informato sulle procedure da attuare;
  • specifiche misure da porre in atto nei confronti dei lavoratori esposti a rischi particolari;
  • specifiche misure per le aree ad elevato rischio di incendio;
  • le procedure per la chiamata dei Vigili del Fuoco, per informarli al loro arrivo e per fornire la necessaria assistenza durante l’intervento.

Veniamo infine alle criticità.

Il documento ricorda infatti che nella redazione di un piano di emergenza sarà opportuno analizzare alcune criticità che potranno intervenire durante l’incendio e che influiscono largamente sulla funzionalità del piano stesso.

Vengono presentati tre esempi di criticità:

  • un primo aspetto che va valutato riguarda l’impatto psicologico legato all’evento che si sta verificando: l’emergenza è una condizione improvvisa di pericolo al quale l’individuo deve rispondere prontamente, attivando una serie di competenze tecniche e mentali; quindi, la risposta individuale, oltre a essere immediata, dovrà garantire l’attuazione di azioni corrette, senza panico; per questo è essenziale conoscere il piano di emergenza e gli scenari in esso rappresentati, imparando a modificare il comportamento per rispondere al meglio durante l’evento emergenziale;
  • un secondo aspetto da considerare riguarda i prodotti della combustione (fumo, calore, fiamma e gas): la loro formazione renderà difficoltoso attuare le azioni previste nel piano di emergenza, soprattutto relativamente ai tempi necessari per compierle che saranno maggiori rispetto a quelli ordinariamente necessari; quest’aspetto influisce anche sulla struttura distributiva del luogo di lavoro, in particolare, sui percorsi e le uscite di sicurezza la cui insufficiente segnalazione e la distribuzione, generalmente casuale, non ne consentono la rapida individuazione in condizioni di scarsa visibilità; il documento ricorda che in tali scenari sembra accertato che istintivamente la ricerca della via di fuga sia orientata a ripercorrere al contrario il tragitto compiuto dall’ingresso al punto in cui ci si trova, rendendo del tutto inefficace il percorso di vie di esodo preventivamente stabilito nel piano;
  • un terzo aspetto di fondamentale importanza nella redazione del piano di emergenza riguarda la previsione di azioni finalizzate all’assistenza alle persone disabili: ciò a maggior ragione nei luoghi affollati, o lontani dalle uscite di sicurezza oppure ai piani alti; quindi, le misure gestionali pianificate dovranno garantire adeguatezza di persone o squadre di affiancamento dei disabili, distinzione delle esigenze di assistenza (non vedenti, disabili motori, ecc.), formazione degli addetti alla sicurezza, dotazione di attrezzature e ausili per l’esodo (ad esempio sedie a ruote), individuazione di un punto di raccolta sicuro per il disabile.

In conclusione il documento sottolinea che il piano di emergenza deve diventare uno strumento conosciuto e condiviso. In questo senso il datore di lavoro deve fornire ai lavoratori un’adeguata informazione e formazione su:

  • rischi di incendio legati all’attività svolta;
  • rischi di incendio legati alle mansioni;
  • misure di prevenzione e protezione adottate nel luogo di lavoro;
  • ubicazione delle vie di uscita;
  • procedure da adottare in caso di incendio;
  • nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di sicurezza;
  • nominativo del responsabile dell’attività.

Il documento “Sicurezza antincendio e datori di lavoro – Linee guida per la valutazione dei rischi” edizione maggio 2014 a cura del Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile, in collaborazione con il Fondo Europeo per l’Integrazione dei Paesi Terzi è s caricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/140916_VVF_valutazione_rischio_incendio.pdf

 

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DECRETO LEGISLATIVO 81 DEL 2008: GLI OBBLIGHI PER DATORE DI LAVORO, DIRIGENTI E PREPOSTI

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

03 aprile 2015

di Tiziano Menduto

 

Gli obblighi di sicurezza previsti per datore di lavoro, dirigenti e preposti. Individuazione e accertamento delle responsabilità. La garanzia per i soggetti obbligati di conoscere e adempiere consapevolmente agli obblighi.

