L’impronta ecologica delle strutture e dei servizi sanitari – Rete Sostenibilità e Salute

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COMUNICATO STAMPA DEL 18 MARZO 2019

I servizi sanitari, a cominciare dagli ospedali, contribuiscono in maniera significativa all’impronta
ecologica e quindi ai cambiamenti climatici che, oltre a causare danni all’ambiente, ne causano alla salute delle popolazioni. Come un cane che si morde la coda, i servizi sanitari devono prendersi cura di disturbi e malattie che sono in parte causati da essi stessi, in aggiunta ad altri e più noti danni da iatrogenesi. L’impronta ecologica dei servizi sanitari è dovuta alle loro attività, ai prodotti e alle tecnologie che usano, all’energia e alle risorse materiali che consumano, ai rifiuti che generano, agli edifici che costruiscono e occupano.
Questa impronta ecologica si può misurare e la si può suddividere per settore e attività da cui proviene. Dopo
averla misurata, è possibile prendere misure per ridurla, agendo prioritariamente sui settori e le attività che ne sono responsabili, con priorità per quelli e quelle a maggiore impatto.
La Rete Sostenibilità e Salute (RSS) ha analizzato e riassunto ciò che si sa sull’argomento, mostrando come, per esempio, il servizio sanitario inglese abbia emesso, nel 2015, 22.8 milioni di tonnellate equivalenti di anidride carbonica (MtCO2eq), con un aumento annuale costante dal 1992, anno in cui sono iniziate le misurazioni. Negli USA, sono stati emessi nel 2013 655 milioni di MtCO2eq; si stima che ciò corrisponda, in termini di salute, a una perdita di 470.000 anni di vita aggiustati per disabilità. Revisioni della letteratura sull’argomento mostrano che i servizi sanitari sono responsabili di circa il 3% dell’impronta ecologica totale in Gran Bretagna e di circa l’8% negli Stati Uniti. Non ci sono dati per l’Italia, ma è probabile che si navighi sulle stesse cifre.
Per fortuna, afferma il curatore del documento Adriano Cattaneo, “c’è modo di ridurre questa impronta ecologica, e molti ospedali e servizi nel mondo si stanno già impegnando a mettere in atto misure, elencate nel documento della RSS, che permettano di raggiungere l’obiettivo.
Quello che ci vuole è soprattutto volontà politica e la costruzione di una rete che permetta di scambiare esperienze e apprendere da quelli che possono mostrare risultati positivi”. La RSS spera che anche in Italia si dia inizio a percorsi che permettano di porsi seriamente il problema di come ridurre l’impronta ecologica di ospedali e servizi sanitari. A tal fine, invita ospedali e servizi sanitari interessati all’argomento, e che abbiano realizzato o intendano realizzare progetti miranti a ridurre la loro impronta ecologica, a mettersi in contatto con la rete (rete@sostenibilitaesalute.org) al fine di diffondere metodi e risultati e di stimolare altre realtà ad intraprendere lo stesso cammino.

La Rete Sostenibilità e Salute

Rete Sostenibilità e Salute: chi siamo?
Siamo un insieme di associazioni che da anni si impegnano in maniera critica per proteggere,
promuovere e tutelare la salute. Ogni associazione ha la sua storia e le sue specificità, ma siamo
accomunati da una visione complessiva della salute e della sostenibilità.
1. NoGrazie
2. Associazione Dedalo 97
3. Associazione di studi e informazione sulla salute – AsSIS
4. Associazione Frantz Fanon
5. Associazione Medici per l’Ambiente – ISDE Italia
6. Associazione per la Decrescita
7. Associazione Scientifica Andria
8. Centro Salute Internazionale-Università di Bologna
9. Federspecializzandi
10. Fondazione Allineare Sanità e Salute
11. Fondazione per la Salutogenesi ONLUS
12. Giù le Mani dai Bambini ONLUS
13. Italia che cambia
14. Medicina Democratica ONLUS
15. Movimento per la Decrescita Felice
16. Osservatorio e Metodi per la Salute, Università di Milano-Bicocca
17. People’s Health Movement
18. Psichiatria Democratica
19. Rete Arte e Medicina
20. Rete Mediterranea per l’Umanizzazione della Medicina
21. Slow Food Italia
22. Slow Medicine
23. SIMP Società Italiana di Medicina Psicosomatica
24. Sportello Ti Ascolto – Rete di Psicoterapia Sociale
25. Vivere sostenibile

