CONTRO IL CAPITALISMO PER SALVARE IL CLIMA (E NOI STESSI)

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Proponiamo, per gentile concessione di “la città invisibile” (https://www.perunaltracitta.org/la-citta-invisibile/) un intervento del vicepresidente di Medicina Democratica Gian Luca Garetti.

Contro il capitalismo per salvare il clima

“Siamo cresciuti bombardati dal messaggio che non c’è un’alternativa al sistema merdoso che sta destabilizzando il pianeta e ammassando immense ricchezze là in cima”.
Questo brano ed il titolo dell’articolo, sono tratti dall’ultimo libro di Naomi Klein, Il mondo in fiamme, edito da Feltrinelli, Milano settembre 2019, 280 pagine, 18 euro. Un libro molto interessante, composto da lunghi reportage, momenti di riflessione, e discorsi tenuti e scritti nell’arco dell’ultimo decennio, dalla pluripremiata reporter e scrittrice militante del movimento globale per il clima.
La prospettiva della Klein, è anglosferica, cioè più centrata agli USA (terzo produttore di gas serra pro capite al mondo, nel 2014), alla GB, al Canada (maggiore produttore mondiale di gas serra pro capite nel mondo, nel 2014), all’Australia (secondo produttore mondiale di gas serra, nel 2014),ma è molto utile, per riparlare di emergenza climatica, ma anche di disuguaglianze economiche, di grandi opere, in vista del Terzo Sciopero Mondiale per il clima del 27 settembre.
Il ritorno dell’estrema destra
In questa epoca di mari che salgono anche il fascismo è in ascesa. Anche la mappa politica è clamorosamente cambiata, scrive la Klein, in questo decennio, con il ritorno di un’estrema destra sempre più violenta, una forza che sta accrescendo il proprio potere in tutto il pianeta attizzando l’odio contro le minoranze etniche, religiose, razziali, manifestando spesso un atteggiamento xenofobo, nei confronti del crescente numero di persone costrette a lasciare la propria patria.
L’ ecofascismo
Lo stress climatico è la causa della migrazione di milioni di persone. Si calcola che dal 2000 al 2018 i disastri naturali hanno determinato lo sfollamento di 265 milioni di persone (Fonte: International Displacement Monitoring). Attenzione quindi all’ecofascismo etnonazionalista. Siamo all’alba della barbarie del clima, delle dottrine suprematiste, delle idee tossiche, di cui si fanno araldi i tweet dell’ arraffone Trump:’ il nostro paese è PIENO!!’ e quelli del suo squallido imitatore Salvini, che chiudeva i porti.
Ci restano solo 11 anni
Dal 1850 ad oggi la temperatura media terrestre è cresciuta di 1 grado centigrado ( Fonte: Elaborazione dati Nasa). Dal 2016 al 2018 la concentrazione di CO2 in atmosfera è stata sempre più alta ( Fonte www. co2 earth, luglio 2018 ). Siamo in piena corsa verso un surriscaldamento del pianeta di 3-5˚C entro la fine del secolo. Questi sono i tempi dettati dal Rapporto IPCC (vedi poi), che ha suonato il campanello d’allarme nel 2108, chiarendo che centinaia di milioni di vite dipendono da ogni mezzo grado di riscaldamento che consentiamo oppure evitiamo. La battaglia non è per un’astrazione chiamata “Terra”, qui stiamo combattendo per non morire. Ma non si può tenere separata la polluzione climatica dalle concatenazioni di sfruttamento socioeconomico che la sottendono e dalla polluzione mentale: l’ecologia sarà in primo luogo mentale o sociale, o non sarà nulla, diceva Félix Guattari.