 

Riflettere sull’evoluzione, sui principi qualificanti e sulle criticità eventuali del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, il D.Lgs.81/08 è sempre di grande utilità anche per chi deve consapevolmente applicarlo. Tuttavia queste riflessioni sono ancora più utili in quei momenti in cui il legislatore si predispone a fare importanti modifiche, come è il caso oggi per il lavoro congiunto del Decreto del Fare e, ancor più, della delega contenuta nel Jobs Act.

Per tornare a parlare di D.Lgs.81/08 riprendiamo la presentazione di un Working Paper dell’Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro (Olympus) dal titolo “Il quadro normativo dal Codice Civile al Codice della Sicurezza sul lavoro. Dalla Massima sicurezza (astrattamente) possibile alla Massima sicurezza ragionevolmente (concretamente) applicata”.

Si tratta di un breve saggio inserito sul sito di Olympus il 22 dicembre 2014 e a cura di Gaetano Natullo, professore associato di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi del Sannio.

Dopo aver fatto un’analisi dell’evoluzione delle norme regolative della tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, delle caratteristiche del sistema di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro applicato in Italia e aver parlato del principio della Massima Sicurezza Tecnologicamente Possibile, il contributo di Natullo si sofferma in particolare sulla ripartizione e individuazione dell’obbligo di sicurezza (inteso come vincolo giuridicamente previsto nell’ambito di un ordinamento o di una normativa).

 

L’esame sull’individuazione dei soggetti su cui ricadono in azienda gli obblighi di prevenzione segue due chiavi di lettura:

  • si valutano caratteristiche e differenziazioni sia rispetto alla “prima fase” dell’evoluzione storica del nostro “diritto della prevenzione” sia rispetto alla disciplina europea;
  • si cerca di capire se l’evoluzione del quadro normativo, soprattutto dopo la riforma del 2008, ha apportato effettive novità in termini di corretto contemperamento tra le opposte giuste esigenze di individuazione e accertamento delle responsabilità di attuazione degli obblighi di prevenzione ed al contempo garanzia anche di ragionevole certezza, per gli stessi soggetti, di assolvimento di tali obblighi, con altrettanto ragionevole esclusione di forme di responsabilità “oggettiva”, sempre e comunque a carico di uno o più tra i vertici aziendali, in caso di avvenuta lesione della salute dei lavoratori.

Riguardo all’aspetto evolutivo il saggio riprende il senso di una prima importante razionalizzazione avuta con il D.Lgs.626/94 (e il suo correttivo D.Lgs.242/96), pur riprendendo nozioni e assetti risalenti alla legislazione tecnica degli anni ‘50, per un verso, e a una consolidata elaborazione della giurisprudenza.

Ad esempio con riferimento al conservare la tradizionale “trinità” dei soggetti titolari delle posizioni di garanzia (obblighi/responsabilità) in materia di prevenzione: datore di lavoro, dirigente, preposto. O nel formalizzare la nozione di datore di lavoro e nel dare riconoscimento legislativo, anche se in maniera indiretta, all’istituto della “delega di funzioni”.

Il Testo Unico del 2008 si inserisce nel percorso e compie un altro pezzo di strada alla luce del criterio che, sulla scorta di autorevole dottrina penalistica, può definirsi come “formale-funzionale”, nel momento in cui cerca una sintesi tra il dato formale definitorio e quello sostanziale (funzionale) dell’effettiva attribuzione e sussistenza, nel soggetto, dei poteri e delle facoltà proprie della posizione formale.

Viene in primo luogo completato il quadro delle “definizioni delle figure soggettive” e si opera uno sforzo ulteriore nella distinzione del ruolo, e degli obblighi, di ciascun soggetto (e in particolare della delicata figura del preposto); viene definitivamente conferita dignità legislativa alla delega di funzioni e si legifica, rafforzandolo, lo stesso criterio di “effettività” (il soggetto che ha, come dire, sostanzialmente la posizione di datore di lavoro, dirigente o preposto in quanto ne ha i poteri, gestionali, di spesa, organizzativi, sarà il titolare di fatto degli obblighi e delle responsabilità previsti dalla legge).

Veniamo alle tre figure di datore di lavoro, dirigente e preposto.