L’impronta ecologica delle strutture e dei servizi sanitari
Curatore della redazione per la RSS: Adriano Cattaneo

Introduzione
I servizi sanitari, a cominciare dagli ospedali, contribuiscono in maniera significativa all’impronta ecologica (nei terreni, nelle acque, in atmosfera) e quindi ai cambiamenti climatici che, oltre a causare danni all’ambiente, ne causano alla salute delle popolazioni.(1) Come un cane che si morde la coda, il servizio sanitario deve prendersi cura di disturbi e malattie che sono in parte causati dal servizio stesso (in aggiunta ad altri e più noti danni da iatrogenesi). L’impronta ecologica dei servizi sanitari è dovuta alle loro attività, ai prodotti e alle tecnologie che usano, all’energia e alle risorse materiali che consumano, ai rifiuti che generano, agli edifici che costruiscono e occupano. Questa impronta ecologica si può misurare e la si può suddividere per settore e attività da cui proviene. Dopo averla misurata, è possibile prendere misure per
ridurla, agendo prioritariamente sui settori e le attività che ne sono responsabili, con priorità per quelli e quelle a maggiore impatto.

Calcolare l’impronta ecologica
Che si sappia, non esiste una stima dell’impronta ecologica dei servizi sanitari italiani, né a livello nazionale, né a quello regionale o locale, né in singole strutture o settori di attività. In ciò, l’Italia è in ritardo rispetto ad altri paesi:
• In Inghilterra, l’impronta ecologica del SSN è misurata fin dal 1992. Da quell’anno al 2004 era aumentata del 26% ed era stata quantificata in 18.6 milioni di tonnellate equivalenti di anidride carbonica (MtCO2eq), il 25% di tutte le emissioni del settore pubblico.(2) Di queste 18.6 MtCO2eq, il 60% erano attribuite ai materiali acquistati e usati, il 22% all’energia consumata, il 18% a viaggi e trasporti. Nonostante qualche tentativo per
ridurla,(3) l’impronta ecologica era salita a 22.8 MtCO2eq nel 2015, il 23% in più rispetto al 2004. (4) L’impronta ecologica è ormai misurata regolarmente in molti ospedali. (5) Ed è sempre più spesso misurata anche per specifici settori di attività, come per esempio la nefrologia e la terapia intensiva.(6,7)
• Negli USA, uno studio ha valutato l’impronta ecologica dei servizi sanitari nei 10 anni intercorrenti tra il 2003 e il 2013.(8) La quantità di MtCO2eq è aumentata del 56%, dai circa 420 milioni del 2003 ai 655 del 2013, raggiungendo quasi il 10% del totale nazionale di emissioni rispetto al 7% del 2003. Nel 2013, gli ospedali contribuivano con il 36% delle emissioni, seguiti dai servizi ambulatoriali (12%) e dai farmaci (10%). Gli autori hanno anche stimato i danni alla salute causati da queste emissioni: una perdita di 470.000 DALY (anni
di vita aggiustati per disabilità).
• Più recentemente, l’impronta ecologica dei servizi sanitari è stata misurata anche in Canada.(9) Tra il 2009 e il 2015 i servizi canadesi hanno emesso 33 MtCO2eq, il 4.6% del totale nazionale, oltre a 200.000 tonnellate di altri contaminanti, con una perdita di circa 23.000 DALY.
• Infine l’Australia, che tra il 2014 e il 2015 ha emesso circa 35 MtCO2eq, il 7% del totale nazionale.(10) I 5 settori maggiormente responsabili di queste emissioni sono stati gli ospedali pubblici (34%), quelli privati (10%), i farmaci non passati dal SSN (9%), quelli passati dal SSN (9%) e le spese capitali per costruzioni (8%).