Il neoliberismo è il killer
C’è un conflitto insanabile tra il clima e le ragioni del capitale: produrre in qualunque modo per fare profitto, spremendo e passando al tritacarne gli esseri umani e la natura. Bisogna pensare alla fine del mondo ed alla fine del mese, a misure che abbassino le emissioni e le disuguaglianze, per riparare il nostro rapporto con la Terra che si sta scaldando e quello con gli altri. Il cambiamento climatico è una crisi prodotta da un eccesso di gas serra nell’atmosfera causata dalla mentalità estrattiva di decenni di predominio neoliberista, che considera sia il mondo naturale che la maggioranza dei suoi abitanti solo risorse da sfruttare e poi scartare, ma è anche una crisi di empatia.
Non stanno scomparendo soltanto le specie, sta scomparendo anche la solidarietà. Perché non sono solo i supporti vitali del nostro pianeta a sfaldarsi davanti ai nostri occhi. E’ il nostro tessuto sociale che si sta distruggendo su molti fronti. Non usciremo da questa crisi senza trasformare la nostra visione del mondo ad ogni livello, una trasformazione che vada verso lo spirito della cura e della riparazione. Riparare la Terra, riparare le relazioni fra le nazioni, fra le persone, e quelle con noi stessi. Verso un ordine planetario che non ponga al centro la ricerca della crescita e del profitto a tutti i costi.
Fuori dal capitalismo l’umanità è perfettamente in grado di organizzare le società affinchè prosperino entro i limiti ecologici.
Perché i fattori che stanno distruggendo il nostro pianeta stanno anche distruggendo la qualità della vita della gente in tante altre maniere, dalla stagnazione degli stipendi, all’aumento delle disuguaglianze ai servizi in disarmo fino alla distruzione di qualsiasi coesione sociale. Affrontare questi fattori sottostanti ci da l’occasione di risolvere in un colpo solo parecchie crisi intrecciate.
L’aumento delle disuguaglianze
Questa crisi è creata in netta prevalenza dagli strati più ricchi della società: quasi il 50% delle emissioni globali è prodotta dal 10% più ricco della popolazione mondiale ed il 20% più ricco è responsabile del 70%.
I bersagli delle crisi climatiche e dell’aria satura di particolati, sono rappresentati da sottogruppi di popolazione svantaggiati: poveri, bambini, malati, anziani.
I fattori inquinanti del clima sono invisibili e noi abbiamo smesso di credere a ciò che non possiamo vedere.
Nel Report dell’ AEA (Agenzia europea per l’ambiente) del febbraio 2019, https://www.eea.europa.eu/publications/unequal-exposure-and-unequal-impacts, si dice che l’inquinamento atmosferico (Pm2,5; NOX; O3), l’inquinamento acustico, le temperature estreme, impattano in modo sproporzionato sulle fasce più deboli della popolazione ,da un punto di vista socio-economico, da un punto di vista di età anagrafica e da un punto di vista immunitario. Cioè l’impatto delle emissioni climalteranti antropogeniche (es. anidride carbonica, metano), dei macroinquinanti (es. polveri sottili, biossido di azoto, ozono) e dei microinquinanti (es. diossine, IPA, PCB, benzene), che sono fra loro strettamente intrecciati, si fa sentire in modo più grave dove i redditi e l’istruzione sono più bassi, dove i tassi di disoccupazione sono superiori alle medie, e dove i sistemi immunitari sono deficitari, come negli anziani, nei malati cronici, nei bambini, nei neonati.
Sempre nel 2019, a sottolineare l’importanza del tema disuguaglianze, è uscito anche il Report dell’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità), intitolato: Environmental health inequalities in Europe. Second assessment report http://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=1018975.pdf
Nella relazione si conferma che le disuguaglianze sociali determinano un impatto maggiore dell’ l’inquinamento atmosferico sulle classi svantaggiate. Avvalendosi della tecnica del biomonitoraggio, si è visto che le concentrazioni di particolato (PM) e di metalli pesanti, sono molto più elevate nei bambini che vivono in aree socialmente svantaggiate.
