Intervento di Natascia Crispino

Ascolta con webReader

150_salute_lavoroTra le disposizioni ancora non attuate del Decreto Legislativo 9 aprile 2008 , n. 81 vi sono temi molto rilevanti. In particolare l’attenzione è ricaduta sull’art.8 che istituisce il Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro. Al primo posto, nei contenuti che dovrebbero riguardare i flussi informativi si parla proprio del quadro produttivo ed occupazionale. Presumendo che il legislatore volutamente abbia elencato i vari punti in ordine di rilevanza, si comprende facilmente l’importanza di questo aspetto.
Il contesto produttivo e occupazionale Italiano è caratterizzato da una evoluzione di grande frammentazione che mostra di avere evidenti ricadute sulla capacità del “sistema” di affrontare efficacemente le problematiche che da esse derivano. Abbiamo Pmi e lavoratori autonomi che aumentano in maniera esponenziale.
La quota di lavoro indipendente presente nelle imprese sfiora il 32%; oltre il doppio rispetto alla media europea. Questo dato ci preoccupa poiché il lavoratore autonomo è colui che affronta il rischio d’impresa in proprio ed il rischio oggettivo e` che offrono prestazioni di qualità inferiore , sia perché hanno una formazione inadeguata, sia perché, al fine di spuntare prezzi più bassi, tendono spesso a tagliare proprio le spese per la sicurezza.

Un’Italia fatta di piccole imprese è quella fotografata dall’Istat: i dati confermano come le Pmi costituiscano la spina dorsale dell’economia della Penisola con il 95% di aziende con meno di 10 addetti su 4,5 milioni di imprese dell’Industria e dei Servizi. Il problema reale è che la gestione della prevenzione risente negativamente della ridotta dimensione aziendale. Sono stati condotti vari studi a riguardo i quali confermano che le Pmi per una serie di motivi oggettivi e soggettivi tendono ad adeguarsi con più difficoltà alle normative.
Nel nostro paese il lavoro nero rappresenta uno dei problemi più complessi, vulnera la dignità e la sicurezza di milioni di lavoratori, è la fonte principale di evasione fiscale e contributiva, reca grave danno alla parte legale del sistema produttivo ponendo in essere pericolosa concorrenza sleale.
Lavorare nell’economia sommersa offre l’opportunità di aumentare i guadagni, di sottrarre gli stessi alle tasse ed ai contributi sociali, e comunque di ridurre i costi; quale miglior terreno fertile per declinare la sicurezza e la salute dei lavoratori?
Inail stima periodicamente gli infortuni occorsi ai lavoratori in nero; partendo dai dati Istat e utilizzando i propri indicatori di rischio. Dal grafico proposto si può notare una blanda correlazione negativa tra tasso di irregolarità e frequenze relative di infortunio. E siccome non è ipotizzabile che il ricorso all’irregolarità abbia effetti benefici sulla qualità del lavoro con conseguente riduzione del numero di infortuni, è del tutto legittimo affermare che il tasso di incidenza degli infortuni è maggiore, ma appaia minore per la mancata denuncia dell’evento. Nel complesso, in Italia, si valuta che siano circa 210mila gli infortuni concernenti lavoratori irregolari.

Gli extracomunitari sono parte integrante del quadro occupazionale del nostro Paese. Bisogna premettere che è sbagliato sostenere che esiste una questione sicurezza del lavoro legata a peculiarità del lavoratore migrante.
Il numero di infortuni fra i migranti con l’aumentare della loro presenza nella popolazione lavorativa sale in maniera esponenziale, ma la mancanza di denominatori nel calcolo delle frequenze relative non permette di affermare se sono a maggior rischio di quelli italiani, se lo sono perché svolgono lavori più rischiosi, per problemi linguistici, formazione o percezione dei rischi.
Inoltre la posizione di estrema debolezza sociale e giuridica dei lavoratori extra comunitari, è tale da renderli particolarmente esposti alle lusinghe del ricatto del lavoro nero, soprattutto in settori produttivi composti prevalentemente di manodopera sotto-qualificata e a bassa redditività.

Il ricordo a diverse forme di lavoro invece di essere uno strumento di accesso al mondo del lavoro purtroppo degenera in una condizione permanente di precarietà. Oggi viviamo in un processo di una generale precarizzazione dei lavoratori che non interessa soltanto coloro che hanno contratti di lavoro precari, ma trasforma tutto il mondo del lavoro, anche quello dei cosiddetti lavoratori “stabili”, sempre più preoccupati dal rischio di licenziamenti, esternalizzazioni e delocalizzazioni. Il tutto a discapito del lavoratore che si sente sempre più fragile e debole.

