Inceneritore ACCAM : non tutte le “ciambelle” riescono col buco !

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downloadE’ oramai noto alle associazioni ambientaliste che  il 9 settembre 2015 verrà discusso, in sede di Conferenza Stato-Regioni, la bozza di decreto ministeriale sulla realizzazione della “rete degli inceneritori” prevista dall’art. 35 del decreto “sblocca italia”.

La proposta prevede la realizzazione di 12 nuovi inceneritori nelle regioni “carenti” . Sul tema sono in programma iniziative pubbliche nelle giornate precedenti in diverse località.

Qui vogliamo porre l’attenzione su un aspetto “preliminare” del decreto in questione riguardante gli impianti di incenerimento per rifiuti urbani e assimilati (sono esclusi pertanto quelli per rifiuti speciali e gli impianti di coincenerimento come cementifici e simili).

Infatti il decreto in discussione il 9 settembre è solo l’ultima puntata di una vicenda che inizia dalle direttive europee che introducono l’operazione “R1” ovvero il recupero energetico dei rifiuti in alternativa con l’operazione D10 ovvero l’incenerimento (smaltimento) dei rifiuti e continua nell’ossessiva (e spesso pasticciata) iniziativa normativa italiana di facilitare in qualunque modo l’incenerimento dei rifiuti iniziata nel 1991, proseguita nel 1997 nel decreto Ronchi e tuttora tenacemente perseguita (incentivi sulla produzione di energia elettrica, invenzione del combustibile solido secondario “non rifiuto” ecc) con la scusa della incapacità di molte amministrazioni di mettere in piedi sistemi di gestione dei rifiuti rispettosi dell’ambiente e delle necessità di non proseguire nella estrazione incontrollate di materie e nello spreco delle risorse.

Da ultimo la direttiva 98/2008 ha definito una formula di calcolo del rendimento energetico del singolo inceneritore per passare da impianto di smaltimento a impianto di “recupero”. Nel 2013 l’Italia (solo l’Italia) ha introdotto anche un coefficiente climatico “correttivo” (in pratica i paesi del sud Europa, tutta l’Italia inclusa, moltiplicano il risultato della formula R1 per un valore (il decreto italiano aveva fissato 1,38 una recente direttiva l’ha abbassato a un massimo di 1,25) così anche l’inceneritore catorcio nei paesi europei che si affacciano sul mediterraneo può “fregiarsi” della qualifica di impianto di recupero.

Per commenti di dettaglio rimandiamo al prossimo numero di Medicina Democratica che entra nel merito, anche tecnico, di tale vicenda.

Il decreto sbloccaitalia ha infine utilizzato la formula R1 per “liberalizzare” gli inceneritori esistenti. In pratica ogni impianto riconosciuto come impianto di recupero energetico può incrementare “d’ufficio” la quantità di rifiuti che può bruciare (“saturazione del carico termico”) superando gli eventuali limiti autorizzativi, inoltre può ampliare a dismisura l’area di conferimento di rifiuti urbani (anche extraregionale) superando i limiti posti nella pianificazione locale (per questo alcune regioni hanno posto la questione di costituzionalità di questa parte del decreto sbloccaitalia). L’unico argine (parziale) a tale deriva è costituita dalla (quasi sempre necessaria) valutazione di impatto ambientale per le modifiche sostanziali conseguenti.

E’ evidente pertanto l’importanza dei calcoli per verificare se un impianto supera o meno la soglia minima prevista dalla formula europea “R1” (0,60 per i vecchi impianti, 0,65 per quelli nuovi). Si badi bene che tali soglie non significano rendimenti produttivi elettrici/termici del 60 o del 65 % in quanto il calcolo (non a caso generato dalle proposte dei costruttori di inceneritori in una attività di lobbies incontrastata e vincente) considera altri fattori non puramente tecnici.

Il maggior problema degli impianti di incenerimento è comunque, nel caso in cui non vi siano un adeguato utilizzo di vapore all’esterno dell’impianto (es teleriscaldamento) difficilmente, nonostante tutti gli “aiutini” riescono ad arrivare alla soglia minima.

E’ il caso degli impianti più vecchi o di quelli anche recenti in cui l’opzione teleriscaldamento, sempre prevista nelle autorizzazioni, non è stata concretizzata. Tra questi impianti vi è quello di ACCAM spa a Busto Arsizio (il sito ha un impianto di incenerimento – ovviamente sostituito nel tempo – dal 1972 !).

Recentemente la Regione Lombardia ha qualificato ACCAM come impianto di recupero energetico accettando i calcoli (ripetutamente) presentati fino a quagliare il dato richiesto.

Abbiamo fatto le pulci ai calcoli, anche quelli più recenti, e abbiamo dimostrato che qualcosa non va. La nostra convinzione è che, nonostante tutti gli aiuti e una interpretazione “estensiva” delle norme europee, l’impianto non riesca a superare la benché misera soglia di 0,60.

Questo conforta le iniziative delle associazioni e comitati locali nonché, oramai, della maggioranza dei Comuni consorziati a decretare la dismissione dell’impianto anziché il suo revamping come da anni in discussione. Ovviamente i comitati e le associazioni hanno richiesto formalmente alla Regione Lombardia la revisione di questa decisione.

Mettiamo a disposizione di tutti la relazione tecnica di ACCAM e quella alternativa per far comprendere che, anche sotto il profilo tecnico e nonostante l’apparente “oggettività” dei dati, non sempre le ciambelle escono col buco ma occorre fare lo sforzo di esaminare ogni “ciambella”.

Note inerenti il procedimento di riesame della AIA per accam definitivo

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