Tra gli studi di settore, interessante quello che ha calcolato l’impronta ecologica dei servizi di chirurgia in 3 ospedali universitari di Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna.(11) Nel 2011, la chirurgia dell’ospedale britannico ha emesso quasi 5.2 MtCO2eq, quello statunitense quasi 4.2, quello canadese 3.2. In base all’area occupata, tuttavia, l’ospedale britannico aveva le minori emissioni, 1702 kgCO2eq per metro quadrato, contro i 1951 dell’ospedale canadese e i 2284 di quello statunitense. In base al volume di attività, invece, l’ospedale canadese aveva le emissioni minori, 146 kgCO2eq per paziente trattato, contro i 173 dell’ospedale britannico e i
232 di quello statunitense. I consumi di gas anestetici e di energia erano i maggiori responsabili dell’impronta ecologica nei 3 ospedali, e le differenze in emissioni tra loro era dovuta soprattutto all’uso più o meno razionale di gas anestetici ed energia, a dimostrazione che è possibile ridurre l’impronta ecologica, se si vuole.
Sul tema ci sono anche un paio di revisioni sistematiche. La prima, del 2012, ha analizzato la letteratura in lingua inglese, proveniente soprattutto da Gran Bretagna e Stati Uniti, con qualche articolo proveniente da Grecia, Spagna, Polonia, Malesia e Tailandia. (12) I dati aggregati provenienti da 38 pubblicazioni, su 497 inizialmente identificate (in maggioranza editoriali, commenti o punti di vista), mostrano che i servizi sanitari sono responsabili di circa il 3% dell’impronta ecologica totale in Gran Bretagna e di circa l’8% negli Stati Uniti. In Gran Bretagna sono l’acquisizione di materiali e attrezzature e l’eliminazione dei rifiuti a contare per circa il 60% delle emissioni, con un 20% di queste attribuite ai famaci. Negli USA, il 46% dell’impronta ecologica dei servizi sanitari riguarda il consumo di energia, soprattutto negli ospedali. La revisione cita anche alcune comparazioni tra approcci medici o chirurgici per il riflusso gastrico, tra due procedure per il trattamento della cataratta, tra l’eliminazione e il riuso dell’acqua usata per la dialisi renale, tra diversi metodi di scaldare l’acqua per le sale operatorie, tra le classiche visite ambulatoriali e la telemedicina; tutti esempi interessanti su come sia possibile ridurre l’impronta ecologica con accorgimenti medici e organizzativi fattibili. La seconda, del 2014, ha analizzato 76 articoli, dopo averne identificati 193, per stabilire priorità per politiche, pratiche e ricerca in tema di ospedali sostenibili.(13) Mentre la ricerca per un’edilizia ospedaliera più “verde” è relativamente avanzata, molto resta da fare per migliorare tecnologie e prodotti, farmaci in particolare, soprattutto per quanto riguarda consumi di energia e acqua. Ancora meno si sa dei fattori clinici, psicologici e sociali che influenzano comportamenti poco sostenibili degli operatori sanitari, medici in particolare. È probabile che si possano raggiungere risultati migliori, e più velocemente, agendo sulla prevenzione e sulla domanda, più che sull’offerta di prestazioni sanitarie e sulle procedure delle stesse.
Calcolare l’impronta ecologica di ospedali e servizi sanitari è quindi possibile: Se nessuno lo fa in Italia è perché manca la volontà politica di farlo, visto che in altri settori qualche calcolo è stato fatto. La RSS raccomanda che ministeri competenti e regioni adottino un metodo standard di calcolo dell’impronta ecologica e comincino a usarlo su campioni di ospedali e aziende sanitarie, e possibilmente in qualche regione. I risultati serviranno da un lato a sensibilizzare cittadini e operatori sanitari a ridurla, dall’altro come base per misurare progressi futuri, ottenibili applicando alcuni degli interventi e delle strategie descritte e analizzate nella prossima sezione.