Per quanto riguarda il datore di lavoro il legislatore perfeziona il criterio definitorio funzionale (effettività) quale criterio allo stesso tempo sussidiario e concorrente rispetto a quello formale-civilistico: per le aziende private, infatti, fermo restando il parametro formale della titolarità del rapporto di lavoro con il lavoratore, l’elemento della effettività di funzioni e poteri diviene ancora più sostanziale, attraverso il riferimento, per un verso, alla responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva e, per altro verso, all’esercizio dei poteri decisionali e di spesa; elementi tutti che sono essenziali e comunque prevalenti rispetto al dato formale (della titolarità del rapporto di lavoro), ai fini della individuazione del primo e principale responsabile degli obblighi di sicurezza in azienda.

Riguardo alla difficile individuazione del datore di lavoro nel settore delle amministrazioni pubbliche il legislatore del 2008 ha compiuto un ulteriore sforzo definitorio, che peraltro, se da un lato fa ulteriore chiarezza, dall’altro lato solleva nuove perplessità interpretative.

 

Del tutto nuove sono invece le definizioni di dirigente e preposto, introdotte per la prima nel 2008.

Benché eccessivamente generica la definizione relativa al dirigente sembra confermare che la “qualità” di dirigenti “in prevenzione” è “secondaria” e non “primaria”: come per il datore di lavoro, essa consegue cioè alla sua posizione organizzativa generale in azienda (funzioni e poteri) e non a quella specifica riferita agli obblighi di prevenzione; questi ultimi discendono dunque dai primi, e sono, per così dire, proporzionati a essi.

 

Infine, i preposti. La figura del preposto viene nettamente distinta da quella dei datori di lavoro e dei dirigenti, dai quali lo differenzia il limite di un ruolo tradizionalmente (solo) di vigilanza e controllo sulla corretta applicazione, da parte dei lavoratori, delle misure di prevenzione dai primi (datori e dirigenti) elaborate e realizzate, essendo colui che, “in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.

Il preposto è dunque una figura intermedia tra il dirigente ed i lavoratori, con compiti di prevenzione limitati alla vigilanza sul corretto (non pericoloso) svolgimento delle mansioni di competenza dei lavoratori stessi, e sulla corretta adozione delle misure di prevenzione previste e predisposte dal datore di lavoro e dal dirigente.

 

E tra l’altro si evidenzia l’attenzione dedicata dal legislatore alla formazione dei preposti, con l’introduzione di uno specifico obbligo di frequentare appositi corsi. Un onere per le aziende, che però può avere significativa rilevanza ai fini di distinguere più nettamente la figura del preposto dagli altri lavoratori dell’azienda, e dunque, indirettamente, anche ad indurre quest’ultima (nella persona del datore e del dirigente) ad individuare correttamente tali figure nell’organigramma aziendale.

Evitando in questo modo il rischio del cosiddetto “preposto di fatto”: ossia di chi, senza la debita consapevolezza, venga a trovarsi, per l’appunto “di fatto”, in quella posizione di garanzia nei confronti di altri lavoratori, e come tale ad essere destinatario di obblighi e responsabilità in prevenzione.

 

Una grande importanza assume poi, proprio ai fini dell’individuazione dei soggetti responsabili e della ripartizione degli obblighi di prevenzione, la “delega di funzioni” (articoli 16 e 17 del D.Lgs.81/08).

Anche in questo caso il legislatore non realizza nulla di particolarmente innovativo, ma vanno segnalati alcuni aspetti particolarmente significativi:

  • la previsione della necessità, oltre ai “tradizionali” requisiti di legittimità ed efficacia della delega (ora espressamente individuati nell’articolo 16) di una adeguata e tempestiva pubblicità della stessa;
  • l’esplicito raccordo funzionale della delega con la accresciuta rilevanza dei modelli organizzativo–gestionali aziendali “di prevenzione”; tant’è che la stessa norma affida al modello organizzativo, e per la precisione ai sistemi di monitoraggio e controllo a esso interni, l’efficace attuazione dell’obbligo di vigilanza che comunque residua, ai sensi dell’articolo 16, comma 3, in capo al datore di lavoro delegante;
  • la cosiddetta “subdelega”, ossia la possibilità che il soggetto delegato (dal datore di lavoro), a determinate condizioni, a sua volta trasferisca ad altri la propria posizione di garanzia.