Il momento chiave del collasso climatico: gli anni ottanta
Negli anni ottanta avevamo già a disposizione validi dati scientifici ma fummo incapaci di affrontare la crisi climatica globale. Nel 1988, James Hansen , direttore del Goddard Institute for Space Studies della Nasa, testimoniò di essere sicuro al 99%’ del real trend verso il riscaldamento collegato all’attività umana; a Toronto ci fu la prima Conferenza mondiale sul cambiamento atmosferico e da allora le emissioni globali di CO2 sono salite ben più del 40% e continuano la scalata ; tenne la sua prima seduta il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (IPCC), principale organismo di consulenza dei governi sulla minaccia climatica. Quell’ l’IPPC, vincitore del Nobel per la pace, che poi nel 2018 ha pubblicato il suo rapporto epocale nel quale si dice della necessità di mantenere il riscaldamento sotto 1,5˚C e che le emissioni globali devono essere dimezzate in meno di 12 anni, per arrivare a zero emissioni di CO2 entro il 2050. Quell’ IPPC, che fornisce anche informazioni su come il cambiamento climatico stia influenzando gli ecosistemi oceanici, costieri, polari e montani. Lo scioglimento dei ghiacciai, che sta avvenendo ad una rapidità imprevista ed il conseguente innalzamento del livello del mare, può provocare la sommersione della Florida, dei Paesi Bassi, di intere nazioni insulari come le isole Fiji. (IPPC, Report Speciale sugli Oceani e la Criosfera in un Clima in Cambiamento- SROCC)
L’allarme era suonato trent’anni fa, negli spumeggianti anni ottanta, ma invano.
Eravamo davvero ad un passo dalla nostra salvezza negli anni ottanta, ma siamo stati travolti da un’ondata di fanatismo elitario –liberista, che ha costruito una società sempre più disuguale e antidemocratica.
La buona notizia
E’ che oggi, a differenza degli anni ottanta stanno crescendo movimenti di giovani, per combattere le crisi della nostra epoca, l’imminente disastro ecologico, la sesta estinzione di massa, l’allargarsi della disuguaglianza economica ( comprese le differenze razziali e di genere nel reddito), l’ascesa del suprematismo bianco, della violenza sulle donne, le guerre infinite ( che hanno un grande ruolo nell’aumento delle emissioni). Da Greta Thunberg, che è stata la scintilla, ai londinesi Extinction Rebellion che hanno scatenato azioni dirette di disobbedienza civile dichiarando l’emergenza climatica, agli statunitensi Sunrise Movement, che hanno costretto più della metà dei politici democratici statunitensi a firmare un patto zero soldi ai combustibili fossili.
Il cambiamento chiave
Sta in una visione olistica della trasformazione sociale ed economica. Il cambiamento climatico è un problema collettivo, ed esige interventi collettivi di una portata che l’umanità non ha mai realmente raggiunto. L’azione dei singoli non sarà mai una risposta adeguata alla crisi climatica: hai voglia di riciclare e cambiare lampadine! Abbiamo bisogno di transizioni che prevedano severi limiti all’estrazione ed in contemporanea creino nuove opportunità di significato alla vita della gente, per un buen vivir, per una buona vita opposta a quella del sempre di più, del consumo infinito, in cui i soldi vengono spesi nella merda usa e getta importata dalla Cina e destinata alle discariche e all’obsolescenza programmata.
Si impone di cambiare immediatamente e radicalmente il modo in cui le nostre società producono l’energia, come coltiviamo e alleviamo il nostro cibo, come ci spostiamo, come sono costruiti i nostri palazzi. Servono rapidi, ampi e inediti cambiamenti in tutti gli aspetti della nostra società. Non soluzioni mercatiste, di green washing, per fare affari sfruttando l’emergenza del pianeta caldo: il cosiddetto capitalismo del disastro.