Ridurre l’impronta ecologica
In un breve articolo pubblicato nel 2008, gli autori suggerivano 10 passi concreti, alla portata di tutti i medici, per combattere i cambiamenti climatici.(14) Tra questi 10 passi, alcuni riguardavano i comportamenti da assumere:
• Usare meno energia isolando tetto, pareti e pavimento
• Spegnere le luci
• Ridurre l’acquisto di beni e servizi
• Guidare e volare meno, camminare, pedalare o usare trasporti pubblici
• Frequentare meno congressi, soprattutto internazionali, dando preferenza alle teleconferenze
• Influenzare i menu chiedendo prodotti locali, meno carne e meno cibi processati
• Bere acqua del rubinetto.

Comportamenti simili sono raccomandabili anche per altri tipi di operatori sanitari, come ad esempio gli infermieri.(15) Si tratta di comportamenti individuali salubri ed esemplari che possono essere facilmente trasformati in comportamenti e interventi collettivi e strutturali. Come proposto, a un vertice su clima e salute svoltosi nel 2012 a Durban, Sud Africa, da una coalizione di oltre 500 ONG da più di 50 paesi che ha presentato una road map per ospedali e servizi sanitari per ridurre le emissioni di CO2 e rendere più “verde” la medicina:(16)
1. Dare priorità alla salute ambientale
2. Sostituire le sostanze chimiche dannose con alternative più sicure
3. Ridurre e mettere in sicurezza lo smaltimento dei rifiuti
4. Utilizzare l’energia in modo efficiente e passare a energie rinnovabili
5. Ridurre il consumo di acqua
6. Migliorare le strategie di viaggio
7. Acquistare e servire cibo coltivato in modo sostenibile
8. Gestire e smaltire i farmaci in modo sicuro
9. Adottare una progettazione e costruzione più “verde” degli edifici
10. Acquistare prodotti più sicuri e più sostenibili.

Nel frattempo l’OMS, in collaborazione con Health Care Without Harm, una rete di associazioni nata negli USA ma ora attiva a livello globale,(17) aveva pubblicato un documento con esempi di azioni specifiche suddivise in 7 categorie:(18)
1. Efficienza energetica: ridurre i consumi e i costi con sistemi più efficienti e conservazione dell’energia.
2. Edilizia “verde”: costruire ospedali adatti al clima locale e a basso consumo di energia, in luoghi facili da raggiungere con trasporti puliti.
3. Energie alternative: produrre e consumare energia pulita e rinnovabile, possibilmente prodotta in loco.
4. Trasporti: usare meno carburante, incoraggiare il camminare, il pedalare e l’uso di trasporti pubblici per raggiungere i servizi, sia per gli utenti sia per gli operatori.
5. Cibo: fornire prodotti locali e sostenibili per utenti e personale.
6. Rifiuti: ridurre, riusare, riciclare, compostare e usare alternative all’incenerimento.
7. Acqua: conservarla ed evitare l’acqua in bottiglia, se possibile.

I numerosi esempi e le raccomandazioni incluse in ognuno dei 7 capitoli erano rivolte ai politici, ma anche ai gestori, agli operatori e agli utenti dei servizi sanitari.
Nel 2016, l’ufficio europeo di Health Care Without Harm ha pubblicato un altro documento su come ridurre l’impronta ecologica di ospedali e servizi sanitari.(19) Usando esempi da Francia, Germania, Gran Bretagna, Svezia e Marocco, Health Care Without Harm rinnova le raccomandazioni di cui sopra in relazione a energia, edilizia, trasporti, rifiuti, cibo e acqua, e raccomanda, in relazione alle politiche, di:
• Rendere più rigorosa la legislazione sulle emissioni di gas serra, con scadenze temporali più stringenti.
• Tassare in maniera progressiva chi non rispetta i limiti, a favore di tecnologie alternative pulite.
• Eliminare progressivamente l’uso di fossili per produrre energia, dando priorità alla produzione di energie pulite di vicinanza.
• Promuovere l’elettrificazione dei trasporti.