 

Rimane ferma la indelegabilità degli obblighi del datore di lavoro più generali, di impianto ed impostazione del sistema di prevenzione in azienda (designazione del responsabile del Servizio di prevenzione e prevenzione, valutazione dei rischi e conseguente elaborazione del relativo documento aziendale).

Arrivando tuttavia alla seconda chiave di lettura, il saggio conclude che gli ulteriori sforzi definitori compiuti dal legislatore del 2008, con le modifiche del 2009 (ancor più se letti in combinato disposto con l’accresciuta rilevanza dei fattori procedurali e organizzativi, che dovrebbero consentire di trasporre concretamente in dettaglio tutta l’articolazione del “funzionigramma” aziendale) possono contribuire certamente al difficile contemperamento cui si faceva cenno, non facendo venir meno l’esigenza di correlare obblighi e responsabilità, anche penali, a posizioni individuali specifiche; ma anche lasciando sufficienti margini a chi ritiene di avere (ed effettivamente ha, ed eventualmente solo in parte) “determinati” obblighi e responsabilità, di poter essere ragionevolmente certo di quali essi siano e di averli adempiuti, e dunque di poter essere ragionevolmente esente da rischi di imputazione di eventuali responsabilità, per così dire, “in ogni caso e comunque” nel momento in cui malauguratamente si determini un evento patologico a danno della salute di persone negli ambienti di lavoro aziendali.

 

Il documento “Il quadro normativo dal Codice civile al Codice della Sicurezza sul lavoro. Dalla Massima sicurezza (astrattamente) possibile alla Massima sicurezza ragionevolmente (concretamente) applicata” dell’Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro (Olympus) è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/150128_WPO_39_massima_sicurezza_possibile.pdf

 

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CANTIERE EDILE: RISCHI, INFORTUNI E CONTRATTI D’APPALTO

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

07 aprile 2015

 

Un documento di Olympus si sofferma sui rischi nei cantieri edili e sul tema degli appalti. Gli obblighi preliminari, nella stipula e durante l’esecuzione del contratto di appalto. Le verifiche, i costi della sicurezza e le interferenze.

 

Il sito di Olympus (l’Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro, istituito presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’ Università di Urbino) non è solo ricco di sentenze e di brevi saggi, ma anche di approfondimenti e documenti elaborati dai docenti e ricercatori che afferiscono all’Osservatorio Olympus nell’ambito delle loro attività didattiche, di ricerca e di divulgazione scientifica.

E’ il caso, ad esempio, dell’approfondimento di Luigi Pastorelli, docente di teoria del rischio, dal titolo “I rischi nel cantiere edile”. Un approfondimento che oltre a offrire indicazioni sui rischi dei cantieri, stimola utili riflessioni sulle problematiche connesse alla tutela dei lavoratori e alla normativa sulla sicurezza.

Ad esempio il Pastorelli sottolinea che il cantiere edile è a tutti gli effetti un processo produttivo, particolare e specifico e questo comporta l’adozione di una serie di azioni rivolte non solo alla eliminazione e/o riduzione del rischio, ma anche alla accettabilità dello stesso da parte della Dirigenza Aziendale nel senso che il verificarsi dell’evento dannoso non è un qualcosa di ineluttabile e/o imponderabile, ma è il frutto di precise scelte o non scelte aziendali.

Il documento riporta diverse indicazioni relative ai rischi e alla loro prevenzione con riferimento a:

  • gru a torre;
  • lavori in quota;
  • tetti e coperture;
  • organizzazione del cantiere;
  • scavo e movimento terra;
  • carico materiale;
  • montaggio strutture;
  • lavori in quota/solai.

Il documento ricorda che il settore delle costruzioni è tra quelli che da sempre presentano un significativo numero di infortuni mortali.

E a tale proposito è significativo constatare che:

  • il 12% risulta verificatosi in attività di movimento terra, con uno specifico 3% avvenuto durante la fase di scavo;
  • il 48% risulta verificatosi in attività di allestimento del cantiere, con uno specifico 125 avvenuto durante il montaggio di ponteggiature.

Il documento si sofferma poi sul tema degli appalti.