A proposito dei settori di provenienza del gas serra, ricordiamo che la produzione di energia termica ed elettrica è al primo posto col 35%, seguita dall’’industria, col 32%, seguita dagli allevamenti intensivi col 14%, dall’agricoltura col 10%, seguita dalle abitazioni col 19%; dai trasporti col 14%. Secondo i dati IPCC 2014 (la quota attribuita all’energia è ripartita anche nell’industria, nelle abitazioni).
Per quanto possiamo essere svelti ad abbassare le emissioni, farà sempre più caldo e le tempeste saranno più violente. Uragani, tempeste..Vediamo sempre più spesso infrangere i record perché gli oceani sono più caldi e le marre più alte.
Per cui fondamentale sarà la capacità di apportare norme di sussistenza, quali sicurezza del posto di lavoro, sanità per tutti, assistenza dell’infanzia, istruzione e alloggio, se vogliamo creare un contesto in cui si risolva alla fonte, la galoppante insicurezza economica della nostra era.
A noi servono tutte le misure possibili per abbassare le emissioni e ci servono adesso. Significa come ha confermato con tanta forza l’IPPC, che non riusciremo a farlo se non siamo disposti ad accettare un mutamento economico e sociale sistemico.
Il piano antincendio: il New Green Deal ?
Abbiamo già scaldato il nostro mondo a livelli di guardia e ancora i nostri governi si rifiutano di fare di afre le scelte necessarie per fermare la tendenza.
Non si tratta di far finta di puntare una pistola ad acqua su un incendio, e poi costruire un grande e nuovo aeroporto, come per esempio si vorrebbe fare qui nella Piana fiorentina, dove i politici fanno finta di aver capito e poi continuano a fare i loro affari.
La proposta cui allude Naomi Klein, è un piano onnicomprensivo ed olistico, per spegnere sul serio il rogo. Qualcosa da creare insieme. Una meta comune, verso un luogo migliore di quello attuale. Un collegamento profondo fra le persone ammalate dal capitalismo ed il pianeta che si sta scaldando. Un progetto non alla portata dei partiti, i cui componenti hanno le arterie ostruite, ma che necessita di tutti quei vari movimenti che scendono in piazza per difendere il mondo in fiamme insieme a tanti diversi tipi di cantastorie: artisti, psicologi, leader religiosi, storici e altro. Per cantare storie che facciano cessare una volta per tutte il mito dell’inesauribilità della Terra.
Costruiamo un New Green Deal globale, e questa volta per tutti.
Ci serve l’energia eolica e solare distribuita e ,ove possibile, di propietà comune…ci servono case popolari ben progettate etnicamente integrate e a zero emissioni….dobbiamo devolvere potere e risorse ai piccoli agricoltori, ai piccoli allevatori [sono indispensabili rapidi progressi verso una profonda trasformazione dell’agricoltura, verso l’agroecologia, dismettendo l’allevamento intensivo e un uso diverso della silvicoltura e dell’uso del suolo] a chi fa pesca sostenibile perché possano pilotare una campagna di impianto di miliardi di alberi, bonifica delle paludi e ripristino del suolo..
Ci vorrà molto più di una carbon tax o del cap-and –trade [ scambio di quote di emissioni, crediti di carbonio, foreste a compensazione di CO2]. Ci vorrà una guerra a tutto campo all’inquinamento e alla povertà e al razzismo e al colonialismo e alla disperazione, tutto in un colpo.
Il nostro slogan dovrebbe essere: lasciate nel suolo il petrolio ed il gas, ma non lasciate a spasso alcun lavoratore.
Possiamo creare centinaia di milioni di ottimi posti di lavoro in tutto il mondo, investire nella comunità e nelle nazioni più sistematicamente emarginate, garantire sanità ed assistenza all’infanzia pubbliche, e tanto altro.
Siamo ancora in tempo
Il futuro non ha imboccato una strada obbligata, non siamo condannati, a meno che noi scegliamo di esserlo.

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