Inoltre, ospedali e servizi sanitari dovrebbero rivedere i loro sistemi per il rifornimento di farmaci e altri materiali, scegliendo le alternative più “verdi”. Le stesse raccomandazioni pratiche sono promosse globalmente e monitorate da Global Green and Healthy Hospitals, una rete con più di 1000 membri da oltre 50 paesi promossa da Health Care Without Harm.(20)Negli USA, un’altra rete di ospedali e istituzioni sanitarie, Practice Greenhealth,(21) offre agli aderenti una serie di strumenti che permettono di calcolare la loro impronta ecologica, pianificare e mettere in atto interventi miranti a ridurla, e verificare i progressi per modificare i piani creando circoli virtuosi.
Infine, non mancano i ricercatori che sviluppano modelli teorici, da applicare e valutare, per una gestione più “verde” di ospedali e servizi sanitari.(22,23) Per concludere, se gli operatori sanitari, a cominciare dai medici, cominciassero a cambiare in massa il loro comportamento, potrebbero con il loro esempio ispirare cambiamenti sociali e ambientali più ampi e più rapidi. Se la riduzione dell’impronta ecologica diventasse routine in tutti gli ospedali e i servizi sanitari, si potrebbe avere un effetto di trasformazione dei comportamenti, come è accaduto con il fumo. Perché non ci si impegna a sufficienza in questo senso? Contano sicuramente il senso di impotenza e la mancanza di tempo. Potrebbero servire degli incentivi finanziari, per premiare operatori e servizi virtuosi? Ciò che è certo è che sarebbe tecnicamente possibile una riduzione a breve termine delle emissioni anche all’interno del quadro esistente, senza compromettere gli standard di cura, applicando il principio “meno è meglio”. Tagli maggiori potrebbero essere raggiunti con ristrutturazione e sostituzione di edifici, trasformando il modo di viaggiare, passando alle energie rinnovabili, massimizzando l’efficienza negli acquisti, e minimizzando i rifiuti. A complicare il tutto c’è il fatto che i nostri indicatori non tengono ancora conto delle conseguenze inutili e dannose dell’attività economica. Nel modello basato sul PIL, l’aumento dei costi dell’assistenza sanitaria è parte integrante di una crescita economica ritenuta positiva, anche se include una grande quantità di sprechi per cure inefficaci e inutili.

E in Italia?
Come scritto sopra, il nostro paese sembra arretrato su questo come su altri temi. Cercando su internet è impossibile trovare articoli su ricerche effettuate in tema di impronta ecologica di ospedali e servizi sanitari, e non è facile nemmeno trovare articoli non scientifici. La rivista Altreconomia ha affrontato il problema nel 2017, riportando esperienze europee di alcune delle quali abbiamo scritto nelle sezioni precedenti. (24) Per l’Italia, Altreconomia cita l’esempio dell’Emilia Romagna e del suo programma “Il Servizio sanitario regionale per lo sviluppo sostenibile”, con cui si impegna a ridurre il peso ambientale del servizio sanitario regionale e a promuovere un uso razionale dell’energia. Qualcosa di più su questo programma lo si può capire spulciando il sito internet della regione.(25) Sono apparentemente in atto alcune linee di progetto su vari temi: per esempio, consumo di energia e di acqua, gestione dei rifiuti, sistema di acquisti. Ma non si trovano ancora rapporti sui risultati. Meglio che nelle altre regioni, ma siamo ben lontani dall’aver raggiunto obiettivi di riduzione dell’impronta ecologica.
Con questo documento la RSS spera di contribuire a iniziare percorsi, a livello nazionale, regionale e locale, che permettano anche al nostro paese di porsi seriamente il problema di come ridurre l’impronta ecologica di ospedali e servizi sanitari. A tal fine, la RSS invita ospedali e servizi sanitari interessati all’argomento, e che abbiano realizzato o intendano realizzare progetti miranti a ridurre la loro impronta ecologica, a mettersi in contatto con la rete (rete@sostenibilitaesalute.org) al fine di diffondere metodi e risultati e di stimolare altre realtà ad intraprendere lo stesso cammino.