Infatti la sicurezza e la salute dei lavoratori costituisce un aspetto di notevole rilevanza nell’ambito dell’appalto per l’esecuzione di opere o servizi da parte di Imprese Terze.

Il nuovo approccio ritiene che la gestione della Sicurezza e della Salute sui Luoghi di Lavoro, debba costituire parte integrante della pianificazione e dell’organizzazione del sistema produttivo denominato: cantiere edile.

E il sistema cantiere si esplica in particolare nella disamina dei seguenti aspetti aventi attinenza con la sicurezza:

  • modalità di costruzione;
  • organizzazione delle aziende e dei lavoratori autonomi;
  • formazione-informazione agli addetti;

caratteristiche delle attrezzature utilizzate.

E riguardo ai contratti di appalto, si indica che la tutela della sicurezza e della salute per le attività di appalto è assicurata tramite:

  • obblighi preliminari alla stipula del contratto di appalto: la fase preliminare alla stipula del contratto di appalto, prevede per una corretta contrattazione, diversi obblighi a carico sia del Datore di Lavoro Committente che del Datore di Lavoro Appaltatore, il cui principale avente attinenza con la tutela della sicurezza è il seguente: la verifica dell’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o subappaltatrici (come stabilito dall’articolo 26, comma 1 del D.Lgs.81/08);
  • obblighi nella stipula del contratto di appalto: la fase riferita alla stipula del contratto di appalto, prevede diversi obblighi a carico sia del Datore di Lavoro Committente che del Datore di Lavoro Appaltatore, il cui principale avente attinenza con la tutela della sicurezza è il seguente: specificare nel contratto i costi della sicurezza (come stabilito dall’articolo 26, comma 5 del D.Lgs.81/08 e definiti nell’Allegato XV del medesimo Decreto): la mancata indicazione dei Costi della Sicurezza può comportare la nullità del contratto di appalto;
  • obblighi durante l’esecuzione del contratto di appalto: la fase riferita all’esecuzione del contratto di appalto, prevede diversi obblighi a carico sia del Datore di Lavoro Committente che del Datore di Lavoro Appaltatore, il cui principale avente attinenza con la tutela della sicurezza è il seguente: l’obbligo di cooperazione e di coordinamento che si concretizza nella condivisione delle azioni per la messa in opera delle misure di prevenzione e protezione individuate nel documento per ridurre i rischi da interferenze.

Successivamente il documento si sofferma sul Committente (il soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione, che nel caso di appalto di opera pubblica, è il soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dell’appalto) e su altre figure di cui individua compiti e responsabilità:

  • responsabile dei lavori;
  • coordinatore in materia di sicurezza durante la progettazione dell’opera;
  • coordinatore in materia di sicurezza durante la realizzazione dell’opera;
  • impresa affidataria.

E il documento si sofferma anche su alcuni importanti documenti:

  • Piano Operativo di Ssicurezza (POS);
  • Piano di Sicurezza e di Coordinamento (PSC).

Concludiamo questa breve presentazione del documento di Pastorelli riportando una breve rassegna giurisprudenziale con sentenze della Corte di Cassazione relative a incidenti avvenuti nei cantieri edili:

  • Sentenza della Cassazione Penale del 03/12/97: la Suprema Corte indica che nell’esercizio dei mezzi di sollevamento e di trasporto si devono adottare tutte le necessarie misure per assicurare la stabilità del mezzo e del suo carico, in relazione al tipo del mezzo e del suo carico, della sua velocità, alle accelerazioni in fase di avviamento e di arresto ed alle caratteristiche del percorso;
  • Sentenza della Cassazione Penale del 23/10/98: la Suprema Corte fissa il principio che chi per Legge deve adottare le misure per assicurare la stabilità del mezzo e del suo carico, deve avere le suddette cognizioni tecniche;
  • Sentenza della Cassazione Penale del 18/11/97: la Suprema Corte ha ribadito il principio che è a carico del Committente il verificare l’idoneità Tecnico-Professionale dell’impresa appaltatrice in relazione ai lavori da affidare in appalto.

Il documento “I rischi nel cantiere edile” a cura del professor Luigi Pastorelli, pubblicato dal sito dell’Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro (Olympus) è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/150407_rischi_cantiere_edile.pdf

 

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