PRESCRIZIONE, UN CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE, DA UN DIVERSO PUNTO DI VISTA

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Dopo la pubblicazione del comunicato stampa e dell’articolo su Il Manifesto (https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=8925) l’Avv. Margherita Pisapia ha mandato una nota ove esprime il suo punto di vista sulla discussione sulla prescrizione, diverso da quello espresso, che rispettiamo e che mettiamo a disposizione degli interessati.

Gentile dott. Aurora,
ho letto il suo articolo e, proprio perché ho rappresentato e rappresento Medicina Democratica come parte civile nel processo Santa Rita e perché nutro grande stima per la sua attività e per quella dell’Associazione, mi permetto da avvocato penalista di rispondere al suo comunicato e di provare a spiegare le ragioni di una battaglia in cui credo molto.

Per una settimana gli avvocati penalisti di tutta Italia hanno proclamato l’astensione dalle udienze come forma di protesta contro l’entrata in vigore dal 1 gennaio 2020 della norma introdotta con la legge cd “spazza corrotti” che prevede il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Una riforma che giudichiamo sbagliata, inefficace e dannosa.
L’astensione dalle udienze – che è bene ricordarlo, non incide sulla prescrizione perché ogni rinvio chiesto dal difensore “congela” i termini di prescrizione – è stata accompagnata da molte iniziative promosse in tutta Italia dalle Camere penali e non solo, per informare l’opinione pubblica e per spiegare le ragioni della protesta.
Per spiegare cioè che non è vero che la prescrizione serve ai “delinquenti” per rimanere impuniti, che non è vero che esiste solo da noi e non ha ragion d’essere, che non è vero che abolendola sarà garantita giustizia alle vittime.
La prescrizione è un istituto di civiltà e ha radici profonde nello stato di diritto: i Romani e i Greci avevano istituti simili; già nei primi codici Italiani erano previsti termini per l’azione penale e per la conclusione del processo. Oggi negli altri ordinamenti giuridici – Francia, Spagna, Germania, Austria – sono previsti termini di decadenza e di prescrizione (l’Inghilterra come Lei sa ha un sistema processuale completamente differente dal nostro e per questo non paragonabile).
La prescrizione si fonda su un principio di civiltà: nessuno Stato può mantenere indefinitivamente un cittadino nella condizione di imputato. Ed è indissolubilmente legata ai principi fondamentali previsti dalla nostra Costituzione di presunzione di innocenza e di inviolabilità del diritto di difesa.
Alla sua origine c’è un principio di buon senso prima che giuridico: niente e nessuno si può sottrarre all’inesorabile trascorrere del tempo. Con il passar del tempo si affievolisce l’interesse della società alla punizione; diminuisce la capacità e la possibilità di raccogliere prove, si riduce la possibilità per chi è accusato di difendersi. E soprattutto con il passare del tempo cambiano le persone e non avrebbe alcuna finalità applicare una pena – che ai sensi dell’art. 27 della Costituzione dovrebbe tendere alla rieducazione del condannato – ad una persona dopo anni, quando si è costruito una vita diversa e non è più quello che era quando ha commesso il fatto.
Questo già oggi non vale per quei reati talmente gravi che lasciano una ferita indelebile nella comunità. In questi casi la prescrizione non opera (tutti i reati puniti con l’ergastolo, come la strage, l’omicidio volontario aggravato), oppure ha termini così lunghi da essere di fatto inapplicabile (ad esempio la violenza sessuale oggi si prescrive in 33 anni; il sequestro di persona a scopo di estorsione in 60 anni; l’omicidio stradale senza aggravanti in 17 anni e 6 mesi; il disastro ambientale in 37 anni e 6 mesi, etc).
Il processo Santa Rita non può essere considerato un caso di mancata giustizia per colpa della prescrizione: vi è già stata una condanna definitiva, gli imputati stanno scontando la pena, la quasi totalità delle persone offese sono state risarcite.
È vero che ci sono casi eclatanti in cui, per ragioni diversissime tra loro e spesso per un insieme di ragioni, non si arriva a sentenza definitiva perché interviene la prescrizione. Ma la prescrizione è quasi sempre un rimedio estremo, l’ultimo baluardo di fronte all’incapacità e alla disfunzioni dello giustizia penale. Eliminare la prescrizione perché la giustizia non funziona, significherebbe nascondere il problema per non vederlo, sarebbe come eliminare la data di scadenza dello yogurt perché non si riesce a consumare in tempo, o eliminare l’orario di arrivo dei treni per non farli arrivare in ritardo.
Non solo, nel caso di specie, sarebbe anche inutile. Le statistiche del Ministero della giustizia dicono che meno di 2 processi su 10 si prescrivono dopo il primo grado di giudizio. Davvero vale la pena mettere in discussione un principio generale di civiltà per questi pochi casi?
La riforma purtroppo non solo è sbagliata, perché comprime diritti costituzionali fondamentali, ma è anche inutile e controproducente.
La conseguenza immediata di questa norma sarà quello di rendere ancora più lunghi i processi. Oggi infatti uno dei criteri di fissazione delle udienze è proprio il termine della prescrizione e i processi “a rischio” hanno una corsia preferenziale. Senza lo “spettro” della prescrizione, la giustizia si arrenderà alla sua inefficienza e le udienze di appello e di Cassazione saranno fissate dopo anni.
E senza una condanna definitiva non ci sarà l’esecuzione della pena, senza una sentenza di appello non ci sarà il risarcimento delle parti civili. Nessuno trarrà vantaggio da questa situazione: non colui che condannato in primo grado attenderà per anni il giudizio di appello; non colui che assolto in primo grado resterà imbrigliato nelle maglie della giustizia; non le vittime che non vedranno arrivare la condanna definitiva e quindi la punizione del colpevole; non le parti civili che non saranno risarcite; non il sistema giustizia, ancora più ingolfato e ancora più costoso.
La verità è che questa riforma allungherà ancora di più i processi, colpirà i diritti fondamentali degli imputati, danneggerà i diritti delle persone offese, e non risolverà neppure quei pochi casi di “mancata giustizia”, usati come bandiera dai sostenitori di questa legge.
Gli unici a trarne vantaggio saranno proprio coloro oggi “operano”, per usare le sue parole, “per allungare i processi”: lo faranno ancora di più in primo grado e lo faranno anche dopo perché senza una condanna definitiva rimarranno impuniti.
Ecco perché siamo contro questa riforma, perché la prescrizione non è il problema, perché non si possono comprimere i diritti per ottenere consenso politico. È una battaglia che facciamo a tutela del giusto processo. È per noi una battaglia di civiltà.

Avv. Margherita Pisapia
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margherita.pisapia@studiopisapia.it

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