La Rete Sostenibilità e Salute

1 Watts N, Adger WN, Ayeb-Karlsson S et al. The Lancet Countdown: tracking progress on health and climate change. Lancet 2017; 389: 1151–64
2 Saving carbon, improving health: NHS carbon reduction strategy. National Health Service, Sustainable Development Unit, Cambridge, January 2009
3 https://www.theguardian.com/environment/2009/may/26/nhs-carbon-emissions
4 https://www.sduhealth.org.uk/policy-strategy/reporting/nhs-carbon-footprint.aspx
5 Vedi per esempio www.meht.nhs.uk/EasySiteWeb/GatewayLink.aspx?alId=22743
6 Connor A, Lillywhite R, Cooke MW. The carbon footprint of a renal service in the United Kingdom. QJM
010;103:965-75
7 Pollard AS, Paddle JJ, Taylor TJ, Tillyard A. The carbon footprint of acute care: how energy intensive is critical care? Public Health 2014;128:771-6
8 Eckelman MJ, Sherman J. Environmental impacts of the U.S. health care system and effects on public health. PLoS ONE 2016;11(6): e0157014
9 Eckelman MJ, Sherman JD, MacNeill AJ. Life cycle environmental emissions and health damages from the Canadian
healthcare system: An economic-environmental-epidemiological analysis. PLoS Med 2018;15(7):e1002623
10 Malik A, Lenzen M, McAlister S, McGain F. The carbon footprint of Australian health care. Lancet Planet Health 2018;2: e27–35
11 MacNeill AJ, Lillywhite R, Brown CJ. The impact of surgery on global climate: a carbon footprinting study of operating theatres in three health systems. Lancet Planet Health 2017;1:e381–88
12 Brown LH, Buettner PG, Canyon DV. The energy burden and environmental impact of health services. Am J Public Health 2012;102:e76–e82
13 McGain F, Naylor C. Environmental sustainability in hospitals: a systematic review and research agenda. J Health Serv Res Policy 2014;19(4):245-52
14 Griffiths J, Hill A, Spiby J, Stott R. Ten practical steps for doctors to fight climate change. BMJ 2008;336:1507
15 https://climateandhealthtoolkit.org/healthcare-facilities/
16 Moynihan R. The greening of medicine. BMJ 2012;344:d8360
17 https://noharm-global.org/
18 WHO/Health Care Without Harm. Healthy hospitals, healthy planet, healthy people: addressing climate change in healthcare settings. WHO, Ginevra, 2009
19 Health Care Without Harm. Reducing healthcare’s climate footprint: opportunities for European hospitals and health systems. Brussels, 2016
20 Global Green and Healthy Hospitals. Annual report 2017 https://www.greenhospitals.net/wpcontent/uploads/2018/02/GGHH-Annual-Report-2017-FINAL_Spreads.pdf
21 https://practicegreenhealth.org/
22 Pollard AS, Taylor TJ, Fleming LE et al. Mainstreaming carbon management in healthcare systems: a bottom-up modeling approach. Environ Sci Technol 2013;47(2):678-86
23 Duane B, Taylor T, Stahl-Timmins W et al. Carbon mitigation, patient choice and cost reduction: triple bottom line optimisation for health care planning. Public Health 2014;128(10):920-4
24 https://altreconomia.it/sostenibilita-salute/
25 http://ambiente.regione.emilia-romagna.it/primo-piano/2010/settembre/ospedali-piu-sostenibili

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