Un’altra questione molto importante riguarda la parcellizzazione della produzione: appalti e subappalti. Molte amministrazioni appaltanti utilizzano come criterio di valutazione delle offerte quasi esclusivamente il massimo ribasso d’asta, con ribassi anche superiori al 50 per cento. E ` chiaro che situazioni di questo tipo compromettono inevitabilmente non solo la qualità del lavoro appaltato, ma anche il rispetto di tutte le procedure e le garanzie, incluse quelle della sicurezza sul lavoro.
Oggigiorno si tende sempre più ad esternalizzare, l’esempio classico e` quello del subappalto. L’aspetto critico e` nel rapporto tra appaltatore e subappaltatori: mentre il contratto di appalto tra il committente e l’appaltatore è di solito ben articolato e prevede l’appostamento di somme per la sicurezza, i contratti tra l’appaltatore e i subappaltatori diventa molto più sfumato a conferma del fatto che gli ultimi anelli della catena non vengono controllati.

Su tutto questo si aggiunge il peso della crisi economica. Come dice il Senatore Tofani: «Con la crisi, il rischio è che si faccia meno attenzione alla sicurezza, e la guardia va tenuta alta»
Oltre che economica dovremmo parlare di crisi etica e sociale.
Il suicidio è diventata una nuova emergenza, non solo a causa della perdita del posto di lavoro; piccoli imprenditori, artigiani e negozianti che non sanno più come gestire la situazione cadono vittime della disperazione. Dietro all’aspetto tragico di queste vite spezzate si cela il fallimento di ogni forma di prevenzione attuata fino ad ora.
La crisi economica ha anche ricadute sul welfare. Con le disposizioni legislative si sposta sempre più avanti il momento di accesso alla pensione. Potremmo considerare questo come un ulteriore danno ai lavoratori che vengono “sfruttati” fino a tarda età, questo comporta inevitabilmente ad un incremento delle patologie definibili “da usura”, quindi delle patologie cronico- degenerative.

Lo sconvolgimento del mercato del lavoro comporta un ritorno degli spettri del passato, che si ripresentano in modo amplificato e di difficile controllo. La ridotta occupazione e la diffusione della flessibilità sono circostanze che favoriscono la ricomparsa dell’organizzazione scientifica del lavoro. Lo stesso concetto di aziendalizzazione e di management implicano l’organizzazione delle risorse umane in maniera “razionale”, utile alla produzione. Siamo passati però dal concetto di organizzazione del lavoro aziendale a quello di organizzazione del lavoro globale.
Si riaffaccia il pericolo del ritorno della monetizzazione del rischio: i lavoratori accettano qualsiasi condizione pur di lavorare. «Preferisco morire tra vent’anni di cancro, piuttosto che tra pochi mesi di fame», si sente dichiarare da certi lavoratori dell’Ilva di Taranto che hanno paura di perdere il proprio posto di lavoro. In passato la salute veniva monetizzata con il denaro oggi la salute viene monetizzata con il lavoro.
L’attuale concezione del mercato del lavoro globale, ha influito pesantemente sull’ambiente, procurando conseguenze drammatiche per la stessa sopravvivenza dell’uomo. Complici la spinta verso lo sviluppo economico dei Paesi emergenti (Sud Est Asiatico e Brasile in particolare) e lo sfruttamento intensivo delle risorse del pianeta. L’indifferenza al problema, soffocata dal boom economico, è ora causa del gravissimo danno ambientale sul quale poco hanno inciso le determinazione degli accordi internazionali (protocollo Kyoto).
Appare evidente che in questa situazione di grande frammentazione viene meno l’impianto giuridico che prevede la consultazione e la partecipazione dei lavoratori alla prevenzione.

Per concludere si può affermare che il quadro produttivo ed occupazionale incide sulla salute dei lavoratori; e l’unica cosa che concretamente possiamo fare è insistere e difendere quelle che sono state le conquiste già fatte nel nostro Paese e intervenire sui Paesi terzi per correggere le disuguaglianze e diffondere la cultura della prevenzione, ovunque.

Il mondo è diviso in “uomini”- che lavorano, sudano, soffrono – e “caporali”, che sfruttano il lavoro, il sudore e la sofferenza dei primi.
Antonio de Curtis (Totò)

Natascia Crispino
per Medicina Democratica
19 gennaio 2013

Print Friendly, PDF & Email